venerdì 21 febbraio 2020

SULLA NASCITA DI GESÙ: LA DIVERSITÀ DEI RACCONTI

Non si ruba niente alla fede e alla devozione dei credenti se oggi gli studi e le ricerche di interpretazione sulla bibbia danno come conclusione che le narrazioni degli evangelisti Matteo e Luca sulla nascita di Gesù (gli altri due Marco e Giovanni non ne parlano) non coincidono, anzi manifestano qualche aspetto contradditorio. Allora si ricorre a salvare l’autenticità sostenendo che essi dovevano rispettare le narrazioni e profezie anticipate nei libri dell’Antico Testamento. Oggi nell’era tecnologica si direbbe processo di coppia- incolla. Come premessa va detto che anche la data della nascita di Gesù è incerta. Solo dopo oltre 200 anni forse con Ippolito la si fissò al 25 dicembre, come sostituzione della festa di Mitra, divinità induista, persiana, greco-romana, pagana, risalente a 1200 anni prima di Cristo, pure nato da una vergine, preposto al solstizio del sole a indicare che d’ora in poi il vero sole dell’umanità è Gesù. Ma gli antichi alla precisione delle date non davano molta importanza. Per loro importante che Gesù fosse storicamente nato e venuto al mondo, e questo rimane fondamentale anche per noi in quanto poi alla diversità delle narrazioni bisogna sapere che ciascun vangelo fu scritto diverse decine di anni dopo la morte di Gesù e che la sua vita quindi, detti, opere furono tramandate a voce prima di essere fissate su codice. Non esisteva un centro studi che distribuisse informazioni e vangelo a tutti. Quindi l’estensore Matteo e la sua scuola nulla sapeva della nascita di Giovanni Battista, di Elisabetta, di Maria sua parente, dell’annuncio a Maria di una gravidanza verginale, del saluto apparentemente sovversivo del magnificat, che Gesù fosse nato a Betlemme in una stalla, con l’adorazione dei pastori, la presentazione al tempio. Notizie tutte di cui parla Luca. Matteo riteneva che i magi erano venuti dall’oriente, che i genitori prima di risiedere a Nazareth erano fuggiti in Egitto, causa la strage di Erode. Informazioni queste di cui Luca invece non accenna. I due racconti non sono diversi, sembrano addirittura contradditori. Gli evangelisti con grande acume realizzarono dei montaggi, un po’ tirandoli per i capelli. Inoltre ogni evangelista e la sua scuola redigeva il vangelo secondo le sensibilità i bisogni, le necessità della sua comunità e relative caratteristiche. Non è che inventasse nella sostanza, ma nell’applicazione dei dettagli senz’altro. E quando si scriveva la storia di un uomo importante che aveva cambiato i destini del mondo si usava raccontare la sua nascita per eventi prodigiosi e così è avvenuto per Gesù. Ecco qualche esempio del procedimento copia-incolla. Tenendo davanti ben aperto e chiaro il testo dell’Antico Testamento. Isaia profeta in un oracolo del 740 a.C. scrive (7,14):” ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio “e Matteo evangelista 800 anni più tardi riprende(1,22):” avvenne quanto detto dal profeta: ecco una vergine concepirà e partorirà un figlio” e in Samuele (primo libro 1,20) mille anni prima si legge:” Anna la sterile concepì e partorì un figlio”, Samuele appunto. Questo perché era nella logica degli antichi far nascere le persone importanti dalla congiunzione fra un dio e una ragazza vergine o una sterile. Da notare per inciso che la verginità di Maria fu definita come dogma dal Concilio Lateranense nel 649 d. c. Altro caso di copia-incolla riguarda il luogo della nascita. In Michea profeta 722 a. c. si legge, (5,1):” e tu Betlemme la più piccola delle città, da te uscirà il dominatore di Israele”. 800 anni più tardi Matteo nel suo vangelo scriverà (2,4)”: come dice il profeta, da te nascerà il capo che pascerà il mio popolo”. Per rispetto alla profezia Gesù bisognava farlo nascere a Betlemme, in realtà molti studiosi ritengono che sia nato a Nazareth. Infatti Luca lo chiama nazareno. (2,39). Terzo episodio di copia-incolla. Erode, l’eccidio dei bambini innocenti, la fuga in Egitto della sacra famiglia e la rimpatriata. Esodo 1200 anni prima di Cristo. (2,14) scrive che Mosè fugge dalla persecuzione degli egiziani attraverso il mar rosso alla ricerca della terra promessa. 1.300 anni più tardi Matteo (2,16) scrive che Giuseppe rimase in Egitto fino alla morte di Erode affinché si adempisse quanto detto dal profeta: “dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Non vale la pena citare molti atri episodi di copia-incolla. Solo è necessario convincersi che quando nei vangeli si incontrano delle contraddizioni si possono trovare spiegazioni e soluzioni attraverso questi montaggi. A titolo di curiosità e non solo, sembra opportuno aggiungere una tradizioni induista in cui si tramanda la narrazione di certo Gezeus Chrishna, predecessore indiano di Gesù, da cui secondo alcuni pare gli evangelisti abbiano copiato o siano da essa stati influenzati, Ecco il testo: “Avvenne l’annunciazione fatta alla vergine (Maria dei cristiani). b) Seguì l’incarnazione in essa di un dio nato sotto il nome di Wisnu’ (Gesù dei cristiani). c) L’evento fu annunciato ai magi e ai pastori. d) Allora avvenne la persecuzione del grande Raja’ (Erode per i cristiani) il quale fece ammazzare tutti i maschi, per la durata di due anni. Ed anche lui cioè il Chrishna è nato dalla vergine Devagumay (Maria dei cristiani) a Madera. Da più di 3.000 anni (quindi prima di Gesù) è disceso sulla terra a difendere i deboli, a predicare la morale. Anche lui si era proclamato seconda persona della trimurt (la Trinità dei cristiani). Redentore ante litteram di Gesù preannunciato dai discepoli indiani”. Sostituendo contenuti e nomi di questa leggenda indiana con la narrazione della nascita di Gesù nei vangeli si costata una profonda somiglianza. Che dire? Tutte fantasie, leggende, concorrenza, circolazione degli stessi miti fra diverse religioni? Forse una spiegazione si trova nel fatto che anche nelle tradizioni culturali e religiose dell’antichità precedenti a quella cristiana Dio ha seminato nel cuore degli uomini le stesse aspirazioni che poi diventeranno o sono diventate esplicite nel cristianesimo. Ma accettare di confrontarsi con delle difficoltà che incrinano apparentemente le nostre convinzioni ci permette, come afferma il biblista Enrico Norelli, di progredire e di comprendere che Dio anche se con nomi diversi appartiene a tutti e non ad una categoria di supposti eletti soltanto.
              
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Albino Michelin
23.01.2020

giovedì 20 febbraio 2020

LA RELIGIONE E IL FEMMINICIDIO

La prima settimana di febbraio in Italia viene riservata al festival canoro di Sanremo, giunto quest’anno alla settantesima edizione. In essa è stato riservato anche uno spazio ad interventi di carattere culturale, fra i quali assai apprezzato fu quello di Rula Gebreal, una donna italo-palestinese, rimasta orfana da bambina di madre, suicidatasi perché traumatizzata da uno stupro subito. Ovvio che il suo messaggio venne rivolto a tutte le donne indistintamente, per la difesa della loro dignità in quanto possibili candidate al femminicidio, fenomeno piuttosto in aumento. In Italia una donna ogni tre giorni viene uccisa dal marito o dall’amante. Non parliamo di altri paesi come l’America del Sud dove si verificano 12 femminicidi al giorno, in tutto il mondo addirittura 137. Senza aggiungere le vittime di violenze domestiche. Inutile girarci attorno: in fondo esiste solo una causa, il patriarcato dei maschi, origine atavica e non ancora superata nella nostra civiltà postmoderna. In dettaglio vi sono altre concause e motivazioni. La prima sta nel fatto che le donne vengono considerate prive di coscienza. Nella tradizione culturale filosofica il concetto di coscienza venne identificato con quello di ragione, volontà, mente, spirito: qualità ritenute appartenenti all’uomo. In contrasto con i sensi, la materia, il corpo, realtà appartenenti alla donna. Perciò da sempre e per secoli la coscienza non è mai stata attribuita alla donna. E’ il maschio la coscienza della donna, e se essa non serve come schiava, o come suddita o come strumento di potere e di piacere del maschio dovrà accettarne le conseguenze. Altra concausa è la mitologia, inizialmente legata alle religioni. Eva nel Cristianesimo e Pandora in Grecia vengono descritte come incaute, stolte, portatrici di sventura e di morte, tentatrici che trascinano l’uomo nel male. Così il pensiero maschile ha immortalato la figura femminile in un archetipo modello mitologico da cui si può aspettare solo sciagura e calamità, che va dal maschio controllata ed esercitata con lo jus corrigendi (diritto di correggere o di punire). Nulla di strano che dall’inconscio collettivo ancestrale, connivente anche sotto l’elegante cravattino dell’uomo moderno si sprigioni energia, rabbia, frustrazione contro il capro espiatorio, identificato nella donna. Quasi un secolo fa una scrittrice vicentina Elisa Salerno (1873-1957) ha tentato con il libro “Le tradite” di lanciare al suo mondo tre chiare parole:” Noi ci ribelliamo”, e anche grazie a lei dopo un secolo si è potuto istituire la giornata del 25 novembre dedicato contro la violenza alle donne. Un’altra concausa può anche essere addebitata alla tradizione cattolica. La chiesa tradendo un po’ troppo il suo mandato ha consumato nei secoli un continuo delitto di omicidio contro la donna negandole l’intelligenza, privandola dell’istruzione, del pane della sapienza, accreditando inferiorità e disonore per la gioia del maschio. In fondo anche l’attuale accapigliarsi sul celibato dei preti si basa non soltanto sul fattore economico, sul risparmio dal mantenersi moglie e figli, ma sul fattore profondo della indegnità della donna di stare accanto ad un uomo sacro e di avvicinarsi al santo altar. Ecco perché Perpetua una santa martire del 203 d.C. voleva diventare maschio, per entrare dopo morte nel regno dei cieli, in quanto solo l’uomo era considerato immagine di Dio, non la donna. Circolavano espressioni di teologi al tempo di S. Agostino (400 d.C.) quali: “occorrono le fogne per garantire la salubrità dei palazzi”. Persino San Tommaso (1200) sottolinea:” le prostitute sono come la cloaca di un palazzo, togliete la cloaca e il palazzo diventa maleodorante”. Quindi la prostituta una lecita immoralità. Fuori discussione che non si deve generalizzare (donna uguale a prostituta), ma la tendenza a identificare le due realtà fa nei maschi facilmente capolino. Certo Gesù fondatore del Cristianesimo era di tutt’altro spessore, ma lui era la potenza di Dio. Sono stati i cristiani a perdersi per strada nel tempo. Gesù era un grande a dare dignità a tutti, incominciando dagli ultimi, cioè dalle donne. Caso tipico quando ha liberato una adultera dalla lapidazione e fugato tutti i suoi accusatori maschi. O quando ha detto che le prostitute entreranno nel regno dei cieli prima degli ipocriti e dei falsi credenti. (Mt 21,31). Fuori dubbio che il discorso sul femminicidio non deve dimenticare quello della infibulazione praticato soprattutto in Africa e nel Medio oriente, in parte come identità culturale in parte religiosa. Non è una morte fisica della donna, ma della sua integrità fisica e psicologica a partire dalla adolescenza e addirittura dall’infanzia. 200 milioni di donne nel mondo, 98% in Somalia, 80 mila residenti in Italia. Mutilazione degli organi genitali affinché esse non provino nessun piacere sessuale, e non sentano nessuna attrazione verso altri uomini: solo possesso del maschio, l’unico ad avere potere su di lei. Pratica che le donne si portano per tutta la vita, soprattutto come umiliazione. Nel 2020 un plauso a Sanremo per lo spazio riservato a Rula Gebreil. Il voto più alto nella pagella degli interventi ospiti: un otto. Motivo: “Le espressioni più belle di questo festival e forse di tutti i festival”, giudizio della stampa accreditata.

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Albino Michelin
16.01.2020

mercoledì 19 febbraio 2020

COMUNIONE DEI CATTOLICI E CANNIBALISMO

In una recente conversazione una persona attiva e praticante nella comunità cristiana ebbe a dire che lei la comunione nella messa non va a riceverla perché sente una naturale ripulsa a quella espressione di Gesù:” chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà la vita eterna” (Giov.6,53). Le sa di cannibalismo, le viene un blocco psicologico che non riesce a superare. L’obbiezione merita una riflessione. Sappiamo che il cannibalismo era e resta usanza orribile per la civiltà moderna, ma era una prassi della struttura sociale e religiosa delle civiltà primitive. Alle origini si chiamava antropofagia (dal greco mangiare un essere umano o sue parti), dal 1500 circa venne sostituita da un’altra espressione cannibalismo appunto proveniente dai Caraibi, America Centrale, perché era diffusa l’idea che quella gente si cibasse della carne dei propri simili, di qui cariba (ardito), poi caniba, quindi cannibale. A parte il fatto che in periodi di carestia si ricorresse a questa soluzione estrema però l’usanza per quanto rara poteva includere anche significati psicologici, culturali, persino religiosi. Di questo assai ricca è la mitologia-Ad esempio Kronos-Saturno divorò i suoi figli per paura di venire spodestato, Atreo invitò il fratello Tieste offrendogli come cena-menù i suoi figli, il Conte Ugolino lui pure divorò i suoi figli, come narra Dante nella sua divina Commedia. In alcune zone della Nigeria viene praticato ancor oggi, seppure come rimasuglio. Le motivazioni sono o erano diverse. Alcune di carattere biologico come appare dagli Aztechi delle Ande, altre per assorbire l’energia vitale degli umani e prolungare la propria esistenza. Più frequente però era la motivazione psicologica. Si mangiava la carne degli avversari e dei capi tribù del clan rivale vinti per appropriarsi delle loro virtù e della loro forza. Altri motivi potevano essere quelli della purificazione, cioè per venire assolti dalle proprie colpe, o quelli della protezione divina: come nei banchetti sacri di carne umana, specie di bambini, per impetrare benefici delle divinità di turno. O motivi di identificazione: per assumerne lo spirito, la forza, l’audacia dei defunti. Il cannibalismo è esistito e oggi è in via di estinzione come residuato di tempi preistorici. E qui logica vuole fare la connessione: allorché Gesù ha invitato a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue si riferiva ad un linguaggio mitologico, metaforico, spirituale o di identificazione? E qui va fatta un’ulteriore connessione con il pane e il vino scelto da Gesù nell’ultima Cena, quella che poi lungo i secoli verrà chiamata messa, santa cena, banchetto di liturgia eucaristica, a seconda dei tempi e dei diversi luoghi. Molti cattolici rimangono prigionieri della parola e del letteralismo e disquisiscono sulla natura del pane, che quello di Gesù era azzimo, cioè non fermentato in memoria degli antichi ebrei che fuggendo in fretta dall’Egitto notte tempo non avevano avuto la possibilità di lievitare il pane. Altri si perdono a discutere se si può celebrare la cena-messa con bastoncini alla francese. Se il vino deva essere bianco, rosso, santo. Se si possa usare il barolo, il merlot, il Montepulciano. Si disserta sulle ragnatele dell’arco di Tito dimenticando il significato della messa. Che in embrione è sulla linea come di un nostro incontro conviviale di amici in cui si mangia pane, formaggio e un buon bicchiere di vino: cioè convivialità, amicizia. Per cui se Gesù avesse celebrato la cena nel Tibet avrebbe scelto il riso al posto del pane, in Indonesia noce di cocco, in Africa la manioca, e in un paese dove il cibo pane fosse sconosciuto avrebbe usato il pesce. Gesù ha scelto il nutrimento vitale in quanto simbolo di fraternità e di condivisione. Ma resta ancora in sospeso il cannibalismo. Gesù quando disse nella cena: “prendete e mangiate, questo è il mio corpo offerto in amore per voi, prendete e bevete questo è il mio sangue versato per voi” (Lc.22,19) intendeva che egli si sostituiva al pane e al vino diventati il suo corpo fisicamente e materialmente? Non ci si può qui soffermare sulle distinzioni filosofiche che hanno perfino diviso le religioni. I cattolici ritengono la transustanziazione (la sostanza del pane si trasforma nella sostanza del corpo di Gesù), i protestanti con Lutero ritengono la consustanziazione (le due sostanze convivono), Calvino parla di presenza simbolica, gli ortodossi di presenza reale, però non materiale, non fisica. Roba da rompicapo, troppo filosofare non rende altro che confusione, altro che mistero. Riteniamo che mangiare il pane della comunione significa una identificazione con Gesù, con il suo messaggio, con la sua energia, con il suo corpo mistico-sociale che è l’umanità tutta. E ce n’abbiamo d’avanzo. L’aveva ben capito Paolo quando nella prima comunità in cui si celebrava la cena chiamata frazione del pane costatava che alcuni si rimpinguavano e altri restavano a digiuno. Li rimproverava perché compivano una grossa ingiustizia verso i poveri anziché un omaggio alla divinità. Gesù si è fatto pane cioè disponibilità affinché ognuno nella comunione si faccia unione comune e disponibilità verso i fratelli, gli amici, i diversi, gli estranei, i nemici, i lontani. Dà una sensazione strana delle volte costatare ad esempio come una famiglia dai componenti di diversa religione vada alla messa e solo al cattolico sia concessa la comunione, mentre agli altri venga interdetta perché non condividono la stessa fede nella transustanziazione. Incomprensibile anche ciò che accade spesso nella prima comunione di un bambino: la madre cattolica, il padre protestante o viceversa? Due ricevono l’eucarestia e l’altro no. Come è possibile che ciò che Dio ha unito (la famiglia), Gesù e la Comunione debbano dividere? Quando la istituzione chiesa cattolica risolverà questi interdetti? La persona che all’inizio ha posto l’obbiezione non deve temere il cannibalismo e non deve prendere il linguaggio di Gesù nella sua accezione biologico-fisica, ma nella sua trasposizione spirituale. Sulla stessa esperienza con cui gli innamorati si dicono, oppure i genitori abbracciano un figlio con un:” ti voglio tanto bene che ti mangio”. La comunione è una identificazione a triangolo: “Io- Dio- uomo”. Con ogni uomo, cittadino del mondo.

Autore:
Albino Michelin
09.01.2020

martedì 18 febbraio 2020

A CHE SERVE IL CRISTIANESIMO NELLA NOSTRA SOCIETÀ GLOBALIZZATA

E’ legittimo porsi la domanda se nella nostra società globalizzata, oltre che caotica e confusa, il Cristianesimo abbia ancora qualcosa da dire. E’ questa una religione che ci aiuta a risolvere i problemi e la crisi in cui siamo capitati, oppure è la scienza moderna con nuovi contenuti etici e di comportamento che ce ne porterà fuori? Il punto da cui partire è che l’Europa, compresa la Russia, è stata cristiana da 1500 anni, che le Americhe lo sono da 500 anni, che vari paesi dell’Asia e dell’Africa lo sono da qualche secolo. I casi sono due: o è stato il Cristianesimo la causa di questa crisi, o non è stato capace di impedirla. Alcuni pensatori e analisti cattolici rispondono che la causa è un’altra: la modernità con il suo bagaglio di devianze: l’illuminismo, secondo cui tutto si risolve al lume della ragione, le nuove filosofie, le scienze, il materialismo, le psicologie, la tecnologia, il relativismo, le nuove dipendenza e schiavitù, l’inquinamento ambientale e chi più ne ha più ne metta. In conseguenza di ciò noi saremmo tutti cristiani residuati, e il nostro cristianesimo sarebbe rimasto nomenclatura, cioè scatola vuota. Si può rispondere che si tratta di una spiegazione insufficiente quella di incolpare il Cristianesimo quale causa della crisi attuale, basti pensare alle innumerevoli benemerenze lungo i secoli sul piano dell’assistenza ai poveri, degli ospedali, ecc. Però c’è un però. E’ vero che tutti gli scienziati, i filosofi, i politici, i colonizzatori erano cristiani. A cominciare da Keplero, Galilei, Tomaso Moro, ecc. Quelli che hanno invaso le Americhe, l’Africa, l’Asia erano cristiani. I re del Portogallo e della Spagna che hanno razziato dovunque dall’oriente all’ occidente erano cristiani. Cortés e i distruttori degli indios nel nord America o quelli che hanno ucciso migliaia di abitanti nelle due Americhe erano cristiani. D’accordo quindi che la crisi di oggi è stata provocata anche dal Cristianesimo, o meglio dal suo tipo di gestione. Però oggi si è trovato una spiegazione chiara ed ineludibile. Cioè che bisogna distinguere Gesù dal Cristianesimo, e molto di più bisogna distinguere Gesù dal Cattolicesimo, spesso più un partito che una fede. Bisogna distinguere la figura storica di Gesù, il suo messaggio, la sua prima comunità da quella successiva e particolarmente da quella attuale, diventata più un museo di cere che non di testimoni e di profeti. Un cristianesimo che ha gestito la società civile anche per necessità, per l’assenza degli stati nazionali ancora in gestazione, sì vero, ma purtroppo come potere più che come servizio. E negli ultimi decenni ha esercitato tale potere più come nostalgia del passato che come esigenza del presente. Il mondo di oggi ha bisogno di tornare al messaggio di Gesù e non di ripetere il cristianesimo del passato, ma di reinterpretarlo. E quando si parla di devozioni e di tradizioni, ben vengano per la consolazione della nostra memoria, ma non va dimenticata la Tradizione con il T maiuscolo, quella che si radica in Gesù di Nazareth e nel suo messaggio. A conferma di ciò possiamo riferirci a Papa Bergoglio il quale ha recepito le analisi profetiche degli studiosi in materia: il tentativo di rivitalizzare il Cristianesimo. Egli insiste su tre linee orientative. Primo: il Cristianesimo oggi deve essere una risorsa di senso, di umanità, di rispetto dell’uomo, di fronte a spinte disumanizzanti, provenienti dallo sfruttamento del suolo, dalle nuove schiavitù del progresso materiale, dalle disuguaglianze, dalla libertà ridotta ad anarchia, arbitrio, licenza di offender e di uccidere. E questo è il primo ritorno a Gesù. Qualcuno obbietterà che Gesù non ha dato la precedenza a questa morale orizzontale ma ha raccomandato di andare in tutto il mondo a predicare il vangelo, a battezzare e convertire. Ma per Gesù questo invio non significa prender il trolley, riempirlo di bibbie e di acqua santa, e convertire i pagani fino agli estremi confini della terra. Come se i cosiddetti pagani tra l’altro non avessero già una partecipazione del divino ancora prima della venuta di Cristo. Per Gesù che è venuto a dirci che non possiamo amare Dio se non amiamo l’uomo, predicare il vangelo significa portare e diffondere pane quotidiano, aiuto, uguaglianza, umanità. Allora i missionari dei secoli scorsi hanno sbagliato tutto? No certo perché essi erano in buona fede. Anche se alcuni furono martirizzati in quanto dagli indigeni considerati fiancheggiatori dei colonizzatori. E oggi abbiamo imparato che missione non è colonizzazione Di qui encomiabile la grande quantità di laici, medici, coniugi, che vanno al terzo mondo a curare la povera gente e in secondo momento parlano di bibbia, di Gesù, del Cristianesimo. Prima amare e poi evangelizzare. Lamentare che oggi la gente non va più in chiesa, oppure che i preti dovrebbero sposarsi, si finisce per perdersi negli accessori. Gesù non ha mai raccomandato agli apostoli di non sposarsi e S. Paolo nella prima comunità cristiana aveva vescovi sposati ai quali ripeteva che il vescovo sia marito di una donna soltanto. Ci si perde a disquisire sulle ragnatele dell’arco di Tito. Entrare in confusione perché Bergoglio apre al celibato dei preti e Ratzinger chiude significa perdere di vista l’essenziale. Questi argomenti non fanno parte del messaggio di Gesù, fanno parte del vecchio cristianesimo. Certo non va rifondato un nuovo Cristianesimo, ma va reinterpretato quello di Gesù al nostro tempo. Il secondo passo da fare oggi è ricomporre le tessere delle varie religioni che nel tempo si sono separate e anche fatte la guerra. Ecco perché Bergoglio compie tanti sforzi per portare al dialogo tutte le religioni, cattolica, protestante, ortodossa, islamica, induista, buddista, vudu, anche quelle primitive E quando nell’aprile del 2019 Bergoglio baciò le scarpe ai leader del Sudan c’è chi si scandalizzò perché sta svendendo il Cristianesimo all’Islam. E quando il 7 ottobre benedisse l’immagine della dea amazzonica Pachamana indios si disse che svendeva il Cristianesimo alle idolatrie pagane e che il papa è diventato un eretico. Non ci siamo, egli e molti di noi sanno che se oggi non si trova prima di tutto un dialogo, una convivenza e rispetto fra le religioni non si torna al messaggio di Gesù. Il terzo aspetto per riproporre come significativo il cristianesimo è quello di evitare la deriva violenta del fondamentalismo, dogmatismo, intransigenza religiosa. La quale anche oggi tende a coniugarsi con la politica e così abbiamo degli identitarismi nazionali blindati, bellicosi e conflittuali. Un fondamentalismo religioso che non si limita solo ai paesi islamici ma si allarga a macchia d’olio un po’ovunque. In India una legge recente sfavorisce le minoranze religiose. In Cina, anche se non si può parlare in senso stretto di religione, è stato sostituito il marxismo con la dottrina confuciana, collante fra economia, politica e società. In Russia la chiesa ortodossa si lega a doppio filo col potere politico, in Brasile come negli Usa i cristiani evangelici sono i primi sostenitori dei governi Bolsonaro e Truman. Lo stesso si registra nei paesi europei, Polonia e Ungheria in testa, in Francia con il Rassemblement national, in Spagna con la Vox, in Italia con la Lega. Fenomeno che raccoglie ampi strati di popolazione specie quelli meno istruiti e meno abbienti. Il progetto fallimentare della globalizzazione si dimostra incapace di essere inclusiva e si traduce nella marginalità di interi gruppi sociali e aree territoriali. Di fronte a tali planetarie difficoltà le radici religiose tornano a giocare un ruolo importante, perché forniscono quelle risorse simboliche di cui la politica non dispone più. Gli stati europei nati da guerre di religione in questo inizio del XXI secolo tendono a riaffiorare, creando tensione nel quadro geopolitico mondiale. E’ su questi tre punti che Papa Bergoglio, anche se solitario e alquanto discusso, tenta non tanto di rifondare quanto di rendere significativo il cristianesimo: ricerca di senso, dialogo, tolleranza quali presupposti per dare ad ogni uomo la sua dignità e quella di figlio di Dio. Al di là di ogni paventata apocalisse, imminente fine del mondo è in questa linea che il Cristianesimo resta ancor oggi indispensabile. Ritornando alla centralità di Gesù e alla sua regola d’oro: fare agli altri quello che vorremmo gli altri facessero a noi.

Autore:
Albino Michelin
18.12.2019

lunedì 17 febbraio 2020

DOM FRANZONI: LA FORZA DI UN CREDENTE MARGINALE

Chi tiene qualche rapporto con il mondo religioso del nostro tempo non può dimenticare una figura storica di primo piano che molto ha contribuito ad attuare l’ultimo concilio ecumenico (1962-65), sia a livello di pensiero come di rinnovamento. Si tratta di Francesco Franzoni nato l’8.1.1929 da genitori italiani trasferitisi temporaneamente per lavoro a Varna in Bulgaria e tornato in giovane età a Firenze, entrato nell’ordine benedettino, fattosi prete nel 1955, diventato abate di S. Paolo fuori le Mura in Roma nel 1964, con l’appellativo tipico dei monaci dom anziché don dei preti diocesani, quindi vescovo della stessa basilica. Quale vescovo più giovane a 36 anni partecipò alle due ultime sessioni del Concilio, e fu uno degli estensori determinanti della costituzione pastorale sulla chiesa e il mondo dal titolo “Gaudium et spes”, gioia e speranza. Prevedendo l’eclissi del sacro, come è tipica intuizione degli spiriti profetici, mise tutto se stesso in opera orientando la chiesa e le sue storiche intransigenze verso un dialogo totale con il mondo moderno, aprendone le finestre in ogni dimensione. Aggiungasi a ciò il suo carattere non molto morbido e piuttosto decisivo avremo il quadro della sua personalità. Teologo per nulla banale, argomentava le sue tesi ancorandole alla bibbia. Il suo motto: tenere in una mano il giornale e nell’altra la bibbia. Coniugava l’ascolto del vangelo con la lettura delle situazioni politica ed ecclesiale del momento, che egli considerava Kairos’, cioè grazia. Fonda le comunità di base inizialmente giovanili, in cui gruppi di credenti si riuniscono per approfondire la propria fede. Con loro preferisce celebrare messa in piazza anziché in chiesa, perché sacra è la comunità e non solo la struttura di pietra. Suoi compagni di viaggio predecessori o contemporanei erano P. Mazzolari (1959), don Milani (67), La Pira (77), E. Balducci (92), D. Turoldo (92), Enzo Mazzi (2011), anime magari appartenenti al dissenso ecclesiale, con un piede dentro ed un altro fuori dall’istituzione, ma di rilevante spiritualità. Considerando la situazione politica si dissociava dalla scomunica della chiesa dal 1949 nei confronti del comunismo, fu per la libertà del voto al Partito comunista, si batteva per un socialismo dal volto umano, per questo fondò il movimento “Cristiani per il socialismo”. Le sue omelie domenicali venivano registrate da alcuni settori della chiesa che non avevano alcuna remora ad irrompere nella basilica di S. Paolo per disturbarlo allorché si dichiarava contro la guerra in Vietnam (1955-75), la speculazione edilizia della gerarchia cattolica, a favore e di una chiesa schierata concretamente a fianco degli ultimi. Ammirava Paolo VI non tanto perché l’avesse fatto vescovo, quanto perché nel 64 si spogliò del triregno, una specie di castello di gioielli e perle montate sul suo capo, rifiutando così di identificare il papa con un principe della chiesa. Però sinceramente non accettò e osteggiò l’enciclica “Humanae vitae” del 1968 in cui Papa Montini chiudeva al controllo delle nascite proibendo il contraccettivo. Nel 1973 pubblica la sua più importante lettera pastorale intitolata” La terra è di Dio” che scosse le coscienze anche dei credenti assopiti. Può essere intesa a pieno titolo come anticipatrice dell’enciclica “Laudato sii” Bergoglio 2015, edita 42 anni più tardi, sia per l’appello alla cura del creato, sia per il monito a non sfruttare il pianeta, a non farne uno strumento di arricchimento personale e di sopraffazione dei poveri. Il torto delle anime grandi è sempre quello di anticipare i tempi. L’apice delle sue prese di posizione avvenne in occasione del referendum sul divorzio del 12-13 maggio 1974 votato dagli italiani con una maggioranza del 60%. Egli si schierò con largo anticipo decisamente a favore definendolo un bisturi necessario. Non si poteva imporre l’indissolubilità ai non credenti o a chi lungo il cammino aveva perso la fiducia nel sacramento oppure costatava il fallimento del matrimonio.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ed era inevitabile che la chiesa prendesse l’unico provvedimento a sua disposizione, quello di sospendere l’abate dalle funzioni sacre (a divinis) e ridurlo allo stato laicale. Dom Franzoni ovviamente continuò la sua attività di animazione cristiana, celebrando ugualmente la messa per i gruppi di base, dedicandosi al giornalismo, alle conferenze, alla pubblicazione di libri sugli argomenti urgenti che interessavano la chiesa di quegli anni. In effetti il mondo cattolico stava dividendosi in due tronconi, da una parte i conservatori a bloccare le aperture del Concilio, dall’altra i riformisti. Nel 1986 diede alle stampe il libro” Il diavolo mio fratello”, in cui nega l’esistenza di questo personaggio dalle ancestrali origini persiane, così come appare nell’immaginario collettivo popolare e nella catechesi cattolica. Analizza come credente e come uomo di religione rispondendo non solo alle affermazioni di Woytila secondo il quale il più grande successo del diavolo è quello di far pensare che non esiste, ma anche all’ affermazione di dannazione eterna, per cui non si può pensare che un dio il quale comanda di perdonare le offese 70 X 7 (cioè sempre) possa condannare senza misericordia per tutta l’eternità un’anima all’inferno nel pianto e stridore di denti. Allora sì che la nostra vita su questa terra sarebbe una favola narrata da un imbecille come affermava Schopenhauer. Nel 1991 si sposa con una giornalista giapponese, dello stesso gruppo buddista del calciatore Roberto Baggio, e così ha modo di approfondire le religioni dell’oriente, complementari al cattolicesimo. Nel 2007 viene convocato per testimoniare sulle virtù di Papa Wojtyla in vista del santo subito. Chiaro fu il suo diniego definendolo papa oscurantista, occultatore della pedofilia del clero, dirottatore del denaro dello Jor banca Vaticana verso Walesa e la Polonia allo scopo di sconfiggere il Comunismo, sotto la regia del fedele card. Marcinkus, responsabile della Bancarotta dell’Ambrosiano e del mistero Calvi, impiccato sotto il ponte di Londra. Nel 2014 scrive anche a Papa Bergoglio, chiarendogli la sua situazione e donandogli una copia delle sue memorie dal titolo” Autobiografia di un cattolico marginale”. Non voleva indossare i panni della vittima, né quelli del figlio prodigo, desiderava un colloquio. Per dirgli che forse non bastava aprire la chiesa verso le periferie, ma era necessaria una ulteriore progettazione e purificazione. Papa Francesco non rispose, probabilmente per non risvegliare frange di curia animate ancora da intenzioni punitive e bellicose. Cieco e sofferente morì il 13.7.2017. La chiesa ufficiale non amò tesserne gli elogi, ma l’interesse di dom Franzoni per il Vangelo, per il suo messaggio universale, per i poveri resta indelebile nella vasta cerchia di chi lo conobbe e di chi continua ad apprezzarlo attraverso i suoi scritti. Una doverosa memoria da consegnare alla innumerevole schiera di profeti a torto ignorati e per niente marginali.

Autore:
Albino Michelin
09.12.2019