martedì 17 dicembre 2019

CODICE MORALE: SUICIDIO, RIMORSO, PENTIMENTO

Due fra gli innumerevoli casi che succedono possono indurci  ad esplorare il complesso mondo  della nostra coscienza. In un'aula del  tribunale il 29.11.19 un friulano di 38 anni F.M. condannato all'ergastolo dichiarò: "non merito il perdono, ho paura anche di chiederlo vista la gravità di  quanto compiuto". Si riferiva all'omicidio della fidanzata ventenne compiuto due anni prima, dopo il  quale vagò tutta la notte con il cadavere in macchina. Il giorno seguente fu trovato impiccato nel giardino  di casa . Contemporaneamente e  lo stesso giorno  il  settantenne svizzero V.P. da 25  anni  in    carcere  per violenze a donne e bambini, esausto da una vita senza affetto e senza relazioni  umane, fece pressante richiesta alle autorità competenti di  terminare i  suoi giorni con suicidio assistito nelle strutture adeguate dette della dolce morte. Due episodi di rimorso e di  impossibile pentimento dagli  esiti  fatali. Anche il  vangelo ci  riporta qualche caso del   genere: Pietro e  Giuda. Pietro aveva tradito il  maestro spergiurando di non  averlo mai  conosciuto in   vita sua, ma dopo il canto de gallo si ricordò di quanto predetto da Gesù. Uscì dal cortile del pretorio e pianse amaramente. L'altro caso, quello di Giuda, il  quale dopo aver venduto Gesù  per  trenta denari angosciato andò nel  tempio e gettò le trenta monete davanti ai  sacerdoti dicendo: "ho peccato tradendo il  sangue di un innocente". E uscito andò ad impiccarsi. Entrambi sentirono il rimorso del   tradimento compiuto. Il  più grave è quello di Pietro, perché tradire un  amico non è cosa da poco,  forse meno quello di Giuda perché vittima della passione del denaro. Il  primo si pentì, l'altro almeno apparentemente no,  in quanto l'evangelista Matteo calcò forse la mano perché non  godeva buon  sangue verso il  gruppo degli zeloti  di cui l'iscariota faceva parte. Anche se  in  dimensioni diverse rimorso e pentimento sono entrambi due emozioni della sofferenza di  un'anima  che pure noi  forse abbiamo sperimentato o potremmo sperimentare. Talvolta connesse hanno esiti  diversi. Il  rimorso è un disturbo profondo della personalità, legato al  senso di colpa che nasce dalla consapevolezza spontanea o causata dalla pena  sociale di avere  infranto un  codice morale, di  natura religiosa o laica,  poco importa, in cui però si recepisce il  confine fra illecito e lecito. Il rimorso riguarda il passato, ciò che non avremmo dovuto o voluto fare. Il pentimento non va confuso con rimpianto in   quanto questo è un rammarico ed un dispiacere per non   aver potuto o voluto fare qualcosa, che al  presente non può più  tornare. Esempio, quello di  un ragazzo che casualmente incrocia una bella ragazza, vorrebbe fermarla e  chiederle  il  numero del cellulare, ma quella senza avvedersene prosegue per la sua strada. Nel giovanotto resta il rimpianto di un'occasione perduta e irrepetibile. Il rimorso riguarda ciò che abbiamo scritto, il rimpianto ciò che è andato perduto e che ci riempie di nostalgia. Nulla a che vedere con il pentimento, conseguenza di una colpa. Il rimorso conduce solo a se stesso e appare insolubile. Il soggetto si identifica con la propria colpa, bloccato in un tunnel senza via d'uscita. Fortunatamente talvolta può maturare e passare verso un pentimento. In quest'ultimo avviene una separazione fra la colpa e l'io, uno spostamento dalla colpa all'io. L'io sente che ha ancora qualcosa da fare, che esistere ha ancora un senso. Nel rimorso si è faccia a faccia con a propria colpa, nel pentimento invece si registra un disagio attivo, di una nuova disponibilità. Il rimorso porta la pena della propria disperazione che non vede vie d'uscita, (primo caso e Giuda) mentre il pentimento intravede l'avvenir e, è convalescenza, un incipit della ritrovata salute interiore e spesso psicosomatica (caso di Pietro). Il rimorso parte dalla consapevolezza del bene e del male, e della loro distinzione, non importa se per una legge morale o religiosa o laica. Complesso invece e multi causale è l'incontro con persone che non hanno nessuna coscienza, oppure dichiarano di avere una propria coscienza, ma senza mai provare nessun rimorso, tanto meno pentimento, pur abbandonandosi ad ogni tipo di corruzione organizzata, malavita, micro o macro criminalità. Magari ostentando grande successo e auto compiacenza. Patologia e fragilità mentale che può diventare seriamente nociva a se stessi e alla comunità umana. Di qui si impone la necessità di un codice morale. Indubbiamente un'osservazione va fatta alla chiesa cattolica per aver fiaccato molte anime a causa del suo terrorismo psicologico, senso nevrotico di colpa, rimorsi e incubi da inferno permanente, ma tutto ciò non toglie la necessità di un codice morale. Ne hanno sentito bisogno tutti i popoli fin dall'antichità e non vi è nessun motivo plausibile a che la modernità l'accantoni come anticaglia inutile. Dal codice di Hammurabi degli antenati babilonesi alle leggi di Mosè con i 10 comandamenti, alle 12 Tavole romane, alla Magna Charta degli Stati moderni, con le loro costituzioni e accordi internazionali. Fino ad oggi non siamo ancora riusciti a promulgare un codice etico internazionale di valori condivisi. Esempio "tutti siamo uguali di fronte alla legge, senza distinzione di razza, di sesso, di religione." Ovvio che non si potrà mai avere perfetta omogeneità stante le diverse tradizioni, come chi utilizza ancora la pena di morte, chi lapida gli omosessuali, chi schiavizza la donna, ma almeno un codice di riferimento ci vorrebbe. Per alcuni può essere la Bibbia, per altri il Corano, per altri il Veda, per altri i pensieri del Budda. Però senza regole che ci aiutino a distinguere il bene dal male il pianeta non è un’aiuola che ci rende tanto felici, ma uno sterpaio da giungla. Specie nel nostro tempo nel quale l'uomo si identifica con il superuomo non di Nietzsche, ma super economico, che non viene apprezzato per la cultura, il buon senso, il senso civico, la solidarietà con i propri simili, ma per la quantità di beni materiali e per la loro sfacciata visibilità. In un mondo in cui si costata una fuga dal reale per vagare nel ipereale. O si comincia con le nuove generazioni dai bambini insegnando loro le regole, i confini fra il bene e il male, l'igiene della coscienza pure con un terapeutico senso di colpa attraverso cui imparare anche a chiedere scusa a se stessi e agli altri, tutte cose che fanno riferimento ad un codice morale. Oppure diamo ragione ai movimenti giovanili di Greta e delle Sardine, i quali pur non sapendo ciò che vogliono, sanno però ciò che non vogliono. Non vogliono un mondo caotico e senza regole come dalla nostra generazione alla loro consegnato

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Albino Michelin
30.11.2019

domenica 15 dicembre 2019

QUELLE PERSONE NORMALI CHE FANNO LA DIFFERENZA

Cartesio filosofo e matematico soleva dire verso il 1620:” penso quindi esisto”. Oggi invece quattro secoli più tardi pare vi sia una voglia quasi maniacale non tanto di pensare quanto di apparire. Di qui il logo:” appaio, quindi esisto”. E’ un fenomeno di massa che si riscontra in tutti gli ambiti della comunicazione, giornali, riviste, tv. In realtà anche se tu non sei nessuno e non conti nulla basta che tu riesca ad infilarti in uno di questi canali e avrai l’universale riconoscimento e consenso. Succede che persino un fattorino dei boss mafiosi o un cuoco dell’ndrangheta se riesce a far capolino da quelle parti diventi pure una star. E tante donne sconosciute nel nostro mondo un po’ patriarcale arrivano a splendere tra i riflettori dei palcoscenici solo perché mogli, fidanzate o figlie di qualche celebre maschio. Non c’è posto per le persone quotidiane e ordinarie. Eppure è qui in questo periodo così voglioso di pettegolezzi, di trasgressioni, di scandali, di malaffare, di mostri sbattuti in faccia che vale la pena contrapporre storie di ordinario eroismo. Persone comuni che grazie alle loro azioni straordinarie si sono trasformate in eroi quotidiani mettendo in pericolo la loro vita per salvare quella degli altri. Per quanto si viva in una cultura di superman, siano reali o di cartapesta, bisogna convincersi che se il mondo va avanti è perché si sostiene sulla gente normale. Leggendo la storia della seconda guerra mondiale si potrebbe pensare che gli Stati Uniti abbiano vinto con tre personaggi: Eisenhower, Mac Arthur, e Patton. Tuttavia tutti sappiamo che a vincere le guerre non sono i generali ma i soldati, i quali lottano e muoiono restando anonimi, e finiscono nel mucchio dei militi ignoti. Pensieri del genere possono saltar fuori anche dal Vangelo di Giovanni quando viene a parlare dell’apostolo Andrea, un tipo dalla biografia scarsa e senza peso specifico. Persona normale, ma è lui che presenta a Gesù suo fratello Pietro, l’uomo che dovrà diventare il leader del gruppo apostolico e sulla bocca di tutti quale iniziatore del papato. Ed ancora in altro caso Andrea indirizza Gesù da un ragazzo dei cinque pani e due pesci perché sfami una moltitudine di esausti. In altra circostanza ancora è Andrea che conduce a Gesù un gruppo di greci, chiamati Gentili e impuri in quanto non riconoscevano la legge di Mosè, affinché il maestro potesse rivelare loro alcuni dei suoi messaggi. Andrea intermediario che agisce sempre come persona normale, ma grazie a lui le cose normali diventano eccezionali. Vale la pena qui collegare e citare qualche caso, fra i tanti sconosciuti e che può costituire un seme di speranza per il nostro tempo. E quindi ci fa capire che non risponde a verità essere il nostro mondo posto nel maligno, come da tanti ecclesiastici paventato, o marcio come da tanti catastrofici apocalittici affermato. Ci si permetta di estrarne alcuni dal florilegio quotidiano. Ramy, ragazzo egiziano musulmano nel marzo del 18 salva una cinquantina di compagni di classe nel pullman andato a fuoco a S. Donato Milanese. Fabio Caramel, veneziano di 26 anni salta una partita di calcio per donare il suo midollo spinale ad una donna gravemente malata. Moustapha Al Aoudi, ambulante arabo, salva a Crotone in Calabria nel novembre 18 la dott.ssa Nuccia Calindro aggredita con un cacciavite da uno sconosciuto. Rosaria Coppola di Napoli nell’autunno del 18 difende in treno un ragazzino del Sri Lanka vittima di aggressioni verbali da parte di un passeggero. La famiglia Crippa del trentino adotta dal 2003 al 2006 otto giovani etiopi rimasti orfani a causa della guerra civile. Un auto con intera famiglia in Abruzzo nell’estate 2012 scivola in un fossato e un marocchino che passa nota la tragedia, si toglie i vestiti, si getta nell’acqua, estrae le tre persone che stavano per affogare. Scappa subito perché clandestino dicendo:” ho fatto solo il mio dovere”. Igor Gnocchi allenatore di una squadra ci calcio giovanile nel bergamasco, a maggio del 2018 ritira dalla competizione tutta la squadra perché un suo giocatore da’ del razzista ad un avversario e si spiega:” nessuna coppa vale la dignità di un ragazzo”. Nella primavera del 19 succede un crollo di una palazzina a Matera, sotto la quale resta in pericolo di vita la cinquantenne A. Portarulo con difficoltà deambulatorie. Vasilec Damian, cinquantenne rumeno disoccupato edile da 11 anni in Italia, la trae in salvo. Un ultimo caso non recente seppur sempre attuale, quello di Gino Bartali (1914-2000), noto campione di ciclismo, meno conosciuto come carattere. Nel maggio 2018 all’inizio del Giro d’Italia in partenza da Gerusalemme viene definito” giusto fra le nazioni” perché nella la guerra 1940-45 salva 800 ebrei nascondendo durante gli allenamenti nel telaio della bici documenti falsificati. Al termine della rischiosa impresa ebbe a dire che il bene si fa ma non si dice e che le medaglie si attaccano sull’anima e non sulla giacca. L’elenco potrebbe bastare, ma sono sufficienti questi pochi casi per sentirsi finalmente uscire dalla palude dell’odio e della malvivenza e respirare un po’ di aria salubre. Non si è voluto qui enfatizzati i casi di generosità degli stranieri, sono solo un’eccezione che conferma la regola. Modelli da seguire indipendentemente dalla nazionalità e cittadinanza. A nessuno di noi mancano i requisiti per svolgere un ruolo di conforto e di solidarietà quando le necessità si presentano. Tanti hanno trovato le parole giuste, al momento giusto, da una persona giusta che li ha fatti scegliere una strada anziché un’altra, determinando addirittura il corso della loro vita. E magari quella era una persona comune, un “andrea” qualunque. La maggioranza di noi non è fatta di generali che vincono le battaglie, di politici che presiedono parate nazionali, di cardinali e vescovi che predicano sul trono, di industriali dirigenti di prestigiose aree produttivei, di giornalisti e conduttori televisivi di pubblica risonanza, ma di gente capace di fare la differenza in un mondo tanto qualunquista e distratto.Tutti possono essere come Andrea, il santo patrono della gente comune.

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Albino Michelin
06.11.2019

venerdì 13 dicembre 2019

LETTERA APERTA ALLE DONNE CHE AMANO I PRETI

Al momento siamo punto e a capo. Questo in riferimento al sinodo Pan-amazzonico tenutosi a Roma dal 6 al 27 ottobre 2019. Si conoscevano già all’inizio e da tempo le pressioni arrivate al Papa Bergoglio in occasione di questa assemblea in cui 180 ecclesiastici dovevano decidere anche sulla annosa questione del celibato dei preti, libero e facoltativo e sulla possibilità di ordinare preti anche padri di famiglia, caso comune fra i cristiani protestanti. Argomento già posto sul tappetto al Concilio ecumenico del 1965. Dopo 50 anni ed oltre è stata effettuata anche una votazione consultiva la quale ha dato 128 favorevoli al libero celibato e 41 contrari. Il problema è che la decisione definitiva passa a papa Bergoglio, il quale è molto aperto alle riforme se le contestualizziamo nelle sue espressioni, specie quelle pronunciate a braccio in aereo, ma poi diventa molto trattenuto al momento di procedere alle decisioni. Il tutto dipende dalle minoranze molto aggressive, composte non solo dai chierici dell’istituzione, ma soprattutto dai cattolici fondamentalisti che non cessano di osteggiarlo e di reclamare la sua deposizione in quanto anticristo. Si trova fra due fuochi: quello dei conservatori che capeggiati dal Card. L. Müller minacciano di uscire dalla chiesa se abolisce questa tradizione, quello dei riformisti che capeggiati dal Card. R. Marx ugualmente minacciano scissione se intende mantenere questo obbligo. Un discorso che in fondo sembra abbastanza irrilevante se pensiamo che Gesù, punto referenziale del Cristianesimo e della chiesa, non è stato un misogino cioè non ha obbligato gli apostoli a lasciare le loro mogli. Anche Bergoglio nelle sue consuete aperture a braccio ritornando da un viaggio intercontinentale ebbe ad affermare che il celibato dei preti non è un dogma. Ma, come detto, siamo ancora punto e a capo. Nel ridiscutere, ripensare, rinviare. In questa nebulosa e in attesa di qualche spiraglio vale la pena anche lasciare la parola a persone interessate e toccate dalla vicenda, perché la vivono sulla propria pelle: i preti sposati, le loro mogli, le donne innamorate dei preti. I sacerdoti cattolici nel mondo sono all’incirca 415 mila, in Italia 48 mila. Quelli che hanno lasciato sono 55 mila nel mondo, 5 mila in Italia. Una percentuale variabile sul 12-13 %. Dal 1981 si sono costituiti anche in una associazione chiamata Vocatio, attualmente con 400 aderenti, a significare che essi si sentono totalmente preti anche se sposati, coinvolgendo pure le proprie spose. Costoro vengono definiti con terminologie non del tutto felici, come, spretati, tonaca alle ortiche, traditori, ribelli quando invece si potrebbero elencare fra coloro che hanno cambiato professione. Anche se alcuni cattolici possono obbiettare che il sacerdozio è una vocazione, altri possono con s. Paolo rispondere rovesciando il discorso che invece ogni professione è vocazione e andrebbe vissuta come vocazione. Una chiamata di Dio si tratti di un politico, di un ingegnere, di un operaio, di una cameriera. Qualche anno fa (2014) 26 donne mogli di ex-preti scrissero una lettera al papa sottolineando che la loro situazione era vissuta con grande sofferenza e che i loro mariti si sentivano anche se sposati desiderosi di un servizio a tempo pieno nella comunità cristiana, parrocchia o gruppi di fede. Nessuna risposta. Sempre sull’argomento vale la pena citare una lettera di Fiorenzo De Molli, milanese, 48 anni, 17 dei quali passati come sacerdote, che a 41 anni ha chiesto al Card Martini, suo vescovo, la dispensa dal celibato, e quindi a malincuore dovette escludersi dal ministero. Nel 2002 ha celebrato il suo matrimonio in chiesa, senza tante pompe e secondo il rituale cattolico. Ecco la sua lettera aperta alle donne:” sono marito e padre di due splendidi figli di 12 e 8 anni. Mi è sempre piaciuto fare il prete, il senso più profondo della mia vita. Ero cosciente al momento dell’0rdinazione e contento di accettare quanto mi veniva proposto. A 24 anni sapevo di volere e intendere. La vita di prete l’ho vissuta da appassionato, dedicato al servizio della gente, specie dei poveri e degli ultimi. Ma la mia esigenza affettiva era col tempo non più in sintonia con il resto della mia vita. Probabilmente in seminario non sono riuscito o non sono stato aiutato a far crescere con realismo la mia affettività. Però la vita ti presenta il conto e non puoi mai dare nulla per scontato, per cui il problema affettivo mi è scoppiato fra le mani. Non ostante il confronto col vescovo e con altri preti i nodi sono rimasti irrisolti e mi sentivo solo. Quando ho incontrato una donna che mi ha scritto e mi ha detto:” io mi sono innamorata di te e tu che fai?” Sono rimasto male con momenti di grande depressione. Ho cercato di capire, di decidere. Ora sono un marito e un uomo felice, ci sono arrivato dopo 40 anni perché prima non ero maturo per una scelta così importante. Sono un papà realizzato, la mia fortuna più grande è di aver trovato una donna forte e determinata che mi ha chiesto” e tu che fai?” Non c’era spazio per sconti, sotterfugi, scorciatoie, doppia vita. Ero chiamato a scegliere, è stata una scelta dura, ma ne valeva la pena. Care donne, chiedete al vostro uomo di cui siete innamorate:” ma tu che fai?” Dategli tutto lo spazio e il tempo perché possa scegliere ciò che è bene per lui e di arrivare ad una scelta la più limpida possibile. Siamo chiamati a vivere alla luce del sole, è un diritto dei preti, un diritto vostro. Sarete sicuramente più felici di quanto non siate adesso. Poi solo se tranquilli e sereni potremo ragionare sul celibato e soprattutto sulla maturità umana e affettiva”. Questa lettera aperta di Fiorenzo arriva veramente alla radice del problema, cioè al celibato obbligatorio o meno del prete. Chi lo desidera e ne è capace faccia il prete celibe e uomo realizzato, chi desidera una famiglia propria faccia il prete sposato. Una risorsa per lui, per la parrocchia, per la chiesa tutta. Per inciso Fiorenzo ex prete sposato non si è dato alla bella vita, ma ha assunto la responsabilità della Casa Carità A. Abriani, servizio sociale di supporto alla persona e alla famiglia. Con il sinodo della Pan amazzonia siamo a sperare in una soluzione almeno differenziata secondo le regioni del nostro globo, ma fra breve. Perché il mondo brucia. Più difficile sarà il sacerdozio per le donne. Perché purtroppo si insiste nell’ identificare l’ideologia patriarcale (la donna è inferiore al maschio) con la teologia (Dio non vuole la donna prete perché inferiore al maschio). Questo sarà l’ultimo tabù o totem da superare. Dio non è misogino, forse la chiesa istituzione un po’ troppo sì. Una speranza: che col tempo la chiesa in questa discriminazione si lasci da Dio convertire.

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Albino Michelin
31.10.2019

mercoledì 11 dicembre 2019

COLONIZZAZIONE NON È EVANGELIZZAZIONE


È un’espressione tipica di Papa Bergoglio quando il 6 ottobre 19 disse:” quante volte il dono di Dio è stato imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione”. Certamente è una riflessione sul metodo piuttosto che sulla sostanza. Però non bisogna sottovalutare il messaggio. Se pensiamo all’America del 1500 dobbiamo subito anticipare che la religione non è arrivata sulle tre caravelle di Cristoforo Colombo. Vi è una presenza di Dio in tutte le popolazioni e relative culture anche in quelle precolombiane e preconizzate perché da sempre l’uomo, secondo un antico adagio è “capax Dei”, capace di Dio. Come dicevano già S. Giustino (160 d. c.): ”la rivelazione di Dio ha sparso i suoi semi in tutto l’universo” dall’inizio del mondo sia nella saggezza indiana come nella civiltà dei maya e degli aztechi. Dio è tanto grande da aver permesso ad ogni gruppo umano una visione di versa di lui. E’ talmente infinito che nessun gruppo umano può vantare il privilegio di esaurirne la percezione. E’ comunque fuori discussione che in passato la diffusione del Cristianesimo sia avvenuta mediante i colonizzatori che adottarono diversi metodi: sradicare totalmente i riti dei residenti o assimilarli, o sostituirli o piuttosto di niente accettare la contaminazione reciproca attraverso l’inculturazione. Caso abbastanza noto quello della religione romana, che i cristiani definivano pagana perché praticata da coloro che vivevano nei pagi, cioè nelle campagne. Dove i romani aveva posto le loro divinità a protezione del territorio, ad esempio Dana nelle selve e nelle acque, oppure Cerere a salvaguardia delle biade, i cristiani spazzavano via sostituendole con Maria Vergine delle acque e S. Isidoro patrono del raccolto. Ugualmente successe con il pantheon che riuniva tutti gli dei romani: la chiesa per impulso del re francese Luigi il Pio (835 d.C.) ripulì il monumento introducendo la festa di tutti i santi del primo novembre .E siccome fra i celti irlandesi scozzesi del nord si celebrava la festa detta pagana di Halloween (in inglese tutti i santi) in cui le popolazioni festeggiavano il ritorno per un giorno alla vita dei propri morti, la chiesa operò anche colà la sua sostituzione aggiungendo il 2 novembre quale giorno dedicato alla commemorazione dei defunti. Per inciso la sostituzione non ebbe molto effetto se oggi noi costatiamo che Halloween fa capolino da tutte le parti insieme con la celebrazione cattolica per la grande gioia dei bambini che si travestono con maschere spesso macabre per disturbare la gente, mentre gli adulti preferiscono esporre alle finestre zucche a teschio illuminato da un cero. Si trattò di sostituzioni indolori. Ma con gli attivi dal 1400 in poi specie ad opera di spagnoli, portoghesi, olandesi ed altri si ebbero delle vere colonizzazioni ed imposizioni della religione propria dei conquistatori. Persino l’obbligo del battesimo, con lo slogan: o battesimo o morte. Da parte degli indigeni talora vi furono delle resistenze perché estraneo a loro il linguaggio dei dogmi cattolici. Significativa la traduzione del Padre nostro in cui si dovette rivedere la formula” venga il tuo regno”. Incomprensibile per i locali la parola regno, non entrava nella loro tradizione. Si dovette tradurre con:” Signore, risuoni il tuo tamburo dentro la foresta.” Grammaticalmente uno strafalcione, ma senso perfettamente esatto perché rispondente alla cultura Indios. Colonizzatore o missionario non può portare in quegli ambienti vergini tout court la propria teologia romana senza tener conto delle sfumature locali. Nel caso su citato si tratta di contaminazione o combinazione interculturale. E quando nel 1635 a Guadalupe nel Messico apparve la Madonna non si presentò con l’abbigliamento europeo o del suo paese natale Nazareth ma con quello di una morenita, meticcia, grande mantello colorato, per di più incinta. E nella sua narrazione al veggente Diego parlando di Dio usò il linguaggio locale chiamandolo Tialoc, tipico degli Aztechi. Anche in questo caso un automatico adeguamento, anche se forzato, del Cristianesimo alle tradizioni locali. In altre situazioni invece la cultura del luogo venne osteggiata da parte dei colonizzatori causando pure delle guerre e martirio a diversi missionari spesso considerati fiancheggiatori degli occupanti. Per cui oggi è auspicabile tendere alla evangelizzazione nel senso su accennato di “interculturazione”, cioè incorporare alcuni elementi propri dei destinatari, senza per questo dimenticare il messaggio essenziale del Cristianesimo. Se si vuole ad esempio evangelizzare il Benin, paese africano di 11 milioni di abitanti, bisognerebbe tener conto della loro religione vudu, dalle origini ancestrali quanto l’umanità. Al di là di ciò che noi chiamiamo superstizioni potrebbero darci il senso di Dio come spirito universale che anima ogni cosa, il rapporto con la comunità dei defunti. Non hanno solo gli stregoni, l’uccisione della gallina, la reincarnazione. D’altronde a pensarci bene, quale differenza nella sostanza fra i nostri santi, i nostri sacrifici per ottenere la benevolenza del cielo, il nostro purgatorio? Pare che in fondo nell’inconscio collettivo ci troviamo tutti sulle stesse realtà con nomi e piccoli dettagli diversi. Lo stesso dicasi dei paesi orientali, tipo India. Giusto evangelizzare, ma opportuno sarebbe anche essere dagli induisti evangelizzati. Perché un po’ di spiritualità, di meditazione, di silenzio interiore noi così pragmatici sul fare, sul produrre, sul guadagnare, così stressati dalla tecnologia qualcosa avremmo pure da imparare. Senza dimenticare che oggi la preoccupazione principale nel nostro mondo planetario l’evangelizzazione consisterebbe nel portare promozione umana e dignità a tutti coloro che dai colonizzatori con la conversione al Cristianesimo hanno subito schiavitù, confische e miseria.

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Albino Michelin
23.10.2019

martedì 10 dicembre 2019

IL GRIDO DELL' AMAZZONIA PER UNA SPIRITUALITÀ DEL CREATO

Quando gli antichi romani non riuscivano ad invadere un territorio inesplorato registravano sulla loro carta geografica:" hic sunt leones" qui ci sono i leoni. La stessa cosa potremmo dire oggi di molti contemporanei i quali dell'Amazzonia sono quasi totalmente ignari. Per cui vale la pena entrare in merito con una breve presentazione del territorio e dell'evento sinodo svoltosi dal 6 al 27 ottobre 2019, cioè un'assemblea in cui si sono dati convegno i rappresentanti dei vescovi del mondo. Preparato da tempo, ma ritornato di attualità causa gli innumerevoli incendi, circa 83 mila soltanto dallo scorso gennaio. Papa Bergoglio ideatore dell'assise, autore dell'enciclica "Laudato sì" a difesa dell'ecologia, e dell’ambiente ebbe a dire ai convenuti:” i roghi sono contro Dio “. Per cui una riflessione non sarebbe fuori luogo. Il nome Amazzonia deriva dalla guerra tribale che nel 1542 gli spagnoli condussero contro gli indigeni, la maggioranza donne, che in riferimento alle mitiche guerriere dell'antica Grecia furono chiamate amazzoni, perché per tirare l'arco si amputavano il seno. Siamo nel sud America, territorio con 6 milioni di km2, con una superfice oltre metà Europa e 18 volte superiore all'Italia. Stato federale che lambisce e si incunea in 9 paesi: Brasile, Bolivia, Columbia, Equador, Perù, Venezuela, Surimna, e le due Guyana, 34 milioni di abitanti di cui 3 di indigeni, appartenenti a 390 etnie, afrodiscendenti, coloni, contadini, con una maggioranza che si sposta verso i centri e le città. La più grande foresta fluviale del mondo, un bacino idrografico che rappresenta una delle maggiori riserve di bioverde dal 30 al 50% della flora e fauna nel mondo, 20% dell'acqua dolce non congelata, più di un terzo dei boschi primari, importante fonte di ossigeno per tutta la terra. Gli abitanti vivono in rapporto vitale con le varie popolazioni e le acque dei fiumi a seconda dei movimenti ciclici di inondazioni e siccità. Le ricchezze delle foreste e dei fiumi minacciate da enormi interessi economici esterni, deforestazione indiscriminata, contaminazione di acque e di laghi, fuoriuscite di petrolio, estrazioni minerarie, produzione incontrollata di droga, traffico di donne e bambini a scopo sfruttamento, aumento di monossido e biossido di carbonio causato dagli incendi. Quadro sintetico che si presta però ad una interpretazione ampliata e ad   riflessione sul creato. Tutto il nostro mondo si tiene con tutto. Abbiamo già avuto e continuiamo a subire fenomeni sempre più globali di riscaldamento e inquinamento dell'ambiente, da Cernobyl del 1986, con 41 decessi senza contare le conseguenze, e tanti altri fenomeni attuali come la nostra llva di Taranto, la Miteni del Veneto e una serie di incontaminazioni ambientali. Da non sottovalutare fenomeni come il riscaldamento dell'ambiente, del clima, come le manifestazioni Greta-giovanili. Qui bisogna cambiare passo, capovolgere i nostri rapporti non solo con l'Amazzonia, ma nei confronti della terra tutta, del cosmo, della natura, dell'universo creato. Non considerare più il creato in un rapporto egoistico e. provinciale, bisogna passare "dall'egologico all'ecologico". Le nostre religioni devono dare più spazio alla spiritualità nei confronti della terra come fecero s. Benedetto, s. Francesco e diversi ordini religiosi del passato. Ci siamo fossilizzati troppo su una religione dualistica, "caduta-redenzione". Cioè: Adamo ha peccato, tutti siamo peccatori, è venuto Gesù a redimerci dalla colpa originale, noi dobbiamo con il sacrificio e l'ascesi guadagnarci la salvezza eterna. Conseguenza: fuggire da questo mondo, stare alla larga. Modello troppo parziale, individualista ed egoista. Ma il nostro rapporto con il cosmo e con il mondo come lo sistemiamo? La creazione è interdipendenza, la nostra spiritualità consiste nel sentircene parte. Nel creato tutto è in reciproca connessione. Niente può avere sussistenza con sé stesso se non vive in connessione con ogni altra realtà. La connessione è all'origine e alla base di tutto, perché tutto è energia spirituale e noi ne facciamo parte, noi apparteniamo alla terra e al creato. Arroganza il pensare e agire come se la terra e il cosmo ci appartenessero, non siamo inquilini ma gestori e parte integrante. Non possiamo abusarne per i nostri intendimenti, fantasie, interessi. Non è possibile vivere, almeno oggi non lo è più, sentendoci estranei a qualsiasi processo cosmico. Due persone che siedono dentro la stessa stanza nel giro di 30 minuti si scambiano il vapore acqueo. Fare un respiro profondo significa respirare un po’ delle stesse molecole d’aria che Gesù ha respirato sulla croce. Interdipendenza e connessione con tutto, nulla si crea nulla si distrugge. Se un terreno viene troppo sfruttato con l’uso eccessivo di fertilizzanti smette di produrre, è la sua risposta alla nostra ingordigia e violenza. Ogni km2 di terreno contiene particelle provenienti da ogni altro km2. Le catastrofi ambientali sono una punizione al nostro peccato ecologico. Non andiamo a pregare o incolpare Dio. Spiritualità del creato significa che l’uomo deve nutrire verso di esso gli stessi sentimenti che nutre o dovrebbe nutrire verso gli umani: gioia, fiducia, attenzione, compassione, armonia. Se si pensa alla bramosia di accaparramento delle terre e delle risorse cui stiamo assistendo, all’acquisto del suolo altrui da parte della mega multinazionali, commettiamo una ingiustizia profonda verso il creato. Il diluvio dell’inquinamento non ci porterà alla fine del mondo, ma alla fine di questo mondo forse sì. Ci vuole più compassione verso la terra, specie per quest’unica risorsa dei paesi sottosviluppati. La parola ebraica compassione deriva da una precedente che significa utero. Non è un caso che in tutte le immagini religiose della compassione nell’occidente come nell’oriente la compassione sia unita alla generatività del grembo materno. La terra, il cosmo è la nostra madre. Detto con più immediatezza, siamo tutti e tutto nella stessa barca. Papa Bergoglio anche se osteggiato dai potentati dei grossi monopoli, perché troppo orizzontale verso la terra e poco verticale verso il cielo, ha avuto una grance sensibilità dello stilare l’enciclica ”Laudato sii” a difesa della nostra casa comune. E qui non va dimenticato il grande contributo dato dai pionieri della teologia della liberazione sorta in Sudamerica specie con il domenicano Gutierrez nel 1973 e merito di innumerevoli teologi anche se espulsi dalla chiesa per intervento di papa Woytjla come il francescano L. Boff, Sono stati il granello di senape evangelico che hanno fatto crescere la pianta della spiritualità cosmica: sono i martiri della verità. Ma come scrivevano i santi padri del terzo secolo:" il sangue dei martiri è seme dei cristiani" Anche la chiesa dovrebbe chiedere scusa e ringraziare questi martiri, nostri contemporanei, che essa stessa ha causato. Ricordare per non ripetere. Con la rivalutazione dell'Amazzonia e della nostra madre terra. Il cristianesimo oggi ricupera un po’ della sua spiritualità dimenticata.

Autore
Albino Michelin
10.10.2019

lunedì 4 novembre 2019

BIBBIA: TENTATIVO DI RILANCIO

Rimanendo alle statistiche la bibbia risulta il libro più diffuso al mondo, tradotto in circa 3 mila lingue ma anche fra i più depositati sotto la polvere. A parte le eccezioni degli addetti ai lavori, cioè studiosi e membri del clero, non gode di molta risonanza fra la gente comune. Quel poco che della bibbia si conosce viene calato dal pulpito del prete durante la messa, attraverso un sermone chiamato omelia (dal greco homilein, conversare, intrattenere), ma che troppo spesso al popolo arriva come solita storia, romanzina, reprimenda, arringa, paternale, predicozzo saccente, filippica, nenia soporifera a seconda dei casi. E’ anche per questo che papa Bergoglio il 30 settembre 2019 ha lanciato l’idea di riservare una domenica all’anno nel mese di gennaio per rivalutare la magna Carta del Cristianesimo, il messaggio fondante di Gesù, la Bibbia. Pure il rappresentante del cattolicesimo si è accorto che di chiesa siamo pieni, e di vangelo siamo vuoti. In genere la data coincide con la settimana dell’Unità dei cristiani, sorti e divisi dalla stessa bibbia, cattolici, protestanti, ortodossi, e gli ebrei fratelli maggiori, quindi con una valenza ecumenica. Come sempre il titolo dato al documento ufficiale non attira molto, in latino sa più di rebus. ”Aperuit illis” “aprì a loro” e si riferisce ad un versetto di Luca (24,45) quando Gesù accompagnò i due apostoli sfiduciati, li incoraggiò e “aprì loro le menti su quanto dicevano le sacre Scritture”. Benvenuto all’iniziativa, meglio tardi che mai, dopo tanti secoli di scomuniche nei confronti di chi si permetteva di leggere la bibbia, di divulgarla, di tradurla al popolo, di portarla alla gente, a rischio di rogo e di scomunica e cacciata dalla chiesa, Lutero insegna, siamo arrivati a più spirabile aere o, come dice Dante, a riveder le stelle. Si registra in questa iniziativa un rilevante spostamento nell’asse della cattolicità: dalla chiesa a Gesù. Finora la chiesa si è proposta ed imposta come autoreferenziale oscurando il ruolo di Gesù o interpretandolo in forma esclusiva oscurando il ruolo del fondatore del cristianesimo stesso. E quindi fa venire in mente tutti quegli interventi dei santi del tempo, tipo Roberto Bellarmino 1600, ”proibito capire obbligati a obbedire”. Oppure quando la chiesa diceva che se questo oggetto è bianco mentre è nero tu dovevi dichiarare nero, perché la verità viene dall’autorità, e non dalla realtà. L’equivoco è in parte rimasto anche ai nostri giorni allorquando cattolici tradizionalisti e devoti apostrofano preti sufficientemente preparati che con sana intenzione ti spiegano un vangelo con applicazioni attuali e si sentono apostrofare: ”Scusi reverendo, ma che cosa dice la chiesa a riguardo su quanto lei afferma?” Ovvio non ti chiedono: ”che cosa direbbe Gesù in merito”. Si vede quindi come la carenza del messaggio bibbia sia così profonda e gli indottrinamenti della chiesa, della tradizione, o delle varie tradizioni così calcificati e sclerotizzati. Certamente questo documento porta con sé delle conseguenze se non destabilizzanti certo molto stringenti. Già ne accennò Bergoglio quando tempo fa raccomandò alle conferenze episcopali delle varie nazioni di incaricare teologi, studiosi, biblisti di approfondire meglio i testi fondamentali, la loro origine e contesto. Più di qualcuno si è smarrito quando il 5-11-18 dalla Congregazione della Fede è uscita l’informazione che nel Padre Nostro l’espressione” non c’indurre in tentazione” è stata male tradotta e va sostituita con “non abbandonarci alla tentazione”. E ci si chiede se è possibile impiegare due mila anni per venirne a capo di un brevissimo versetto del genere e se per due mila anni abbiamo pregato ripetendo lo stesso errore. Non ha senso trattenere la bibbia in circoli privati, patrimonio privilegiato e monopolizzato di singoli cenacoli. La bibbia è un libro del popolo. Nelle messe della domenica il ridotto pubblico rimane un po’ sbasito al sentire tre letture, un fiume di parole, persino fra verità e contraddizioni per quanto apparenti, ma quando si arriva al dunque non si ha il coraggio di spiegare i vari generi letterari, i miti, e ce ne sono tanti, come espressione del vissuto del tempo di composizione, mica solo quello del peccato originale. Ci trattiene la palla di piombo al piede, cioè la meraviglia o lo scandalo che ne proverrebbe al nostro buon popolo, dalla fede semplice e genuina, della nostra buona gente che finirebbe per confondersi. E così si lascia tutti nell’ignoranza e nel pressapochismo, La bibbia un libro del niente. Non si vorrebbe qui buttare sul tavolo alcuni aspetti (a prima vista) contradditori del vangelo. Ma sia lecito risvegliare l’attenzione: perché gli evangelisti Matteo e Luca fanno fascere Gesù a Betlemme e Marco lo fa nascere a Nazareth? E saltando a piè pari tutta la vita di Gesù, perché Matteo e Marco sulla croce gli fanno dire le ultime parole: Mio Dio perché mi hai abbandonato. E Luca: Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito. E Giovanni; tutto è compiuto. E chinato il capo rese lo spirito. Ci si fermi qui e non si vada a toccare per esempio i vangeli dell’infanzia, i quali per molti interpreti vengono considerati un genere letterario devozionale ma non storico. D’accordo che il Vangelo inizialmente è stato tramandato a voce, mandato per iscritto solo diversi decenni dopo la morte di Gesù, ispirato da Dio ma parola di uomo, quindi non redatto e inoculato negli orecchi dello scrittore dallo spirito santo ma interpretato dal carattere e cultura dello scrittore stesso, d’accordo. Pure d’accordo che i copisti qualche volta sono incorsi in errori di trascrizione, che gli interpreti detti masoreti trovandosi di fronte a testi con le sole consonanti talvolta hanno inserito vocali approssimative, ma di grazia si sono mai visti in chiesa questi bagliori di luce? Ovvio che la diffusione della Bibbia non dovrebbe limitarsi alla intronizzazione del libro, a nuvole d’incenso, ci vuole altro perché entri nel DNA del popolo cristiano. Ma chi educa gli educatori? Accanto alla domenica della Bibbia Bergoglio annuncia anche per la primavera la divulgazione della terza stesura del messale. Anche in questo caso se il messale dovesse essere legato alla Bibbia, come logico, dovrebbe rivedere il carattere della messa, che così com’è, ha un linguaggio sacrificale e auto colpevolizzante. Bisognerebbe chiedersi se la struttura della messa: ”sacrificio della morte in croce di Gesù a Dio gradito, da Dio voluto per dare il perdono ai peccati dell’umanità” non sia da riformulare. Ed alcuni preti, che senza tanti megafoni, durante messa anziché ripetere “questo pane è il mio corpo offerto in sacrificio per voi” pronunciano” offerto in amore per voi”, sono fuori dal messaggio e intendimento di Gesù? O si ha timore di affrontare il toro per le corna e la verità delle cose sino in fondo? Ci si augura che le riforme di Bergoglio per paura di perdere i pochi residenti di sagrestia non perdano di vista le moltitudini della periferia.

Autore
Albino Michelin
02.10.2019

domenica 3 novembre 2019

CULTURA DELLA MORTE: L'EQUIVOCO DEGLI SLOGAN

Francamente sembra a molti che parlare oggi di cultura della morte sia una mistificazione o una strategia strumentale per diffondere ogni tipo di colpevolizzazione. In effetti si dovrebbe meglio parlare di una sfrenata paranoia di vita eterna ininterrotta su questa terra e molti non benedicono affatto chi ha dato loro la vita perché sanno che “l'essere uomo è per la morte". L'espressione del filosofo tedesco Heidegger che molti arrivano a condividerla anche se privi di cultura universitaria. Siamo al corrente che ogni anno nel mondo si tolgono la vita 850 mila persone, 7 ogni 100.000 abitanti, in Europa 56 mila, in Italia 4000, in Svizzera circa un migliaio con costante aumento dei suicidi giovanili. La metà potrebbe essere salvata se potesse contare sul sostegno dei familiari ed amici. Senza dimenticare che un certo numero fra costoro la vita se la tolgono perché vanno fuori di testa, dal momento che ogni persona sana di mente alla propria vita è attaccata con i denti mascellari. Ma tutto ciò qui, non entra in linea di conto. Invece dovremmo citare tutti i casi per cui oggi si nota un'ansia e una psicosi di cultura della vita. Vivere, vivere bene, vivere sani, vivere pienamente, vivere più a lungo possibile. Il movimento globale giovanile sorto dalle piazze contro l'inquinamento dell'ambiente a favore di un clima vivibile, contro la deforestazione delle Amazzoni, contro la siccità di immensi territori che costringe gli abitanti all'emigrazione coatta lo dimostra. Ben 6.500 k2 di foreste distrutte nei primi otto mesi dei 2019. E ce ne accorgiamo direttamente pure noi quando spesso alla domenica le nostre città vengono chiuse al traffico per non morire tutti avvelenati. Anche se in fondo si costata una contraddizione fra il voler tutto e subito senza sacrificare nulla, paradosso di egoismo, in fondo la gente vuole garantirsi il pianeta terra come una casa abitabile senza paure di morte e di autodistruzione. Se poi scendiamo nei dettagli ci troviamo nell'imbarazzo della scelta: giovanilismo anche a 90 anni, istituti di bellezza, trattamenti e massaggi giapponesi, prevenzioni di ogni tipo, progresso dei medicinali, vaccini contro ogni genere di influenza, fitness, walking, footing, culto della vita anche se poi abbinato ad uno spreco della vita stessa buttata ad ogni tipo di piacere. Per non parlare della medicina e delle scienze medicali, dell'intelligenza artificiale per allungare la vita: si ipotizza pure riparazione-e trapianto del cervello, protesi cerebrali, reimpianto di neuroni, come si trattasse di restaurare un lavandino. Utopia senz'altro e intanto però attesta anche questa la nostra cultura contro la morte, altro che civiltà della morte. E anche chi uccide e pianifica guerre, si tratti da parte di paesi, nazioni, continenti lo fa per arricchirsi sulla pelle dei morti, sulle loro macerie e vivere cosi a lungo senza intralci di sorta. Identificare il testamento biologico e l'eutanasia con la cultura della morte a ben pensarci è fuorviante, è confondere la parte deteriore con il tutto. Qui bisognerebbe trattare con molto rispetto chi soffre le pene dell'inferno, specialmente da chi è sano di mente. Bisognerebbe sempre mettersi nella pelle degli altri, e non pontificare dall'alto delle proprie bigonce, pulpiti o parlamenti che siano. Si pensi a chi si trova in condizioni irreversibili, sofferenze fisiche o psichiche intollerabili patologie neurovegetative, paralisi progressive e tutto quell'oceano di degradi che riducono l'essere umano ad un vegetale, peggio ad un verme. La Chiesa italiana (Card. Bassetti presidente) alla sentenza della Cassazione (25.9.19) che apre al suicidio assistito ribadisce il suo sconcerto e si dichiara vigilante su quanto legifererà il parlamento con la speranza di paletti forti e garanzia al diritto di obbiezione di coscienza. Ma a molti non sembra una soluzione adeguata. La chiesa non deve attendere il responso della società civile, ha da esprimere il proprio orientamento evangelico prima e al di là delle leggi dello stato. E neanche va ridotto fra militanze di partito. In effetti esistono cattolici favorevoli al testamento biologico e laici contrari. Non è questione religiosa ma di sensibilità umana. Tre posizioni sembrano qui rappresentative del complesso problema. E vale la pena citarle. G. Bastianello: ”sono cattolico e desidero libertà di scelta. Ho 63 anni, da 14 malato di distrofia muscolare, da 10 costretto in carrozzella. Ogni mattina un pezzetto del mio corpo non risponde ai comandi, devo farci i conti tutto il giorno. Non condivido che eutanasia e suicidio assistito siano una soluzione di comodo e sbrigativa. Chiaramente mi batto per la vita e con un gruppo d volontari presto assistenza a persone in un letto con gravi disabilità peggiori delle mie. Sto per la libertà di una persona e se decide di andarsene deve essere lasciata libera. Che cosa c'è di sacro in una vita vegetativa?" Un secondo intervento degno di citazione è quello di Davide Oliviero, vescovo di Pinerolo (Torino): "Sono a favore della vita contro l'eutanasia. Ma la chiesa non si trinceri dietro ai principi generali, abbia il coraggio di affrontare i casi uno per uno, il coraggio di uscire dalle ideologie. Non ribadire verità perenni con la storia che cambia e con le situazioni particolari. Siamo usciti dai valori non negoziabili, necessario un tavolo di lavoro a più voci, stante la complessità della vicenda. Basta entrare in un ospedale e ci si si accorge che a ragionare sui grandi principi non ha alcun senso." Un terzo intervento di A. Maggi, religioso marianista, teologo e fondatore del centro biblico di Montefano (Macerata):" Sacra non è la vita, ma l'uomo. E' lui che ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità e il suo voler morire. La chiesa deve offrire la cultura della solidarietà affinché nessuno abbia a chiedere la morte. Andrebbero uniti tre aspetti: Vicinanza alla persona, alla sua coscienza, alla sua libertà. Ogni caso va rispettato perché un caso a sé."' Certamente ogni vita è un dono di Dio. Ma non potrebbe essere a Dio rivolta la seguente preghiera: "Signore, questa vita per me è una lacerazione. Vorrei tornare da te. La vita che mi desti ecco ti rendo". Sarebbe questa una bestemmia, una viltà. un sacrilegio da meritare il profondo dell'inferno? Tutto questo dilemma potrebbe esser semplificato se uomini di chiesa e laici ricordassero un'affermazione fondamentale di Tommaso d'Acquino, (1200) santo dottore basilare della chiesa, il quale nella sua Metafisica scrisse:" l principi sono eterni, le loro applicazioni invece secondo coscienza e situazioni”.

Autore
Albino Michelin
28.09.2019

venerdì 1 novembre 2019

CITTADINO DEL MONDO

Qualche anno fa circolava questa interessante poesia semplice senza rime ma densa di significato.” Cittadino del mondo, il tuo Cristo è ebreo, la tua democrazia è greca, la tua scrittura è latina, i tuoi numeri sono arabi, la tua auto è giapponese, il tuo caffè è brasiliano, il tuo orologio è svizzero, il tuo walkman è coreano, la tua pizza è italiana, la tua camicia è hawaiana, le tue vacanze sono turche, tunisine, marocchine. Cittadino del mondo non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.” Vent’anni fa un testo del genere suonava bene, nulla di più, oggi invece è diventato una provocazione. In effetti in Italia basta ti scappi fuori l’espressione straniero e ti viene il rigetto di stomaco, perché crei una reazione carica di insulti. Eppure a pensarci bene, dentro a ciascuno di noi esiste tutta l’umanità del passato, dalle origini del mondo in poi. Si chiami Adamo, l’africana Lucy o pitecantropo. Nessuno dovrebbe offendersi quando si sente dire “prima i sovizzesi (lo scrivente è di Sovizzo provincia di Vicenza), prima i vicentini, prima i veneti, prima gli italiani, prima i cattolici, slogan di tante campagne elettorali che negli ultimi tempi hanno riempito la bocca dei comizianti e dei Twitter, alimentato gli incontri e gli scontri pubblici. Ora si pone una domanda chiedendo venia se il sottoscritto si autocita: sono io un vero sovizzese, un vero vicentino, un vero veneto, un vero italiano, un vero cattolico? Fa riflettere quanto si legge il libro di Ettore Masina:” Naufraghi di terra” nella citazione di Elvio Beraldin. Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisnonni. Se ci si appassiona al calcolo degli anni si arriva a numeri impressionanti, lontanissimi da quelli il cui concetto moderno di famiglia ci ha abituati. Retrocedendo alla decima generazione pressappoco fine 1600 gli avi di ciascuno di noi equivalgono numericamente alla popolazione di un villaggio, 512 padri e altrettante madri. Spingendoci agli inizi del 1500 riempirebbero una città, circa 65 mila, ma penetrando oltre il tempo diventerebbero un popolo. In teoria portiamo ciascuno di noi nel nostro sangue particelle genetiche di più di 8 milioni di persone che vissero nel 1300, immenso popolo che alla lunga ci rende un po’ tutti parenti. Il sangue non è acqua e hanno ragione gli antropologi quando dicono che il DNA di noi italiani oggi porta l‘impronta degli etruschi, dei greci, delle genti che passarono nella nostra penisola in tempi remoti. E siccome l’Italia è stata arata dagli eserciti conquistatori di vari continenti importando pure schiavi, trafficanti, ladroni, il nostro suolo è stato sconvolto, assetto demografico e sociale compreso. Tutti siamo meticci. Fra gli antenati di ciascuno di noi vi è certamente un fenicio, un greco, un gallo francone, un negro della Nubia, un cristiano, un arabo, un musulmano, uno spagnolo, un ungherese, un mongolo, un turco. Certamente una prostituta, un uomo di guerra, un soldato di ventura, un letterato, un monaco di esigua castità, una donna violentata, un Muzio Scevola, un bertoldo, un disertore, una donna di struggente bellezza, un beduino, centinaia di affamati. Tutti questi esseri rivivono misteriosamente ma realmente in ciascuno di noi, cittadino del mondo. Su questa direttrice potremmo anche scendere al dettaglio, chiamando in causa la onomastica, cognonomastica, toponomastica, cioè l’origine dei nomi, cognomi, luoghi e noteremo come ciascuno di noi è un essere multietnico e multiculturale, un mosaico di puzzle. Non siamo una razza bianca, pura, esclusiva. Siamo dotati di risorse di vastissima ricchezza spirituale, talenti, carismi, insieme ovviamente a inevitabili limiti e difetti. Basta consultare le nostre anagrafi comunali. Per brevità ci limitiamo fra migliaia a due appellativi. Provenienza di origine ebraica: Mariani, Bettinelli. Di origine greca: Nicolodi, Alessi. Di origine romana: Augusto, Giuliano. Di origine longobarda: Ansaldi, Alberti. Di origine musulmana: Mussolini, Amina. Di origine araba: Aida, Nadia. Di origine teutonica: Azzola, Gismondi. Di origine tedesca: Margherita, Rodolfo. Di origine ungherese: Ongaro, Bodel. Di origine spagnola: Almirante, Catalano. Di origine russa orientale: Igor, Ivano. E qui non saremmo troppo lontani dalla realtà se con l’appoggio della psicologia e della psicanalisi affermassimo che dentro di noi vi è l’inconscio di tutta l’umanità dalle origini del mondo al nostro tempo, includiamoci pure il discusso mitico peccato originale. Per cui siamo tutti ricettori e donatori dell’inconscio che emerge dai nostri sogni notturni, dai nostri desideri, dalle nostre frustrazioni, esorcismi, possessioni diaboliche, multi linguaggi, paure, visioni. Al di là della nostra morfologia ossea, cranica, articolazioni, statura, colore della pelle non vi sono fondamenti per distinguere fra razze superiori e razze inferiori. Nel periodo 1930-40 vi è stata in Europa una recrudescenza del razzismo con l’esaltazione e la difesa della razza bianca per l’avvento del nazifascismo e potremmo affermare che i suoi fondatori e difensori oltre che di inaccettabile animosità hanno dato dimostrazione di crassa ignoranza, pardon di scarsa cultura, di sottocultura, anche se il fenomeno non si è concluso in quel periodo ma permane in parte pure ai nostri giorni. Sull’argomento vale anche la pena di chiederci quale sia stata nel tempo la posizione della chiesa cattolica. Essa ha dato un’interpretazione del Cristianesimo alquanto limitata. A partire da S. Agostino 400 d.C. che fece le seguenti affermazioni; ”chi ama il mondo non conosce Dio…Dio è più intimo all’uomo di quello che l’uomo non sia a se stesso- ”Indubbiamente l’espressione è profonda ed esatta. In effetti è sempre dal cuore dell’uomo che nascono atteggiamenti, azioni oneste o disoneste. Però è stata l’applicazione di questo principio che ha dato avvio a quella scissione fra individuo e società che per secoli fu un insegnamento troppo accentuato nella chiesa stessa. Perché se la destinazione dell’individuo è ultraterrena (paradiso-inferno), l’esigenza dell’uomo pur svolgendosi nel mondo dovrà separarsi dallo stesso. All’individuo il compito di conseguire la propria salvezza e di evangelizzare gli altri per lo stesso traguardo dal momento che la destinazione dell’individuo non ha più stretta relazione con quella della società. Siccome la patria del Cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa sì il suo dovere come cittadino, ma lo fa con una certa indifferenza riguardo al buono o cattivo esito dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù. Si trincea nel privato, salva l’anima tua, del vicino non si conosce neppure il nome, si arrischia totale indifferenza nei confronti del diverso, lo straniero, l’emigrato. Scriveva il Talmud (400 d. C,): ”Chi salva una vita salva il mondo”. Cui si può aggiungere: ”chi uccide una vita uccide il mondo” E se è vero quanto sopra detto aggiungasi pure: ”Chi uccide un uomo uccide se stesso.” E qui c’è spazio alla riflessione: sono uomo e nulla di ciò che appartiene all’uomo mi è alieno, dicevano gli antichi. Nel più profondo del nostro essere il codice umano è uguale per tutti: siamo cittadini del mondo.

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Albino Michelin
21.09.2019

mercoledì 30 ottobre 2019

IL LIBRO: LA FORZA TERAPEUTICA DELLA LETTURA

Il libro in Italia non gode di molta simpatia. Pare che il 40% o poco più siano gli italiani che leggono un libro all’anno. Nel sud molto meno, in Calabria il 17%. I giovani in età scolastica ovviamente di più, ma poi c’è il calo degli anziani che vedono un libro all’anno per un 29%: una candela che si spegne. Il resto è tabula rasa. Si preferisce stampa di evasione, quotidiani con aneddoti o cronaca nera, o necrologi per contare i morti, oppure settimanali e riviste gossip, avventure amorose, pettegolezzi mondani, divismo, grande fratello. Anche se può nuocere al nostro orgoglio patrio va detto che noi siamo il popolo fra coloro che leggono di meno nel mondo. In Norvegia il 90% legge un libro e più all’anno, in Gran Bretagna l’86%, in Francia l’84%, in Usa e in Austria il 73% e giù a scendere. In Spagna, regione Catalogna, si è capito questo deficit e si è corsi ai ripari istituendo dal 1996 ogni anno la giornata mondiale del libro il 23 aprile, occasione per quella nazione di potenziare editori, librerie, biblioteche. Con l’intendimento a lungo termine di creare nuovo interesse: che il leggere unisce, allarga gli orizzonti, fa scoprire mondi nuovi, superare confini geografici e mentali verso libertà di pensiero e di opinione. Abitua a guardare il mondo con cento occhi anziché con due, a ospitare nella propria testa cento pensieri anziché uno soltanto, diventando così più consapevoli di se stessi e degli altri. Ogni lettura è un reinventarsi nuovi mondi, con la conseguenza che chi non legge si chiude nella grettezza, impigrisce l’intelligenza, e si penalizza per scarsa apertura mentale. Attraverso la lettura si impara a leggersi dentro, a capirsi a livello emotivo, a lavorare il proprio inconscio, a recepire la nostra profonda risonanza magnetica. Fare l’elogio del libro per molti resta solo una data decorativa nel calendario e nulla più. Quando addirittura non ci si esalta dell’orgoglio analfabetico. Come nel caso della on. Lucia Bergonzoni, sottosegretaria leghista alla cultura che si vantò in una radio intervista di non aver letto nemmeno un libro negli ultimi tre anni. Perfino il pudore culturale qui ci fa difetto. E’ per questo che abbiamo molti politici concionari che sciorinano soltanto paroloni, verbose logorree, invettive. Arenati fra le solite schermaglie delle Commissioni Cultura e Bilancio, i nostri accusano una penosa carenza culturale di base. Un vero peccato perché leggere fa bene alla salute fisica e mentale, la lettura di un libro è un’ottima terapia. A prescrivere libri come cura per i malesseri psicologici hanno cominciato ancora gli antichi greci, a dimostrazione che non si può costruire il futuro ignorando il passato. Non a caso all’entrata della biblioteca di Alessandria d’Egitto, una delle più grandi riserve letterarie del mondo, gli archeologi hanno trovato la scritta” ospedale dell’anima”. Anche il filosofo greco Aristotele era convinto che leggere fosse un modo per capire le emozioni e superare le situazioni negative senza bisogno di altre medicine. Dall’antichità ad oggi l’idea del libro come farmaco non è sparita e anzi i benefici della lettura sono stati riscontrati in diversi ambiti. Nell’800 per esempio gli ospedali psichiatrici americani scoprirono che distribuire romanzi ai pazienti migliorava le loro condizioni. Dopo la prima guerra mondiale invece la lettura venne usata come cura per i soldati traumatizzati dalla violenza del conflitto. Oggi la biblioterapia o libro terapia è diventata uno strumento usato per curare i problemi gravi come ansie e depressioni. Gli psicologi che utilizzano questa tecnica fanno una ricetta su cui scrivono il titolo più adatto alla storia clinica del paziente. Esistono gruppi che leggono insieme poesie, romanzi oppure lettere con l’obiettivo di superare situazioni particolarmente difficili. E accanto a ciò in alcuni casi si consiglia di scrivere un tema, o un diario, o una propria esperienza con la quale mettere nero su bianco le proprie emozioni. Qualche tentativo esistente pure in Italia va preso in considerazione e proposto all’opinione pubblica. Ad esempio a Firenze esiste un centro chiamato ”Piccola farmacia letteraria”. Una libreria con saggi e romanzi dove si curano i mali dello spirito, turbamenti e malesseri fisici, insonnie, stress, amore mal corrisposto, bassa autostima. Libri che si consiglia di leggere tutti d’un fiato e libri da assaporare lentamente. Ogni caso ha la sua medicina, ogni stato d’animo il suo libro. Ma siamo ancora nei tentativi, casi sporadici. Poiché soprattutto nel nord Italia nelle zone industriali, chi manifesta la passione di qualche libro si sente apostrofare:” buontemponi andate a lavorare”. E senza offesa, le nostre regioni più laboriose, industriali sono culturalmente le più arretrate. Dimenticando che una buona cultura rende di più e meglio anche sul piano della produzione e della qualità del profitto. Facciamoci pure uno sconto: sarà che per la lettura è richiesto tempo, e il tempo a disposizione in una civiltà così velocizzata è difficile trovarlo. Senz’altro vi sono attenuanti pure di carattere familiare, economico, tempo libero. Ma in genere è la passione che manca. E per creare questa bisognerebbe incominciare già dall’infanzia. Quante storie per andare a nanna. Per fortuna sta crescendo il numero dei bambini che prima di dormire si fanno leggere un libro da mamma e papà. Sembrerà una cosa vecchia in tempi di smartphone mania in un paese dove un 50% di bambini dai 2 ai 6 anni già si diletta a cliccare. Alla sera nella propria cameretta, a luce spenta quanto è bello iniziare con “C’era una volta…” e di lì escono animali alati, dinosauri, astronauti, eroine. Incontrarli, sognarli di notte, condividere le avventure con i compagni il giorno dopo a scuola, imitarne il coraggio, la forza, la generosità. Una bella iniziativa” nati per leggere” questa campagna di promozione di lettura in età prescolare. La lettura ad alta voce facilita l’acquisizione del linguaggio, stimola l’immaginazione, arricchisce il rapporto bambino-adulto. Potere del libro, quello di contagiare non solo chi ascolta, rendere più profondo e attento lo sguardo sulla realtà attraverso l’immaginazione. I bambini sono ricettivi, ma leggere fa bene anche ai genitori appiattiti spesso sullo schermo del telefonino, pc, tablet. I libri chiamano libri e diventano una buona abitudine anche da grandi. Senza dimenticare che un libro può addirittura cambiare la vita nel male e nel bene. Lo ricorda pure Dante:” Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” riferendosi a Francesca e Paolo cacciati nell’inferno perché adulteri perdutamente innamorati. Successe anche a S. Agostino convertitosi a 33 anni dopo una vita da dimenticare allorché sentì la voce interiore:” prendi e leggi” imbattendosi in una lettera di Paolo apostolo che gli cambiò la rotta dell’esistenza. E forse anche la lettura di alcuni brani religiosi, come quelli del Veda indù, del Corano, del Canone di Confucio, dell’animismo africano e certamente molti brani di Gesù, compassionevole guaritore, potrebbero ridare un senso di vita a chi l’avesse perduto.

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Albino Michelin
10.09.2019

lunedì 28 ottobre 2019

NADIA TOFFA: QUANDO LA TV PUÒ DIVENTARE UN PULPITO


Nadia Toffa deceduta per tumore al cervello il 13 agosto u.s. definita la guerriera e insignita quale cittadina onoraria di Brescia, Leonessa d'Italia sua città natale, benché quarantenne la si poteva definire ancora una ragazza, tanto era profondamente legata alla sua professione, alla passione con cui la esercitava, alla propria vita, da lei considerata una risorsa per gli altri. Faceva parte dello staff televisivo le "Jene" come reporter e conduttrice. Servizio iniziato nel 1997, ne aveva fatto parte per metà della sua vita, per cui veniva chiamata anche la ragazza dal microfono in mano. Le Jene, un programma televisivo, se pure condotto talvolta con intelligente ironia, voleva evidenziare e scoraggiare la corruzione, la malavita fatta di truffe, di menzogne, illegalità, mafie. Al limite fa una certa impressione che dalla Televisione, considerata spesso un assemblaggio di persone fanatiche di visibilità, affamate di carriera, facili al gossip e al grande fratello, bramose di consenso e di pubblico applauso possa emergere qualche voce profetica, cioè controcorrente, altruista, che impegna la propria vita in favore degli altri. Non ci sembra il pulpito adatto, tanto siamo abituati ad uno strumento di facile imbonimento e di evasione culturale. Eppure in Nadia Toffa abbiamo avuto un testimone credibile della passione in favore degli ultimi. Ha messo l'Italia sottosopra amata dal nord e dal sud perché autentica, cocciuta, perseverante, tosta. Nota per esempio la sua inchiesta sull'llva di Taranto, di cui era diventata cittadina onoraria, per la sua difesa dei bimbi minacciati dall'inquinamento del polo siderurgico locale, dove ha lanciato un progetto e raccolto 700 mila euro per un reparto oncologia pro infanzia. La storia delle mamme orfane sconvolse la giovane giornalista.  Si percepiva che la sua sete di giustizia era autentica. In effetti al suo funerale del 16 agosto, attorno alla bara posta al centro della cattedrale, sormontata da ghirlande di fiori e dalla inconfondibile cravatta nera, stava allineata una delegazione del bar Ta mburri di Taranto con lo striscione: "Je esce pacce per te … io esco pazzo per te.". Altro caso in cui essa dimostra la sua passione convinta ed altruista è quello della Terra dei Fuochi, territorio malsano fra Napoli e Caserta, dove il suolo è inquinato dai rifiuti tossici del nord e del sud con la complicità della camorra e le campagne sono invase dai rifiuti delle aziende che lavorano in regime di evasione fiscale; là sono pure arrivate le sue inchieste per dare voce alla gente bistrattata e maltrattata. Un lavoro che essa ha compiuto anche con il sostegno e l'apporto del parroco del luogo Patricelli, uno dei preti coraggiosi in un ambiente ormai invivibile. Fra i due è sorta una profonda collaborazione e amicizia tanto che Nadia gli confidò più tardi che l'avrebbe desiderata ad officiare il suo funerale. Per questa causa e professione essa ha voluto amplificare la sua voce. Non meno significativi sono i apporti che la Toffa ha avuto con la sua malattia, il tumore al cervello. Da quando in un albergo di Trieste nel dicembre 2017 fu colta da malore improvviso nessuno sospettava una fine così celere. Si ha sempre speranza contro ogni speranza che il progresso della medicina possa evitare l'inevitabile. Attraverso i media si vedeva che Nadia nel corso dei mesi sfioriva, ma la luce sincera e spavalda è rimasta integra nei suoi occhi di giovane donna. Vi sono tanti modi oggi di porsi di fronte alle malattie in modo particolare a questa che viene considerata ancora a rischio. Lei l'ha affrontata senza drammi e senza traumi. Anziché trincerarsi dietro ad un silenzio astioso verso il destino e di marginalità pudica verso la società, la famiglia, gli amici ebbe il coraggio di rivelare a tutti ciò che le stava accadendo. Era un personaggio pubblico e sapeva che i suoi ammiratori e ammiratrici si chiedevano cosa mai fosse successo a Trieste quella notte e ha ritenuto opportuno informarli. Ha avuto il coraggio di chiamare cancro tumore con il suo nome. "Questa è una parrucca" disse in una trasmissione toccandosi i capelli" e io non me ne vergogno. Non c'è niente che fa soffrire un ammalato del vivere con vergogna la sua patologia come se fosse un vizio. Più terribile della malattia c'è solo la vergogna di essere malati. Nascono i soliti sbigottimenti, scattano i soliti interrogativi che ci prendono di fronte all'esercizio del destino. Perché a me, entro quale destino si colloca la mia malattia. La risposta non ci appartiene, la vita è un arazzo alla rovescia, solo dopo la morte se ne capirà il disegno. Il Signore mi ha dato una sfida che potrò vincere, importante è mettercela tutta e combattere sempre. La vita è sempre vita anche quando pesa. Pensieri di Nadia che però con il persistere della malattia vengono seguiti da altri. Come quello su Dio: il Signore non è crudele, Dio è buono e il male non gli appartiene. La preghiera è un abbraccio E qui la Jena diventa una colomba. L'unico suo rimpianto espresso poco prima della morte: mi dispiace per mia mamma che dovrà restare sola senza di me. l funerali di Nadia furono conseguenti alla sua vita. Celebrati dal parroco Petruccelli come da lei desiderato, che fedele alla vita di lei, sviluppò la massima di Gesù: "beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati". Cui faceva da testimone un 'altra corona di fiori dei detenuti del carcere di Caserta " A te Nadia che sei sempre stata paladina di giustizia". In un'epoca come la nostra piena di odio, di rivalse, di cattiverie, di rabbia, di tutti contro tutti una giovane conduttrice ha saputo coinvolgere nobili sentimenti in una efficace azione giornalistica e televisiva. Gli indifferenti, cattolici o meno vengono scossi da questa teologia di vita espressa e testimoniata da Nadia Toffa. Appunto quando la TV può diventar e un pulpito.

Autore:
Albino Michelin
02.09.2019