domenica 28 giugno 2015

UTILI LE PROVOCAZIONI DEL CODICE DA VINCI?

In questa Rivista, datata il 26.5.06 il sign. R. Jorio riporta un intervento in materia del segretario dell'ex Santo Ufficio Mons. A. Amato, il quale deplora l’estrema povertà culturale di buona parte dei fedeli cristiani, una conoscenza incerta e confusa delle proprie tradizioni religiose. Al che l'articolista risponde: «Certo, essere ignoranti non è una colpa, lo è per chi ha permesso che tali si fosse» e lo si continui ad essere. E qui va colta l’occasione per chiedersi che tipo di frenesia sia quella di alcuni cattolici che si agitano e tracimano contro il romanzo “Codice da Vinci”, che definiscono venditore di panzane l’autore Dan Brown e calunnioso il contenuto del suo thriller. In merito ebbi già l 'occasione di un articolo su «Rinascita» del 27.10.05 per cui evito ripetizioni e batto altre piste. Anzitutto va premesso che l'autore si dichiara cristiano, quindi non ateo né infedele. Dimostra però un po' (o forse troppo) il dente avvelenato nei confronti della chiesa perché avrebbe organizzato una serie di complotti per nascondere la verità alla gente, ad esempio l'esistenza della dea madre, il ruolo e l’importanza del femminile nella vita di Gesù (Maria Maddalena). Browne non digerisce il fatto che la chiesa abbia occultato il ruolo della donna nelle religioni in genere e nel Cristianesimo in specie, dalla sua fondazione all’epoca attuale. E’ una delle tante idee portanti del romanzo e per non confondere i lettori vale la pena soffermarsi solo su questa. Un’idea resa fascinosa e accattivante attraverso un racconto letterario ben congegnato. Di qui il successo della vendita: circa 40-44 milioni di copie messe in circolazione. A leggere le reazioni di alcuni gruppi cattolici sembra trovarsi di fronte ad un sentimento di gelosia per un successo super top fuori di casa propria. Se pensiamo che “Famiglia cristiana” gira sul milione, si costata un forte divario. Altra probabile spiegazione potrebbe essere addebitata al bisogno di una risposta che non sia sempre evasiva ed archiviata con un sorriso di superiorità e con una pacca sulle spalle.  E' uscito nel gennaio 2006 un altro libro intitolato “Contro il Codice da Vinci" di Ullate Fabo, ovvero contro le menzogne del Codice da Vinci.  Però tanta e tale è la supponenza di avere dalla parte sua e nostra la ricetta sempiterna della verità che finisce con il dare dello scandaloso e dello scandalistico all'autore, archiviando così la pratica con la solita faciloneria e saccente predicozzo. Così si perde l’occasione per   confrontarsi e interrogarsi con la verità, e per capire se talvolta o dove la chiesa abbia agito o taciuto in base   all’interesse, alla paura, alla sete di prestigio. Siamo in humanis e può capitare, tanto sappiamo bene che il divino non è limitato alla chiesa o dalla chiesa. Secondo quell'affermazione che tutti dovremmo ritenere fondamentale, cioè che la fede è più ampia del cristianesimo, che il cristianesimo è più ampio del cattolicesimo e che il cattolicesimo è più ampio delle sue componenti, come gerarchie e magistero. Questa confusione mentale però che un po' tutti abbiamo in testa non ci permette una serenità di ricerca.
                                               Ci disturberebbe un Gesù sposato?
Ritorniamo all’espetto circoscritto dell’articolo: il rapporto della chiesa con il femminile in tutta la sua ampiezza. Brown sostiene che in ogni religione all’inizio vi era la credenza nella dea madre. Il che sarebbe un po’ in contrasto con la bibbia cattolica la quale all’inizio vedrebbe l’uomo creato da un dio padre. Orbene l’antropologia attuale, lo studio sul vissuto dell’uomo sosterrebbe che già prima di 10 mila anni fa con la scoperta dell’agricoltura compare il culto di una grande madre. Poi con il diffondersi della guerra la grande madre divenne il grande padre. Ad esempio nel Veneto la prima divinità dei paleo-antichi veneti fu la dea Reitia. Saltiamo a piè pari fino a Gesù, il fondatore della chiesa cattolica. Il suo atteggiamento è altamente contestatore nei confronti della mentalità maschilista allora imperante. Il fatto di discorrere a tu per tu con la samaritana al pozzo, di aver aggregato delle discepole, di tenere amicizia con delle ragazze che lo ospitavano (Marta e Maria sorelle di Lazzaro), di aver preso le difese di un’adultera sfidando i magnaccia a scagliare la prima pietra chi di loro fosse senza peccato, di essere apparso dopo la morte per primo ad una donna (la Maddalena) la dice lunga in merito. Il potere religioso e politico del tempo non gli hanno perdonato questa sfida, cioè di restituire alle donne parità di diritti. Certo anche Gesù in una società del genere ha fatto quello che poteva, pensato in grande e agito in piccolo, ma le linee operative erano chiare e visibili a tutti. Che poi Gesù si fosse sposato con la Maddalena o con qualche altra donna dal Vangelo risulta una forzatura e piuttosto lo si dovrebbe escludere. Certo Gesù non ha mai dato i suoi connotati anagrafici e civili, celibe o sposato, ma lo si desume indirettamente. Allorché gli apostoli gli obbiettarono (Matt.9,12) che se il matrimonio era talmente complicato, tanto valeva non sposarsi egli rispose che non tutti riescono a capire questo messaggio, ma solo quelli che hanno la passione del regno dei cieli. Cioè non tanto quella di andare in paradiso, ma la passione di realizzarsi in una famiglia piu’ vasta di quella carnale biologica, cioè in una società piu’ allargata, bisognosa di solidarietà, aiuto, cammino comune. Gesù avendo optato per questa seconda strada probabilmente non si sposò. Ma anche se si fosse sposato non farebbe scandalo, stante la serietà dell’Incarnazione. Cioè che Gesù si sia fatto uomo con fame, sete, sonno, ansie non sarebbe stato ignominioso se si fosse incarnato pure nell’amore di coppia. Purtroppo dopo la morte si è verificata una certa distanza fra Gesù e la Chiesa, probabilmente anche per esigenze pratiche. Con la conseguenza che i primi successori censurarono alquanto la visibilità femminile e forse anche gli evangelisti hanno un po’ troppo spinto sul silenziatore. La società apparteneva e doveva appartenere ai maschi. Solo i vangeli apocrifi (nascosti, tolti dalla circolazione) danno risalto alla forza organizzativa e a quella evangelizzatrice delle donne. Nonostante le loro esagerazioni, fuorvianze qualche aspetto positivo l’hanno pure avuto. I vangeli apocrifi sono un indispensabile complemento alla vita di Gesù.
                                    Apprezzamento della chiesa nei confronti della donna?
Con le dovute distinzioni. Esatto se ci riferiamo al fatto che essa ha dichiarato santi piu’ donne che uomini. Ha esaltato la figura di Maria arricchendola di diverse festività, sino a Papa Wojtyla che l’ha glorificata nel suo libro” Mulieris dignitatem”, Dignità della donna. Si’ tutto ciò però resta piu’ sul piano del romanticismo sacrale che non sul piano della concessione e del riconoscimento dei diritti innati del femminile, in effetti si si è santificato piu’ il silenzio che non la parola della donna, il suo nascondimento che non la sua valenza sociale, la sua sottomissione che non la capacità di rovesciare i potenti dai troni(Luca,1,52). A titolo di esempio si insiste molto su” Maria donna del silenzio”. Il silenzio però era la scelta obbligata di tutte le ragazze del tempo. Tant’è vero che al mattino i maschi pregavano dicendo:” Ti ringrazio o Dio per essere nato uomo e non donna.” Le femmine invece ripetevano” serva del Signore sia fatta di me secondo la tua parola.” Lasciamo le diatribe attorno al numero delle streghe bruciate nel rogo. Qui vi sono due fronti opposti ed inconciliabili. “Il libro nero del Cristianesimo” di J.Fo, uscito nel 2000, parla addirittura di 5 milioni di donne cosi’ finite dall’inquisizione, mentre il citato “Contro il Codice da Vinci” di Ullate Fabo tirandosi le bende sugli occhi sostiene che le malcapitate non superarono il numero di 59 (sic). Bella differenza, metteteli d’accordo i vari Fo con i vari Socci. Il discorso pero’ non sta tanto nella quantità ma nelle modalità. Le donne socialmente influenti, tipo levatrici ostetriche, venivano considerate eretiche perché trasgredivano il comando di Dio dopo il peccato di Eva. ” Partorirai nel dolore.” Che vengano eliminate una o mille persone per questo motivo, rimane sempre azione immorale. Certo con tutte le attenuanti della mentalità medioevale. Giovanna d’Arco il 30.6.1431 fu pure bruciata per stregoneria. E qui però tanto di cappello alla chiesa del tempo che ammise l’errore e la santificò il 18.4.1909, dopo 478 anni. In genere il discorso sulle donne per due millenni è stato il seguente:” fate le brave, state in silenzio, siate ossequienti in questa vita e noi vi premieremo portandovi sugli altari dopo la morte.” In questo quadro si potrebbero interpretare tutte le forzature del romanzo nei rapporti Gesù e la Maddalena. La chiesa secondo Brown avrebbe negato alla donna la sua partecipazione al divino, specie nell’esercizio dei diritti sacri, nonché civili. Di qui anche la sua rabbia. Va riconosciuto il merito del pugliese Salvatore Morelli (1824-80) con il suo libro, il primo apparso in Italia a difesa dei diritti della donna, il primo femminista battutosi per il diritto di famiglia, parità fra uomo e donna, abolizione della discriminazione tra figli legittimi e naturali. Non ebbe fortuna perché la chiesa del tempo lo bacchettò, ma ebbe ragione lui, profeta dissidente. Forse noi cattolici in tanto pluralismo e relativismo moderno dovremmo fare piu’ attenzione alle voci dello Spirito del Signore, che certamente si esprime anche nel campo degli “avversari” al di là della nostra barricata, dei non battezzati, dei laici, degli atei, degli arrabbiati. Non serve molto lanciarsi a tutto corpo contro il “Codice da Vinci”. Meglio assumerne le provocazioni e farne oggetto di studio, di approfondimento. Forse potremo ricuperare con ciò una maggiore statura religiosa e culturale.

Autore:
Albino Michelin
21.06.2006

LA SINISTRA AL POTERE: CLERICARISMO DI RITORNO?

Le elezioni del 9-10 aprile 2006 hanno visto un capovolgimento di fronte e in Italia le sinistre o per diritto per storto si sono acchiappate: la presidenza della Camera con    Fausto Bertinotti, del Senato con Franco Marini, della Repubblica Giorgio Napolitano.   Meglio limitare la riflessione sul piano religioso Stato-Chiesa. Però da premettere che la paventata minaccia comunista si presenta meno pericolosa di quanto dalle destre preannunciato. La delusione principale è che nessuno del nuovo Governo mette a bollire in pentola i bambini come i cinesi. Per di più c'è meno stalinismo di quanto si supponesse. In effetti, il 2 giugno festa   della Repubblica alcuni ex comunisti si sono presentati alla sfilata della Forze armate, altri come Pecoraro Scanio sono andati ad inaugurare una   baita ecologica su per gli Appennini, altri hanno organizzato la contromanifestazione dei pacifisti con Marco Rizzo a 100 metri di distanza dalla parata ufficiale. C'è chi l'ha vista male, dissenso foriero di governo traballante e di breve durata. Ad altri invece sembrò un dissenso positivo: non c’è nessuna dittatura bolscevica, nessuno è stato confinato in Siberia, come avveniva al tempo di Lenin e successori: importante essere uniti nelle questioni di fondo e sentirsi liberi in quelle marginali. Anche in una coalizione di governo ognuno ha la libertà di essere se stesso. E qui pure Bertinotti non se l’è cavata male. Come uomo delle istituzioni si è seduto al palco d’onore, come cuore pacifista si è infilato la spilla dell’arcobaleno sul taschino della giacca. Chi pensava che la sinistra al potere togliesse la libertà di pensiero e di manifestarlo ci è rimasto un po' deluso. Ma deluso soprattutto chi era convinto che con la sinistra al potere si ritornasse dall'ateismo teorico a quello pratico, e all'anticlericalismo di piazza. Anzi questa potrebbe essere un'ottima occasione per aiutare la Chiesa ad essere tale e a ricuperare il suo ruolo, che non è quello   di gestire le tecnica della politica o di una certa politica come è avvenuto in parte in un recente passato. Chi ha seguito la stampa cattolica subito dopo le elezioni e prima dell’insediamento dei tre rappresentanti ufficiali su citati, avrà notato sia l’opposizione dell’Osservatore Romano, organo del Vaticano, sia dell’Avvenire d’Italia, organo dei vescovi contro la candidatura di D’Alema a presidente della Repubblica. Un diessino ex comunista politico di punta e spigoloso. Come se la Costituzione obbligasse ad esibire il certificato di battesimo per un incarico del genere. Persino Cossiga, cattolico tradizionista dallo zoccolo duro, perse un po' di pazienza l'8 maggio scrivendo sul Corriere della Sera:” mi meraviglia e mi preoccupa chi con tanta violenza si intromette impropriamente nelle vicende della nostra Repubblica”. Il quotidiano 'Avvenire' si chiama 'Passato', con qualche nostalgia per alcuni vescovi allorché in un periodo doloroso della nostra storia recavano il saluto fascista ai gagliardetti di Mussolini. Bene, al posto di D’Alema parlamentari e senatori hanno eletto Giorgio Napolitano, (ex) comunista, rampollo dell'Unione Sovietica, un'altra vera caduta del muro di Berlino. Molto gentilmente è andato a salutare il Papa, certo senza corona del rosario, ma anche senza libretto di Mao. Educato e rispettoso.  Persino la «Civiltà Cattolica» rivista ufficiale dei gesuiti e quindi della segreteria di Stato Vaticano, si complimentò con il nuovo Presidente definendolo super partes e augurandogli di favorire l'unità del Paese e difendere i sani principi della Costituzione.
                                        La pretesa di dare lezioni di catechismo al Papa       
Si sa che in Italia il chiodo fisso di certo cattolicesimo sono le coppie di fatto, i Pacs, i gay, ecc. Altro genere di malcostume, trufferie, frodi, tangentopoli, calciopoli sono bazzecole.  Citiamo calciopoli, perché è la punta dell'iceberg di una disonestà di vita. Chi non sa giocare, non sa nemmeno vivere con gli altri. Ma torniamo al chiodo fisso. Nella trasmissione «Porta a Porta» del 16 maggio 2006 il neo presidente della Camera affermò: «Sui Pacs la reazione del Pontefice mi sembra sbagliata, perché restauratrice, non vede che le unioni di fatto sono un arricchimento di quei valori che il Papa teme vengano distrutti dalla   modernizzazione». Inserita nel contesto l'affermazione è stata pronunciata con rispetto, in quanto si muoveva da un argomento più ampio. Si aggiunga a questo anche un intervento del ministro Rosy Bindi a riguardo della procreazione assistita ed eventuale revisione di alcuni passi di quella legge. Stampa cattolica e destre in coro all'unisono: «Ecco il ritorno degli atei, vogliono persino insegnare il catechismo al Papa». La Bindi che come Prodi ebbe a  suo tempo definirsi «cattolica adulta» puntualizzò: «Vaticano e Conferenza episcopale italiana hanno tutto il diritto di esprimere le loro valutazioni, così come la politica ha il diritto di fare le proprie scelte. Fedeli al papa, e prima di tutto al Vangelo e a Gesù Cristo per la fede, ma fedeli allo Stato per lo statuto». La verità è che nel precedente Governo di centrodestra si blandiva la Chiesa per difendere i propri interessi, qui invece si ha l’onestà di non confondere i piani, e di dare a ciascuna istanza il suo ambito, non   manipolando continuamente il religioso col politico e il sacro col profano. Lo si è visto anche nella su citata Festa della Repubblica. Le maggiori autorità della chiesa, in grande pompa, il Cardinal Ruini e il Vescovo militare, intronizzati con i tre presidenti comunisti, in bella vista. Bianco e rosso per me pari sono importante è la visibilità. Forse sarebbe stato più opportuno che noi fossimo rimasti lontano da discutibili onori mondani e dal, tintinnio delle armi da guerra. La sinistra per cultura e tradizione è più laica della destra, cioè nel rispetto degli ambiti, con libertà di dissenso. Mentre invece la destra sarebbe più laicista, cioè intollerante per una sola verità, quella della conservazione, da imporre a tutti anche con le leggi dello Stato. Se in Italia prima delle elezioni recenti la chiesa si era schierata sia pure velatamente nel linguaggio per la vittoria delle destre è perché’ serpeggia sempre anche in lei la tentazione di apparentarsi con i poteri forti. E viceversa. Dà da pensare quanto successo a Milazzo domenica 7 maggio alla processione della festa patronale di S. Francesco di Paola. Totò Caffaro, candidato    presidente della Regione, e il   parroco Damiano La Rosa arrestarono la processione, entrambi salirono sul poggiolo di un palazzo lungo il corso, e il nostro onorevole «vasa madonne», terrorizzato dal fantasma di Rita Borsellino, ebbe modo e santa benedizione per presentare il suo Vangelo politico. Certo, atteggiamenti amorosi che le sinistre non accetteranno mai, lo speriamo! Il sunto di questo articolo sembra chiaro: l'invito ad una sana laicità. I credenti hanno tutto da guadagnare se il loro messaggio sarà trasparente, privo d'ogni inquinamento di parte, mirato a formare le coscienze. Nella vita poi ognuno   si puo’ adoperare per migliorare D’assetto sociale e di conseguenza anche quello politico. 

Autore:
Albino Michelin
08.06.2006

mercoledì 24 giugno 2015

LE SANTE MESSE CHE DIO IGNORA

Un episodio emblematico tipico del cattolicesimo all’italiana è avvenuto il 4 novembre 2008. Nel comprensorio di Villafranca padovana, nel Veneto bianco, sagrestia d'Italia. Ma questa volta si tratta addirittura di una sfida alla religione di Stato, quindi un fatto di maturità, estremamente raro da quelle parti dove vive l'ossequio "Servitor suo, signor si". Fatto misfatto: le maestre, o una buona parte, non portarono quel giovedì gli scolari alla messa dell'anniversario. Si, perché un'ordinanza governativa, forse non proprio ma giù di lì esige che un'ora di scuola venga sostituita dalla Santa Messa, perché il 4 novembre cade il 90° anniversario della Vittoria. O con parafrasi più morbida: la fine della prima guerra mondiale 1914-18. Quindi tutti a ringraziare il "Gott mit uns" (Dio con noi), salmo di conio teutonico, ma d’impiego bipartisan, entrato cioè anche nel vocabolario italico-latino. Da qualche anno questa data si era riusciti a farla passare sotto l’uscio ed in effetti con tacito consenso filava verso la totale dimenticanza ed archiviazione. Ma ecco il rigurgito del manipolo dei nostalgici nell’'attuale Governo di Centro Destra, ad opera in verità della sua componente Destra Nazionale. Il 4 novembre, secondo costoro e secondo il Ministro della Difesa Ignazio La Russa, deve ritornare come il 25 aprile e il 2 giugno nella bacheca delle feste nazionali. Magari con una bella sfilata come il 2 giugno di tutte le forze armate, con un cardinale prelato a fianco del presidente della Repubblica a testimoniare che in Italia Chiesa-Politica sono un binomio inscindibile, che il significato delle guerre passate nella storia non sono esorcizzate e che i carri armati vanno ancora benedetti con copiosa acqua santa lustrale. L’espressione sarà anche un po' retorica, però il 4 novembre si è pure disturbato il su nominato Ministro della Difesa con l'invio di un messaggio di solidarietà al sindaco del comprensorio, ed i solerti difensori della Patria hanno pure chiesto al Ministro della Pubblica Istruzione M. Stella Gelmini di allontanare dall'insegnamento i maestri e professori che con il loro sciopero nei confronti della Santa Messa hanno inferto uno sfregio indegno all'Italia cattolica, alla Patria tutta. Disgraziatamente poi per gli scandalizzati si trattò di un chiasso gratuito in quanto la legge Dpr 316/1974 recita: "Atti di culto in orario scolastico e fuori dell'edificio devono essere deliberati dal Consiglio dell'Istituto con rappresentanti dei genitori". Consiglio che però in antecedenza aveva deciso di non adempiere a tale obbligo. Che poi gli strepiti dei catto-fanatici qualche risultato l'abbiano ottenuto pare anche dal momento che la Giunta Regionale del Veneto intende fare un'epurazione nelle scuole del comprensorio che avrebbero boicottato il rito religioso, il santo sacrificio della Croce. Ma è una vittoria di Pirro, perché così tutto finirà in una bolla di sapone.
                                 La messa non va celebrata per commemorare una vittoria 
ma per opporsi a tutte le guerre. Motivi di fondo? Anzitutto la Messa non è un atto decorativo da esibire in tutto le salse mondane e da svilire in cerimonie dalle finalità discutibili. La Messa è l'esperienza individuale e comunitaria della Cena del Signore, dell'ultima, nella quale egli comandò ai suoi di quel tempo e di questo tempo di mangiare e di condividere il suo pane con tutti, come simbolo di rispetto, di fratellanza, di reciproca unità. E noi ci vorremmo di fronte a questo sublime messaggio, lasciatoci in eredità alla vigilia della morte in croce, affibbiare una messa d'obbligo il 4 novembre per ringraziare il Signore di averci regalato nel 1918 una bella vittoria contro i tedeschi, dopo la carneficina e gli affogamenti avvenuti nel Piave e sul Monte Grappa, dove ancor oggi i turisti si incontrano con le ossa e gli scheletri dei vinti? E al di fuori di questi territori di guerra quanti sono altrove e in famiglia rimasti mutilati, mogli vedove, bambini orfani? Una domanda a noi italiani, sempre abituati al circo del dolore spettacolo: è accettabile che un morto italiano   valga più di cento morti negri od iracheni? Solo noi siamo i buoni e i bravi che lasciamo mogli, figli, fidanzate, una casa, una patria?  Gli altri, i "nemici" non lasciano pure loro sul campo di battaglia una famiglia, una casa, dei bambini, una patria?  E quale prelato si degna di celebrare loro una messa o indirizzare una preghiera? Ed avremmo il coraggio di celebrare una messa di ringraziamento per la vittoria contro i figli della Germania, che dopo tutto ci sono doppiamente fratelli perché pure cristiani come noi, testimoni dello stesso vangelo?  Il nostro attuale mondo dei credenti, quello specialmente dei costruttori di pace, non dimentica che la prima guerra mondiale resta un'inutile strage, come ebbe a dire Papa Benedetto XV nel 1917 anche se con altre finalità e sottintesi. La nostra attuale recidiva retorica bolsa si permette di definire eroi e di commemorare come tali quei poveracci mandati come carne da macello a morire per un pezzo di terra che si poteva ottenere anche senza l'entrata in guerra dell'Italia. 650 mila i nostri morti connazionali senza contare gli invalidi. Il metodo migliore per onorare i morti della prima guerra mondiale e di tutte le guerre, Iraq compreso, non è celebrare messe d'obbligo ma impegnarsi a qualsiasi livello a non preparare altre guerre, a non spendere miliardi per ulteriori armamenti, al contrario investire invece sulla scuola, la sanità, la giustizia. Mentre il 4 novembre 2008 ci informa che prossimamente saranno aumentati i militari italiani di 1.555 unità e gli insegnanti-maestri diminuiranno di 90 mila. Vada per i fannulloni, ma mica tutti saranno tali.
                                   Un Stato laico non dovrebbe imporre una messa scolastica
Meglio far saltare le contraddizioni della messa d'obbligo al 4 novembre. Ad esempio vendere armi e nello stesso raccogliere fondi per le vittime di quelle armi ha un senso? Ma qui salta tutto l’alfabeto etico del Vangelo. Come la Fin meccanica, principale leader armeria italiana, 60 mila dipendenti, fatturato annuo di oltre 10 miliardi di euro che ha venduto recentemente aerei militari al Marocco (ai tanto vilipesi marocchini vù compra) per 130 milioni di euro e poi si autoassolve girando 300 mila euro per le cure d'aids in Africa. Ritorniamo sulla domanda: una messa del 4 novembre verrebbe celebrata per mettere in discussione queste ipocrisie tipiche del nostro mondo cattolico italiano oppure continuiamo a seminare ignoranza ed abusare della credulità popolare? Diversamente queste sono preghiere che Dio non ascolta, messa che Dio stesso è il primo a disertare. In effetti non è dello stile di Dio accettare voti e devozioni quale copertura alla nostra fame di espansione, delle nostre rapine nei territori altrui. Dio non benedice né l'Italia, né l'America, né la Regina, né il nostro popolo, ma solo chi pratica la giustizia è a lui gradito. Queste preghiere e messe pagane frutto della volonta di potenza terrena non lo toccano minimamente anche se durante le nostre sante messe celebrate lungo i secoli lo abbiamo invocato come "Dio degli eserciti". Se è per questi motivi, sia pure impliciti ed inespressi che nel comprensorio di Villafranca Padovana alcuni insegnanti hanno rinunciato alla messa scolastica del 4 novembre, vada l'ammirazione ed il sostegno da parte di molti credenti italiani, costruttori di pace, che rifiutano l'orpello del clericalismo di Stato.   

Autore:
Albino Michelin
19.12.2008

I MIRACOLI? LI FANNO ANCHE I COMUNI MORTALI

Da che mondo è mondo l’uomo è stato sempre assetato di miracoli. In parte per appagare il suo desiderio di curiosità innata del numinoso, dell'eccezionale, del non scontato. In parte perché egli stesso molte volte si sente oppresso da malattie irreversibili, da rovesci familiari, da disagi economici e ricerca in qualche modo l'intervento di un essere superiore sia esso il Dio dei cristiani oppure una divinità di qualsiasi appartenenza.  Oggi gli studi sui fenomeni paranaturali (fuori della natura da noi conosciuti) o soprannaturali (al di sopra di essa) si sono molto sviluppati come anche si sono sempre più analizzati i meccanismi e le componenti della nostra psiche. Per cui circolano le espressioni tipiche: come psichismo personale, psichismo collettivo, psichismo inconscio, innato, indotto, psicosi, allucinazioni, ecc. Quando poi si va a parlare degli autori dei miracoli, noi cattolici in genere ci riferiamo ai santi.  Solo i santi possono compiere interventi prodigiosi, o solo fedeli appartenenti alla religione cattolica.   Perché sarebbero una dimostrazione che Dio pone il suo sigillo timbro di certificazione unicamente sµ questa religione rivelata. Mentre eventuali prodigi compiuti da santoni o guru non appartenenti alla nostra religione vengono definiti opera del diavolo, trucchi da ciarlatani, gesti di prestigio di falsi imbonitori.  L'occasione a questa riflessione ci viene offerta da qualche settimana da certo Domenico Fiume, abate ortodosso (ex prete cattolico) di origine calabrese, comune di Sperato, 29 anni residente al Centro culturale S. Charbel nella periferia di Udine. Lì celebra la sua liturgia con 5 ore di messa, canti, preghiere, orazioni. E soprattutto Padre Gabriele, così battezzato dai suoi innumerevoli devoti, compie prodigi o miracoli. Lenisce mali del nostro tempo, in particolare quelli di natura fisica, guarisce malati gravi.  All'ingresso del Centro è appostata una macchinetta come negli uffici bancari e postali per organizzare la coda dei visitatori. La media di 300 tagliandi al giorno. Per questo la gente lo chiama anche "il prete dei miracoli".  Soprattutto rilevante è recepire e registrare le osservazioni del numeroso pubblico: "in lui si trova quelle consolazione che la chiesa tradizionale non riesce più a dare". Ci sia consentito di aggiungere che questo è un pesante ritornello circolante sempre di più in molte parrocchie e in tante coscienze, indipendentemente da questo abate del Friuli. Posizione dell'autorità religiosa? Scontata, non è un prete cattolico, ma un ex giratosi verso un'altra religione, il suo metropolita l'ha sospeso dall'ufficio inerente al ministero da lui professato, quindi non può permettersi l'esercizio delle guarigioni. Inoltre il gruppo dei vescovi friulani ha proibito ai fedeli di bazzicare con tale personaggio. Per tutti questi motivi lo Spirito del Signore non dovrebbe esprimersi attraverso questo semiscomunicato essendo privato dei carismi e del mandato della legittima chiesa.
                                                      Non solo i santi fanno miracoli
 E qui passiamo subito ad un'affermazione che difficilmente trova smentita nella realtà. I miracoli, gli operatori di miracoli, i beneficiari di miracoli li possiamo trovare in tutte e realtà umane, prima ancora· oppure senza conoscere e aderire ad una religione. Dentro o fuori della chiesa, da parte di persone indifferenti, di agnostici, atei miscredenti. Gelosi in merito se ne riscontrano a iosa lungo la storia.  Anche nella Bibbia (Numeri 11,29) si parla dello Spirito del Signore che si posò sugli ebrei raccolti dentro nell’accampamento i quali cominciarono a profetare. Ma qualcuno andò a riferire a Mosè che anche fuori del recinto vi erano persone che profetavano e lo pregò di impedirglielo loro. Ma Mosè rispose: "Sei tu geloso? Fossero tutti profeti, volesse il Signore dare a tutti il suo spirito". Dunque i miracoli non dipendono dalle fede, o almeno non sempre dipendono dalla fede o meno di chi li fa o di chi li riceve. Non vi sono limiti alla natura umana: ogni uomo può compiere dei miracoli. Che poi questo non avvenga o avvenga solo raramente, dipende da tanti fattori. Ma non se ne può fare dottrina esclusivista per la veridicità di una religione. Chi è appassionato della storia greca antica si sarà incontrato con un celebre nome: Esculapio o Asclepiade, divinità protettrice della medicina. Dunque siamo prima di Cristo e presso una religione pagana. Ed avremo pure letto di una località chiamata Epidauro, una specie di Lourdes. Orbene in questa zona ogni 5 anni si radunavano folle di oranti provenienti da tutte le zone del globo allora conosciuto per pregare ed impetrare l'intercessione di Asclepio.  I malati venivano guariti, gli zoppi camminavano, i ciechi riprendevano la vista. E persino dei morti venivano risuscitati. Indubbiamente qualcosa come genere letterario ci sta pure, come ci sta anche del favoloso. Ma questo modo di raccontare era il palinsesto mediatico del tempo. Non si può tutto negare, ma qualcosa di oggettivo e reale ci resta sempre.  Un tale palinsesto mediatico, cioè genere letterario, è stato utilizzato pure per Gesù, raccontato dagli evangelisti. Indubbiamente non si possono mettere sullo stesso piano, stante il significato diverso da lui conferito ai suoi prodigi. Alcuni certamente sono stati compiuti. Ma per la maggioranza si è utilizzato un collage letterario.  Ad esempio: nel Vecchio Testamento si narra di Eliseo e di Elia che risuscitavano i morti. Orbene, si è pensato, Gesù è un profeta maggiore di costoro, quindi attribuiamo anche a lui la risurrezione di qualche defunto. Così puo’ spiegarsi quella del figlio della vedova di Naim, quella di Lazzaro. Da prendersi seriamente più per il loro valore simbolico che non effettivo.  Ma anche al riguardo ritorniamo al nostro asserto: Miracoli ne hanno compiuti Gesù e i profeti in nome del Dio in cui credevano, miracoli ne hanno compiuto guru e sciamani in nome del loro Dio, anche se non per fede rivelata. E così avverrà anche in futuro.  Certo si dovrebbe o potrebbe concludere che ovunque in fondo c'è il dito di Dio. Che cioè lo Spirito del Signore o attraverso la fede in lui, o attraverso la volontà forte e profonda del richiedente, induce a compiere qua e là in determinate circostanze e in persone particolari dei fatti inspiegabili, al momento almeno, da parte della scienza. 
                                      L’importanza dell’energia per compiere miracoli
 Il mondo dei guaritori è molto più ampio di quanto si creda. Spesso fa meraviglia come da parte cattolica ad esempio si faccia dell'ironia nei confronti di Milingo, perché ex cardinale, perché sposato con la "cinese" trasgredendo le leggi della sua chiesa cattolica. Giriamola come vogliamo: ma Milingo guaritore era allorché faceva il religioso ossequiente o vestito di porpora cardinalizia, e guaritore resta ancor oggi anche se "traditore".  Il miracolo e la capacità di compierlo dipende soprattutto (anche se non solo) dalla propria energia interiore, un dono, un carisma, ma anche realtà in molti non sfruttata. La prassi orientale (riflessologia) e la tradizione africana qui ci possono aiutare, non inventano nulla ma utilizzano ciò che ognuno di noi possiede: l'energia, sia quella naturale sia quella assorbita dal mondo esteriore. Con questa si accoppia o si identifica l'altra componente essenziale per il miracolo: la forza di volontà. Lo sta a dimostrare anche qualche caso tipico di persone, senza nessuna fede, senza l'educazione alla preghiera guariti improvvisamente e inspiegabilmente da un tumore.  Allora andare o non andare da Padre Gabriele in Friuli per ottenere grazia e miracolo di cui una persona sente profondo bisogno?  I vescovi hanno proibito ad accostarvisi. Timidamente però si potrebbe rammentare ai vescovi la parola di Gesù. Allorché il Vangelo ci racconta di Giovanni che indispettito andò da lui riferendogli che un tizio scacciava i demoni, non essendo dei suoi: gli apostoli glielo hanno proibito. Ma Gesù rispose: "non impedirlo, perché chi non è contro di noi è per noi (Mc. 9,40). Chi non è contro di noi significa "chi opera la giustizia, la pace, la concordia, l'amore, la cura degli infermi, ecc. Tutti costoro sono per Gesù anche se non ne conoscono il nome e l'esistenza".  Assodato che non vi sia da parte di questi profeti, predicatori, guru, guaritori, ecc. l'abuso della credulità popolate e il gioco sporco del denaro a nessuno si può impedire di andare a Fatima, Lourdes, Mediugorje, da Milingo, dal Cervo Bianco (il taumaturgo induista in riva al Gange) o da Padre Gabriele in Friuli. "Volesse il cielo che tutti fossimo profeti" disse Mosè nell'accampamento sotto il Monte Sinai.

Autore:
Albino Michelin
05.12.2008 

martedì 23 giugno 2015

CROCE E DELIZIA: BEATO ANCHE PAPA PIO XII?

Un simile contrasto all'interno del mondo cattolico avvenne anche qualche anno fa allorché Papa Wojtyla volle o acconsentì di beatificare Pio IX (al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti 1792-1878). Anche allora la corrente dei conservatori si sollevò imperiosa e sostenne essere stato questi un Pontefice forte che si contrappose all'ateismo emergente, protesse la chiesa contro l'egemonia delle scienze che ubriacavano il mondo. Oltre che ad essere personalmente un santo, un devoto, di integerrimi costumi. Ma anche allora, cioè pochi anni or sono, l'altra corrente, quella degli innovatori dissentì in tutti i modi perché la considerò una beatificazione politica. Un servirsi dell'altare per imporre silenzio a quell'altra parte che ha i suoi buoni motivi per dissentire. Un pontefice, Pio IX, che scomunicò mezza Italia, la quale cercava faticosamente la sua unità nazionale, quasi a vendicarsi dell'espropriazione dello Stato Pontificio. Un Papa di questo stampo doveva essere lasciato in pace nei sepolcri vaticani e non venire rimesso in circolazione e surriscaldare gli animi fra contrapposti schieramenti. La contestata beatificazione di Pio IX non è servita a nulla. Punto a capo. Si ritorna tali e quali nei confronti di Eugenio Pacelli (1976-1958), eletto Papa con l'appellativo di Pio XII nel 1939 sino alla morte avvenuta 19 anni più tardi. Tutto il nodo della questione sta nella posizione di questo Pontefice assunta di fronte alla Shoah, cioè allo sterminio egli ebrei.  Si parla di 6 milioni in occasione dell'ultima guerra mondiale (1939-45), perpetrato dal regime nazista di Hitler, spalleggiato pure da quello fascista di Benito Mussolini. Ma fino a tanto che la discussione rimane sul piano storico, della ricerca, di eventuali silenzi, o segrete intese con i potentati di allora, nulla da eccepire. Ogni uomo, specie chi detiene un potere politico religioso deve lasciarsi dalla storia giudicare. No, la contesa sta altrove: lo si vuole far beato. E chi lo vuole? Una certa chiesa, quella fatta dai cattolici nostalgici da sempre fegatosi nei confronti degli ebrei, dei semiti, delle razze altre, e tifosi legati alle nostre “radici cristiane”. Anche se la nostra Europa cristiana nell‘ultima guerra su citata causò 60 milioni di morti.
                                      Chi è contrario alla beatificazione di Papa Pacelli?
Ovviamente e prima di tutti il popolo ebraico. Si obbietterà che dichiarare qualcuno beato o santo è affare interno della chiesa cattolica. Indubbiamente, se essa si considera una parte o una realtà staccata dalla storia e separata dall'umanità. Ma non deve essere così. Va fatta attenzione anche alle ripercussioni verso l'esterno, non solo verso i cattolici. Attenzione verso gli uomini di ogni cultura, religione, colore. Perché se la chiesa nel Concilio Ecumenico del 1965 si definisce "Lumen Gentium = Luce delle genti", una beatificazione di Pio XII sarebbe uno schiaffo a molte genti, agli ebrei appunto, ma anche a tutti coloro che si sentono parte di un'umanità più vasta che non sia quella appartenente al settore cattolico. Un beato, o un santo ha da essere modello per gli uomini in quanto tali, non solo per i credenti di una particolare religione. Orbene il popolo ebraico rimprovera al Pontefice Pacelli di aver taciuto pubblicamente durante la mattanza nazista nei suoi confronti. Durante l'olocausto dei forni crematori ed altro il Vaticano sapeva che cosa stava succedendo in Europa, ma rimase in silenzio. Beatificazione discutibile. Nel 1933 allorché Pacelli era segretario di Stato stipulò un ambiguo e discusso concordato con Hitler. La condanna contro il nazismo preparata dal caro estinto suo predecessore, pure ospitando e facendo ospitare negli istituti religiosi e nei conventi singoli ebrei perseguitati e in difficoltà, rimase nel cassetto. Come capo di una chiesa importante, di cui pure Hitler e Mussolini in qualità di cattolici facevano parte, si rifiutò di denunciare pubblicamente la loro politica criminale antisemita. La stessa Rivista "Civiltà Cattolica" controllata dalla Santa Sede, in un recente articolo di Giovanni Sale, definisce imbarazzante l'atteggiamento tenuto dalla Segreteria di Stato Vaticana guidata dall'allora Papa Pacelli in occasione della promulgazione delle leggi razziali fasciste. Negli anni 40 il rabbino capo di Palestina cercò di convincere il Vaticano di estendere la sua protezione a tutti gli ebrei ungheresi. Dal Pontefice nessuna risposta. Il 16 ottobre 1943 ebbe luogo un rastrellamento a Roma, in primis alla caccia degli ebrei. Dal Vaticano nella porta accanto silenzio di tomba. Il 9 ottobre 2008 il rabbino Cohen in occasione del sinodo-assemblea dei vescovi a Roma ritornò sul concetto che il popolo ebreo non si sente di perdonare, e quel silenzio papale durante la seconda guerra mondiale non può essere perdonato. A riassumere tutto questo è affissa tutt'oggi una didascalia a Gerusalemme nel Museo della Shoah Jod Vashem, "Eletto Papa nel 1939 mise da parte una lettera di condanna all'antisemitismo preparata dal suo predecessore. Anche quando i resoconti della strage raggiunsero il Vaticano esso non reagì né con proteste né con scritti verbali". Da chi è quando verrà rimossa questa didascalia? Certo fino a quando resta lì, i rapporti Vaticano-Israele anche per un viaggio di Ratzinger a Gerusalemme sono progetti e nulla più. Voler beatificare Pio XII sarebbe per gli ebrei un offesa, un rispondere occhio per occhio dente per dente. Ma non solo per gli Ebrei. Anche per molta parte di quel mondo cattolico che ravvisa in questa beatificazione un gesto di sfida, un'affermazione di potere sul tipo "la Chiesa ha sempre ragione".
                                                   Chi vuole beato papa Pacelli?
Tutti gli altri che intendono in buona o dubbia fede dar ragione al silenzio di Pio XII sulla vicenda. Il Pontefice di allora non fu né silente, né antisemita, ma prudente. Nel senso che agì in modo segreto e silenzioso perché intuiva che solo in tal modo si poteva evitare il peggio e salvare il salvabile, il più gran numero di ebrei. Cioè costoro sostengono che se il Papa avesse condannato pubblicamente il nazismo, questo si sarebbe ulteriormente scatenato nella sua distruzione antisemita. Si permetta una domanda: ma dopo sei milioni di ebrei finiti nei forni crematori che cosa si poteva aspettare di peggio? Se il pontefice avesse avuto il coraggio profetico di denunciare apertamente, non avrebbe forse mobilitato l’intera chiesa ed il mondo credente verso il popolo ebraico ed incrinato alla base il sistema nazista? Si ribadisce piuttosto il dubbio: si vuole la riabilitazione di un pontefice discusso. Non si aprono gli archivi vaticani se non fra qualche anno. Cosi’ la verità non offenderà piu’ i vivi perché saranno tutti morti. E la storia si porterà dietro un fardello di polemiche irrisolte.
                                                      Papa Ratzinger in pendant
Certo è difficile fare il Papa. In effetti l'attuale Pontefice non ha ancora fissato la data delia beatificazione per non urtare certe "false" sensibilità. Comunque anche dal punto di vista personale deve essere delicata la sua posizione. Si sa che fino a 17 anni è stato arruolato nella gioventù nazista. Per quanto fosse obbligato dalle leggi del tempo, quindi non per scelta personale, tuttavia una riabilitazione di Pio XII potrebbe sempre sembrare una difesa larvata dell'operato nazista contro gli ebrei. In secondo luogo sarebbe una specie di rivalutazione del Concordato Vaticano-Germania del 1933. A Ratzinger per queste difficoltà sottintese converrebbe archiviare il tutto. Un dibattito tuttavia lascerebbe aperto un interrogativo: un Papa deve avere il coraggio di prendere pubblica posizione contro le ingiustizie nel mondo e contro (soprattutto) coloro che ne sono gli autori e programmatori oppure fare silenzio come Pio XII? Papa Benedetto qualche mese fa in America ha incontrato Bush. Scambio di rose e fiorellini nonché applausi da mondovisione. Però non una chiara posizione papale contro la guerra in Iraq in cui Bush ha causato fin'ora un milione e duecentomila morti civili. Alla fine di settembre di questo 2008 il Pontefice si recò in pellegrinaggio a Pompei, raccomandò ai napoletani di fare i bravi, di recitare il rosario e di essere cristiani senza compromessi. Però una denuncia chiara contro la "Camorra", fabbrica di morte e di sfruttamento, di arretratezze sociali, non una parola. Si dirà che l'ha pronunciata nel 2007. Si, ma non si poteva gridarla piu’ forte oggi, là dove tutto è peggiorato? Difficile fare il Papa, difficile prendere posizione netta e precisa contro i potenti come lo si fa nei confronti dei deboli (aborto, divorzio, eutanasia). Perciò l'impasse e lo “scontro" sulla beatificazione di Pio XII si riferisce proprio a questo aspetto: il suo silenzio nello sterminio del popolo ebraico.

Autore:
Albino Michelin
07.11.2008

CATTOLICI ISLAMICI E LA RECIPROCITÀ

La reciprocità è diventata oggi un chiodo fisso, una specie di nevrosi allorché si entra nel discorso dei rapporti cristianesimo-islamismo. Ln tutto questo dibattito però non si sente un riferimento a Gesù e al suo Vangelo. Il quale Gesù a dire il vero non ha mai   fatto cenno alla reciprocità. Suoi alcuni passi:” a chi ti percuote la guancia sinistra offri anche la destra. A chi ti chiede di fare con lui un miglio tu fanne due. A hi ti domanda la tunica, cedigli anche il mantello.” Lungi dal prendere alla lettera queste espressioni, se no ci dovremmo lasciar mettere i piedi sul collo, svaligiare la casa senza legittima o illegittima difesa. Sarebbe autolesionismo, masochismo, rinuncia alla propria dignità. Però il senso a cui allude Gesù non ci dovrebbe sfuggire: è proprio quello di non pretendere reciprocità. Di fare noi il primo passo senza che l’altra parte faccia il secondo, senza esigenza di corresponsione. Perché secondo Gesù, il bene, l'onesto, il dialogo non si commercia, ma lo si testimonia perché a onda lunga diventa più costruttivo del male, dell'imbroglio, della vendetta. Però Gesu’ mica solo ha predicato bene e poi razzolato male, si è anche comportato di conseguenza. Quando gli si avvicinò un centurione romano, di altra religione, un po' come i nostri islamici di oggi e gli domandò la grazia di guarigione per un suo badante, Gesù non gli rispose: «mostrami la tessera del tuo partito, ti faccio la grazia a patto che ti converta alla mia fede, solo se sabato prossimo verrai al tempio o se domenica verrai alla messa ...». No, gliel'ha  fatta senza reciprocità, senza attendersi nulla, ma solo perché per quello straniero infedele questo era un bene desiderato. Ci si prenda la briga di studiare tutti i 40- 50 miracoli del Vangelo e poi ci si accorgerà che questa era la logica di Gesù. Ma noi nel nostro cristianesimo, nella nostra civiltà cristiana, nella nostra Europa dalle radici cristiane, e proclami del genere, questo comportamento di Gesù lo si ignora profondamente, ed invece sarebbe l'a-b-c- della nostra fede.
                    Prima siano gli islamici a permettere le nostre chiese nei loro territori.
Conosciamo molto bene le nostre rivendicazioni reiterate in ogni discussione. «Perché noi dovremmo costruire le moschee in Europa e in Italia e loro non vogliono le chiese cattoliche nei propri paesi, anzi perseguitano e cacciano i cristiani?  Perché noi dovremmo esporre i simboli di Maometto se loro non vogliono il nostro crocefisso nelle loro scuole? Perché noi dovremmo permettere il culto ad Allah, quando loro ammazzano in Turchia un prete cattolico e solidale, come recentemente don Santoro?». E giù un elenco di reciprocità. Qui liberiamo il campo da eventuali confusioni: gli Stati e le legislazioni politiche hanno tutto il diritto dovere di controllare sulla reciprocità nel commercio, nell'artigianato, nella mano d’opera, nell'immigrazione, nelle relazioni finanziarie ecc. Il nostro discorso verte soltanto sul religioso, sul rapporto fra religioni, realtà in cui ogni stato laico, ad esempio il nostro, non dovrebbe mescolarsi più di tanto.
                                   L’ora di religione islamica nelle scuole cattoliche?
Tempo fa il Cardinal Martino, responsabile del dicastero vaticano per la cultura, ha fatto la proposta di introdurre l'ora di religione islamica nelle nostre scuole. Così attraverso la conoscenza e il rispetto della cultura altrui, si può costituire alla lunga una piattaforma per la reciproca convivenza. Il prelato, per nulla ingenuo, poneva anche alcune condizioni, come ad esempio quella che in una scolaresca vi sia un numero adeguato di bambini maomettani. Il Cardinal Ruini vi piantò qualche paletto cioè «a patto che tale insegnamento non metta in pericolo il nostro assetto sociale». Ma in pratica non poté opporsi ad un orientamento che è pure di Ratzinger, cioè aperto al dialogo fra le culture. Siamo d’accordo con Ruini a che l'insegnamento islamico non metta a soqquadro il nostro tipo di società. Però, sia permessa una piccola digressione storica, non tanto per negare il suo asserto, ma per evitargli polemiche inutili contro gli arabi. Il Cristianesimo delle origini per tre secoli fino a Costantino è stato perseguitato e posto fuori legge perché i suoi dettami contrastavano con la costituzione dell'impero romano. Considerato sovversivo ed ateo perché rinnegava le divinità di quella religione lo storico Tacito (55-117 d. C) lo definiva funesta superstizione, setta di «Chresto» pericolosa non solo in Giudea, ma nella stessa Roma. Anche i cristiani preferivano la morte rispondendo «è meglio obbedire a Dio che non agli uomini». Oggi dopo 1700 anni a Roma e in Europa si è ribaltata la situazione. Gli islamici e le loro leggi socio-religiose contrastano con le nostre. Pensiamo al loro concetto di libertà, della donna, della famiglia, del culto, del ramadan, delle festività al venerdì. Noi li affrontiamo: «o rispettate le nostre leggi o ve ne andate a casa vostra». Giusto, nessuna obbiezione sul piano politico, legale. Ma un dubbio sul piano religioso: non è per caso che noi cristiani, perseguitati a suo tempo sotto l'impero romano, siamo diventati a nostra volta persecutori contro gli islamici sotto il neocolonialismo dell’impero occidentale? A quel tempo i cristiani predicavano: «il sangue dei nostri martiri é seme di cristiani». E oggi gli islamici predicano la stessa cosa: "il sangue dei martiri kamikaze é seme dei nuovi seguaci di Allah". Rovesciate le parti, lo stile è lo stesso, l'anima identica: la lotta contro gli infedeli verso quello che ciascuno di noi crede il vero Dio. Saltiamo la storia fino ai Testimoni di Geova attuali. Anch'essi si esimono dalle leggi dello stato o le combattono, come il servizio militare, oppure le norme sanitarie, come la donazione del sangue. La loro risposta, bibbia alla mano? «Meglio obbedire a Dio che non agli uomini». Considerando i due esempi su citati, come darci torto? Ogni religione quando ha voluto affermarsi (e sempre in nome del suo Dio o del suo concetto di Dio) si è posta contro le leggi, usi e costumi ambientali. Si pensi (e con senso del nostro limite) al Cattolicesimo che nel 1500 per convertire l'America latina ha spazzato via civiltà antiche e di grandi risorse umane come gli lncas e gli Aztechi. Sempre premesso che dai gruppi fondamentalisti è doveroso difendersi e renderli inoffensivi, non bisogna dimenticare la lezione della storia. Il dialogo e non la soppressione è oggi l'unica forma per istaurare convivenza.
                      A quando un culto protestante nella Basilica di S. Pietro in Roma?
Sabato 25 marzo 2006 dopo 470 anni un vescovo cattolico, B. Genoud, ha celebrato la messa nella cattedrale di Losanna, dal 1536 passata ai protestanti e di proprietà dello Stato elvetico 1700 persone di entrambe le confessioni vi hanno preso parte. Il saluto di benvenuto è stato rivolto da E. Roulet, sinodale della chiesa riformata, sottolineando la portata simbolica dell’evento. Tanta fu la commozione che una voce dalla folla gridò un grande grazie. E qui bisogna dare atto che il protestantesimo ha fatto un grande passo. Avrebbe anche potuto rifiutare quella messa cattolica, o respingerla come tentativo dei cattolici di invasione e di riconquista di una terra a loro non dovuta, avrebbero anche potuto rinfacciare l’offesa (dal loro punto di vista) ricevuta sotto il papato di Wojtyla che li ha definiti «chiesuola», avrebbero potuto anche invocare   la   reciprocità o la legge del taglione “occhio per occhio dente per dente.” Come amici cattolici di oggi vorrebbero fare contro di loro, contro gli islamici, ecc. No, hanno compiuto il primo passo. Quando lo Spirito del Signore più che non al vertice parla alla base del suo popolo. Infatti egli dice nella Bibbia: «vi farò tutti profeti». Certo H. Babel, decano dei calvinisti di Ginevra, ha pure aggiunto: «Ma il vaticano permetterebbe che nella Basilica di S. Pietro in Roma si celebrasse un culto protestante?». Più che sfida prendiamo questa espressione come un auspicio per un passo simmetrico da parte cattolica. Ma in tutta questa tensione di oggi fra, cattolici-protestanti e specialmente fra cristiani-islamici, l’esigenza della reciprocità, non andrebbe posta al primo piano. Difatti il su citato E. Roulet nella cattedrale di Losanna ha salutato cosi’: ”oggi dobbiamo armarci tutti di tanta pazienza». Dunque calma e gesso. Una saggezza che potrebbe portare i suoi frutti piu’ che non le missioni di pace basate sulla guerra, la violenza, la pretesa di reciprocità.

Autore:
Albino Michelin
14.06.2006

ABUSO DELLA RELIGIONE A SCOPO POLITICO

In vista delle prossime elezioni politiche in Italia del 9-10 Aprile 2006 molti animi vanno infuocandosi, con i nervi a fior di pelle, con schieramenti e relativi leaders affrontarsi non risparmiandosi gags, battute, aggressioni, menzogne e financo livore. Da parte della chiesa cattolica c'era una volta la Democrazia Cristiana o DC a garantire mediazione fra la gerarchia e la base e così riusciva a salvare la propria mobilia. Oggi scomparsa la DC e caduto il muro di Piazza del Gesù, appollaiatisi i suoi militanti trasversalmente in altri nuovi partiti e partitelli, in campo è ritornata direttamente la chiesa cattolica, cioè quella dei suoi rappresentanti ufficiali. Questo ritorno con accenti più marcati o meno, che vanno dalla proposta di valori ad una eccessiva invadenza a  seconda dei punti di vista, può essere condiviso oppure no. Qui non ne va di mezzo né il Vangelo né la fede, è solo questione d'opportunità o meno. La situazione attuale: in Italia per la ragione su esposta da qualche anno la chiesa si comporta come una forza politica, lancia le sue campagne, stringe alleanze, attacca gli avversari sia pur con pallottole di carta, investe anche parte dell'8 per mille tasse del culto a   finanziare le sue campagne. Le conseguenze sono che gli attori veri della politica, i parlamentari, i senatori, i ministri e quanti altri fanno a gara per ricevere la sua approvazione e benedizione, sia di destra che di sinistra. Non soffermiamoci su Berlusconi che tira sempre in ballo sua zia suora impegnata tutto il giorno a recitare santi rosari per lui, che si batte strenuamente per la santità del matrimonio cristiano e per la sanità della coppia tradizionale (nonostante   egli sia ufficialmente   e felicemente divorziato con diritto di ricevere la comunione in mondovisione). Ma lasciamo Berlusconi. Però anche Piero Fassino, il tutto a sinistra dall’altra parte della barricata, si sente in obbligo di dichiarare via etere la sua novennale educazione in un istituto di Gesuiti a Torino, ciò che gli ha consentito di rafforzare la sua vita religiosa. Ma persino Fausto Bertinotti, comunista doc, quello che fa montare il sangue in testa al Cavaliere, gli fa vedere sorci verdi e fantasmi notturni, lui pure si dice sempre interessato alla chiesa del Concilio, ha tanti amici di chiesa, anche fra i cardinali. Da noi non esiste un dibattito TV in cui uomini politici, conduttori, divi del cinema, pornostar, prostitute dell'est non citino il Santo Padre, la tale eminenza e la tal'altra eccellenza. Tutto fa brodo, tutto serve ad arruolare consensi alla propria causa, ad illustrare il proprio prodotto, a giustificare il proprio modo di vivere. Eh sì, in Italia all’ombra del campanile non si trema, o si trema molto meno.  In tutta questa gara di ossequi meraviglia alquanto la recente elezione di   Niki Vendola alla presidenza della Regione Puglia: un tipo che si è pubblicamente dichiarato omosessuale e che al Vescovo di Lecce obbiettò: «come credente rispondo a Dio e non a Lei Mons. Francesco Ruppi». Fuori coro ci sembra anche il leader dell’opposizione Romano Prodi, cattolico serio con famiglia regolare e benedetta con l'acqua di un secchiello vescovile, cattolico adulto, ma che potrebbe rischiare grosso presso i praticanti tradizionalisti, perché si permise di dire già da anni che lui fa una politica di ispirazione cristiana, ma non necessariamente vaticana.  Non usare la religione come strumento populista per farsi propaganda: questo rifiuto gli potrebbe costare caro.
                                        “I frutti e l’albero”: vademecum per i cattolici.
Nella logica di questo argomento 25 mila parroci italiani hanno ricevuto negli ultimi giorni questo libretto di 1O pagine, redatto dal centrodestra, per illustrare i cinque anni del Governo Berlusconi alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e in favore della Chiesa stessa. In elenco sommario estraiamo a caso: la battaglia per le radici cristiane dell'Europa, boicottaggio del referendum sulla 'procreazione assistita, l'obbligo del crocefisso nei luoghi pubblici, pari dignità all'ora di religione, parità fra questi insegnanti e quelli laici, legge in favore degli oratori parrocchiali, esenzione lci per i locali (supermercati compresi) gestiti dal clero, lotta contro la pedofilia, la  pornografia, contro l'aborto in  favore di «Sant'embrione », regolazione dei lavoratori immigrati (tacendo però sulle modalità d'asilo e di espulsione), ecc. Ovvio che un opuscolo del genere abbia dato la stura ad altri contro opuscoli e contro argomenti, ad opera dei cosiddetti «preti della strada». E questo non tanto perché i contenuti de «I frutti e l'albero» siano inaccettabili, ma per la loro evidente strumentalizzazione.
                                                      «La chiesa del silenzio»
E’ questo un titolo dei più significativi volumi alternativi al precedente libretto, autore Aldo Antonelli, parroco di Antrosano (L'Aquila), che raccoglie svariate lettere di adesione ad un suo articolo apparso su Repubblica del 3-10- 2005.  In esso il sacerdote denuncia le leggi foraggio a favore della chiesa cattolica, la cui «immoralità» devastante   nel fare   incetta di regali e privilegi (parole sue) l'ha resa colpevolmente silente rispetto ai sacrifici e rinunce cui tanti cittadini italiani sono stati obbligati in questi anni.  Contenute nella pubblicazione pesanti dettagliate   critiche al precedente Governo di questo quinquennio. Aver ridotto alla fame enti locali, diminuito gli assistenti di sostegno agli istituti per disabili, aver sottovalutata   l'educazione al senso civico e al rispetto della roba. In effetti fra 33 parlamentari, condannati in via definitiva, 13 (55%) fanno parte di questa coalizione al potere. Leggi che gridano vendetta al cospetto di Dio come quella sull'immigrazione con licenza di sparare nel mucchio ai miserabili che bussano alla porta dell'occidente opulento. Come l'altra sulla «illegittima» difesa con facoltà di uccidere chi ti ruba le mele nell'orto. Il «fai da te» insomma in nome di una malintesa sicurezza per mascherare l'assenza dello Stato. Ed ancora riserve nei confronti di un leader che negli ultimi cinque anni ha quadruplicato o triplicato il suo patrimonio, mentre le aziende del Paese andavano in crisi. Solo l'elettromeccanica nell'ultimo quadrimestre ha perso il 7,1% del suo fatturato. I pensionati poi devono ricorrere ai loro risicati risparmi. Si è difesa la propria libertà, mentre il nostro Paese rotolava al 41° posto quanto a libertà di stampa   e   pluralismo   d'informazione, dopo l'Angola. Insomma questo prete abruzzese invita le parrocchie a non svendere la loro coscienza.  E qui giova fermarsi, altrimenti l'analisi del fascicolo di Antonelli arrischia di diventare propaganda elettorale contro l'altro schieramento, il che non è intento del presente articolo. Che invece è un altro e giova ripeterlo: evitare l'uso politico della religione facendosi paladini del Sommo Pontefice, dei prelati, della gerarchia, del clero.
                               Prete Farinella come Tomaso Aniello, detto Masaniello.
E' da tempo noto che il 30-31 marzo 2006 il Partito Popolare Europeo organizza il suo Congresso a Roma, alla conclusione del quale è programmata l’udienza dal    Papa.  A detta Confederazione sono aggregati pure i partiti di Berlusconi, Casini, Mastella.  Ma qui salta fuori certo prete Farinella, siciliano, laureato in Bibbia a Gerusalemme, residente a Genova, impegnato in una comunità di ricupero tossicodipendenti. Convinti, come tutti, che il Papa fa il suo dovere nell'accogliere ogni richiedente a titolo personale, da Pera a Oriana Fallaci, da Casini a D'Alema, ecc. Nulla da eccepire in tempi normali e non sospetti, ma una settimana prima delle votazioni questa visita può inquinare la competizione elettorale e prestarsi ad equivoci.  Non si può usare il Papa a fini di bottega politica. Prete Farinella parte proprio come Masaniello, quel pescivendolo napoletano che nel 1647 si proclamò capopopolo contrò gli spagnoli, colpevoli di avere imposto una sopratassa sulla frutta. Provocò un'insurrezione generale, finì fra la giustizia dei sicari, ma la tassa venne abolita. Cosi il nostro, firmandosi Prete Paolo, il 15 febbraio 2006 scrive una lettera aperta al Papa per indurlo ad annullare questa udienza. Il proclama finisce on line su internet e in qualche giorno raccoglie 6.759 adesioni. Gente di tutti i tipi, casalinghe, professori, operai, designer. Ottiene ciò che voleva, in barba a tutti gli scettici che lo definivano velleitario utopista. Berlusconi che spasimava per questa udienza ad personam dovette rientrare. Probabilmente Ratzinger gli avrà detto: "Siate Voi a rinunciarvi, cosi’ non ci rimettete la faccia". Veramente però bisogna dare atto all'intuizione di questo Papa, difficilmente negoziabile e commerciabile in fatto di certa politica all'italiana. No al principio machiavellico che il fine giustifichi i mezzi. Un po' diverso in questo campo dal suo predecessore. Molti cattolici oggi continuano ad importunarci, vittime del complesso Woityla-Ratzinger a confronto. Altra scuola, altro mondo, altra concezione di chiesa. A Woityla stava bene una chiesa «Repubblica cristiana», dalle folle oceaniche, planetarie, festose e festanti, ammucchiata globale. Egli ramazzava tutto, quindi avrebbe ben gradito questa udienza europea del Partito Popolare. Ratzinger invece è di un'altra pasta: una chiesa con il suo diritto di parlare, di esprimere il proprio messaggio sì, ma che cerca di dare più motivazioni che emozioni, più visibilità che ostentazione. Più interesse alla qualità che non alla quantità. Dice in effetti nella sua enciclica «Dio è amore» del 25.1.06 al nr. 28: «La chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani le battaglie politiche». E qui è già implicita anche una frenata al Cardinal Ruini che sognerebbe un'Italia ridiventata Stato Pontificio. Complimenti prete Farinella, con te sono ritornate a rifiorir le rose. Sana laicità, con libera Chiesa in libero Stato.   

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Albino Michelin
07.03.2006

lunedì 22 giugno 2015

HOENESS LEGGENDA DEL CALCIO TEDESCO

Ueli Hoeness ha evaso il fisco per 28 milioni di euro e venne condannato dal tribunale a 2 anni e sei mesi di reclusione i giornali sportivi italiani hanno sorvolato sulla faccenda, anche per non riaprire una piaga che da un trentennio a questa parte sta diventando una specie di malavita. Qualcuno l'ha girata per il solito verso "mal comune, mezzo gaudio". Hoeness è stato un grande leader del calcio tedesco, bandiera del Bayern Mocaco. Teutonico difensore della nazionale Deutschland über alles, passato pure alla storia per avere sbagliato un rigore nel 1976, errore che costò l'eliminazione della Germania dal campionato europeo. AI termine della carriera divenne manager e presidente del sodalizio bavarese, ottenendo collaborazione dai maggiori capi dell'industria nazionale, come Telekom, Adidas, Volkswagen. ln un mondo del genere si lasciò corrompere dalla sacra fame dell'oro e ne divenne vittima. Nel giro di qualche settimana la sentenza diverrà definitiva e il condannato Ueli varcherà i portoni di ferro dell'istituto carcerario del Landsberg, dove nel 1924 fu condannato pure Adolfo Hitler alla detenzione di 5 anni, ridotta poi ad 1 per buona condotta, prima di diventare il Führer nazista. Homeless per diversi mesi non potrà più seguire il suo Bayern nemmeno in TV, dovrà accudire alle faccende di cucina come lavapiatti, e durante il giorno anche lavorare la campagna sotto sorveglianza. Degna di attenzione è la sua dichiarazione seguita alla sentenza. "Dopo di aver parlato con la mia famiglia ho deciso di accettare da subito il verdetto della corte di Monaco. Ho avvisato i miei avvocati di non procedere con la richiesta di revisione. L'evasione fiscale è stato l'errore della mia vita, ne pago subito le conseguenze. Fa parte della mia idea di decenza di comportamento e di responsività' personale. Rinuncio ad ogni carica in seno al club per evitargli danni. Ma resterò vicino ad esso e alla sua gente in altre forme ". Come si vede c'è modo e modo di evadere. E non ci riferiamo solo alla quantità dell'evasione, ma anche al modo di affrontare e accettare la condanna pubblica sul proprio operato. Se l'errore ci rende piccoli, il suo riconoscimento ci rende grandi restituendoci dignità. Anche la Merkel ha detto la sua senza picchiare in testa alla magistratura: "Rispetto la decisione presa da Hoeness. Non commento la sentenza "Gli antichi romani avevano coniato un bel proverbio, si fa per dire: ”nessuno è tenuto a tradire se stesso". E noi italiani figli di Roma l'abbiamo imparato bene. Per noi omertà e furbizia sono l'ideale da perseguire. Nemmeno il nostro cristianesimo in versione cattolica è riuscito a risanare questo proverbio e la sua mentalità. Ancorché Gesù abbia insegnato: "sia il Vostro parlare sì sì, no no," Mentre nei paesi nordici, dove ha avuto maggiore influenza il cristianesimo versione riformata-protestante, è penetrata in maggiore profondità l'etica del rispetto e del senso civico, cioè che una menzogna se salva me stesso, spesso però tradisce e condanna altre persone. ll caso Hoeness con questo tipo di conclusione non può evitarci il confronto con l'altro contemporaneo e attuale che ci richiama al caso Berlusconi. Una vera canea permanente e infinita nei giornali, in TV, sull'internet. Dopo una serie di condanne o per frode fiscale, o per corruzione, o per baratto di voti non solo l'interessato si difende ripetendo di essere oggetto di persecuzione, contro di lui macchina del fango e tutto quanto sappiamo a memoria, ma anche molta parte della pubblica opinione si mantiene in stato di rivolta permanente contro una sentenza alla Hoeness. Si giustifica adducendo i dieci milioni di italiani a suo sostegno (che nelle ultime votazioni sono calati a sette) come se fosse il consenso popolare a fondare la morale e l'etica del comportamento sociale. Persino giornali che lanciano petizioni di firme per ricorrere ai tribunali supremi dell'ONU e delle massime magistrature mondiali per annullare una sentenza. Basterebbe soltanto che il Nostro si comportasse come Hoeness: sono stato condannato, pago, chiedo scusa, mi ritiro! Ne guadagnerebbero in dignità lui, i suoi milioni di fans, e tutti noi italiani non solo di fronte al mondo, ma soprattutto di fronte alla nostra coscienza civica e morale.

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Albino Michelin
26.03.2014

IN MEMORIA DI GIORDANO BRUNO

Negli ultimi tempi sta aumentando nella nostra società la sensibilità verso il giorno della memoria. Come ad esempio il 27 gennaio di ogni anno dedicato alla commemorazione dell'olocausto degli ebrei nella shoah dei lager nazisti durante la guerra del 1940-45. Ricordare per non dimenticare, non dimenticare per non ripetere. Una data che a molti di noi solitamente sfugge è il 17 febbraio, nella quale si ricorda la morte al rogo di Giordano Bruno, originario di Nola in quel di Napoli, avvenuta 414 anni or sono ad opera del tribunale ecclesiastico dell'inquisizione, pagando così con la vita la sua battaglia in favore della laicità e libertà di pensiero. Nella città partenopea l'assessorato della cultura ha organizzato un ciclo di conferenze dal titolo "I'orgoglio di un Pensiero". A Roma l'associazione G. Bruno "Libero pensiero" convocò ad un convegno sui diritti umani, questione di civile convivenza, con la partecipazione di una rappresentanza della capitale. Su G. Bruno fu fatto anche un film nel 1973, regista Giuliano Montalto, interprete principale Gian Maria Volonté. Ma chi è questo personaggio cui si vuole dedicare tanto spazio? Nato nel 1548, come tutte le persone amanti della cultura, entrò nel ceto ecclesiastico, si fece frate domenicano, come un secolo prima il Savonarola, cambiando il nome da Filippo a Giordano. ll nostro era un tipo fantasioso, irrequieto e avventuroso. Girò tutta l'Europa mettendosi a contatto con i luminari della scienza del tempo. Così divenne un grande filosofo, scrittore e pensatore. Spirito libero. ll punto centrale della sua dottrina, fra gli altri, era l’infinità dei mondi. Cioè sosteneva che nelle stelle e nei pianeti poteva esistere la vita umana o altri uomini capaci di pensiero ed intelligenza. Non si doveva mettere limiti alla creatività e alla sapienza di Dio. Ovvio che tutto ciò suscitò subito la reazione del magistero cattolico il quale si pose la domanda: e come? Anche nelle stelle e nei pianeti esisterebbero altre vergini Maria, altri Gesù Bambino, altri Figli di Dio, altri Redentori? Empio, o abiura o finisce al rogo costui. Altre posizioni minori erano viciniori a quelle di Copernico e Galileo, secondo i quali non era il sole a girare attorno alla terra, ma al contrario. Con la differenza che Galileo nel 1633 fu incarcerato, dovette rinnegare la sua astronomia, rinunciare alla verità per salvare la pelle. Bruno invece era più lineare, convinto di sé, ostinato. Si accumularono tensioni perché in modo particolare sosteneva la distinzione fra scienza e fede, che la fede, la Bibbia e la Chiesa non potevano intralciare la libera ricerca. Ipotesi blasfema per il magistero del tempo. Inoltre vi aggiungeva anche rimproveri pesanti alla chiesa stessa, schiava del potere e del suo orgoglio. Il processo era invitabile. Essendo Papa regnante Clemente VIII, il tribunale dell'Inquisizione venne istituito e diretto dal gesuita cardinale Roberto Bellarmino, (fatto santo nel 1930, dottore della chiesa nel 1931, patrono dei catechisti), e Bruno all’età di 52 anni venne condannato al rogo il 17.2.1600. Prima della sentenza puntò il dito contro i giudici: "forse tremate più voi nel pronunciarla che non io nell'ascoltarla“. Fu condotto al Campo dei Fiori al centro della città, denudato, legato ad un palo, mentre la confraternita dei chierici cantava le litanie dei santi. Scrive una specie di verbale del tempo: "così arrostito miseramente morì, andando ad annunciare agli uomini degli altri mondi da lui immaginati in che modo gli empi hanno da essere trattati. "l’autorità' papale fece apporre un epitaffio pubblico: "la mia spada sottomise gli spiriti superbi". Nel 1889 fu eretto nel Campo dei Fiori un monumento con una iscrizione un po' latinizzata:" A Bruno il secolo da lui divinato, qui dove il corpo arse.” Fra alterne vicende il tempo si evolve e lo Spirito di Dio matura la chiesa. Un detto degli antichi padri affermava:"iI sangue dei martiri è seme di cristiani". Anche la chiesa ha fatto dei martiri al suo interno. In effetti nel 1992 Papa Wojtyla (359 anni dopo) chiese perdono per gli errori e per gli orrori compiuti nella storia non solo nei confronti di Galileo ma di tutti gli uomini della scienza e della fede. E nel 2008 Papa Ratzinger espresse la sua gratitudine perché gli uomini di scienza scoprendo le leggi delia natura rendono visibili le opere del Signore. E recentemente J.G.Funes, capo della specola astronomica vaticana, affermò la possibilità che negli altri pianeti e stelle possa esistere anche la vita umana, rivalutando così la dottrina di Giordano Bruno e la sua persona. Certo molti si potranno anche chiedere come mai la chiesa arriva solo dopo quattro secoli a riconoscere verità acquisite. Indubbiamente una rilettura dei suoi dogmi è urgente. Perciò tutti pongono speranza nel nuovo corso inaugurato da Papa Francesco, iI quale nella sua esortazione "Evangelii Gaudium" del novembre 2013 consiglia di accogliere gli apporti delle diverse scienze, perché la verità è una sinfonia di contributi e non di un assolo. Da congratularsi dunque con l'assessorato cultura di Napoli e altre associazioni del "Libero Pensiero" che hanno riservato e riserveranno per il futuro il 17 febbraio come giornata in memoria di Giordano
Bruno. Ricordare per non ripetere.

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Albino Michelin
05.03.2014

sabato 20 giugno 2015

ORGOGLIO VENETO: SI DIMETTANO CORROTTI E CORRUTTORI DELLA SERENISSIMA

Quanto successo nella Regione Veneto ai primi di giugno di quest’anno ha indignato ancora una volta gli italiani, ma specialmente noi veneti che fra nativi e discendenti siamo circa 4 milioni sparsi nel mondo. Quando il mattino del 6 giugno leggemmo sul Blick, quotidiano Svizzero e su tutti gli altri, l’enorme scandalo del Mose di Venezia, io pure veneto residente da anni in terra elvetica mi sentii umiliato e offeso. Il Mose è una grande opera, una diga per arginare l’acqua alta della Laguna di Venezia. Ideata nel 1987 per circa l’equivalente di 5 miliardi di euro si dovrebbe inaugurare nel 2015 al costo reale di 7 miliardi. Un po’ per la lievitazione dei prezzi, il resto, un fiume di milioni finiti in tangenti, sparite fra politici, amministratori, appaltatori, funzionari, controllori dei controllati, finanzieri compiacenti. Un’abbuffata, una corruzione durata decenni. Cento indagati, di cui 25 in carcere,10 agli arresti domiciliari. E questo è forse solo un assaggio. G.Galan, per anni Governatore del Veneto, un milione all’anno di tangenti, il sindaco di Venezia Orsoni mezzo milione per farsi pubblicità’ elettorale, e poi una sfilza che non vale la pena elencare. Espressione da tutti i partiti ma tutti ugualmente ladri. Una prima osservazione: noi veneti abbiamo bisogno di un ridimensionamento e di un bagno di umiltà. Indubbiamente ottimi lavoratori, sparagnini, abbiamo sempre rivendicato la nostra onestà e superiorità nei confronti delle genti del sud: scansafatiche, falsi invalidi, mafiosi. Da 30 anni abbiamo fatto anche circolare un logo leghista a sostegno della nostra bandiera insignita del leone di S. Marco:” Viva el leon che sbrana el teron” e da mezzo secolo circola fra di noi un proverbio. ” santo Dio, che mia figlia non sia un Ciccio che se la piglia.” Inutile lamentarsi, questi politici e amministratori li abbiamo voluti e votati noi, rappresentano ciò che siamo noi. Fare skei (=soldi), tanti skei, subito skei. Il modo non importa, importante è farsi furbi. Busterelle, favoritismi, nepotismi, amicizie, evasioni fiscali (con tutto rispetto agli imprenditori delle piccole aziende suicidatisi). E chi se ne frega. Chi non sa destreggiarsi in Lombardia viene chiamato pirla, da noi nel Veneto “cojon”. Dalla Lombardia con l’Expo al nostro Mose il Regno Lombardo-Veneto non ha dimenticato il suo bicentenario gemellaggio. Noi veneti non abbiamo mai affrontato il problema dell’onestà civica in termini morali. Non c’è spazio per i talenti, ma quasi sempre e solo per i raccomandati. Per ottenere un diritto bisogna chiedere per favore o prostituirsi. Cortigiani, omertosi del sistema. Ribattiamo che anche gli altri in tutta Italia fanno cosi’. Qui gli altri non c’entrano. Sappiamo solo che noi ci siamo sempre definiti i “pi mejo”, Cioé i piu’ meglio, i migliori di tutti. E ci si permetta una seconda analisi e osservazione. ll Veneto viene definito la sagrestia d’Italia. In effetti da subito dopo la guerra le nostre canoniche parrocchiali funzionavano come sede del partito della democrazia cristiana, indiscutibile la scomunica dei comunisti, lì si sceglievano il sindaco e consiglieri comunali. Da trent’anni sarà cambiato il luogo, ma non la mentalità. E anche nell’ultimo ventennio la maggioranza della chiesa veneta ha sostenuto la destra e il berlusconismo. Sulla linea degli alti prelati Ruini, Fisichella, Bagnasco. Reciproci servigi. Tu chiesa mi garantisci voti, io Berlusconi ti foraggio le tue iniziative. Una cultura, quella del berlusconismo, fondata sulla illegalità, sulla deprivazione della coscienza personale, sulla narcosi dello spirito critico. La maggioranza del clero veneto ha preferito questa morale individualista (salva l’anima tua in cielo) anziché una predicazione capace di rifondare il rispetto delle leggi, il senso civico, il rispetto della “roba” di tutti. E così si sono visti sovvenzionare il piazzale della chiesa, il campo da calcio parrocchiale e opere del genere. Alla posa della prima pietra di un settore del Mose al Cardinal Scola, patriarca di Venezia, il Governatore Galan consegnò per la benedizione con due segni di croce una busterella da cento mila euro. Dove si è abituati od obbligati a pagare il sacro nemmeno si dubita che questo sia denaro tangente proveniente dai soldi dei cittadini. E’ tutto il sistema da rifondare, premessa una inversione di cultura. Di diversa opinione è solo Papa Francesco quando disse:” non rubare allo Stato per dare alla chiesa.” Ma anche lui su questo tasto a molti veneti comincia a dare fastidio. Sagrestia d’Italia: politici, amministratori, faccendieri del Mose da questa sagrestia sono usciti come loschi figuri escono dai deprecati covi delle mafie del sud. Solo una differenza di distanza geografica. Ovviamente i corrotti di questa retata vi diranno che non tutti sono uguali, che non si devono criminalizzare gli indagati prima della condanna, che bisogna attendere primo, secondo, terzo grado, cassazione e gargarismi del genere. Come in tutti i paesi civili fuori d’Italia: i sospettati ladri si dimettono e si fa pulizia. Diversamente noi siamo costretti a mantenerci le volpi nel pollaio per decenni. Tutto va in prescrizione e si ricomincia da capo come prima, peggio di prima. Una sola cosa a noi veneti nel mondo resta da fare: richiesta chiara e ferma di dimissioni dei responsabili inviando a: www.regioneveneto.it e www.comunedivenezia.it Grazie a internet colleghiamo tutti i circoli veneti nel mondo e tutti i singoli veneti cui sta a cuore l’onestà e il buon nome dei nostri politici, amministratori, rappresentanti. Della nostra storia!

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Albino Michelin
11.06.2014

DOPO LA MORTE SOPRAVVIVENZA O FINE DELLE ILLUSIONI?

Che l’uomo dopo la morte continui e, sopravviva nella cosiddetta vita eterna è un dubbio che da sempre ha assillato l’umanità e anche oggi, ancorché rimossa   e derubricata   nell'apparente   indifferenza, riemerge   sotto   altre   forme, magari, sostitutive, superstiziose, banalizzanti.  La risposta cioè viene rinviata, ma non eliminata.  Di recente in diversi quotidiani svizzeri è apparsa la conclusione di un’inchiesta sull’argomento. Sono state intervistate circa 1100 persone, dislocate in diversi cantoni, di diversa   estrazione sociale, di diverse etnie. Riassumendo in cifre tonde: l'80% si è dichiarato religioso, il 15% crede alla vita eterna, il 15% ad una certa continuità nell’aldilà, il 25 % non si pone il problema, il 25% dichiara che con la morte finisce tutto, il 9% spera nella   reincarnazione. Indubbiamente le risposte a tale tipo di inchieste vanno sempre un po' relativizzate, dipendono anche dal tempo a disposizione, dalla situazione psicologica, e da altre circostanze. Comunque  orientativamente sono indicative .In questo articolo non ci interessa elencare le   forme di sussistenza o sopravvivenza dopo la morte: se per metempsicosi , cioè trasmigrazione dell'anima  da un corpo  all'altro,  se a  forma  di  scheol, cioè  specie  di sotterraneo in cui  albergano i defunti  ridotti  a  larve come per  gli ebrei, a  forma di Ade  come  per  i classici greci  o romani, se a  forma di  inferi  come per  la discesa  di Gesù dopo il  venerdì santo, se a  forma  di Paradiso, purgatorio,  inferno,  come per  i  cristiani , se a forma di reincarnazione in a altre vite inferiori  o  superiori,  in riferimento  al  comportamento tenuto  nell'esistenza  terrena.  Qui a noi interessa la realtà ultima: se cioè dopo la morte resti permanente la nostra identità personale, sia pure priva di questo nostro attuale corpo.  E qui vi sono diverse opinioni. Apparizioni, prove dell’aldilà?  Molti indipendentemente dalla religione di appartenenza sembrano tenere la pillola della certezza in tasca.  L’aldilà esiste perché lo dimostrerebbero fatti inequivocabili.  Esempi: il ritorno dall’oltretomba, cioè da uno stato di coma permanente. Alcuni con nostalgia   raccontano di un mondo meraviglioso fatto di luci, suoni, musiche divine, mondo nel quale vorrebbero rientrare. Al riguardo libri come «La vita oltre la vita» circolano a dovizia, anzi in continuo aumento. Oppure i fenomeni di spiritismo, voci d’oltretomba, medium, ecc. o bioplasma comunicatisi da persona a persona, tavolini o oggetti semoventi. Per non parlare, altro   esempio, delle cosiddette apparizioni di santi e Madonne sotto varie forme e sembianze dal medioevo in poi: Lourdes, Fatima, Vergine delle lacrime, Mediugorje. Terra, colline, boschi, fiumi, fontane popolate da celesti messaggeri. Aggiungiamo, altro caso, fenomeni satanici, possessioni diaboliche, esorcismi, e via di questo passo. Indubbiamente in tale congerie di fenomeni andrebbe fatta pure una certa selezione. Perché nel primo caso chi ritorna dal coma, non torna dall’aldilà, ma dall'aldiquà. Quindi non prova nulla a favore di una eventuale sopravvivenza ed esistenza eterna. Sui fenomeni addebitati all'influsso satanico andrebbe riservato un discorso a parte, cioè prove di un altro mondo dove i cattivi siano condannati in eterno. Sulle apparizioni e messaggi ultraterreni forse il discorso va fatto con più attenzione. Per quanto nessuno di noi sia obbligato a crederci e resti libero di ascriverli ad allucinazioni personali o collettive il discorso potrebbe restare aperto. Cioè, più che una prova potrebbero costituire un indizio che qualcosa al di fuori e al di là del nostro presente possa esistere.  Parliamo di indizio e non di prova. Spesso anche a noi capita di dire che la nostra gioia è così grande che sprizza fuori dai pori della pelle. Trasponiamo l’esempio. Perché non si potrebbe   pensare   che   il «divino» riempia   talmente   la nostra creazione e la nostra umanità che talvolta per sovrabbondanza non sprizzi fuori dal suo contesto normale rendendosi visibile, udibile e   tangibile a noi? La domanda resta aperta, ma a priori non si può negare che questo rappresenti un indizio. 
                           Vita eterna, proiezione del nostro istinto di sopravvivenza?
Ciò premesso non vanno sottovalutate le obbiezioni che ci vengono poste da coloro che negano la sopravvivenza o che hanno grosse difficoltà nell'accettarla. La maggioranza così concettualizza la propria posizione, che poi altro non è che quella espressa già dal filosofo tedesco Feuerbach (1804-1872). La religione è una proiezione dell'istinto di sopravvivenza nell’uomo, anzi è un suo prodotto.  L'uomo si crea Dio a sua immagine e somiglianza.  L'uomo costatando di   essere debole, impotente, indifeso, frustrato si crea un Dio che nell’aldilà gli garantirà sicurezza, felicità, eternità. Per completezza a questa teoria possiamo aggiungere anche quella di Marx (1818 -1883). Egli sostiene che la religione è l'oppio dei popoli. Afferma che i potenti, i detentori   della ricchezza, i sapienti detentori della scienza, il clero detentore del sacro, e di tutto ciò che attorno vi circola, per garantire la conservazione dei loro diritti raccomandano al popolo pazienza, sottomissione, silenzio, rinuncia, sacrificio. Così dopo la morte verrà abbondantemente ripagato con il paradiso eterno. La religione e la sopravvivenza diventano una specie di droga che rende sopportabile e meno amara questa valle di lacrime. Entrambe le posizioni sembrano però troppo modeste per poter esaurire il potenziale continuamente rinascente della speranza. E qui si pone una serie di domande: escludere a priori un Dio e un aldilà non sarebbe ateismo arrogante? Questo istinto all'autoconservazione, alla felicità piena non potrebbe avere fondamento e una meta reale?  L’aldilà sarebbe solo un appagamento di antichi desideri infantili, di fantasie ancestrali dell'umanità?   Sarebbe «soltanto» questo, oppure «anche» questo? Certo dal desiderio della sopravvivenza non ne consegue che essa necessariamente vi sia. Ma nemmeno ne consegue che essa non vi sia, e che tutto finisca nel nulla. Ai desideri millenari dell'uomo iniziati con le raffigurazioni di risorti nelle caverne, sino alle nostre selezioni televisive, che ci rendono immortali per altri versi, può seguire anche il nulla e la delusione delle illusioni, però potrebbe seguire anche l’opposto, la sopravvivenza. La nostra ragione umana non è in grado di offrire una dimostrazione convincente, ma seppure riesce a dimostrare il contrario. Non è certo esatto sostenere l'esistenza dell'aldilà solo perché la si desidera ma è altrettanto sbagliato sostenere che non esiste solo perché non la si desidera o non ci interessa. Ripetiamo che non esistono prove scientifiche per affermare l’esistenza dell'aldilà e della sopravvivenza come non esistano prove scientifiche per escluderla. Abbiamo degli indizi, però sono maggiori e più numerosi quelli che potrebbero comprovarla, mentre sono minori quelli che potrebbero negarla. Come si vede, qui si va in fiducia, ma in una fiducia motivata razionalmente, cioè non si va alla cieca. E' quindi motivato osare un sì fiducioso nei confronti di tale evento. Queste considerazioni ci portano a ridurre alquanto l'importanza del Venerdì Santo, del Calvario, della Passione per dare risalto maggiore alla Pasqua, alla Risurrezione, alla sopravvivenza. Facciamo troppe battaglie attorno al crocefisso, simbolo tardivo nel cristianesimo, mentre si vedono pochissimi simboli di Cristo risorto. Carenza totale nelle case e nelle famiglie dove giganteggiano Padre Pio e tutte le schiere dei santi e beati ma nessun Cristo risorto. Culto del dolorismo senza speranza. La Risurrezione di Gesù invece è il simbolo che il dolore e la morte non avrebbero nel mondo l'ultima parola: è speranza sufficientemente fondata!

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Albino Michelin
01.12.2006

SOLO LA SVIZZERA TEDESCA NON AMA I DISABILI?

Tutti siamo a conoscenza che l'Organizzazione internazionale della Croce Rossa è sorta in Svizzera nel 1862 per iniziativa dello scrittore H. Dunant con lo scopo iniziale di organizzare soccorsi ai militari feriti degli eserciti belligeranti. Divulgatasi poi in tutto il mondo è diventata sinonimo di solidarietà verso le vittime delle disgrazie, delle catastrofi, delle sopraffazioni. Orbene i cosiddetti disabili fanno pure parte di queste categorie che meritano la nostra attenzione. Perciò l'anno in corso è stato a loro dedicato. In un mio articolo apparso su "Rinascita" del 7.3.2003 dal titolo: "2003, anno dell'acqua (indetto dall’'Onu), e del Rosario (indetto dal Papa), della Bibbia (indetto dall'episcopato svizzero)" ho tralasciato intenzionalmente di aggiungere anche quello dei disabili, allo scopo di riservargli una considerazione a parte. A metterci troppa carne al fuoco si diventa dispersivi, più opportuno sarebbe stato che le diverse istanze su citate avessero richiamato l'attenzione mondiale su di un'unica tematica, certo con risultati più visibili e concreti.
                                          La Svizzera tedesca non ama i disabili
 Il 18 maggio u.s. nella Confederazione elvetica ha avuto luogo una serie di iniziative popolari tra le quali anche quella dal titolo: "Parità di diritti per i disabili.” In molti eravamo convinti che la proposta venisse accettata a pieni voti. Invece ha vinto ancora una volta la paura di spendere, sconfitti gli ecologisti e i sostenitori dei diritti umani. Nella bocciatura determinanti sono stati i voti dei tedescofobi. Mentre nel territorio italiano, Ticino, il testo sarebbe stato accettato con il 54%, nel territorio francese, Giura, con il 55%, Ginevra con il 59%, nei cantoni germanofobi invece il testo è stato respinto: 58% a Basilea, 60% nei Grigioni, 80% nell'Appenzello interno. La culla della Croce Rossa ha in materia profondamente deluso. Tante le motivazioni o le scuse addotte: il testo chiedeva troppe cose e troppo in fretta, i costi sarebbero stati elevati e si sarebbero ripercossi sugli affitti e sui prodotti. Nonostante ciò la legge garantirà agli handicappati i loro diritti: gli edifici pubblici verranno nell'arco di 20 anni equipaggiati in modo da garantire l'accesso ai disabili. Cosi promettono i vincitori del referendum. Intanto campa cavallo, ci possiamo rispondere. Di fatto il popolo svizzero ha dimostrato di non voler fare sul serio nel campo delle pari opportunità con i disabili.
                                            In Italia è termometro di (in)civiltà
Il nostro fra gli Stati del Continente è quello che trascura di più questa categoria di persone, gli invalidi. Sembrerà strano in un paese dove esiste un massiccio volontariato valutato oltre i due milioni. Ma si sa, il nostro è il paese dei paradossi e delle contraddizioni più macroscopiche. In apparenza non ci manca la sensibilità. Visti da lontano noi italiani sembriamo affettuosi e caritatevoli. Le nostre leggi sarebbero anche buone, ma poi vengono disattese e non trovano finanziamenti adeguati. Basta leggere le lettere spesso disperate scritte ai giornali per costatare le umiliazioni, le ingiustizie, le truffe subite dai disabili. Gli invalidi “confinati" completamente non autosufficienti sono piu’ di un milione in Italia. Trecentomila di loro sono praticamente reclusi in un Istituto o in casa. Sono concittadini che la società allegra tende a dimenticare, cancellare dal programma urbano, dove c'è posto solo per gli spettacoli di eleganza e di efficienza. Se vogliamo ricuperare un po' di dignità in questa dimensione il nostro Paese dovrebbe: 1) Prevenire l'insorgere dell'invalidità, informare sulle terapie disponibili, esigere nuove strutture, promuovere diagnosi precoci fra i neonati, sostenere a domicilio le famiglie allo scopo di evitare nei casi estremi l'eutanasia e l'omicidio per amore. 2) Impedire gli incidenti sul lavoro, gli infortuni domestici, i disastri del traffico. Non rassegnarsi di fronte a queste minacce che fabbricano ogni giorno centinaia di invalidi. 3) l disabili occupati in Italia sono meno del 20% contro i 47% della media europea. Non si tratta di elargire posti come elemosina, ma comprendere che anche i portatori di handicap possono rendersi utili e che per esempio il telelavoro è alla portata di chi ha difficoltà motorie. Caso tipico a Roma la "Trattoria degli amici" promossa dalla comunità S. Egidio ha vinto il premio "Ristorante dell'Anno”, dove lavorano disabili psichici. 4) Intervenire sulle carenze dei trasporti. Basta guardare come sono fatti gli autobus, i treni, le metropolitane per accorgersi ·che la comunità finge di ignorare i problemi dei più deboli. Persino il nuovissimo Auditorium di Roma risulta scomodo per gli invalidi, i vecchi, per chiunque non sia in grande forma. 5) Ricordare le scuole. La finanziarie 2003, anno del disabili, ha addirittura tagliato il numero degli insegnanti di sostegno, già nel passato insufficienti e niente affatto specializzati. Chi aiuterà i bambini handicappati? Si rischia di ritornare al medioevo, alle confraternite, agli istituti dei preti e delle suore, alla carità pubblica. 6) Abbattere le barriere culturali. Le ditte italiane in genere non vogliono assumere disabili e molte famiglie si vergognano di mostrarli in pubblico. Da noi tutti devono essere giovani e belli. Persino negli alberghi si verificano episodi di autentico razzismo quando gli invalidi vengono invitati ad andarsene per non disturbare i sentimenti estetici degli avventori. 7) Vigilare sui bambini che possono diventare spietati contro i "diversi”, con la benevola protezione dei genitori. Come lo dimostra un recente caso, capitato in una nostra città, dove un gruppo di alunni umiliava un compagno Down. Il preside sospese i discoli dalla scuola. Non l'avesse mai fatto, male ne incolse. La madre di uno di loro invece di punire il figlio si è presentata con un avvocato per difendere l'innocente pargoletto dalla presunta ingiustizia.
Conclusione: nell'Europa scandinava i semafori emettono anche segnali sonori per agevolare il passaggio dei disabili. Piccola cosa, ma sintomo di notevole sensibilità. Da noi? Devono in tutto mobilitarsi gli interessati senza aspettarsi regali. Figli di San Francesco noi ci commuoviamo solo per cani e gatti abbandonati, dimenticando che il frate di Assisi baciava e fasciava i lebbrosi, i disabili del tempo. E non tanto per guadagnarsi un pezzo di paradiso, ma perché mosso da sentimenti profondi di giustizia e dal rispetto a tutti dovuto. Sempre e non solo nell'anno del Signore 2003.

Autore:
Albino Michelin
13.06.2003

venerdì 19 giugno 2015

RUOLO DELLA STAMPA ITALIANA IN SVIZZERA

"Ruolo della stampa di lingua italiana e diritto all'informazione degli elettori all'estero". Forse più estensivo sarebbe stato titolarlo "dei lettori all'estero". Circa una quarantina i partecipanti all’assemblea di inizio maggio 2003 compresi i relatori, che nella loro esposizione si rivelarono altamente qualificati: Franco Narducci segretario del Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero) ed altri. Organizzato dal “Corriere degli italiani” mancavano però altre testate importanti come L’Eco. Il che diede luogo a qualche osservazione, cui Giangi Creti tentò di rispondere che questa giornata di studio costituisce l'unica occasione per incontrare gli addetti ai lavori e tutti gli interessati al problema. Cui si aggiunse il presidente dell'associazione Antonio Spadacini sottolineando l'importanza di proporre anche in futuro tali occasioni, anche se la presente non avesse conseguito gli obiettivi di programma. Rimane comunque la sensazione che questo sia stato più un convegno della stampa cattolica in Svizzera.
                                                                 Numeri e testate
Bruno Zoratto diede una relazione dettagliata sulla galassia sconosciuta della stampa e media italiani nel mondo. Restando ai dati del 2001 abbiamo un patrimonio inestimabile di 390 testate, 113 giornali e riviste per una tiratura annua di oltre 100 milioni di copie, di oltre 150 radio con 178 mila ore annue, di 29 televisioni con oltre 28 mila ore di trasmissioni annue, che impegnano quasi 2.500 dipendenti, la metà dei quali a tempo pieno. Tutto questo patrimonio fu sostenuto dalla misera somma di due miliardi di vecchie lire, diventati nel 2002 quattro, ma sempre insufficienti per il ruolo e la funzione della nostra stampa periodica. Il Ministro addetto al settore ha chiesto addirittura l'aumento di 10 miliardi. Tralasciamo alcuni dettagli relativi alla tiratura e ai finanziamenti destinati alla nostra stampa di Svizzera. In ordine alfabetico giova comunque elencare le 4 testate dei settimanali principali: Corriere degli Italiani, L'Eco, La Pagina, Rinascita. Inoltre le due riviste: Agora e Dialogo. Ulteriori informazioni nella circostanza potrebbero risultare indiscrete.   
                                                                   Ancora utile? 
Sulla domanda si costata una diversità di opinioni. Una dubbiosa, così esemplificabile: fra i 350.000 italiani Svizzera 150 mila sono forse della seconda generazione, con scarsa conoscenza della nostra lingua e della nostra storia. Questa diventa sempre più un panda in estinzione. L'altra risposta più robusta e maggiormente condivisa: l'italofonia (la parlata italiana) denuncia in Svizzera un calo vistoso. Tocca alla stampa di emigrazione sostenerle ed evitare un impoverimento culturale. Le occasioni immediate non mancano, come ad esempio una chiara illustrazione sull'esercizio di voto nelle proprie residenze all'estero. Altre occasioni non mancheranno. Importante è comunque per il futuro ripensare il concetto di informazione e disinformazione. Ad esempio limitare al massimo fatti di cronaca che oggi la gente viene a conoscere attraverso centinaia di canali televisivi a domicilio per specializzarsi invece sul commento e sull'interpretazione agli stessi. Ogni settimanale secondo la sua ottica e i suoi punti di vista. Cosi anche le nostre testate in terra elvetica pur correndo su binari paralleli evitano l'omologazione e notizie doppione. Non ha importanza la destra e la sinistra perché ogni osservatorio da cui si affronta la realtà è portatore di un messaggio specifico. Non basta dunque raccogliere la notizia, ma bisogna crearla con una propria visione e motivazione.
                                                               Bollettini di missione
Nel Convegno del '99 Giangi Cretti disse: "la stampa dei missionari è una potenza terrificante ". Beh, dal punto di vista della quantità si, dal punto di vista della qualità il discorso si presta a degli interrogativi. Indubbiamente però la stampa confessionale, cioè i bollettini parrocchiali, hanno il grosso vantaggio del radicamento nell'ambiente. Costruiscono cioè, indipendentemente dai loro contenuti, un rapporto capillare con la comunità. Si parla di 100 mila copie inviate alle singole famiglie. Però si registra un movimento inverso e quello registrabile nelle testate laiche. Mentre queste aumentano a livello regionale e vengono sempre maggiormente sovvenzionate dalle varie istituzioni allo scopo di rafforzare l’identità e la democrazia, come conoscenza e analisi di realtà circoscritte, i bollettini di missione invece vanno scomparendo o accorpandosi o addirittura fondendosi con il Corriere nazionale, il quale spesso è infarcito di orari religiosi, messe e pellegrinaggi, come se la pastorale potesse quantificarsi ed esaurirsi nel "precetto" festivo. l bollettini di missione dovrebbero costituire gli avvocati a tutti i livelli di una comunità, diversamente svantaggiata e abbandonata. Meraviglia e stupisce in effetti come grosse missioni locali quali Zurigo e Uster abbiano liquidato il loro mensile nell'unico foglio di categoria (Corriere d.l.), facendo perdere alla gente il senso della propria identità locale. La difficoltà finanziaria nel caso potrebbe essere solo una scusa, bisogna chiederci dove preferiamo investire i nostri soldi, in quale pulpito.
                                                                Par condicio
Gli italiani in Svizzera hanno il diritto di venire informati e tutte le aggregazioni (Centri, Missioni, Associazioni) hanno il dovere di informare. Questo dovere compete in primis alle missioni, anche per coerenza al titolo del Convegno. Orbene anche se testate dei nostri settimanali esistesse una litigiosità sotterranea (ammesso e non concesso), le missioni dovrebbero dare esempio di imparzialità e di apertura. In molte missioni non vengono esposti al pubblico certi settimanali perché di destra e contengono discorsi sui preti pedofili, altri perché di sinistra a difendere i pacifisti e sfoggiare poppe e chiappe delle star del momento, altri perché senza identità pubblicano articoli di qualche missionario in cerca di protagonismo e vittima di frustrazioni. Insomma o per un motivo o per un altro vengono cestinati settimanali non graditi al prete. E così si istaura un clima di oscurantismo, di ghettismo culturale, di arretratezza. Solo il Corriere degli Italiani deve campeggiare, magari distribuito ancora alle porte delle chiese quale buona stampa da suore, formichine e galoppini. Non ci passa neanche per la mente che questo tipo di lettori potrebbero essere soltanto delle anime morte. Solo il Corriere degli italiani deve esibirsi nelle sale delle Missioni fra libricini di P. Pio, coroncine del Rosario, novene di S. Antonio. Va bene cosi, ma non solo così!  
                                                             Un terzo convegno? 
Certo sarebbe utile, evitando però di parlarsi addosso. Anzitutto andrebbe preceduto da uno studio preliminare sui contenuti del "Corriere d.I.". In effetti al presente la sua linea è un po’ troppo involutiva, di restaurazione. Cioè non cattolico, se per cattolico intendiamo universale, aperto al confronto, al dibattito, alla diversità di opinioni in campo ecclesiale, a tribuna dei lettori franca e alternativa in un dissenso costruttivo. Esso è figlio di 90 padroni (missionari, suore, operatori pastorali) portati più alla conservazione del vecchio che alla ricerca del nuovo, figli di una società che ci manipola verso una pigrizia intellettuale di comodo. C’è da complimentarsi con il suo direttore se riesce a stare in equilibrio con tanti binocoli puntati e cecchini pronti a sparare. Premesso tale esame dei propri contenuti andrebbe sollecitato un organismo super partes; composto da Comites, Consigli Generali, Consolati per la programmazione di un tale convegno. Facendo però attenzione che non sia il Corriere ad invitare le altre testate, ridotte cosi a semplici scaldabanchi ed elementi decorativi, ma che tutte le testate stesse siano partner a pari diritto e opportunità. Come si vede, è un problema di modi e non di sostanza. Ma con ciò se ne avvantaggerebbe tutta la stampa e particolarmente gli italiani in Svizzera che quali destinatari hanno il diritto all’informazione e alla formazione.

Autore:
Albino Michelin
25.05.2003