lunedì 14 dicembre 2015

DALLA FORZA DELLA RAGIONE ALLA VIOLENZA DELL'INSULTO: ORIANA FALLACI

Oriana Fallaci, fiorentina da anni residente a New York, è attualmente una degli italiani più celebri dell’occidente. Dopo il libro "La rabbia e l'orgoglio" del 2001, dal 5 aprile 2004 ne ha messo in circolazione un altro: "La Forza della Ragione”. Record assoluto perché in tre mesi ne sono state vendute un milione di copie all'incirca. Il Columbia College di Chicago le conferì la laurea ad honorem in letteratura e la definì uno degli scrittori più letti ed amati nel mondo. Questo bestseller però andrebbe considerato a tre livelli, sempre che si desideri orientare il lettore in merito: la forma letteraria, il contenuto, la persona. Anche l'ultimo aspetto non è irrilevante nel senso che ognuno scrive sempre se stesso. L'opera aiuta a capire l'uomo e l'uomo aiuta a capire il suo prodotto. Orbene sul piano letterario nulla da eccepire, si fa leggere d'un fiato, humour irresistibile, stile immediato, colorato, diretto, ti prende per lo stomaco, sublima le realtà più banali in godimento estetico, rende olezzante di profumo persino gli escrementi. Qui non ci piove e di qui il segreto del suo successo, unito però ad un contenuto intessuto da principio alla fine di "j'accuse" senza pietà e pure senza discernimento. Sostanzialmente una rassegna di offese gratuite. Insulta i cristiani perché rompono le scatole con i vangeli, le donne in chador perché sono minchione, i comunisti perché sono preti rossi e viceversa, gli italiani perché sono tutti voltagabbana che si vergognano di fare gli operai e richiamano una marea di stranieri, le femministe perché sono tutte galline che sognano uno stupro da Bin Laden, i laureati perché sono degli ignoranti che prima o poi vanno ai comizi del papa, i gay perché odiano la propria madre dalla rabbia di non essere nati donne. I messaggi e i toni messianici uniti all'odio dell'lslam hanno stregato molti cattolici specie nel Veneto e nel trevisano, terra di sindaci sceriffo, supportati anche dai bollettini parrocchiali.
                                               L’Europa è diventata Eurabia.
L'Europa è una colonia dell'lslam e l'Italia ne è un caposaldo. È su questo argomento che la nostra si scanna più lungamente ed intensamente. L'Europa è venduta come una sgualdrina ai sultani, ai califfi, ai visir lanzichenecchi del nuovo impero ottomano. Non esiste un lslam buono ed un lslam cattivo, no, c'è un solo lslam tutto stagno puzzolente e miasmatico. Tutto l'lslam alla sbarra, dall'origine ai nostri giorni, passando per Marcantonio Bragadino, Patrizio Veneziano, spellato di sana pianta a Cipro cinque secoli fa da quella gentaglia. Non si salva nessuno, sia che si tratti di arabo od occidentale amico degli arabi. Oggi si installano a casa nostra e ti impongono le loro idee. La loro vittoria e il loro futuro sta nel ventre della donna, fare figli, e fargliene fare tanti, così si moltiplicano come i topi. La politica del ventre è la strategia da loro usata per sottomettere tutti alla causa di Allah. Nelle scuole i bambini loro rifiutano di parlare con le nostre maestre perché sono donne. L'articolo 19 della Costituzione che dice "tutti hanno il diritto di professare la propria religione" viene da loro interpretato "tutti gli islamici, eccetto gli italiani". I nostri paternoster sono stati sostituiti dai berci dei loro muezzin. Cominciano col pretendere il riconoscimento delle loro feste e un domani ti prenderanno anche i musei. Per la Fallaci tutto è un complotto di sudiciume morale. Sudiciume è l'Europa dei banchieri che hanno inventato la farsa dell'Unione Europea, l'Europa dei papi che hanno inventato la fiaba dell'ecumenismo, l'Europa dei facinorosi che hanno inventato la bugia del pacifismo. Non scendiamo poi nei particolari: Andreotti occulto filoarabo, Alessandra Mussolini cicciuta nipote del "Partito der Nonno", Fini come Togliatti che sembra intelligente invece è furbastro, Prodi mortadella, dopo Pulcinella, Brighella e Tartaglia ci mancava solo quella. Agnoletto, il più lercio rappresentante del moderno nazifascismo arcobalenato. L missionari comboniani pseudo rivoluzionari, Raffaele Nogaro vescovo di Caserta ignobile scugnizzo no global, cui Gesù Cristo sarebbe saltato addosso a pedate sul culo (sic'). 
                                             Ragionare con la propria testa.
Quello della libertà di pensiero, dell'autonomia della propria coscienza, dell'utilizzo della propria ragione è a mio avviso l'intuizione positiva e più interessante della Fallaci. Peccato che l'autrice vi riservi solo una trentina di pagine di quasi 300.  Oggi si dichiara (parole sue) contro la pena di morte e contro le torture del corpo perché si preferisce quelle dell'anima. Una nuova inquisizione che invece di usare tenaglie e mannaie ricorre a ordigni incruenti, giornali, radio Tv. Ha cambiato volto, ma non l'anima. Se scrivi che la terra è rotonda sta certo diventi subito un fuori legge. Oriana si definisce atea-cristiana, perché di Gesù Nazzareno ammira due aspetti. Primo "sono venuto a portare non la pace, ma la spada". E così anche lei può maneggiarla contro gli islamici. Secondo e qui ci interessa: "Gesù rivendica dall'uomo la propria coscienza, ci rende responsabili delle nostre azioni, padroni del nostro destino". Un inno alla ragione e al raziocinio. Oggi tutto è frutto di deduzione. lnvece del ragionamento si usa il sentimento. Si accantona la logica e ci si mette al suo posto la pietà finanziata e di circostanza. Toccando sempre e solo il cuore si neutralizza le difese della logica stessa. Oggi non si ragiona più con la propria testa perché anche nelle cose piccole e quotidiane la società ti vuole fornire le sue soluzioni già pronte all'uso come cibo precotto. "Stiamo pensando per te, così tu non devi farlo". Il cervello è un muscolo e come tale ha bisogno di essere tenuto in esercizio; diversamente impigrisce, si atrofizza, come le gambe di chi sta sempre seduto. E così diventa meno intelligente, anzi stupido, si consegna al Pensiero altro, alle formulette preconfezionate: pietismo, buonismo, pacifismo, imperialismo. Che poi è tutto conformismo, la ricetta della viltà. E in un cervello che non se ne rende conto puoi ficcarci dentro di tutto: dal credere, obbedire, combattere, a Gesù Cristo morto di raffreddore all'età di 80 anni. 
                           Troppi sputi sul Corano, sulla Bibbia, sul Capitale di Marx.
 Oriana Fallaci si dimostra assolutista, massifica tutto, tutto accomuna nell'insulto. Con ciò dimostra poco, vuole solo scaricare la sua rabbia ancora una volta. Il fatto del milione di copie vendute non significa molto dal punto di vista dei contenuto. Anche Patrick del Grande Fratello quando si ubriacava e vomitata alzava l’ascolto, l'auditel, l'indice di gradimento. Almeno quello non offendeva però. E qui forse la Fallaci, anche se non scusata, andrebbe capita: vita amorosa molto travagliata, ed un tumore che si porta dietro da anni. Anche questo forse limita la serenità interiore. Per chi leggerà questo libro buona lettura ed una iniezione di discernimento per non svendere la propria intelligenza.

Autore:
Albino Michelin
03.09.2004

IL PAPA IN SVIZZERA: SUCCESSORE DI PIETRO O DI PAOLO?

Si è detto e si è scritto in abbondanza che sabato e domenica 5 e 6 giungo 2004 la Svizzera cattolica ha conosciuto il più grande avvenimento storico: la venuta del Papa con un bagno di folla giovanile al Palaghiaccio di Berna ed una marea di partecipanti alla messa nella distesa erbosa dell'Almend. Ora ammainati i gonfaloni della festa si possono trarre alcune conclusioni provvisorie, scevre anche dall'emozione del momento sul tema: ”ruolo del papato nella bibbia, nella storia, nella società attuale”. Anzitutto il popolo svizzero è rimasto per la circostanza un po' freddino ed estraneo. All'aeroporto l'accoglienza al pontefice si è ridotta al lumicino, Il presidente della Confederazione Joseph Deiss, qualche accompagnatore, nessuna fanfara, nessuna scuola materna con suore e bimbi bianco vestiti da angioletti. Per le strade di Berna nessun striscione, nessun manifesto murale, né traccia di volantinaggio al benvenuto. Qualche timido segno lo ha dato solo un gruppo di 150 giovani con slogan e stendardi a contestare il fanatismo e dogmatismo papale. Senza nulla togliere all'interiore emozione dei partecipanti va ricordato che 70.000 persone alla messa rappresentano 1'1 % della popolazione, che la maggioranza delle bandiere che sventolavano al sole era di provenienza croata, polacca, albanese, portoghese, italiana. E resta ancora un interrogativo: la simpatia verso questo papa superstar, fuori classe, atleta-boy nasce dal feeling verso la persona, verso il personaggio, verso il simbolo rappresentato, verso il fascinoso, o verso il divo mediatico? Certo ideale fulgente sarebbe che tutto ciò fosse dato dalla sete di Dio nei giovani interpellati. Ma potremmo anche illuderci.
                                            Viaggi papali anche per ascoltare
In questo articolo interessa porre una domanda che forse TV e media non si son mai sognati: il Papa è venuto in Svizzera quale successore di Pietro o di Paolo? Per nulla peregrina perché comporta delle conseguenze concrete e stringenti sul piano pratico. In effetti, nel 1980 al suo primo viaggio ih terra d'Africa il nostro Pontefice dichiarò di voler essere anche un erede di Paolo, apostolo sempre in cammino. Quindi guardare, osservare, costatare, prendere in considerazione, ritenere. Per dirla con lo scrittore prete ticinese Alessandro Pronzato, qualcuno osserva a Papa Wojtyla una gestione troppo spettacolare dei suoi viaggi, poco propenso all'ascolto. L'opinione pubblica della chiesa risulta sovente trascurata. È vero che il Papa è assistito dallo Spirito Santo (come anche altri credenti attenti al suo soffio), però dallo Spirito Santo non è informato. L'informazione il Pontefice la riceve dal popolo di Dio in tutte le sue componenti e nella varietà delle sue espressioni, anche quelle rispettosamente critiche. Non venir filtrate e addomesticate dai rapporti diplomatici. Le voci dello Spirito di Dio talvolta possono salire anche dalla piazza e non sempre e solo scendere dai sacri palazzi. Così si comportava Paolo. Sapeva ascoltare e spesso adattare metodi alle circostanze locali, ovviamente salva la sostanza del messaggio evangelico. Se in una comunità le matrone prendevano eccessivo sopravvento proibiva "loro di aprire becco nelle assemblee". Ma dove tale pericolo non esisteva concedeva loro pure l'animazione e la direzione delle varie chiese. Le teologhe svizzere in confronto colf sarebbero.
Cattolici svizzeri dal complesso antiromano?
Quando si descrivono i cattolici svizzeri affetti da un complesso antiromano in parte ci si azzecca. ma forse non si devono ignorare  le cause di tale atteggiamento. Che, come faceva Paolo, andrebbero anche ascoltate, prese in considerazione e non solo moralizzate a sermoncino e penalizzate. Cioè la Svizzera è un popolo che vive la democrazia da 7 secoli, quindi è sì popolo lento, che vuole rendersi ragione di tutto, che non vuole vedersi calare dall'alto dogmi indiscutibili, e quindi guai a schiaffargli interventi papali dietro la schiena. Non che per lui Dio, le verità di fede e della morale vadano sottoposti alla democrazia del numero, ma i metodi per arrivarci si. Il 23 aprile 2004 è uscita l'istruzione vaticana contro gli abusi nella messa "I laici non possono leggere il vangelo, fare la predica, distribuire la comunione in presenza del prete". Una quarantina di divieti. Il fatto si è che gli operatori pastorali di qui e d’Europa non sono un mondo supino come il clero italiano. Si sono riuniti, ne hanno discusso e i vari decani hanno emanato una circolare in cui raccomandano a tutti di continuare nell'impegno pastorale di prima, con relativa modalità per dare a tutti un messaggio evangelico adeguato. Si domanda: è la· chiesa zurighese scismatica? Questo intervento rinvia a tutta quella vasta azione ecclesiale di oltre 10 anni or sono in cui i cattolici di questa diocesi hanno indotto le congregazioni romane a trasferire il vescovo Haas in quanto non si era sufficientemente rispettata la consultazione di base del popolo di Dio. Questa non è turbolenza ma volontà di partecipazione nella chiesa. Sempre in questo contesto si colloca la lettera aperta, sottoscritta da 41 docenti universitari, preti, assistenti pastorali, nel giorno stesso del 84.mo compleanno del Papa divulgata al pubblico e richiedente le dimissioni del Papa stesso per superati limiti di età. In essa non si tratta tanto di un giudizio sulla persona, ma sul ruolo che, causa malferma salute, non potrebbe più venire esercitato. La si contestò per rischi di manipolazione dell'entourage con erosione della autorità papale stessa. Argomento poi dibattuto anche alla TV di lingua tedesca con dovizia di opinioni martedì 25 maggio. La coincidenza è stata inopportuna, si doveva evitarla, ma evidenzia l'importanza dell'argomento. Che Radio Vaticana abbia minimizzato il fatto sostenendo che 41 "bastian contrari" nulla sono di fronte a 70.000 credenti non deve negare l'opportunità di stare pure in ascolto delle minoranze. Che se qualcuno le definisce provocazioni di cattivo gusto altri le preferiscono al servilismo di peggior gusto. Questo è lo spirito della democrazia elvetica. Come l'altro dei diritti della donna. In cui non si tratta tanto del solito sacerdozio femminile, ma di una realtà più profonda. In effetti la docente universitaria Denise Buser invitò l'attuale pontefice a chiedersi come mai 170 Stati firmarono la Convenzione Onu 1979 sull'abolizione discriminazione fra le donne, mentre il Vaticano deve ancora sottoscrivere. Perché non porsi anche qui in stato d'ascolto?  Da ultimo il rapporto con i protestanti. In svizzera sono un 40% e oltre. Forse una celebrazione un po' più ecumenica alla domenica 6 giugno come da loro richiesta non sarebbe stata inopportuna. Ma il sentirsi ripetere che l'unica vera chiesa è quella cattolica mentre le altre sono solo comunità (o chiesuole) li ha decisi a disertare. Anzi S. Lutz della Federazione Protestante di Berna ha usato espressamente la parola "boicottaggio". Difficile ricucire lo strappo durante questo papato.
                                             Missionari sì, bandane no
Nel settembre scorso alcuni si erano permessi di proporre ai Missionari italiani in Svizzera a preparare questo evento anche invitando tutte le missioni e consigli pastorali ad organizzare pubblici incontri di riflessione sul ruolo del papato oggi. Un po' di cultura biblica e storica in materia non guasta, anzi aiuta a rendersi ragione della nostra fede. Silenzio tombale fino ad un mese prima allorché riceviamo una circolare in cui si raccomanda vivamente di acquistare bandane, foulard e quanto altro per il folklore papale. Allegato un vaglia di Fr.100 per contributo spese. Sembrava di ritornare indietro di 5 secoli quando si commerciavano santini e indulgenze per le costruzione della Basilica di S. Pietro. Non si vorrebbe che Papa Wojtyla si fosse portato a Roma solo questo ricordo dalla Svizzera, sarebbe una Svizzera fittizia. A tutti coloro però che spiritualmente sono grati a Giovanni Paolo Il per la sua visita un augurio di portare avanti i problemi sollevati e da risolvere con la collaborazione di tutti.

Autore:
Albino Michelin
18.06.2004

POLITICA GRADITA NELLE CHIESE, PROIBITA NELLE MOSCHEE

Sollevare in Italia il discorso Chiesa-Politica è toccare un nervo scoperto. In effetti tanti reagiscono con forme di chiara protesta allorché sentono nelle chiese parlare di Politica. C'è stato un periodo, anni 70-90, in cui il partito della DC costituiva una cinghia di trasmissione in materia, un laicato cattolico specie con Andreotti che riusciva a prendersi una certa autonomia, vero soggetto politico, che non permetteva alla gerarchia intromissioni dirette. Ma una volta sparita la DC e convogliatasi in tante piccole frazioni, la chiesa è rientrata, autorizzandosi a ridiventare essa stessa nuovo soggetto politico e a trattare la politica italiana spesso e volentieri in prima persona. È talmente invasiva anche nei media che tutti i nostri politici da Bertinotti a Fini si sentono in dovere persino di tirare per la giacca il Papa, citandolo ad ogni piè sospinto, per arruolare clienti al proprio partito, convinti, come sono, che stare oggi in idillio con la chiesa gerarchica porta bene. Di qui niente di meglio per quest'ultima, ritornata come subito dopo guerra a servirsi anche dei luoghi di culto per far politica. Indubbiamente per una certa politica, a senso unico. Molti ricordano ancora i sermoni di fuoco pronunciati dai pulpiti contro i comunisti, la scomunica, l'interdetto ai sacramenti e alla benedizione delle case, nonché al funerale religioso. Non sappiamo che fine hanno fatto quelle grida poste in atto da Pio XII. Ovviamente all'avvento di Papa Giovanni (1958-63) saranno cadute in prescrizione. Intanto però l'Italia cattolica si era spaccata in due, in uno scontro frontale. Facciamo un salto storico in avanti per costatare che la musica torna al liscio di Romagna. Oggi la Chiesa italiana nelle sue istituzioni e leve di comando è tornata ancora a parlare di politica nelle chiese, oltre che a pilotarla al di fuori di esse. Ripeto, però a senso unico. Là dove molti, senza tanti peli sulla lingua, la ritengono filogovernativa, filooccidentale, filoamericana. Registro le situazioni, lasciando ad altri a verificarne l'assetto. Cito alcuni casi visti da destra e da sinistra, cosi non parteggiamo per nessun schieramento partitico.
                                                          Interventi di destra
Domenica 9 maggio, festa patronale di S. Nicola da Bari, il sindaco uscente di quella città Simeone Di Cagno Abbrescia, fascia tricolore al petto, durante la messa in cattedrale, sale all'ambone, elenca tutte le opere buone compiute dalla sua amministrazione, dalle fognature al lampioni della luce con straripamenti di chiaro carattere propagandistico Forza Italia. Alla faccia di tutti i divieti papali nell'istruzione ' Redemptionis Sacramentum' del 23.4.04. Che questo intervento non fosse un infortunio ma un vero comizio elettorale lo dimostra il volantinaggio a tappeto eseguito contemporaneamente al di fuori della chiesa con tanto di santini recanti la foto dell'Abbrescia, candidato questa volta al parlamento europeo. Le gerarchie? Non so se compiacenti, certo mute come un pesce di fronte a nuova alleanza trono - altare di Pio IX memoria. Altro caso. Il 15 aprile a Venezia viene inaugurata la sede di Forza Italia con tanto di benedizione religiosa impartita da Monsignore, come investitura ufficiale a Cesare Campa, probabile prossimo sindaco della città lagunare.  Il prete operaio G. Manziga inoltra contestazione: la chiesa non deve manifestare attraverso gesti di fede le sue preferenze di partito, le sue simpatie politiche. Gli organizzatori lo mandano a quel paese con l'etichetta di comunista taroccato. A convalida dei due casi aggiungiamo anche quello dei funerali dei nostri morti a Nassiriya, ormai alla noia per la sua ripetitività. Nell'omelia il Cardinal Ruini pronunciò il 18.11.03: "non fuggiremo di fronte ai terroristi assassini, anzi li fronteggeremo”. Fortuna che non gli è sfuggito di bocca in mondovisione anche se l'aveva nel cuore: "Dio benedica l'America". Non mi si consideri di qui un ingenuo pacifista. Solo si costata che cerimonie religiose e luoghi di culto ritornano di nuovo a servire per una politica a senso unico.
                                                         Interventi di sinistra
 A metà aprile 2004 il giovane parroco di Forcella Napoli, anni 32, Luigi Media celebra i funerali della quattordicenne Annalisa Durante, uccisa per caso in una sparatoria fra bande camorriste rivali. Nell'omelia esorta il quartiere a difendere la giustizia contro ogni sopruso, a scrollarsi di dosso il giogo della violenza per ricuperare la propria libertà. Il Cardinale di Napoli, Michele Giordano, già alla ribalta e chiacchierato anni or sono per dubbie parentele con potentati bancari locali, memore del messaggio dell'attuale nostro ministro in materia (laggiù con la mafia-camorra bisogna convivere) richiama il parroco ricordandogli che compito del prete è quello di formare i giovani, le famiglie, le coscienze, non di fare il poliziotto. E che la camorra va combattuta nella distinzione dei ruoli, non nell'invadenza delle competenze altrui. Cioè gli ha ricordato che in chiesa non si fa "quella" politica. E per penitenza lo mandò una settimana in montagna a fare gli esercizi spirituali. Ultimo caso del settore. Tutti conosciamo il Crac Parmalat. Orbene la domenica 15 febbraio don Luigi Scaccaglia, parroco della chiesa di S. Cristina di Parma, fa una riflessione durante la messa su questo tenore "la famiglia Tanzi fu molto prodiga con le sue offerte e donazioni in favore dei luoghi di culto, ma oggi si parla di quattrini rubati. Dobbiamo cambiare rotta e noi uomini di chiesa trovare il modo di restituirli". Si vide addosso i fulmini di buona parte del clero perché si era permesso di fare nella messa "Politica eversiva". Siamo arrivati a queste mistificazioni: chi in Italia fa in chiesa una denuncia sociale viene considerato di sinistra, comunista, manipola il sacro a scopo di partito. Questo discorso poi si aggancia e si amplia sul recente divieto ecclesiastico di prestare locali delle parrocchie agli islamici per le loro riunioni e preghiere perché li trasformerebbero in moschee e cellule politiche. Che in alcuni casi ciò sia verificabile, quindi da porre sotto controllo, d'accordo, ma generalizzare è offensivo e partigianeria. Non dimentichiamo che anche le chiese polacche, Carol Wojtyla Cardinale di Cracovia compiacente, erano autentiche moschee. Non in senso deteriore, in effetti nulla a che fare con covi armati ma senz'altro laboratori di strategia politica contro il comunismo sovietico. Un po' di chiarezza non nuoce. Noi cristiani non dobbiamo usare sempre il metodo dei due pesi e due misure: credibilità esigesi! Certo nell'Italia attuale la tentazione di svendersi per un piatto di lenticchie è molto sottile. In effetti avendo la chiesa ottenuto da questo Governo privilegi indubbi, come la sovvenzione alle sue scuole private, il riconoscimento degli insegnanti di religione equiparandoli a quelli di ruolo e quindi spiazzando in parte questi ultimi, si vede costretta ad ossequiare l'attuale politica governativa rinunciando ad essere voce evangelica, critica e profetica. In un certo senso per paradosso ritorna a diventare la chiesa del silenzio. 

Autore:
Albino Michelin
11.06.2004 

FEDE OGGI: CONVERTIRSI ALLA GIOIA

È questo uno di quegli argomenti che aprono un po' il cuore all'ottimismo. Spesso qualcuno si chiede il perché di un cristianesimo a volte così pessimista, il perché di una chiesa cattolica così spesso solo poliziotta e guardiana di precetti e divieti, di un apparato clericale che esercita il suo potere con il giudicare e condannare. Ha un bel parlare Gesù di Vangelo come lieto annuncio e gli angeli di Betlemme un bel cantare "pace in terra".  Fra i tanti aspetti che coinvolgono questo messaggio preferisco soffermarmi soltanto su uno: colpa, colpevolizzazione, confessione. In pratica sulla confessione privata sottoposta al prete. Lutero già al suo tempo sosteneva che questa prassi può diventare una tortura della coscienza anziché una sua terapia. Vivere in mezzo alla gente e lasciarla parlare diventa un osservatorio privilegiato e sperimentale in materia. Molti lamentano il fatto che quando vanno in chiesa si sentono subito allontanati con quel ripetuto invito a riflettere sui propri peccati, a chiedere perdono a Dio e ai fratelli, a battersi il petto. Insomma nessun senso dell'autostima, tutto nero, totale svalutazione dell'essere umano. Altro che gioia, è una sensazione di gelo. Poco tempo fa un contadino che non frequentava assiduamente la messa sentì apostrofarsi dal suo prete: "la tua anima è più sporca della gerla del letame che porti sulle spalle" con l'ingiunzione di andarsi a confessare al più presto. Recentemente un ex emigrato, residente in Abruzzo, mi diceva che il giorno peggiore, o fra i peggiori della sua vita era stato quello della prima comunione, perché non aveva avuto il coraggio all'età di nove anni di confessare un peccato al prete. E nella foto di quella festa appare ancora oggi cupo ed emaciato a perenne memoria del grande giorno. Ma da allora un addio definitivo ai preti e ai loro confessionali. Indubbiamente l'educazione al senso di colpa è sempre pedagogico e salutare per ciascun uomo in via di sviluppo e in età matura. Sbaglia e si fa del male colui che sostiene essere oggi tutto lecito e che niente è peccato. Ma il senso morboso di colpa, come spesso inculcato da certa chiesa, conduce solo a brutte nevrosi o a totale abbandono della prassi penitenziale.
                              Confessione privata: pagare dazio, una umiliazione.
E qui vale la pena essere chiari: nulla oggi è posto tanto in discussione come la confessione privata. In un mondo in cui patrizi e plebei sentono il bisogno dr confessarsi pubblicamente in Tv, nelle parrocchie invece si riscontra un calo, una diserzione, tutt’al più un formalismo. E non è che l'emorragia si ristagna ingiungendo ai preti tramite circolari dall'alto di mettersi a disposizione dei penitenti (quali?), di ricuperare questo sacramento perché esso va rivisto, riletto, rifuso alla base. Ma molti preti si guardano bene dal sollecitare tale rifondazione: sembra di perdere tutto Il loro potere. Però le dispute e divergenze fra il clero stesso sono enormi: basta aprire gli occhi in ogni nostra parrocchia svizzera. Ma ovunque teoria e prassi, interpretazioni storiche e tradizioni devozionali si mescolano e si confondono in un autentico ginepraio. C'è chi ti viene a dire: "la sera prima del matrimonio il parroco del mio paese ha obbligato me e il fidanzato a confessarci privatamente. Ho detto quello che ho voluto, tanto dovevo pagare dazio ma che ho fatto l'amore prima del matrimonio non gliel’ho detto.” (Eh, no figliolo, questa reticenza è sacrilegio ti potrebbero rispondere). C'è invece chi all'inizio della messa nuziale invita sposi novelli e comunità ad un esame di coscienza e poi impartisce la dichiarazione di assoluzione comune. C'è chi fra i preti consiglia di utilizzare la messa domenicale con relative preghiere come valida confessione sacramentale, e chi invece durante la messa ti invita una serie di frati confessori nell'apposito abitacolo per impartire l'assoluzione a scopo comunione, squalificando così la serietà della messa, e affibbiandoci accanto un doppione di indebita concorrenza. Ci sono pastori d'anime che obbligano la gente a confessarsi una volta l'anno, oppure ogni tre mesi, oppure per ottenere la remissione dal peccato mortale, salvo poi a non essere d'accordo sul significato dello stesso. C'è in effetti chi lo ravvisa nell'ammazzare una persona, e chi nel tralasciare la messa festiva. Fra i cristiani c'è chi va alla confessione frequente per recitare il menù dei peccati e continuare poi bellamente nella vita a ripeterli e chi ci va per sentirsi umile ed umiliato, perché solo così si sente cristiano. Che rispondere? Che anzitutto è importante confessarsi a Dio. Non è una burla, né scappatoia di comodo. Solo Dio può rimettere peccati (Luca 5,21). Sì, perché la confessione è prima di tutto dire onestamente a se stessi e riconoscere davanti a Dio che le cose dentro di noi non vanno molto bene e bisogna darsi una mossa. Questo processo si chiama conversione. Ma poiché noi siamo anche persone di relazione dovremmo esprimere tale conversione interiore con un gesto esteriore impegnato e sincero, si chiama sacramento. Ora se compio una carognata col mio prossimo non ha senso dirlo al prete in confessionale, ma è doveroso riappacificarmi con una scusa od un saluto presso l'offeso. Questo gesto esteriore, frutto di convinzione interiore è già sacramento. Ampliamo il discorso? Il proprietario di Parmalat, dopo il Crac con truffe e truffati, non ha senso vada a prendersi il suo confessore in privacy e gli racconti la bancarotta, ma deve chiedere scusa e restituire ai risparmiatori, ai nuovi poveri. Solo questo è sacramento attraverso cui riceverà il perdono di Dio. In tal senso vale e bisogna ritornare a quanto si dice in materia nel Nuovo Testamento e nei Vangeli. “Confessatevi a vicenda i vostri peccati” (Giacomo 5,16), oppure l'altra espressione di Gesù che sta a fondamento legittimo della cosiddetta confessione comunitaria attuale: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome là ci sono io" (Matteo 20,20)
                                   Confessione privata, data di fondazione 1215
Molti ripetono come dei robot il brano di Giovanni (20,22) manipolandolo e clericalizzandolo. Gesù dice ai discepoli (quindi non solo agli apostoli, ma a tutti i componenti) della sua comunità credente: "pace a voi, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti". Accanto alla modalità di confessione all'apostolo, e quindi al prete di oggi (Matteo 16,19) Gesù ne sottolinea un'altra, forse la principale, fatta ai laici ed espressa in comunità. Spostare l'accento di questo passo di Giovanni or citato sulla remissione dei peccati e fondare su di esso il sacramento della Penitenza (o confessione privata), come istituito da Gesù Cristo non è corretto. Storicamente nel primo millennio la confessione privata veniva effettuata anche ai singoli laici e ai monaci, poi nel 1215 Papa Innocenzo la rese obbligatoria, auricolare, solo al prete, una volta l'anno. E nel 1560 il Concilio di Trento vi aggiunse il precetto di rivelare al prete ogni peccato mortale, numero, quantità e specie sotto pena di sacrilegio. Tutto questo discorso per sottolineare non tanto che la confessione non esiste più, ma che va riproposta con diversi modelli, e non solo con quello privato. Ma anche in tal caso essa va rifondata non tanto come obbligo, ma come un bisogno per l'uomo. Solo così questa componente della fede sarà un convertirsi alla gioia.

Autore:
Albino Michelin
07.05.2004

LE INQUIETUDINI MORALI DEL NOSTRO TEMPO

Oggi anziché di morale si preferisce parlare di moralizzazione. Si evita la parola "morale" allorquando va riferita a se stessi. In effetti, ciascuno di noi se la cava dicendo "io ho la mia morale, la mia coscienza, i miei principi e so come comportarmi. Non amo ingerenze". Si preferisce invece riferirsi alla moralizzazione, in quanto non tocca me ma gli altri. Per questo invochiamo la moralizzazione della politica, degli affari, del calcio, della globalizzazione, del mercato, della pedofilia e quant'altro mai. Un tempo la morale o il senso morale veniva passato ai figli e alle nuove generazioni mediante le tre categorie classiche di potere: la famiglia, la chiesa lo stato. Questi trasmettevano dei precetti attorno ai quali si creava un'etica civile, cioè di costume, una serie di comportamenti, la cui accettazione diventava ovvia. Nessuno reagiva, e chi apriva bocca veniva sistemato e all'occorrenza anche mandato al rogo, vedi gli eretici. Oggi invece l'autorità, la fonte morale del bene e del male è passata da queste categorie al singolo individuo, all'io. Ognuno di noi è agenzia morale per se stesso, autoreferenziale selfservice, fai da te. Nessun riferimento più ad altre componenti sociali o religiose, Sono io che decido ciò che è bene o male, ciò che è giusto o ingiusto ciò che è da farsi o meno. Il soggetto, portatore di diritto, che va rispettato per le opzioni scelte sono io, piacciano o non piacciano agli altri. lo sono il soggetto libero, il mio giudizio è sovrano e non ammette turbative di sorta da parte del super io, cioè della famiglia, della Chiesa, della società. Si scopre poi ad un primo esame superficiale che questo giudizio sovrano è molto poco libero, anzi è succube e smaccatamente schiavo di un conformismo acritico, dell'occhio sociale, del fan tutti cosi. Giudizio privo di convinzioni interiori, riflettute, maturate, soltanto frutto acerbo di convenzioni alla moda. Se poi ci si analizza in profondità si trova che questo "io, principio morale" s'identifica con il proprio desiderio, con l'erba voglio, quella che un tempo esisteva solo nel giardino del re. Cioè è morale, giusto, sacrosanto tutto ciò che io desidero. Il mio desiderio diventa un diritto dovuto alla mia dignità. Cartesio qualche secolo fa diceva: "penso, quindi esisto". Oggi l'uomo moderno grida: "desidero, voglio perciò esisto". Di qui nasce tutto un circolo vizioso: desiderio-tecnologia-prodotto, consumo-desiderio, e avanti all'infinito. Il ragazzino desidera il telefonino, la tecnologia glielo produce, il piccolo utente lo consuma, si stanca. Rinasce il desiderio del videofono e avanti nella spirale. Inoltre non ci si accorge che questa mentalità nasconde interpretazioni e decisioni pratiche radicalmente diverse: in effetti, che significa dignità? Ogni mio desiderio deve essere soddisfatto in nome della mia dignità? Una persona oggi è degna perché e bella, giovane, sa parlare, è siliconata, liftata, ha memoria, ha soldi, carisma, fa carriera? Allora non ha dignità e diritto chi fra di noi è anziano, brutto, rugoso in fronte, chi ha perso la memoria, con il morbo di Alzheimer, il disabile? Ha fatto impressione qualche tempo fa un caso accaduto in Francia allorché un figlio handicappato ha citato in tribunale i genitori per averlo messo al mondo in quel modo.
                                                    Diritti propri e diritti altrui.
 Qui gli esempi si moltiplicano. Se morale è tutto ciò che coincide con il desiderio di ciascuno come la mettiamo con l'educazione dei figli? Un genitore che si permette una sculacciata al bambino perché combina un sacco di pasticci potrebbe essere dal pargoletto denunciato per lesione ai diritti del fanciullo. D'altra parte il padre non potrebbe invocare il diritto all'educazione del minore? Altro esempio: io donna single desidero un figlio. Diritto sacrosanto. Poiché non voglio maschi tra i piedi, mi vado a cercare uno di avventura che me lo faccia e poi lo licenzio. Domanda: ma non ha pure il bambino di diritto ad un padre, a delle relazioni affettive normali con un'autorità paterna? E' il bimbo solo fufi, cagnolino di mamma? Altro caso: io signora x mi trovo incinta, per motivi personali non voglio un figlio, desidero abortire. Il mio desiderio è l'unico giudizio morale. Quindi abortisco, è un mio diritto, sono io responsabile della mia pancia. Domanda: non esiste per caso anche il diritto del marito, del compagno, del convivente, ecc.? Non esiste anche il diritto del bambino, cioè dell'altro non voluto e rimasto indifeso? Certo il bambino è nella tua pancia, ma non è più la tua pancia! Esempio sull'economia: io soggetto libero desidero ottenere il massimo profitto dalla mia azienda. Quindi il mio desiderio è un diritto e va rispettato. Di conseguenza lavoro in nero, non fatturo la produzione, addomestico i bilanci. Domanda: non esiste anche il diritto altrui a non venir danneggiato dalle tue evasioni fiscali? Gli esempi si potrebbero moltiplicare all'infinito sino ad includere il desiderio-diritto di una civiltà ad armarsi, di inventare guerre per armarsi, sino a creare un mondo invivibile. Qui purtroppo risiede l'inquietudine morale del nostro tempo: ognuno è principio morale di per se stesso, alla società ci si rivolge solo per proteggere i supposti propri diritti. Per cui tutti pensando e comportandoci così abbiamo una rissa di querelanti, con codazzo di giudici e di avvocati, con dovizia di tribunali. E questa è diventata la convivenza umana: il risultato di aver posto l'io, il soggetto come unica fonte di moralità, principio di dignità.
                                                     Possibili vie d’uscita
Forse non sarebbe male ribadire un principio: il desiderio proprio è sacrosanto, il diritto proprio ancor di più. Però va rispettata anche la verità dell'uomo in tutte le sue dimensioni, che sono orizzontali e di relazione con gli altri, che sono anche trascendenti di relazione con Dio. Ma non voliamo troppo in alto su nel cielo, restiamo sulla terra. Cioè la morale, che un mio comportamento sia giusto o sbagliato, che un mio desiderio sia legittimo o meno dipende anche dagli altri. La moralità di un'azione è frutto anche di una solidarietà costruttiva con la realtà umana che mi sta attorno. In effetti, io non mi appartengo, o non appartengo solo a me stesso, ma anche agli altri. Lo dimostra il fatto che io degli altri ho pure bisogno. Del panettiere, del barbiere, del dottore, dell'agricoltore, del banchiere, ecc. Nella problematica in questione entrano in conto quindi il confronto con la storia, le tradizioni, le motivazioni, i fondamenti esistenziali, il contributo delle varie religioni, il messaggio dei vari fondatori delle stesse. Superare gli steccati e i recinti dell'erba voglio, andare oltre. In questo senso oggi le chiese in quanto comunità di fede e di retto comportamento possono giocare un ruolo importante. Ricordando però che nulla è più controproducente delle imposizioni esteriori e pianificatrici. E per noi cattolici proporre il vangelo con i suoi messaggi come realtà desiderabile, come un bisogno per l'uomo e benefico a tutti i suoi livelli. Sottolineando che ogni gioco, anche quello di briscola, ha le sue regole. Le regole sono essenziali al singolo e alla collettività. Come dice il grande striscione autostradale, passata la frontiera svizzera verso Milano, di benvenuto in Italia: “rispetta le regole, ama la vita". 

Autore:
Albino Michelin
02.04.2004

domenica 13 dicembre 2015

HA SENSO PARLARE ANCORA DI FAMIGLIA?

Sabato 20 marzo 2004 ha avuto luogo allo Stadtheater di Olten il Convegno nazionale Acli sul tema in collaborazione con la Delegazione nazionale missioni cattoliche italiane. Partecipanti del Movimento in numero mediamente discreto. Primo responsabile dell'incontro il dott. Luigi Zanolli, presidente nazionale Svizzera, e fra gli altri la signora Emilia Margelisch-Sena, presidente Acli Svizzera Centro Orientale. Inoltre un pullman con rappresentanza ticinese. Tutti gli argomenti furono di indubbio interesse. Quello della dott.ssa Lepori che ha analizzato il tipo di aiuto di cui la famiglia oggi necessita, quello del dottor Giovanni Longu. Nell'insieme fu tratteggiata anche la tipologia della famiglia di oggi: tradizionale, quella dei separati, divorziati, conviventi, quella del week- end, quella degli omosessuali, ecc. Su quest'ultima contraria si è espressa la signora Margelisch poiché solo nella coppia naturale è garantita una sana relazione padre-madre-figli. Spazio fu poi dato anche alla testimonianza di tre coppie: Bruno e Vanna rispettivamente di anni 82 e 80, con oltre mezzo secolo di vita matrimoniale alle spalle. Ammirazione perché erba rara al nostro tempo, ma fortunatamente più presente di quanto la pubblicità non dica. Quindi una coppia mista, Peter svizzero e Maria Grazia italiana a dimostrare come anche le due civiltà diverse possano costruire un ménage felice. Fu il turno quindi di una coppia divorziata, lui risposato, lei nubile. Gino legato da un precedente matrimonio, padre di due bambini passato a seconde nozze con Tina, da cui un terzo figlio. Tutti e tre questi figli si sentono ugualmente accettati ed amati e soprattutto i primi due hanno ricuperato una famiglia precedentemente (si fa per dire) carente. Entrambi i nuovi coniugi religiosi praticanti, lei appartenente ad un movimento di spiritualità, attivi nelle iniziative di missione. Ma nella nostra società esistono altri due tipi di famiglia verso cui la chiesa potrebbe chinarsi con più attenzione.
                                                       Le famiglie di sventura
Sono quelle dei preti sposati e di coloro che pur esercitando il ministero tengono rapporti affettivi con una donna. Va detto per la cronaca che l'associazione Zoefra (Zoelibat Frauen, donne per un libero celibato dei preti) tramite la signora Friedli (vedi mio articolo su Rinascita 6.6.03) ha pubblicato un rapporto in cui oltre 300 risultano in Svizzera i casi di sacerdoti in questa situazione, in pratica uno su due. In Italia esiste anche una consistente associazione chiamata Vocativo (vocazione) costituita da famiglie in cui il marito-padre è un ex sacerdote. Vivono cristianamente la loro fede e si battono per una legittimazione della loro scelta. Positiva risonanza ha lasciato Papa Wojtyla, in occasione della visita al Parlamento italiano (14.11 .02) quando implorò indulto, che poi divenne indultino, per i detenuti italiani micro o macrocriminali non importa, ma responsabili di azioni illegali. Ma grati saremmo un giorno alle supreme autorità allorché non un indultino in casa altrui, ma pieno riconoscimento in casa nostra si desse alle famiglie di questi ex preti, anche riaffidando loro l'esercizio della professione. Ho presente a tutt'oggi i casi di due sacerdoti sulla trentina o poco oltre che vorrebbero sposarsi pure uscendo coerentemente dall'esercizio del ministero, ma la gerarchia romana non concede loro licenza. Se ne riparla dopo i quarant'anni, con probabilità di domanda respinta.  
                                             Le famiglie di rifondazione coniugale 
Il secondo tipo di famiglia che io chiamerei "di frustrazione" viene qui, dietro correttivo di alcuni, ridefinita di rifondazione. Sarebbero le coppie passate a seconde nozze dopo un precedente primo matrimonio di chiesa. Anche Gino e Tina non si sentono frustrati ma rifondati, ricreati. Orbene per queste coppie non c'è pietà, non c'è misericordia. Niente comunione, padrinato, madrinato ecc. Ostracismo più assoluto. La chiesa con le sue relative liturgie, a mio avviso, non va considerata come un Grand Hotel, con saloni di splendore, gente fastosa e festosa, look Hollywood, ma andrebbe considerata come una "Sanitas", una casa di accoglienza, un ospedale da campo, un pronto soccorso in cui trovano il primo posto gli incidentati di percorso, i malati, cronici, i candidati alla morte. Non ha molto senso continuare a parlare dì pastorale della famiglia facendo della retorica sul casto coniugio, sull'amore trinitario ecc. Queste famiglie rifondate vanno meglio accompagnate e supportate. Qui non mi sono mancate esperienze. Da anni diverse coppie divorziate provenienti da altri territori di missione si rivolgono al sottoscritto per un rito di accoglienza nella chiesa in occasione di una rifondazione familiare. Conosco abbastanza bene la distinzione fra tale gesto e il matrimonio ecclesiastico, che rimane irrepetibile (almeno stante alla legge vigente). Indubbiamente venivo incontro ai richiedenti, premesso un verace colloquio, non si trattasse di palco, di teatro, di convenienza, di pressione da parte dell'occhio sociale. Ciò costatato, ero preso dal forte sentimento di solidarietà, che cioè Dio non si può proibire e negare a nessuno. E che in una società non più massificata e cristiana, non va sprecata nemmeno una fiammella di fede. Tanto meno spenta. Amici sacerdoti mi hanno chiacchierato come trasgressivo, che simula e falsifica i sacramenti, che confonde la buona gente. Ovviamente con la seconda intenzione di deferirmi all'autorità superiore e porre freno all’abuso. Ad evitare tali lungaggini ho preferito inviare tutte queste coppie a sacerdoti svizzeri, che fanno riti di accoglienza in stato interiore meno ansioso del mio. Ma non si può eludere la domanda: conoscono queste situazioni i preti italiani? Si può accettare che nello stesso paese a volte piccolino il sacerdote italiano neghi la comunione ai divorziati, risposati, conviventi e il confinante porta a porta prete svizzero invece sia di tutt'altro vangelo? Collaborazione e integrazione pastorale significa anche capirsi e accordarsi sulle scelte di fondo. Dovremmo prendere maggiormente atto di queste emorragie del nostro tessuto sociale, di famiglie che vanno altrove, che prendono la strada del nomadismo religioso perché in loco all'italiana considerate bastardine. Anche quest'aspetto, come il primo da me citato, potrebbero costituire un pacchetto di richieste, che composte con altre urgenti, potrebbero venire sottoposte al papa Wojtyla nel suo prossimo viaggio a Berna il 6 giugno 2004.  Che tutto non finisca in suono di fanfare, in melodie jodler, in cioccolata multinazionale Nestlé. Grazie a Dio con movimenti svizzeri stiamo lavorando in questo senso. Non cellule di Al Quaeda, ma gruppi di fermento a matrice Vangelo. Anche le Acli è giusto che vengono di ciò informate.
                                                  Reazioni a queste proposte
 Di consenso le ripercussioni provenienti dall'assemblea: un buon correttivo è venuto dalla coppia Gino­ Tina che sottolineò la fortuna di trovarsi in una missione in cui il sacerdote fa crescere queste coppie: la chiesa rischia di perdere sempre più famiglie. Soprattutto a causa delle differenze e contraddizioni palesi e pubbliche offerte dal clero in materia. E la signora Cinzia (residente in Ticino), ribatte il chiodo:” sono praticante, mi confesso per fare la comunione, vado a Lourdes, sono quarantenne, prego il signore di poter incontrare un altro uomo che faccia da padre affettuoso alla mia bambina, sono divorziata. Qualche prete mi dà l'assoluzione, qualche altro me la nega. Talvolta trovo chi mi colpevolizza in modo cosi arrogante che mi sento non tanto frustrata, ma addirittura una 'donna sporca'. Ma io faccio la comunione lo stesso perché penso che anche il Signore è felice della mia e della nostra felicità. Però mi stupisce che per tutti ci sia perdono, mafiosi, camorristi, criminali, pedofili, bancarottieri.  Per noi divorziati no". A questa testimonianza si aggiunge subito dopo quella di alcuni del pullman del Ticino: "Grazie, Signore. Lei ha toccato giusto. In un paese il nostro parroco dopo la messa invita i divorziati a fare la comunione separatamente in sagrestia o nella cappella accanto. Bella anche questa, penso. La messa che diventa da riunione fraterna a luogo di discriminazione fra pecore e capre, i buoni alla destra e i cattivi alla sinistra. Se guardiamo la realtà dal punto di vista nostro di missionari la situazione è drammatica, la gente invece giudica il tutto un teatro ridolini e si fa la sua strada. L'insieme del dibattimento è caduto a pennello, tant'è vero che il dott. Zanolli, pure definitosi pubblicamente uno di quelli (cioè un divorziato) ha proposto un Convegno per il prossimo anno sul tema: "Amore senza famiglia o famiglia senza amore?" con esplicito voto che si abbia un'idea precisa e comune sulla pastorale dei divorziati e risposati. Ottima idea, c’è da augurarsi che si premetta in questo lasso di tempo un'ampia inchiesta sulla situazione del nostro argomento in questione. È così che grazie al Convegno Acli 2004 si potrà garantire un servizio più globale alla famiglia emigrata in situazione di imprevista e imprevedibile evoluzione. 

Autore:
Albino Michelin
26.03.2004

PRETI PER QUALE FUTURO?

Caro don Dante, dal tuo stupendo territorio montano di St. Moritz, dove eserciti la professione di missionario italiano, ho ricevuto una tua interessante lettera datata 16 febbraio 2004 che prendo in considerazione, non perché contenga aspetti personali che vanno ovviamente discussi in separata sede, ma in quanto tocchi una concezione globale della pastorale chiesa del nostro tempo. Il tono della mia risposta non è soltanto nello stile del rispetto reciproco ma nel rapporto di amicizia che ci ha contraddistinto e come tale continua. I problemi da te sollevati risalgono a lunga data, da anni in aperte Assemblee. Perciò la mia considerazione non vuole essere né frettolosa né emotiva. Nello sfondo il tuo dubbio prudenziale, in effetti da tempo mi rampogni: perché pubblichi e fai pubblicare i tuoi articoli su Rinascita un settimanale da "cesso" pieno di donne nude? I tuoi articoli vengono così volgarmente squalificati. Rispondo: al sottoscritto non interessa il canale di comunicazione, né la sua professionalità, né la sua moralità. M'interessa che le opinioni in cui credo e che mi paiono motivate vengano divulgate più ampiamente. Come consiglia Gesù: "ciò che vi ho detto all'orecchio, gridatelo sui tetti". Rimanendo a casa nostra ti chiedo: perché il nostro sommo pontefice e altri prelati non limitano i loro pontificali e le loro manifestazioni imperiali sul proprio canale TV Vaticano 2000 Sat? Per la stessa logica, magari anche invadente, perché sfruttano tutti i canali nazionali e privati, dove dopo un papa che porta la croce si esibiscono alcove, letti matrimoniali, donne in topless e perizoma? Ohibò, mi sa che i complessi sessuali forse incubatisi nel seminario non sono ancora stati liquidati. Punto centrale della lettera è il seguente "mi viene in mente Voltaire, ho sentito che dodici uomini hanno fondato una chiesa, io in vent'anni con i miei scritti la distruggerò.” Non c'è bisogno di scomodare Voltaire per dimostrarti che una certa chiesa si è da tempo distrutta da sola. Ad esempio quella che bruciava le streghe io non la vedo più. Forse tu della chiesa hai ancora un concetto medioevale, sacro romano impero, repubblica cristiana, società perfetta fondata sulla sapienza di questo mondo che Paolo definiva stoltezza presso Dio. Ma questo è un modello storico superato. lo invece (per fortuna mica solo io) considero la chiesa come popolo di Dio in cammino verso il "Regno", un popolo il cui pastore è Gesù Cristo, e l'animatore è lo Spirito Santo. La struttura visibile perciò che questo popolo lungo i secoli per necessità si è dato e si dovrà dare è sempre provvisoria, e quindi soggetta ad esame, mea culpa, autocritica.
                                   Anche i nemici della chiesa sono una grazia di Dio.
 Ma ti dirò di più. Che il Signore Gesù questa chiesa se l'è portata avanti con metodi molto diversi e talvolta contradditori. Ora con i santi riformatori (vedi Francesco, Papa Giovanni, Madre Teresa), ora con gli eretici, cioè tali da noi considerati (Valdesi, Lutero, al quale ci siamo convertiti sulla dottrina della Giustificazione con un documento congiunto nel 1999). Altre volte addirittura con e per mezzo dei nemici della chiesa, anche questi grazia di Dio. Ricordi? Ciro, sanguinario re dei Persi (600- 529 a.C.) emanò un editto in favore degli ebrei, che così dall'esilio poterono ritornare a Gerusalemme a ricostruire la loro "chiesa". La Rivoluzione Francese (1790), sebbene abbia ghigliottinato tante teste alla borghesia e al clero contribuì al ripescaggio evangelico della triade "uguaglianza, libertà, fraternità”. Ricordi Loisy (1847-1940) le sue analisi delle strutture bibliche hanno rilanciato tutto il movimento sulla riscoperta della Bibbia nel nostro tempo e senza del quale saremmo rimasti ancora al pomo di Adamo. Però fu estromesso dalla chiesa. Ma il Signore si è servito anche di lui. Grazie a lui se oggi la Bibbia non è più per la chiesa cattolica un libro sottochiave, un libro proibito. E Garibaldi? Certo non lo voglio chiamare San Garibaldi, ma il fatto di aver tolto e liberato la Chiesa dallo Stato Pontificio ci ha reso ottimo servizio spirituale.
E nelle strambate di Bossi che con l'ultima boutade (27.2.04) contro l’8 per mille in favore di una Curia povera che vada a piedi scalzi al di là del linguaggio, che non ci sia anche un'auretta dello Spirito del Signore per una chiesa meno coinvolta negli affari mondani? Tu citi il tuo professore di storia d'un tempo, io ti posso citare il mio che diceva: "La chiesa è andata avanti non per merito del papato, ma nonostante il papato". E che? Ti disturba? A me invece rassicura perché lo spazio di Dio è infinito e siamo in buone mani. Non farci fare brutta figura alla chiesa. La chiesa non si identifica con il Regno di Dio, il Papa non si identifica con Gesù Cristo ma chiesa, papato, gerarchia, clero ecc. sono strumenti (a volte degni a volte meno) nelle mani di Dio per rendere presente il suo Regno nel mondo. Ancora nella tua mi raccomandi: tu non vuoi distruggere la chiesa, ma aggiornarla ai tempi moderni. La buona intenzione a volte può solo generare confusione, lascia stare, c'è già tanta confusione in giro. Caro Dante, ognuno definisce la realtà secondo il suo schema di precomprensione mentale, Tu la chiami confusione, io la chiamo pluralismo (che non intendo relativismo). E mi appello a S. Paolo che diceva "confrontatevi con tutto, ritenete ciò che è buono". Talvolta però mi sa che molti preti abbiamo paura di confrontarsi e soprattutto di permettere alla gente di confrontarsi. Non si arrischia di negare loro il diritto all'informazione e alla verità? Adducendo l'assioma di non dire mai tutta la verità, di non dirla mai a tutti. Riteniamo la gente sottosviluppata e sottoalimentata.
                           C’è talvolta una logica contradditoria nella chiesa.
1) La nostra gente non è preparata.
2) La gente non preparata si può conservare in una campana di vetro e solo con la precettistica, la paura dell'inferno e la promessa delle grazie celesti.
3) Questa gente la sì può mantenere fedele alla chiesa solo con santini, medagliette, devozioni, e sacro turismo.
A me sembra invece che la verità paga sempre se non altro in termini di credibilità verso la chiesa; credibilità che sta velocemente scemando. E la gente ha un po' di buon senso, un po' di spirito sano, un po' di Spirito santo. Lo ha detto Gesù: “vi manderò il mio spirito che lentamente vi insegnerà ciò che ancora non avete compreso". Alberga anche in ciascuno di noi il seme di Dio, di cui parla la parabola evangelica, capace di diventare grande albero e portare frutti di bontà. Ed ancora, nella tua lettera mi mandi in calcio d'angolo: "La fede non si riaccende con le tue proposte, ma pregando di più". Ottimo consiglio se la preghiera diventa, come dice P. Zanotelli (a proposito leggiti con comodo il suo libro "Sfida alla globalizzazione") una forma per cambiare se stessi e cambiare la realtà che ci circonda. Ma se la preghiera diventa una fuga nell'intimismo per lasciare le cose come stanno è un ripiego che affido a te, a me non si addice.
                                    Quando la vocazione manca di professionalità
Infine il commiato. Mi ammonisci: medita sulla vanità delle cose, visto che ormai siamo sul viale del tramonto. Vorresti dirmi "il vecchietto dove lo metto? Togli il disturbo". Dipende dalla passione con cui uno esercita la sua professione. Scusa se definisco quella del prete una professione anziché una vocazione. Semplicemente perché una vocazione ce l'abbiamo tutti, cioè una chiamata, una inclinazione ad essere muratori, impiegati, autisti, sarte, cuoche ecc. Difficile invece è esercitare la propria vocazione con professionalità. Personalmente ogni volta che leggo un libro, che seguo un dibattito, che ascolto un concerto, e scrivo un articolo mi sento rinascere ed esperimentare un'alba nuova, tante aurore nuove. C'è chi arriva al tramonto con una rinnovata esperienza di tante albe, c'è chi arriva al tramonto senza mai aver visto un'alba. Questa è la mia sensazione, forse perché sono capitato nella tribuna dei distinti.
Caro don Dante, mi sembra in conclusione che nel tuo mondo di chiesa tu ti porti dietro il complesso del mammismo e il complesso del cuculo. Cioè la chiesa è la nostra mamma, mamma dolente che si deve amare, rispettare, docilmente seguire. Per me invece, (scusa la ripetizione sino alla noia) è il popolo di Dio che va amato perché ci sono dentro anch'io, però nella trasparenza, nella lealtà, nella corresponsabilità. Sempre con l'annuncio del Vangelo, che talvolta però prevede la denuncia, la proposta alternativa, il sofferente costruttivo dissenso. Il complesso del cuculo poi. Quello cioè di considerare la chiesa come un abitacolo protettivo, in cui starci al sicuro, aI tepore delle pantofole: Amministrare il sacro di rito, prendere lo stipendio, preparare la pensione in villa, aspettare la vita eterna. A te va bene cosi? E sia. A me non piace un'esistenza parassitaria. Amico (don) Dante: tu conosci bene tutti i nostri dibattiti di categoria su: Futuro senza preti, preti senza futuro ecc. Il senso di questo mio articolo, della cui provocazione ti ringrazio, è "Preti, per quale futuro? "

Autore:
Albino Michelin
12.03.2004

Risposta della Rivista Rinascita, della cui redazione il sottoscritto è membro.
Caro don Dante, la stupidità è nemica del bene, più pericolosa della malvagità. Contro il male si può protestare, ci si può opporre con la forza, ma lascia un senso di malessere nell’uomo. Contro la stupidità invece siamo disarmati. Qui non c’è nulla da fare, né con proteste, né con la forza, le ragioni non contano nulla. Ai fatti che contraddicono il proprio pregiudizio basta non credere. E se i fatti sono ineliminabili, basta semplicemente metterli da parte come episodi isolati privi di significato. In questo lo stupido a differenza del malvagio è completamente in pace con se stesso, anzi diventa perfino pericoloso nella misura in cui appena provocato passa all’attacco. Perciò va usata maggior prudenza verso lo stupido che verso il malvagio. Non tenteremo mai di convincere lo stupido con argomenti motivati: è assurdo e pericoloso.

Redazione di Rinascita

GUERRE DIMENTICATE

Negli ultimi tre anni in particolare dopo il G8 di Genova, (20.7.2001), ha preso sempre maggior consistenza il movimento così detto pacifista che in determinate circostanze scende nelle piazze a contestare a volte la globalizzazione, altre volte le invasioni dei territori altrui, altre volte ancora il ricorso alla forza e alla guerra. Popolo di "Seattle", no global, Social-Forum non vanno confusi con il movimento pacifista anche se spesso aggregano o si mescolano al raggiungimento di obbiettivi comuni. Rilevante è stata la sua visibilità trasversale sabato 21 febbraio 2003 in occasione della marcia europea contro la guerra in Iraq, cui vi hanno aderito cristiani e laici, credenti e atei, politici di parte e liberi cittadini. Comunque gli incidenti avvenuti il 20 luglio del 2001 a Genova hanno indotto gli organizzatori a chiarire le motivazioni interne onde evitare strumentalizzazioni di minoranze male intenzionate e infiltrazioni di teppismo gratuito. Sappiamo che l'asse portante di questo movimento è di matrice cristiana con un forte apporto di missionari laici e del volontariato terzomondista. Sul fenomeno l'episcopato si è diviso ricorrendo a distinguo abbastanza complessi. I favorevoli all'intervento e alla permanenza Usa-italiana in Iraq parlano di un cattolicesimo che deve essere paciere e pacificatore (quindi anche armato) e non semplicemente pacioso, pacifista, che, secondo tale corrente, sarebbe solo ingenuo, passivo, rinunciatario. Specialmente nel caso Iraq il nostro movimento è stato accusato di essere antiamericano per scelta viscerale e di manifestare solo in favore di quel popolo dimenticandosi di protestare per tutte le altre guerre nel mondo dove l'America non c'entra. Oggi sappiamo che vi è in atto una chiarifica interna, soprattutto sotto la spinta della Rete Lilliput, animata dal P. Zanotelli, con lo scopo di qualificarsi nelle motivazioni, nelle modalità di intervento, nella scelta dei compagni di viaggio. Accusare comunque il movimento pacifista di essere solo antiamericano è gratuito e disinformante. Una volta terminata la guerra armata la Tv nazionale è ritornata ai soliti delitti di Novi Ligure, di Cogne, al solito Grande Fratello, alla solita Champions League. Le altre guerre esistenti nel mondo sono state dai media poste nel cassetto. Non si deve ignorare che da anni il mondo missionario, cattolico e protestante, si occupa di tante guerre dimenticate che affliggono il nostro pianeta. Il noto quadrunvirato: Usa, Inghilterra, Spagna, Italia cosi lesto a sistemare l'Iraq, a sedare le lotte tribali interne, a ricostruirlo (che sia vero?), ignora completamente o ha interesse ad ignorare una fra le tante, la guerra in Congo. Il silenzio dei nostri potentati di fronte a questo popolo è causato soprattutto da motivi di carattere economico e politico. Non basta affermare, ci dobbiamo spiegare. Il conflitto nella Repubblica democratica del Congo (fino al 1960 Colonia francese (Belga) è esplosa nel '97 con la salita al potere di certo Kabila, altro tipo alla Saddam Hussein. Fino ad oggi devastazioni in tutto il paese, con vittime a decine di migliaia. Motivi del conflitto: le risorse del territorio, soprattutto il coltan, minerale da cui si estrae il tantalio, un materiale pesante, resistente al calore, inattaccabile dagli acidi, ottimo conduttore. I condensatori al tantalio noi occidentali ce li godiamo nei computer, nei telefonini, nel play station. Senza il tantalio mezzo mondo europeo e americano si bloccherebbe. Ventinove sono le organizzazioni criminali interessate al controllo di questa e delle altre risorse, sempre in rapporto permanente con i vari trafficanti d'armi allo scopo di alimentare una guerra che faciliti i saccheggi. Armi leggere, facili da esportare, proprio di distruzione di massa, usate in 46 dei 49 conflitti che dal 1990 in poi hanno causato quattro milioni di morti, di cui 80% donne e bambini. Il 97 è stato l'anno del boom esportazioni italiane nel Congo. Le armi leggere sono sempre state il fiore all'occhiello del made in ltaly. Oltre al Congo i nostri clienti più affezionati sono Usa, Inghilterra, Francia, Russia. ln stretta fratellanza le guerre (che si vogliono) dimenticate sono un grande affare per tutti, non esclusi per noi italiani che con troppa retorica patriottarda ci conclamiamo missionari di pace ed esportatori di democrazia nel mondo. È anche questo che il movimento pacifista, in particolare rete Lilliput, nella prossima marcia della pace del 20 marzo vuole ricordarci. Perché la tentazione di contrabbandare la volontà di pace con la volontà di potenza è molto sottile. E i pacifisti in questo caso non sono antiamericani 'tout court, anche se gli Usa lo zampino ce lo vorrebbero mettere un po’ dovunque. No, vogliono testimoniare antiviolenza a tutto campo, contro ogni sfruttamento è ogni ingiustizia. Anche quella che sta alla base dei nostri computer, internet e telefonini: il tantalio del Congo.

Autore:
Albino Michelin
05.03.2004

"IL CRAC DEI CATTOLICI" PARMALAT, CIRIO E CRAGNOTTI

Il modello di vita oggi dominante è senz’altro il denaro: averne, averne tanto, investire per averne sempre di più. Al denaro si sacrifica tutto: dalla frode fiscale al falso in bilancio, dalla fuga di capitali nei paradisi fiscali alla corruzione delle tangenti, alle bustarelle, dai condoni edilizi al pizzo di ogni sorta. Falsificazioni di generi alimentari, false invalidità, usure, ipocrisie truffe di ogni genere, mancanza di senso civico. Soprattutto per noi italiani non sembra un fenomeno circoscritto, ma una condizione umana. Su internet e sui giornali si studia il metodo di massimizzare il profitto preferendo, specie da parte delle nuove generazioni, una professione di maggior guadagno a quella dell'autorealizzazione. Per denaro si uccidono pure i genitori, per denaro, diamanti, petrolio, materie prime si scatenano guerre e si fanno morire migliaia di innocenti: Iraq potrebbe insegnare. Gli antichi dicevano "Pecunia non olet", il denaro non puzza, importante averlo nelle mie tasche. Certo, in tutto il mondo si fa così, ma come detto in Italia pare proprio un sistema di vita. E il crac di Parmalat e Cirio, alla cui direzione stanno due con orgoglio sedicenti cattolici, non sono casuali, sono la punta dell'iceberg, o se si vuole soffioni boraciferi come quelli di Larderello (Pisa), gettiti di vapore acqueo che irrompono qua e là dalle fenditure del suolo, perché in profondità ci sta un mare d'acido e di gas che ne causano l'esplosione. Però quello che meraviglia di più è che da noi nessuno si meraviglia. Magari ci si accoppa per ragioni di facciata come chi conduce la battaglia per inserire nella Costituzione Europea la frasetta: "Radici cristiane". Altro che radici, direbbe Gesù agli italiani, guardate i frutti. Eh sì perché in Italia da una bimillenaria tradizione cattolica ci si aspettava e ci si aspetta molto di più. Non tanto impeccabilità, tutti siamo peccatori e possiamo cadere nella tentazione dell'imbroglio, quanto il modo di affrontare la faccenda disonesta, di sottovalutarla, di conviverci, di giustificarla. Anche il discorso di fine anno del Presidente Ciampi sì è limitato a raccomandare agli adulti la fiducia nell'imprenditoria (anche a quella che ci vuota le tasche?) e ai giovani di alzarsi presto al mattino per fare footing. Di comune concerto dall'altra parte la chiesa istituzionale, nelle parole del Cardinal Ruini, ha elogiato un Governo che privilegia le scuole cattoliche, che regala il ping pong cattolico agli oratori parrocchiali, che manda la calzetta della befana con qualche euro a chi mette al mondo un secondo figlio. Però una presa di posizione chiara sull'"uso della roba", sulla giustizia sociale l'aspetto fondamentale del messaggio evangelico, hai voglia! D'accordo non è che manchino documenti teorici in materia; dalla "Rerum Novarum", di Leone XIII di oltre un secolo fa alla „Centesimus Annus" di Papa Wojtyla: ma tutto materiale teorico dottrinale che resta nelle biblioteche e nei convegni celebrativi, non passa, non si fa passare nella vita. Possibile un tentativo di spiegazione?
                                 Si investe troppo, quasi tutto nella morale sessuale.
Secondo molti studiosi cattolici è che la chiesa (italiana soprattutto) da sempre impegna troppe energie e decreti leggi sulla moralità sessuale, mentre lascia troppo scoperto tutto il settore della moralità civile e dell'etica sociale. Come una squadra di calcio riversata totalmente su di un lato del campo, si lascia infilare dall'avversario nel settore sguarnito. Sul sesso intransigenza totale, proprio come si addice ad una legislazione coniata da celibi, da maschi, da chierici sopra la testa degli sposati, delle donne, dei laici. Un continuo frugare tra embrioni, uteri in affitto, cellule staminali, contraccezioni, preservativi, riproduzione assistita, fecondazione eterologa, convivenza, concubinato, coppie di fatto, gay e lesbiche da privare dei diritti civili, castità da imporre alle tribù africane per combattere l'Aids, sesso nel matrimonio non per amore ma per procreare figli, divorziati separati allontanati dalla comunione, preti sposati da bandire dai sacri recinti. Tutto ciò che ha attinenza con la sfera sessuale è posto sotto TAC ed esaminato con laser. Si fatica ad uscire dalla camera da letto per entrare nella piazza degli affari. Anche lo spot: "un popolo senza figli è un popolo senza futuro": con 7 miliardi di uomini che intasa il pianeta, con la possibilità quindi di trasmigrare da un continente all'altro come al tempo degli indo-europei, questo slogan più che preoccupazione sociale sembra avere attinenza col sessuale: un popolo senza figli è un popolo che fa sesso per il piacere e non per il dovere. Ovvio che nessuno di noi vuole difendere l'immoralità in questo settore, ma c'è troppa insistenza a scapito della giustizia sociale Ricordo pure i testi di morale degli anni 50 in cui si registravano una trentina di pagine sulla morale sessuale, prima, dopo, durante, fuori dal matrimonio e tre paginette smilze sull'etica civile. Oggi la quantità delle pagine si è un po' controbilanciata ma la mentalità e rimasta quasi la stessa.
                      Settimo non rubare: prima la giustizia, poi le sacre sponsorizzazioni
Il 27.12.03 è stato incarcerato Calisto Tanzi della Parmalat, l'11.2.04 Sergio Cragnotti per il Ciriokrach. Gran lavoro per i due cappellani dell'istituto penale e per gli altri due cappellani personali. Qualcuno ironizzò sulla fine dei due chierichetti. A Cragnotti fu chiesto: "Lei crede in Dio?". Gli occhi liquorosi come S. Teresa del Bambin Gesù rispose: "Si’, e la domenica vado a messa con tutta la mia famiglia ... E' il mio conforto". Però ad un altro intervistatore il Sergino nazionale rispose sicuro, altezzoso, freddo: "nelle mie scelte economiche il cuore conta meno dei 20%! Capito, signora Nuccia Carlentini di Ragusa? I suoi 83 milioni di bond Cirio e i vostri patrimoni, cari migliaia di creditori Parmalat, se li porta il vento.
Certo Tanzi è un po' meno arrogante, lui fa la comunione, ogni mattina in carcere ed ascolta la santa messa. Eucaristia invece severamente vietata ai divorziati risposati. Quale la reazione della chiesa ufficiale? Delusione per i due bravi figlioli praticanti, un po' di sconcerto, un piccolo buffetto per la birichinata, ed un rammarico per la probabile interruzione delle sacre sponsorizzazioni e dei regalini agli orfanelli. Si resta perplessi. Gesù disse: "beati coloro che hanno fame e sete di giustizia". Per uscire da questi equivoci ed iniziare una radicale bonifica della pastorale italiana, che fare?
                                               Primo: ricordare per non ripetere.
Trarre lezione dal crac del Banco Ambrosiano e dello Jor Vaticano del 1982. A Londra il 18 giugno di quell'anno fu trovato impiccato Roberto Calvi, presidente del primo istituto. Il buco fu di mille miliardi e ottocento milioni dì vecchie lire. Il 22.5.84 lo Jor (Banca dello Spirito Santo) negò ogni responsabilità, tuttavia venne incontro con un contributo benevolo e volontario di 415 miliardi. Troppo se esso era innocente, incredibilmente scontato se colpevole. Dopo quel caso noi cattolici, chiesa alta o bassa non ha importanza, ordini religiosi e singoli laici, dobbiamo apprendere e insegnare trasparenza, correttezza, autocontrollo nell'uso del denaro pubblico, nonché delle offerte alle chiese e ai santuari. In secondo luogo: un esame di coscienza devono farselo anche i due movimenti del tradizionalismo cattolico, cui i due nostri incarcerati appartenevano. Primo: Opus Dei" (Opera di Dio) fondata da S. José Escrivà nel 1928 con lo scopo di santificarsi ognuno nel suo piccolo ambiente senza suoni di tromba. Secondo,” Comunione e Liberazione" fondata nel 1969 dal sacerdote milanese L. Giussani con lo scopo di vivere il Cristianesimo non come un corpo dottrinale, ma come esperienza personale di Gesù. Indubbiamente nobili ideali deterioratisi per strada. Il primo a difender i propri segreti finanziari per tema di scandalizzare i deboli, addossandosi la diceria di massoneria cattolica, il secondo fondando la "Compagnia delle Opere" comprendente 29 mila imprese, il cui controllo e servizio al bene sociale sta sfuggendogli di mano. Entrambi preoccupati dei primi posti chiave in quanto membri o simpatizzanti. Vedi la sede cardinalizia di Venezia (Scola), nella politica (Buttiglione), nella finanza (Fazio, tomista doc più di S. Tommaso). Indubbiamente nulla da eccepire. Ma i rischi di venire coinvolti nella spirale di questi Krach e soprattutto nel sistema non vanno sottovalutati. A loro quindi auguriamo di esprimere appieno la loro vocazione cristiana. Poiché è anche da loro che si può iniziare quella evangelizzazione alla Giustizia e alla "Morale della roba" in cui eminenti cattolici come Tanzi, Cragnotti e i loro imperi finanziari sono purtroppo naufragati.

Autore:
Albino Michelin
27.02.2004

GIORNATA DELLA MEMORIA FRA VITTIMISMI E DISCRIMINAZIONI

Il 27 gennaio 1945 l'esercito sovietico sfondava i cancelli del Campo di Auschwitz mettendo fine ad un dei più amari capitoli della nostra storia: lo sterminio degli ebrei ad opera della dittatura nazista. A distanza di alcuni decenni la ferita butta ancora fiotti di sangue. Per solidarietà con il popolo ebraico nel 2000 si stabilì dl dedicare la giornata del 27 gennaio di ogni anno alla memoria di questa pagina nera secondo un motto già da tempo diventato impegno di vita: "ricordare per non dimenticare, ricordare per non ripetere". Fra le innumerevoli iniziative per la circostanza degna di rilievo è stata quella di Brescia. Ricostruito in Piazza della Loggia un campo dì concentramento, filo spinato, forni crematori, binario morto con il saluto all'ingresso: "Arbeit macht frei" (il lavoro rende liberi). Tutto questo però coincide con la denuncia di un clima di rinato antisemitismo. Inquietante verificare la ripresa di una certa dichiarata ostilità. Non si capisce bene perché verso la realtà ebraica, ritornano i fantasmi, se si tratti di superficialità o di una vera mentalità che esplode dopo un periodo di ibernazione e che rifiuta apertamente i soliti luoghi comuni. Ad esempio un italiano su tre pare consideri gonfiato il numero di 6 milioni di ebrei trucidati. Molti si spingono oltre e dichiarano che gli ebrei farebbero molto meglio a chiudere la vicenda, indubbiamente dolorosa, e a non giocare continuamente sul tasto del vittimismo. Altri infine non cessano di imbrattare i muri con scritte polemiche dal tenore: "Gli ebrei? Ieri vittime, oggi carnefici". Chiaro, va tenuta alta la guardia contro questo rigurgito di antisemitismo. Però se da una parte è necessario sottolineare le cause storiche di questo fenomeno nei 20 secoli che ci siamo lasciati alle spalle, dall'altra non dovremmo semplicisticamente innocentare il popolo ebraico sottovalutando alcuni suoi atteggiamenti provocatori, non dovremmo enfatizzare questo suo dolore a scapito di quello di tanti altri popoli, vittime di immani distruzioni, e che con la loro non hanno nessun rapporto. Indubbiamente fra le cause storiche quella religiosa è fra le più pesanti, le responsabilità del cristianesimo sono rilevanti. Che la chiesa abbia definito "deicida" (uccisore di Dio) il popolo ebraico, male interpretando il grido della folla al processo di Gesù "il suo sangue su di noi e sui nostri figli", che essa li abbia condannati nel Medioevo in quanto usurai, cioè prestatori di denaro ad alto interesse contravvenendo apertamente alle proibizioni del Vecchio Testamento su prestiti del genere, che la cattolicissima Isabella di Spagna, oggi desiderata dagli antisemiti beata sugli altari, abbia espulso violentemente nel 1492 gli ebrei dai suoi territori, che la Santa Sede abbia nel 1933 stipulato un concordato con il capo antisemita del nazismo tedesco A. Hitler, che fino a 40 anni or sono si cantasse nelle liturgie cattoliche del Venerdì Santo preghiere per i perfidi giudei, abolite per grazia di Dio da Papa Giovanni, tutto questo risponde disgraziatamente ad una realtà indiscutibile. Però ammessi e riconosciuti questi nostri torti non possiamo concedere continuamente agli ebrei ulteriore compassione e giustificazioni. Anzi noi e popolo ebraico insieme, e qui facciamo un passo avanti, dobbiamo evitare di rendere ingiustizia e negare memoria ad innumerevoli persone e popoli che hanno subito gli stessi stermini. Non dimentichiamo che oltre ai 6 milioni di ebrei finiti nei campi della morte, subirono la stessa sorte anche 5 milioni di detenuti che non esibivano ricucite solo le stelle di Davide sulle foro divise grigie a strisce nere, ma tanti altri distintivi o marchi d'infamia e diversi per ogni tipologia di detenuto. Facciamo memoria: triangolo rosso per gli oppositori politici, compresi i comunisti. Triangolo rosso con il vertice all'insù dentro ad un cerchio bianco per i prigionieri di guerra. Triangolo marrone per i detenuti rom, triangolo rosa per gli omosessuali, triangolo blu per gli emigrati apolidi, in genere spagnoli. Triangolo viola per i Testimoni di Geova, i primi a muovere obbiezione di coscienza contro il nazismo. Triangolo nero per gli antisociali, malati di mente, disabili, vagabondi, mendicanti, venditori ambulanti, prostitute, lesbiche. Infine fascia al braccio con la scritta "Idiota" per i ritardati mentali. Dunque uno sterminio di 5 milioni di persone di cui non si parla o molto poco. Nel conteggio presunto di undici milioni di sterminati, di questi ultimi non si fa memoria. Olocausto dimenticato perché forse non concerne vittime eccellenti o perché non hanno un peso politico capace di coltivare, diffondere, pretendere fa loro memoria? E fra tante memorie appunto come mai si ignora l'olocausto degli Armeni, e quello dei desparecidòs in Argentina? La nostra memoria non potrebbe diventare ingiustizia, forma sottile di neorazzismo riducendola solo alla rivalutazione del popolo ebraico?  In quanto poi all'attuale antisemitismo di ritorno, pure gli ebrei dovrebbero fare un breve esame di coscienza. Nel caso è evidente l'allusione all'interminabile conflitto palestinese. Siamo due popoli diversi? Allora anche Israele (struttura politica di fede ebraica) dovrebbe adoperarsi affinché ogni popolo abbia la sua terra. Cioè due popoli, due terre. Se non si arriva a questa soluzione, anzi si vanno a costruire nuovi muri di Bertino, allora i palestinesi rivendicheranno la giustezza del loro terrorismo chiamandolo Resistenza e Israele continuerà con i suoi raid definendoli legittima difesa. Di qui si abbia magari il coraggio di chiedersi se l'antisemitismo attuale non abbia altre cause, diverse dalla solita gelosia del vicinato. Perché ciò che potrebbe irritare non è tanto la potenza di Israele, quanto la sua prepotenza. Mettiamolo sotto condizionale e con un punto interrogativo. Certo l'essersi ritenuto per secoli prima di Gesù popolo di elezione, prediletto da Dio, interpretando questo appellativo come istigazione alla battaglia, alla conquista, alla vittoria sugli altri popoli in nome del proprio Dio, anziché vocazione a portare messaggi di pace a tutte le nazioni (come sostiene il loro e nostro profeta saia), tale autointerpretazione può aver creato e tutt'ora creare in questo popolo relazioni e rapporti discutibili con il resto dell'umanità di fede diversa. Mentre dunque facciamo memoria dello sterminio contro gli ebrei nei campi di concentramento nazisti, non dobbiamo rinunciare al nostro spirito critico che ci aiuta a vedere la complessità del fenomeno a rimuoverne le cause, ad evitare l'insorgere di un nuovo antisemitismo. 

Autore:
Albino Michelin
06.02.2004 

mercoledì 9 dicembre 2015

NON SPECULIAMO SUI MORTI DI NASSIRYAH

Mercoledì 12 novembre 2003 diciannove Italiani fra carabinieri e militari sono stati uccisi in Iraq vittime di un attentato di kamikaze. Autori delle strage sono ovviamente i nemici dell’America e dell'occidente. Ladro è chi ruba (USA) e ladro anche chi tiene il sacco. A tenerlo Il sacco sono in parecchi, fra cui in prima fila l'Italia di Berlusconi (e non precisamente degli Italiani). In sostanza loro nemico è chi ha scatenato questa pretestuosa guerra, non tanto per raccogliere pomodori e barbabietole, ma per interessi di petrolio e di controllo strategico del Medioriente. Loro nemico è pure chi sotto pretesto umanitario (l'Italia) fiancheggia le forze di occupazione americane, anzi essa stessa considerata dagli iracheni ingiusta occupante. Il cordoglio degli Italiani è stato unanime, spontaneo, sincero. Un solo caso d’inciviltà quello di Ral 2 il venerdì sera 14 novembre, qualche ora dopo l'arrivo delle salme, in cui venivano trasmesse le sfottanti volgarità di "Isola dei Famosi" con la Simona Ventura a schiamazzare e cucuzzare con la contessa De Blank a dare della stronza a Carmen Russo. Ma per i funerali di Stato di 4 giorni dopo l'Italia si è ritrovata In silenzio nella sua Identità nazionale e nella sua fierezza di civiltà antica. Si sa però che da noi queste cose durano poco, (il giro di una settimana), allorché passata l’overdose televisiva, chiusa la retorica del libro Cuore, spento lo slancio patriottardo del "siamo tutti ·carabinieri, andiamo tutti a liberare l'Iraq" singhiozzato da giovanotti, donne, pensionati, finito il panegirico nazionale per i 19 martiri sulla terra e 19 beati in cielo, si deve dare spazio alle riflessioni. l giudizi in merito sono come di un menù alla carta. Vale a dire ciascuno prende ciò che più gli aggrada e magari conferma la sua posizione precedente. Allora l pacifisti sostengono che essi avevano ragione a contestare questa guerra preventiva e che questo terrorismo è soprattutto risposta, difesa, resistenza. GIi interventisti invece dichiarano che bisogna continuare ancora così, con maggiore dispiego di armi e di intelligence perché questa è aggressione selvaggia. E la chiesa Italiana nella sua componente di gerarchia e vescovi? Personalmente la maggioranza ha deluso, con qualche eccezione minoritaria che lascia spazio ad un respiro evangelico. Tutti hanno ascoltato Il sermone funebre di Ruini(18.11.03), Cardinale, presidente del Vescovi: "Signore, benedici e proteggi il nostro popolo e i nostri soldati. Non fuggiremo davanti al terrorismo, lo combatteremo. Continueremo nella nostra missione di pace In Iraq …''. A parte Il fatto che "continuare" non dipende dalla chiesa ma dal governo Italiano, abbiamo qui un netto ritorno alle origini, alle posizioni filoamericane, da sempre più consone alle componenti della nostra Gerarchia. Da esse il porporato a malapena si era distanziato prima del conflitto con qualche affermazione sfuggitagli fra i denti. La giustificazione da lui esibita: "Sulla guerra non abbiamo cambiato idea, sul dopoguerra sì" (Ma per caso, siamo nel dopoguerra In Iraq?).
Con questa componente maggioritaria l'episcopato italiano ha sepolto il pacifismo proclamandosi "chiesa pacificatrice ". Di chi, di che cosa, contro chi e contro che cosa è difficile spiegare. Il Papa da parte sua ha parlato di ''vile attentato", ma forse ci si attendeva più chiarezza anche nello stigmatizzare la causa di questo attentato. In effetti ci troviamo ora "finita" la guerra di fronte ad un terrorismo globale. Abbiamo paura di dire che troppa gente nel mondo odia l'America e non solo per gelosia? Cioè non solo perché l'America è potente, ma soprattutto perché è prepotente? E come limitare questa prepotenza che poi è la causa principale di tanto terrorismo globale? All'Interno però dell'episcopato italiano vi è pure una minoranza di vescovi sostenuti da diversi missionari e credenti laici, fra cui in prima fila il Vescovo di Caserta, Mons. Nogaro. Egli dice: "il fenomeno del terrorismo non si combatte con le armi. l nostri soldati devono tornare dal fronte perché è cosi che si comincia a celebrare la pace. Non facciamo Il culto del martiri e degli eroi della Patria strumentalizzando la morte di questi nostri giovani per legittimare guerre ingiuste". Repentine le reazioni del politici. Cossiga ha chiesto immediati provvedimenti contro l'indegno, Il Ministro dell'Interno Pisanu ha Inoltrato al Vaticano richiesta di rimozione dalla diocesi di Caserta. Nulla di nuovo sotto Il sole. Anche Gesù Cristo è stato condannato dal potere sacerdotale (Anna e Caifa) unitamente a quello politico (Pilato). Ma gente di fede come Mons. Nogaro ed estimatori non si lasceranno certo intimidire. È questa la chiesa, anche se minoranza, su pace e guerra, che ci può interessare. La validità di un messaggio morale infatti non si valuta secondo il numero dei sostenitori come nelle democrazie, ma in base alla qualità morale del contenuti. Ed è questa la chiesa, cui molti desiderano appartenere.

Autore:
Albino Michelin
12.12.2003

FESTA DEI POPOLI E DELLE RELIGIONI: ANCHE FRA CATTOLICI ED EBREI

Ogni anno nel mese di novembre in Svizzera si riserva una domenica per celebrare la festa dei popoli con dei contenuti a carattere aggregativo, culturale, religioso. Nel senso che non tutto comincia e finisce con le spaghettate multietniche. La domenica 17 novembre 2002 il tema del programma religioso ha avuto come oggetto creare nuovi rapporti fra cristiani ed ebrei. È ovvio che venne affrontata anche tutta la storia e dalle sue origini dell’antisemitismo, cioè l’odio contro i semiti, in pratica gli ebrei. E si partì dal Vangelo di Matteo. Si sa che i 4 evangelisti hanno anche delle accentuazioni diverse e diverse ottiche di scegliere dalla vita di Gesù ciò che ritenevano necessario anche per dare delle risposte alle esigenze e richieste della propria comunità. Matteo scrisse il vangelo in riferimento alla sua comunità composta in maggioranza di ebrei convertiti al cristianesimo. Quindi preoccupato della loro conversione talvolta si lasciava sfuggire anche qualche apprezzamento personale contro quegli ebrei che non si convertivano. E lo condiva anche con qualche interpretazione o condanna di troppo che il Gesù per esempio del Vangelo di Luca o degli altri tre Marco, Luca, Giovanni non riportano. Certo la Bibbia è ispirata da Dio nei suoi contenuti essenziali ma non nel linguaggio umano che viene espresso secondo il carattere dell’autore o della scuola di sua formazione. Matteo che scrive 40-50 anni dopo la morte di Gesù ha un linguaggio decisamente pesante nei confronti dei giudei, detti anche ebrei. Ad esempio implacabile contro l’apostolo Giuda Iscariota, il traditore. L’unico fra i 12 a provenire dalla regione Giudea, sud della Palestina, mentre tutti gli altri 11 provenivano dalla regione nord, cioè dalla Galilea. Ad esempio la frase detta da Gesù: ”meglio per lui che non fosse mai nato” (26,21) è stata proferita proprio dal Maestro o messagli in bocca da Matteo? Certo che questo non è un linguaggio da Gesù per il quale ogni vita è dono di Dio, indipendentemente dalla gestione che una persona ne fa. Ed anche il cattivo va cercato come pecorella smarrita. Come se uno di noi si sentisse apostrofare: meglio che tua madre avesse abortito, …figlio di una buona donna...meglio fossi rimasto dov’eri. E questo è il primi equivoco antiebraico e antigiudaico da cui l’antisemitismo ha iniziato. Dopo l’ultima cena Giuda si presenta ai capi del sinedrio e pentito dichiara: ”ho tradito il sangue di un innocente” (27,4). E Matteo lo manda ad impiccarsi. Delle due è vera l’una: se Giuda si è pentito anche lui è stato perdonato come Pietro e come il ladrone in croce, quindi redento e messo sulla retta via. Se invece ha scelto di farla finita significa che pentito non si era. Però Matteo a Giuda gliela dà in testa. Animosità poi che si allarga a maglia d’olio. Qualche ora più tardi infatti il popolo (sempre della stirpe di Giuda, ebreo) vuole Gesù alla gogna crocefisso gridando: ”il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” (27,25). Esegeti ed interpreti storici ritengono che il popolo ha pesato assai poco sulle decisioni di Pilato. Questi è stato piegato dalla paura del sinedrio e dei capi locali. E poi un popolo così beneficato da Gesù un po’ difficile pensarlo ingrato di punto in bianco. Ma in tal modo la colpa di Giuda si amplia al popolo giudeo tutto. Questa è la logica a cui indulge un po’ troppo Matteo, rovinosa nel prosieguo dei secoli, per legittimare l’antisemitismo e la caccia agli ebrei, deicidi, ”uccisori di Dio”. I due mondi, i due popoli cristiano-ebreo si fecero la festa a vicenda con i roghi, sangue, guerre sante e infine con la shoah, sterminio da parte di Hitler.
                                             Quando i santi dividono i popoli.
Oltre che una rilettura del Vangelo andrebbe fatta anche una rilettura della storia della Chiesa. Si vorrebbe mettere sugli altari certa Isabella di Spagna quella che nel 1492 aiutò Cristoforo Colombo a scoprire l’America ma che pure iniziò una deplorevole persecuzione contro gli ebrei, cacciandoli dalla Francia e dai suoi territori e spedendone al rogo circa 10 mila, meritandosi da Papa Alessandro VI il titolo di cattolica. Fortuna che si sollevò nella cristianità un forte dissenso e la causa di beatificazione si arenò. Non si possono ancora smorzare le discussioni in merito alla beatificazione di Pio IX (+1878) avvenuta il 3 settembre 2000 per aver rapito un bambino ebreo, Edgardo Mortara, battezzandolo di nascosto ad insaputa dei genitori. Sarà anche buona fede, ma l’impressione che si dà è quella di ladro di polli. Fino a qui il rapporto Ebrei-cattolici e l’origine delle loro divisioni, che oggi vanno attenuandosi specie dopo l’intervento di Giovanni XXIII che negli anni 1960 abolì dal messale la preghiera per i “perfidi” giudei. Però la tentazione di mettere sugli altari leader di fazioni politiche contrastanti è sempre in agguato, con il rischio di dividere ancora i popoli, al di là del rapporto ebrei-cattolici. Come il caso della santificazione del vescovo spagnolo Escriva Balaguer(1902-75) avvenuta il 6 ottobre 2002, preceduto da 48 miracoli o guarigioni inspiegabili, fondatore dell’Opus Dei, potenza anche economica, sostenitore dei dittatori Franco di Spagna e Pinochet del Cile. Allorché Franco represse nel sangue con migliaia di morti la democrazia ebbe a scrivere: ”alla fine questo spargimento di sangue era necessario”. E quando inaugurò la dittatura nel 1936 il nostro si peritò a scrivere: ”Caudillo virilizza la tua volontà perché Dio faccia di te un vero caudillo (capo). Porre sugli altari chi si schiera politicamente contro un partito a favore di un altro significa anche dividere i popoli. La loro festa annuale non deve sensibilizzarci solo ad un nuovo rapporto fra le religioni al di fuori della nostra (nel caso spiegato Ebrei-cattolici), ma anche all’interno con una maggiore oculatezza nella scelta di nuovi santi.

Autore:
Albino Michelin
29.02.2002

I BAMBINI CONFRONTATI CON LA MORTE

Grande impressione ha fatto in tutta Italia la sciagura di San Giuliano di Puglia (CB) in cui 26 bambini hanno perso la vita a causa del terremoto di giovedì 31 ottobre 2002. Ma angoscia ancora più profonda ci ha prodotto il racconto di alcuni scolari sopravvissuti che per lunghe ore erano rimasti abbracciali ai cadaveri insanguinati dei loro compagni morti sotto le maceria dell'edificio scolastico. Bambini dunque non solo confrontati con la morte ma risorti svincolandosi fra i morti e dai morti. Non ci sembri peregrina l'occasione di ampliare l'argomento oltre i confini di questa disgrazia. Il tipo di educazione che noi adottiamo tutt'oggi è quello di proteggere i bambini dalla morte, cioè di sviare il discorso in loro presenza, di trafugarli da casa verso altre destinazioni allorché in famiglia succede un lutto. Insomma la parola "morte" deve restare tabù. Eppure i nostri pargoletti, supposti al sicuro di ogni infiltrazione portasfortuna, già prima dell'età di 12 anni hanno visto alla TV fra guerre ed episodi consimili circa 10 mila morti, e morti violente. Cioè non tanto casi di normale ricambio biologico dovuto all’età senile, leggi vecchiaia, o ad incidenti sul lavoro o di percorso, ma morti gratuite, da spettacolo. Anzi i bambini stessi quotidianamente ai video giochi hanno imparato ad uccidere, per eliminazione e decimazione centinaia di persone e sussultano di gioia allorché le vedono al suolo esamini.  Allora vale la pena o meno di affrontare questo discorso dal punto di vista pedagogico? A che serve inviare nei territori sismici del Molise legioni di psicologi per ricostruire i bambini dal dramma subito? A che servono queste emergenze tampone se in famiglia, dai genitori non vengono garantite risposte ed un'educazione alla morte in forma quotidiana e permanente? Eh sì, perché la morte fa parte della vita, come la scuola, il lavoro, la carriera, l'età che avanza. Fuori dubbio che non va sottovalutata la situazione che si crea in una famiglia nel caso di una disgrazia. Ognuno deve superare dei passaggi obbligati. Dapprima il periodo dello shock che in genere viene assorbito con il commiato ufficiale o funerale. Ma ci segue un più periodo più lungo, quello del rigetto, della depressione, dell'inappetenza dell'insignificanza nei confronti della vita e del lavoro. Infine più lentamente si arriva alla fase di progettazione, come si dice, si ricomincia a vivere. Ma all'interno di questa situazione familiare ci vivono anche i bambini. Come comportarsi?
                                          Le domande dei bambini sulla morte
Si sa che le angosce dell'infanzia più frequenti, anche se non verbalmente espresse, sono quelle di morte. Cioè il bambino teme di essere ucciso o abbandonato, e di restare così senza l'amore delle persone care. Anzitutto sotto i 5 anni un bambino non accetta o non considera la morte come un fatto definitivo, cioè inconcepibile per lui che il defunto non torni più indietro. Dai 5 ai 9 anni circa tende a personificare la morte: l'uomo cattivo, l'uomo nero gli ha rubato la persona cara. Ma già comincia ad assimilare la realtà del non ritorno definitivo. Verso i dieci anni ogni bambino capisce di essere anche lui coinvolto: la morte gli appartiene, gli vive dentro. Le domande che tutti i bambini sotto questa età si pongono sono: perché si muore? Muoiono tutti? Morirai anche tu papi, anche tu mami? Ciò assodato bisogna rispondere alle più svariate domande che i bambini pongono sulla morte e anche sul dopo morte. Qui è meglio citare dei casi avvenuti e chissà quante volte capiteranno. Carmen, di 7 anni ha perso il fratellino Alfonso di 5 anni caduto male nel parco giochi. La mamma cerca di consolarlo "IL Signore lo ha preso con sé l'ha trapiantato come un fiore nel suo giardino, l'ha fatto diventare un angelo del cielo". " Al che Carmen pestando i piedi:” brutto Gesù, cattivo Gesù, se mi voleva bene non doveva portarmi via Alfonsino". Risposta molto corrente fra i cattolici praticanti ma dannosa alla psiche del bambino. Il effetti il signore non ruba e non causa del male a nessuno. Risposta che potrebbe diventare germe di ateismo. Mary di 5 anni chiede dov'è andato il nonno.  La mamma risponde che il nonno si è addormentato. Per alcuni anni Mary alla sera non voleva addormentarsi per paura di non svegliarsi più cioè di fare la fine del nonno. Flavio 4 anni chiede alla mamma dove è andato il papà deceduto per un incidente d'auto. La mamma gli risponde che il papà è scomparso. Per parecchio tempo Flavio non lasciava più uscire la mamma da sola, ma le si attaccava alle gonne per paura che anche lei scomparisse e non tornasse più a casa. Giannetta di 8 anni perde la mamma in seguito ad un tumore, in casa nota espressioni di circostanza, discorsi sviati, silenzi di circostanza. Lei entra dentro "nessuno me ne vuole parlare, ma è di questo che anch'io voglio parlare". L'isolamento e il sentimento di non appartenenza alla comunità nuoce di più all'anima del bambino che non il confronto diretto con il lutto e il dolore. Lo dimostra anche il caso di Silvia 10 anni che dopo un certo tempo viene a conoscenza della morte della nonna. Si chiude in camera e piange per giorni. Ai genitori che la implorano grida:" piango non perché è morta la nonna ma perché nessuno me l'ha detto.” I bambini sanno distinguere bene quando i genitori non danno una risposta sulla morte perché essi stessi non la conoscono e quando invece non la vogliono dare raggirandola con pietose bugie. In quest'ultimo caso aumenta à dismisura il loro senso di angoscia. Il bambino teme l'isolamento e l'esclusione dalla comunità mentre invece sa affrontare un funerale, una cerimonia alla tomba allorché si sente accolto nella comunità dei grandi. Mandarlo dai nonni, condurlo fuori paese, raccontargli storielle lo estromette, lo espropria dal suo io e dal suo mondo di appartenenza che è la famiglia. Condurre il bambino al funerale dei nonni o dei genitori è più terapeutico che nasconderlo lontano dall'evento con cui o prima o dopo dovrà confrontarsi. L'ambiente naturale del bambino è la sicurezza dell'amore. Mike 6 anni chiede alla mamma: "se tu morirai, dove andrò io?". La mamma gli risponde: "Qual è la persona a cui vuoi più bene, dopo la mamma?". E Mike:"zia Eleonora". Al che la mamma conclude: "mamma non morirà, mamma non ti lascerà solo, ma se proprio dovesse succedere farà testamento che ti prenderà la zia Eleonora".
                                      Le domande dei bambini sul dopo la morte
In una fredda notte d'inverno con un tempo che tirava a pioggia e neve Vania 7 anni va a svegliare il papà per sapere se il nonno in cimitero sentiva freddo. Il papà le indica l'attaccapanni dove era appeso un vestitino e le chiese se quel pezzo di stoffa sentisse freddo. Vania rispose che è lei a sentire il caldo ed il freddo. Il paio di pantaloncini non doveva sentire nulla. Così, continuò il papà, è del nonno. Il suo corpo è al cimitero come un vestito lasciato laggiù, ma il cuore del nonno e lassù, il nonno si trova okay. Laura di anni 8 chiese alla nonna Mimma perché fosse triste per la morte del nonno dal momento che un giorno le aveva detto che in cielo sono tutti felici. La nonna le rispose che non piangeva perché il nonno si trovava male ma perché lei senza di lui si sentiva sola. Claudio 6 anni si vide morire il suo cagnolino Full e ansioso chiese alla zia se la bestiola fosse andata in cielo, ma quella gli rispose che in cielo non c'è posto per i cani. Allora il bambino piangente si rivolse alla mamma che lo riassicurò: "Full ti aspetta sulla porta del paradiso. Quando tu ci arriverai te lo porterai dentro".
Thomas di anni 7 durante un'escursione scolastica inciampò in un piccolo leprotto e lo uccise. Si mise a piangere dal maestro perché voleva farci una cerimonia di funerale. Allora l'insegnante invitò tutti i bambini in cerchio attorno al leprotto, fece loro scavare una piccola buca, recitarono una preghiera e lo seppellirono. Thomas ridiventò felice perché il suo amico era stato salutato, onorato, andato in cielo anche lui. I due casi successivi stanno a dimostrare che per il bambino dopo la morte è urgente portarsi dietro tutti i giocattoli e gli animali che rappresentavano la sua gioia sulla terra. Che sia pura fantasia non si potrebbe neanche accertare, dato che Gesù disse al Padre che non avrebbe perduto nulla di ciò che lui gli aveva affidato, creazione minerale, vegetale, animale probabilmente inclusa. Lungo sarebbe il discorso sui paragoni tolti dalla natura per spiegare ad un bimbo il dopo morte. L'esperienza del cambiamento che egli stesso osserva potrebbe aiutarlo. Le foglie cadono, nutrono la terra, la terra fa crescere la pianta, questa in primavera fa sbocciare i fiori, in estate matura i frutti, in autunno ricomincia a perdere le foglie. Così a ciclo "tutto si trasforma, niente si crea, niente si distrugge" potrebbe costituire un esempio che come dal bruco nasce la farfalla, cosi dalla morte dell'uomo potrebbe rinascere un essere nuovo. Personalmente penso che la più grossa difficoltà per le risposte da dare al bambino sulla morte dipenda dalla fede dei genitori. Se questi non ce l'hanno, per la circostanza dovrebbero chiederla in prestito, per il bambino è essenziale credere ad mondo ultraterreno, splendente, con un Dio grande immenso e buono come mamma e papà e anche di più. Quanto sopra illustrato non è una predica ma una scuola di vita per tutti i bambini che ogni giorno devono incontrare e confrontarsi con la realtà della morte.

Autore:
Albino Michelin
15.11.2002