lunedì 4 novembre 2019

BIBBIA: TENTATIVO DI RILANCIO

Rimanendo alle statistiche la bibbia risulta il libro più diffuso al mondo, tradotto in circa 3 mila lingue ma anche fra i più depositati sotto la polvere. A parte le eccezioni degli addetti ai lavori, cioè studiosi e membri del clero, non gode di molta risonanza fra la gente comune. Quel poco che della bibbia si conosce viene calato dal pulpito del prete durante la messa, attraverso un sermone chiamato omelia (dal greco homilein, conversare, intrattenere), ma che troppo spesso al popolo arriva come solita storia, romanzina, reprimenda, arringa, paternale, predicozzo saccente, filippica, nenia soporifera a seconda dei casi. E’ anche per questo che papa Bergoglio il 30 settembre 2019 ha lanciato l’idea di riservare una domenica all’anno nel mese di gennaio per rivalutare la magna Carta del Cristianesimo, il messaggio fondante di Gesù, la Bibbia. Pure il rappresentante del cattolicesimo si è accorto che di chiesa siamo pieni, e di vangelo siamo vuoti. In genere la data coincide con la settimana dell’Unità dei cristiani, sorti e divisi dalla stessa bibbia, cattolici, protestanti, ortodossi, e gli ebrei fratelli maggiori, quindi con una valenza ecumenica. Come sempre il titolo dato al documento ufficiale non attira molto, in latino sa più di rebus. ”Aperuit illis” “aprì a loro” e si riferisce ad un versetto di Luca (24,45) quando Gesù accompagnò i due apostoli sfiduciati, li incoraggiò e “aprì loro le menti su quanto dicevano le sacre Scritture”. Benvenuto all’iniziativa, meglio tardi che mai, dopo tanti secoli di scomuniche nei confronti di chi si permetteva di leggere la bibbia, di divulgarla, di tradurla al popolo, di portarla alla gente, a rischio di rogo e di scomunica e cacciata dalla chiesa, Lutero insegna, siamo arrivati a più spirabile aere o, come dice Dante, a riveder le stelle. Si registra in questa iniziativa un rilevante spostamento nell’asse della cattolicità: dalla chiesa a Gesù. Finora la chiesa si è proposta ed imposta come autoreferenziale oscurando il ruolo di Gesù o interpretandolo in forma esclusiva oscurando il ruolo del fondatore del cristianesimo stesso. E quindi fa venire in mente tutti quegli interventi dei santi del tempo, tipo Roberto Bellarmino 1600, ”proibito capire obbligati a obbedire”. Oppure quando la chiesa diceva che se questo oggetto è bianco mentre è nero tu dovevi dichiarare nero, perché la verità viene dall’autorità, e non dalla realtà. L’equivoco è in parte rimasto anche ai nostri giorni allorquando cattolici tradizionalisti e devoti apostrofano preti sufficientemente preparati che con sana intenzione ti spiegano un vangelo con applicazioni attuali e si sentono apostrofare: ”Scusi reverendo, ma che cosa dice la chiesa a riguardo su quanto lei afferma?” Ovvio non ti chiedono: ”che cosa direbbe Gesù in merito”. Si vede quindi come la carenza del messaggio bibbia sia così profonda e gli indottrinamenti della chiesa, della tradizione, o delle varie tradizioni così calcificati e sclerotizzati. Certamente questo documento porta con sé delle conseguenze se non destabilizzanti certo molto stringenti. Già ne accennò Bergoglio quando tempo fa raccomandò alle conferenze episcopali delle varie nazioni di incaricare teologi, studiosi, biblisti di approfondire meglio i testi fondamentali, la loro origine e contesto. Più di qualcuno si è smarrito quando il 5-11-18 dalla Congregazione della Fede è uscita l’informazione che nel Padre Nostro l’espressione” non c’indurre in tentazione” è stata male tradotta e va sostituita con “non abbandonarci alla tentazione”. E ci si chiede se è possibile impiegare due mila anni per venirne a capo di un brevissimo versetto del genere e se per due mila anni abbiamo pregato ripetendo lo stesso errore. Non ha senso trattenere la bibbia in circoli privati, patrimonio privilegiato e monopolizzato di singoli cenacoli. La bibbia è un libro del popolo. Nelle messe della domenica il ridotto pubblico rimane un po’ sbasito al sentire tre letture, un fiume di parole, persino fra verità e contraddizioni per quanto apparenti, ma quando si arriva al dunque non si ha il coraggio di spiegare i vari generi letterari, i miti, e ce ne sono tanti, come espressione del vissuto del tempo di composizione, mica solo quello del peccato originale. Ci trattiene la palla di piombo al piede, cioè la meraviglia o lo scandalo che ne proverrebbe al nostro buon popolo, dalla fede semplice e genuina, della nostra buona gente che finirebbe per confondersi. E così si lascia tutti nell’ignoranza e nel pressapochismo, La bibbia un libro del niente. Non si vorrebbe qui buttare sul tavolo alcuni aspetti (a prima vista) contradditori del vangelo. Ma sia lecito risvegliare l’attenzione: perché gli evangelisti Matteo e Luca fanno fascere Gesù a Betlemme e Marco lo fa nascere a Nazareth? E saltando a piè pari tutta la vita di Gesù, perché Matteo e Marco sulla croce gli fanno dire le ultime parole: Mio Dio perché mi hai abbandonato. E Luca: Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito. E Giovanni; tutto è compiuto. E chinato il capo rese lo spirito. Ci si fermi qui e non si vada a toccare per esempio i vangeli dell’infanzia, i quali per molti interpreti vengono considerati un genere letterario devozionale ma non storico. D’accordo che il Vangelo inizialmente è stato tramandato a voce, mandato per iscritto solo diversi decenni dopo la morte di Gesù, ispirato da Dio ma parola di uomo, quindi non redatto e inoculato negli orecchi dello scrittore dallo spirito santo ma interpretato dal carattere e cultura dello scrittore stesso, d’accordo. Pure d’accordo che i copisti qualche volta sono incorsi in errori di trascrizione, che gli interpreti detti masoreti trovandosi di fronte a testi con le sole consonanti talvolta hanno inserito vocali approssimative, ma di grazia si sono mai visti in chiesa questi bagliori di luce? Ovvio che la diffusione della Bibbia non dovrebbe limitarsi alla intronizzazione del libro, a nuvole d’incenso, ci vuole altro perché entri nel DNA del popolo cristiano. Ma chi educa gli educatori? Accanto alla domenica della Bibbia Bergoglio annuncia anche per la primavera la divulgazione della terza stesura del messale. Anche in questo caso se il messale dovesse essere legato alla Bibbia, come logico, dovrebbe rivedere il carattere della messa, che così com’è, ha un linguaggio sacrificale e auto colpevolizzante. Bisognerebbe chiedersi se la struttura della messa: ”sacrificio della morte in croce di Gesù a Dio gradito, da Dio voluto per dare il perdono ai peccati dell’umanità” non sia da riformulare. Ed alcuni preti, che senza tanti megafoni, durante messa anziché ripetere “questo pane è il mio corpo offerto in sacrificio per voi” pronunciano” offerto in amore per voi”, sono fuori dal messaggio e intendimento di Gesù? O si ha timore di affrontare il toro per le corna e la verità delle cose sino in fondo? Ci si augura che le riforme di Bergoglio per paura di perdere i pochi residenti di sagrestia non perdano di vista le moltitudini della periferia.

Autore
Albino Michelin
02.10.2019

domenica 3 novembre 2019

CULTURA DELLA MORTE: L'EQUIVOCO DEGLI SLOGAN

Francamente sembra a molti che parlare oggi di cultura della morte sia una mistificazione o una strategia strumentale per diffondere ogni tipo di colpevolizzazione. In effetti si dovrebbe meglio parlare di una sfrenata paranoia di vita eterna ininterrotta su questa terra e molti non benedicono affatto chi ha dato loro la vita perché sanno che “l'essere uomo è per la morte". L'espressione del filosofo tedesco Heidegger che molti arrivano a condividerla anche se privi di cultura universitaria. Siamo al corrente che ogni anno nel mondo si tolgono la vita 850 mila persone, 7 ogni 100.000 abitanti, in Europa 56 mila, in Italia 4000, in Svizzera circa un migliaio con costante aumento dei suicidi giovanili. La metà potrebbe essere salvata se potesse contare sul sostegno dei familiari ed amici. Senza dimenticare che un certo numero fra costoro la vita se la tolgono perché vanno fuori di testa, dal momento che ogni persona sana di mente alla propria vita è attaccata con i denti mascellari. Ma tutto ciò qui, non entra in linea di conto. Invece dovremmo citare tutti i casi per cui oggi si nota un'ansia e una psicosi di cultura della vita. Vivere, vivere bene, vivere sani, vivere pienamente, vivere più a lungo possibile. Il movimento globale giovanile sorto dalle piazze contro l'inquinamento dell'ambiente a favore di un clima vivibile, contro la deforestazione delle Amazzoni, contro la siccità di immensi territori che costringe gli abitanti all'emigrazione coatta lo dimostra. Ben 6.500 k2 di foreste distrutte nei primi otto mesi dei 2019. E ce ne accorgiamo direttamente pure noi quando spesso alla domenica le nostre città vengono chiuse al traffico per non morire tutti avvelenati. Anche se in fondo si costata una contraddizione fra il voler tutto e subito senza sacrificare nulla, paradosso di egoismo, in fondo la gente vuole garantirsi il pianeta terra come una casa abitabile senza paure di morte e di autodistruzione. Se poi scendiamo nei dettagli ci troviamo nell'imbarazzo della scelta: giovanilismo anche a 90 anni, istituti di bellezza, trattamenti e massaggi giapponesi, prevenzioni di ogni tipo, progresso dei medicinali, vaccini contro ogni genere di influenza, fitness, walking, footing, culto della vita anche se poi abbinato ad uno spreco della vita stessa buttata ad ogni tipo di piacere. Per non parlare della medicina e delle scienze medicali, dell'intelligenza artificiale per allungare la vita: si ipotizza pure riparazione-e trapianto del cervello, protesi cerebrali, reimpianto di neuroni, come si trattasse di restaurare un lavandino. Utopia senz'altro e intanto però attesta anche questa la nostra cultura contro la morte, altro che civiltà della morte. E anche chi uccide e pianifica guerre, si tratti da parte di paesi, nazioni, continenti lo fa per arricchirsi sulla pelle dei morti, sulle loro macerie e vivere cosi a lungo senza intralci di sorta. Identificare il testamento biologico e l'eutanasia con la cultura della morte a ben pensarci è fuorviante, è confondere la parte deteriore con il tutto. Qui bisognerebbe trattare con molto rispetto chi soffre le pene dell'inferno, specialmente da chi è sano di mente. Bisognerebbe sempre mettersi nella pelle degli altri, e non pontificare dall'alto delle proprie bigonce, pulpiti o parlamenti che siano. Si pensi a chi si trova in condizioni irreversibili, sofferenze fisiche o psichiche intollerabili patologie neurovegetative, paralisi progressive e tutto quell'oceano di degradi che riducono l'essere umano ad un vegetale, peggio ad un verme. La Chiesa italiana (Card. Bassetti presidente) alla sentenza della Cassazione (25.9.19) che apre al suicidio assistito ribadisce il suo sconcerto e si dichiara vigilante su quanto legifererà il parlamento con la speranza di paletti forti e garanzia al diritto di obbiezione di coscienza. Ma a molti non sembra una soluzione adeguata. La chiesa non deve attendere il responso della società civile, ha da esprimere il proprio orientamento evangelico prima e al di là delle leggi dello stato. E neanche va ridotto fra militanze di partito. In effetti esistono cattolici favorevoli al testamento biologico e laici contrari. Non è questione religiosa ma di sensibilità umana. Tre posizioni sembrano qui rappresentative del complesso problema. E vale la pena citarle. G. Bastianello: ”sono cattolico e desidero libertà di scelta. Ho 63 anni, da 14 malato di distrofia muscolare, da 10 costretto in carrozzella. Ogni mattina un pezzetto del mio corpo non risponde ai comandi, devo farci i conti tutto il giorno. Non condivido che eutanasia e suicidio assistito siano una soluzione di comodo e sbrigativa. Chiaramente mi batto per la vita e con un gruppo d volontari presto assistenza a persone in un letto con gravi disabilità peggiori delle mie. Sto per la libertà di una persona e se decide di andarsene deve essere lasciata libera. Che cosa c'è di sacro in una vita vegetativa?" Un secondo intervento degno di citazione è quello di Davide Oliviero, vescovo di Pinerolo (Torino): "Sono a favore della vita contro l'eutanasia. Ma la chiesa non si trinceri dietro ai principi generali, abbia il coraggio di affrontare i casi uno per uno, il coraggio di uscire dalle ideologie. Non ribadire verità perenni con la storia che cambia e con le situazioni particolari. Siamo usciti dai valori non negoziabili, necessario un tavolo di lavoro a più voci, stante la complessità della vicenda. Basta entrare in un ospedale e ci si si accorge che a ragionare sui grandi principi non ha alcun senso." Un terzo intervento di A. Maggi, religioso marianista, teologo e fondatore del centro biblico di Montefano (Macerata):" Sacra non è la vita, ma l'uomo. E' lui che ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità e il suo voler morire. La chiesa deve offrire la cultura della solidarietà affinché nessuno abbia a chiedere la morte. Andrebbero uniti tre aspetti: Vicinanza alla persona, alla sua coscienza, alla sua libertà. Ogni caso va rispettato perché un caso a sé."' Certamente ogni vita è un dono di Dio. Ma non potrebbe essere a Dio rivolta la seguente preghiera: "Signore, questa vita per me è una lacerazione. Vorrei tornare da te. La vita che mi desti ecco ti rendo". Sarebbe questa una bestemmia, una viltà. un sacrilegio da meritare il profondo dell'inferno? Tutto questo dilemma potrebbe esser semplificato se uomini di chiesa e laici ricordassero un'affermazione fondamentale di Tommaso d'Acquino, (1200) santo dottore basilare della chiesa, il quale nella sua Metafisica scrisse:" l principi sono eterni, le loro applicazioni invece secondo coscienza e situazioni”.

Autore
Albino Michelin
28.09.2019

venerdì 1 novembre 2019

CITTADINO DEL MONDO

Qualche anno fa circolava questa interessante poesia semplice senza rime ma densa di significato.” Cittadino del mondo, il tuo Cristo è ebreo, la tua democrazia è greca, la tua scrittura è latina, i tuoi numeri sono arabi, la tua auto è giapponese, il tuo caffè è brasiliano, il tuo orologio è svizzero, il tuo walkman è coreano, la tua pizza è italiana, la tua camicia è hawaiana, le tue vacanze sono turche, tunisine, marocchine. Cittadino del mondo non rimproverare al tuo vicino di essere straniero.” Vent’anni fa un testo del genere suonava bene, nulla di più, oggi invece è diventato una provocazione. In effetti in Italia basta ti scappi fuori l’espressione straniero e ti viene il rigetto di stomaco, perché crei una reazione carica di insulti. Eppure a pensarci bene, dentro a ciascuno di noi esiste tutta l’umanità del passato, dalle origini del mondo in poi. Si chiami Adamo, l’africana Lucy o pitecantropo. Nessuno dovrebbe offendersi quando si sente dire “prima i sovizzesi (lo scrivente è di Sovizzo provincia di Vicenza), prima i vicentini, prima i veneti, prima gli italiani, prima i cattolici, slogan di tante campagne elettorali che negli ultimi tempi hanno riempito la bocca dei comizianti e dei Twitter, alimentato gli incontri e gli scontri pubblici. Ora si pone una domanda chiedendo venia se il sottoscritto si autocita: sono io un vero sovizzese, un vero vicentino, un vero veneto, un vero italiano, un vero cattolico? Fa riflettere quanto si legge il libro di Ettore Masina:” Naufraghi di terra” nella citazione di Elvio Beraldin. Ciascuno di noi ha due genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisnonni. Se ci si appassiona al calcolo degli anni si arriva a numeri impressionanti, lontanissimi da quelli il cui concetto moderno di famiglia ci ha abituati. Retrocedendo alla decima generazione pressappoco fine 1600 gli avi di ciascuno di noi equivalgono numericamente alla popolazione di un villaggio, 512 padri e altrettante madri. Spingendoci agli inizi del 1500 riempirebbero una città, circa 65 mila, ma penetrando oltre il tempo diventerebbero un popolo. In teoria portiamo ciascuno di noi nel nostro sangue particelle genetiche di più di 8 milioni di persone che vissero nel 1300, immenso popolo che alla lunga ci rende un po’ tutti parenti. Il sangue non è acqua e hanno ragione gli antropologi quando dicono che il DNA di noi italiani oggi porta l‘impronta degli etruschi, dei greci, delle genti che passarono nella nostra penisola in tempi remoti. E siccome l’Italia è stata arata dagli eserciti conquistatori di vari continenti importando pure schiavi, trafficanti, ladroni, il nostro suolo è stato sconvolto, assetto demografico e sociale compreso. Tutti siamo meticci. Fra gli antenati di ciascuno di noi vi è certamente un fenicio, un greco, un gallo francone, un negro della Nubia, un cristiano, un arabo, un musulmano, uno spagnolo, un ungherese, un mongolo, un turco. Certamente una prostituta, un uomo di guerra, un soldato di ventura, un letterato, un monaco di esigua castità, una donna violentata, un Muzio Scevola, un bertoldo, un disertore, una donna di struggente bellezza, un beduino, centinaia di affamati. Tutti questi esseri rivivono misteriosamente ma realmente in ciascuno di noi, cittadino del mondo. Su questa direttrice potremmo anche scendere al dettaglio, chiamando in causa la onomastica, cognonomastica, toponomastica, cioè l’origine dei nomi, cognomi, luoghi e noteremo come ciascuno di noi è un essere multietnico e multiculturale, un mosaico di puzzle. Non siamo una razza bianca, pura, esclusiva. Siamo dotati di risorse di vastissima ricchezza spirituale, talenti, carismi, insieme ovviamente a inevitabili limiti e difetti. Basta consultare le nostre anagrafi comunali. Per brevità ci limitiamo fra migliaia a due appellativi. Provenienza di origine ebraica: Mariani, Bettinelli. Di origine greca: Nicolodi, Alessi. Di origine romana: Augusto, Giuliano. Di origine longobarda: Ansaldi, Alberti. Di origine musulmana: Mussolini, Amina. Di origine araba: Aida, Nadia. Di origine teutonica: Azzola, Gismondi. Di origine tedesca: Margherita, Rodolfo. Di origine ungherese: Ongaro, Bodel. Di origine spagnola: Almirante, Catalano. Di origine russa orientale: Igor, Ivano. E qui non saremmo troppo lontani dalla realtà se con l’appoggio della psicologia e della psicanalisi affermassimo che dentro di noi vi è l’inconscio di tutta l’umanità dalle origini del mondo al nostro tempo, includiamoci pure il discusso mitico peccato originale. Per cui siamo tutti ricettori e donatori dell’inconscio che emerge dai nostri sogni notturni, dai nostri desideri, dalle nostre frustrazioni, esorcismi, possessioni diaboliche, multi linguaggi, paure, visioni. Al di là della nostra morfologia ossea, cranica, articolazioni, statura, colore della pelle non vi sono fondamenti per distinguere fra razze superiori e razze inferiori. Nel periodo 1930-40 vi è stata in Europa una recrudescenza del razzismo con l’esaltazione e la difesa della razza bianca per l’avvento del nazifascismo e potremmo affermare che i suoi fondatori e difensori oltre che di inaccettabile animosità hanno dato dimostrazione di crassa ignoranza, pardon di scarsa cultura, di sottocultura, anche se il fenomeno non si è concluso in quel periodo ma permane in parte pure ai nostri giorni. Sull’argomento vale anche la pena di chiederci quale sia stata nel tempo la posizione della chiesa cattolica. Essa ha dato un’interpretazione del Cristianesimo alquanto limitata. A partire da S. Agostino 400 d.C. che fece le seguenti affermazioni; ”chi ama il mondo non conosce Dio…Dio è più intimo all’uomo di quello che l’uomo non sia a se stesso- ”Indubbiamente l’espressione è profonda ed esatta. In effetti è sempre dal cuore dell’uomo che nascono atteggiamenti, azioni oneste o disoneste. Però è stata l’applicazione di questo principio che ha dato avvio a quella scissione fra individuo e società che per secoli fu un insegnamento troppo accentuato nella chiesa stessa. Perché se la destinazione dell’individuo è ultraterrena (paradiso-inferno), l’esigenza dell’uomo pur svolgendosi nel mondo dovrà separarsi dallo stesso. All’individuo il compito di conseguire la propria salvezza e di evangelizzare gli altri per lo stesso traguardo dal momento che la destinazione dell’individuo non ha più stretta relazione con quella della società. Siccome la patria del Cristianesimo non è di questo mondo, il cristiano fa sì il suo dovere come cittadino, ma lo fa con una certa indifferenza riguardo al buono o cattivo esito dei suoi sforzi. Purché non abbia nulla da rimproverarsi poco gli importa che tutto vada bene o male quaggiù. Si trincea nel privato, salva l’anima tua, del vicino non si conosce neppure il nome, si arrischia totale indifferenza nei confronti del diverso, lo straniero, l’emigrato. Scriveva il Talmud (400 d. C,): ”Chi salva una vita salva il mondo”. Cui si può aggiungere: ”chi uccide una vita uccide il mondo” E se è vero quanto sopra detto aggiungasi pure: ”Chi uccide un uomo uccide se stesso.” E qui c’è spazio alla riflessione: sono uomo e nulla di ciò che appartiene all’uomo mi è alieno, dicevano gli antichi. Nel più profondo del nostro essere il codice umano è uguale per tutti: siamo cittadini del mondo.

Autore
Albino Michelin
21.09.2019