mercoledì 25 marzo 2020

CORONA VIRUS: SI RITORNA AI CASTIGHI DI DIO?

Il contagio coronavirus diffusosi verso metà febbraio 2020 ci impone alcune considerazioni, al di là delle solite disgustose speculazioni politiche, stile tipicamente italiano. Le più immediate sembrano tre 1) a poco servono i nostri muri 2) Il virus non conosce confini 3) il virus considerato in genere come castigo di Dio. Sui muri: scuramente la propria sicurezza, la difesa dei propri confini e della propria identità sono sentimenti naturali e connaturati in ciascuno di noi. In conseguenza di ciò esistono oggi 70 muri nel mondo, di cemento o di filo spinato, 40 mila km di barriere artificiali, in grado di coprire l’intera circonferenza della terra. Usa-Messico, Ungheria-Serbia e diverse muraglie simili a quella cinese. Barriere costanti per tenere fuori chi vorrebbe entrare. Valenza simbolica, dividere le persone, far sì che non abbiano contatto con gli altri, che non ci sia modo di vedersi, tanto meno di conoscersi. L’impatto visivo del muro funziona da barriera mentale oltre che fisica.  Ma purtroppo pestilenze, Chernobyl, CD-9, inquinamenti, coronavirus non conoscono muri, ci restituiscono in fondo il sentimento di essere tutti uguali, tutti mortali, tutti fragili, realtà cui non si pensa finché tutto fila diritto. Lo dimostra anche questa volta il nostro corona virus. Non è arrivato sui barconi, nascosto in mezzo ai cenci dei clandestini, ma in aeroplano, magari in giacca e cravatta, con regolare passaporto, senza fare una questione di classe, di razza, di religione. Si appiccica all’essere umano in quanto tale, si trova bene ovunque, nel corpo del proletario e in quello dell’imprenditore, in quello del razzista e in quello del democratico, tra le rughe del vecchio e le mucose del bambino, nell’Iran musulmano e nel lombardo-veneto cattolico. Come la livella di Totò. Per lui gli uomini e le donne sono tutti uguali. Se ne infischia del tentativo miserabile di prendersela con i miserabili, perché sono soprattutto i benestanti che viaggiano molto e trovano varco ovunque i portatori più probabili del contagio, ma meritevoli di pietà e compassione come tutti gli infetti di qualsiasi mondo. La spagnola del 1920 ha girato per il pianeta come se la globalizzazione fosse già in atto, contagiando in ogni continente milioni di persone. L’umanità patisce le pestilenze quasi all’unisono, viaggiando nelle pulci dei topi, nelle piume degli uccelli, nelle suole delle scarpe, nei vestiti e nelle merci. Anche il coronavirus quanti siamo, 7 miliardi di persone, tuti ugualmente esposti alla sfortuna e alla sventura. Niente come un’epidemia ci fa sentire uguali. Non è qui però fuori luogo citare la minaccia che in questa sciagura le argomentazioni spietate e disumane di laici e diversi ecclesiastici vanno diffondendo. Cioè che il coronavirus è un castigo di Dio. È questa una forma di paganesimo che ricrea odiosamente una casta di salvati e una casta di dannati. A conferma vale la pena citare l’ultimo intervento divulgato dall’emittente Radio Maria, 4 milioni di ascoltatori alla settimana in Italia, il cui fondatore e direttore Livio Fanzaga, prete scolopio, veggente e promotore di veggenti, il 17 febbraio 2020 vaticinò: “questo è una ammonimento di Dio, e il fatto che il coronavirus abbia la forma di corona è un messaggio della Madonna che invita i fedeli a recitare la corona del rosario.” Questo è il modo di ridicolizzare una grande religione, di renderla sciocca superstizione. Radio Maria raccoglie numerosi settari religiosi, tradizionalisti devoti conservatori, e non è nuova a questo tipo di neopaganesimo. Basta ricordare quando nell’agosto 2016 dopo il terremoto di Norcia e dell’Abruzzo sentenziò attraverso il suo portavoce predicatore G. Cavalcoli, prete salesiano, che quello è un castigo di Dio contro le coppie gay e i conviventi. Fortuna volle che dopo una massiccia reazione l’istituzione ecclesiastica si risvegliò dal suo torpore e depose il fustigatore, augurandoci che essa proceda ad una totale rifondazione e pulizia dell’emittente dai vertici alla base. Questo è il vero coronavirus. Legittimo che anche nella chiesa vi sia libertà di opinione, ma non di menzogna e di terrorismo religioso.  Nutrire una volpe nel pollaio non è tolleranza. Purtroppo ad ogni calamità emergono i tenebrosi necrofori del dolore, le cui argomentazioni spietate e disumane non hanno nessun fondamento. Approfittano del momento in cui le persone sono stordite dalla sofferenza per lanciare le loro inappellabili sentenze, castighi di Dio, chiese chiuse per mancanza di fede, sadico piacere di affondare il coltello nella piaga del dolore per rivendicare che avevano ragione a deplorare l’abbandono della messa, della morale matrimoniale e quant’altro. Nel mondo primitivo ogni cataclisma era considerato castigo da parte della divinità offesa assetata di vendetta: il dio dei fulmini (Giove), quello delle tempeste (Baal), quello dei vulcani (Vulcano), quello dei terremoti (Poseidone). Ma il Dio di Gesù non è così. Il suo e il nostro è il Dio dell’amore e non della distruzione. Fa piovere e sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti (Mt.5,45). Dio non ha liberato Gesù dalla morte di croce, ma l’ha accompagnato verso la risurrezione. Dio non interviene nelle vicende liete o tristi di questo mondo, ma lo accompagna non ostante queste. Probabilmente un’occasione per educarci al senso della vita e alla solidarietà.

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Albino Michelin
10.03.2020

martedì 24 marzo 2020

PADRE NOSTRO CHE SEI ALL'INFERNO

Anche se l’espressione sembra ironica nei confronti della preghiera insegnata da Gesù però attentamente considerata ci induce al contenuto reale del Vangelo, all’anima del suo messaggio. E’ un contributo dello studioso Paolo Scquizzato, espresso in uno dei suoi numerosi libri frutto di ricerca collegiale da parte di studiosi in materia. Indubbiamente si penserà subito che Dio non è estraneo al nostro inferno quale spettatore, osservatore, giudice delle vicende di questo mondo di guerre, tragedie, pandemie, disgrazie fisiche e morali. Qui invece si intende l’inferno insegnato dalla religione cattolica, per indicare il peccato, la colpa, la fragilità umana, il conseguente castigo nell’aldilà. Nel caso bisogna subito fare una distinzione fra il Dio dell’Antico Testamento con tutto il suo corredo di interventi ed espressioni dal Dio del Vangelo di Gesù. Nessuna contrapposizione ma certo un’evoluzione ed una adeguata ricollocazione. Però molti cattolici il salto non lo sanno fare e quindi rimangono in una serie di contraddizioni. In essi è presente un concetto di Dio legato ancora alle religioni arcaiche. Un Dio che esige dall’uomo un rapporto di sudditanza, quindi un Dio, del terrore. Se l’uomo compie il bene riceverà dall’altissimo il premio corrispondente, diversamente avrà il castigo, disgrazie a tutti i livelli, dalla peste alla paralisi fisica o interiore. Insomma una religione basata sul contratto: do ut des, io ti do, tu mi dai in uno scambio vicendevole, fra uomo-Dio e viceversa. E se un malanno ti capita è giusta sanzione, volontà di Dio. Come diceva il salmo: ”tu distruggi o Dio chiunque ti è infedele” (73,27). Si ricordi la condanna comminata a Caino dopo l’uccisione di Abele:” sii maledetto, ramingo e fuggiasco sarai sulla terra” (Gn.4,11). Un Dio che seleziona i suoi eletti dagli infedeli, che affoga nel mare gli egiziani e porta in salvo il suo popolo verso la terra promessa (Es.14,28). In tutte le religioni, compresa quella dell’Antico Testamento, si espia il proprio peccato offrendo sacrifici alla divinità offesa onde riottenere benevolenza. Persino Giovani Battista cugino di Gesù gli dà il benvenuto come “scure alla radice” (Mt.3,10), per sradicare l’uomo che non porta buoni frutti. Ma quando arriva Gesù anche se non sovverte il concetto di Dio gli da’ un volto umano, quello che gli è proprio, chiamandolo Dio è amore. Abita, vive, si identifica nel profondo del cuore dell’uomo, sia esso giusto o peccatore, sia esso un paradiso o un inferno. Ma di più: se dello spirito di Dio è pieno l’universo allora egli è in cielo, in terra, in ogni luogo, in ogni essere animato e anche all’inferno. Se qualche cosa gli fosse estranea, non è più Dio. Dio ama ogni uomo perché ogni uomo è da lui creato per sentirsi da Dio amato. Quasi a dire che non è l’uomo per Dio, ma Dio per l’uomo. E qui si potrebbe fare una carrellata di casi e di persone. All’inizio della vita pubblica Gesù si presenta a Nazareth. Isaia l’aveva preannunciato come giorno della vendetta (61,12). Invece Gesù inaugura un tempo di grazia. Tutt’altra immagine di Dio. Non più un Dio che si concede a chi lo merita, ma ad ognuno perché ogni essere umano si sente perduto se non si sente amato. In altra occasione a Gesù presentano un paralitico e gli dice: “ti sono perdonati i tuoi peccati” in quanto ogni peccato più che offesa a Dio è offesa a se’ stessi. Non gli raccomanda: “se ti penti ti guarisco”, ma lo guarisce senza condizioni, per amore. Così avviene nella liberazione dell’adultera cui ingiunge di non peccare più, cioè di non dimenticare che Dio la ama. Nell’ultima Cena Gesù non rifiuta Giuda anche se traditore, ma secondo il costume ebraico all’amico del cuore offre per primo il boccone di pane. Il gesto non è compiuto per svelare il nome del traditore, ma per rivelargli l’amore di Dio in fondo al suo peccato. E se Luca scrive che dopo quel boccone Satana entrò in Giuda, è scontato che Satana si sarà incontrato anche con Dio che là l’aveva preceduto. Bernanos scrive che tutto è grazia, e il peccato dell’uomo consiste nel non lasciarsi toccare e amare dalla grazia di Dio. Nessun uomo può sentirsi giusto perché dentro ad ognuno di noi c’è un po’ del paralitico, del pubblicano, dell’adultera, di Giuda: Dio giustifica, rende giusti e accetti così come si è patto di non chiudergli la porta per non lasciarsi amare. Un’obbiezione classica è quella che ci viene dal giudizio universale alla fine del mondo, in cui Dio dividerebbe l’umanità in due moltitudini: i giusti in paradiso fra gli angeli, i reprobi all’inferno fuoco eterno. A parte il fatto che gli interpreti ci dicono che questo brano come tutti quelli “minacciosi” sono stati aggiunti dagli estensori dopo la morte di Gesù come strumenti pedagogici esigenti per riportare sulla retta via la prima comunità che accennava a sbandamenti, il giudizio universale non avviene alla fine del mondo fra due moltitudini rivali, ma già ora fra il bene e il male dentro il cuore di ogni uomo. E che il male verrà distrutto dal fuoco purificatore dell’amore di Dio (1° Cor.3,10). Per cui resta vera l’affermazione “Dio vuole che tutti gli uomini si salvino”. Dio non può perdere e odiare per sempre le sue creature. Di qui ha pure senso la preghiera solo apparentemente strana “Padre nostro che sei all’inferno” perché questo resterebbe vuota proiezione di una falsa paura di Dio.

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Albino Michelin
03.03.2020

lunedì 23 marzo 2020

IMMACOLATA, CONCETTA, CETTINA E L'IMMACOLATA CONCEZIONE

In Europa e particolarmente in Italia è molto diffuso fra le donne il nome di Immacolata, Concetta, Cettina tre appellativi onorifici riferentisi alla Madonna Immacolata Concezione. Per quanto di madri di Gesù ve ne sia stata una sola, però di devozioni con particolarità diverse ve ne sono di innumerevoli dalle più serie alle più paesane come la Madonna delle galline (Pagani, Salerno). Però molti confondono la verginità di Maria con l’Immacolata concezione. IL primo titolo verrebbe a significare che Maria ha dato alla luce Gesù senza rapporto con un uomo, ma per intervento dello Spirito santo. Quello di immacolata concezione invece è tutto diverso e bisogna chiamare in scena quattro attori: Adamo, Ch. Darwin, Bernardetta Soubirous, Papa Mastai-Ferretti Pio IX. In sintesi Immacolata Concezione vuole significare che Maria venne concepita normalmente dai suoi genitori Gioacchino ed Anna, ma la sua anima non venne macchiata dal peccato originale, quello di Adamo che dopo di avere disubbidito a Dio mangiando il frutto proibito venne condannato con tuti i discendenti alla morte, alle sofferenze, all’espiazione pure essendo questi ultimi, quindi anche noi, incolpevoli ed inconsapevoli. Invece Maria sarebbe stata esentata da tutto ciò, scelta dal mazzo dei comuni mortali, privilegiata, pura, umile, ubbidiente, casta, serva docile, silenziosa, e con tutte le virtù che noi vogliamo attribuirle. Questo dogma venne definito nel 1854, dopo una serie di dure controversie fra ordini religiosi, i francescani favorevoli, e i domenicani con Tommaso d’Aquino contrari. Questi ultimi sostenevano che Gesù è nato per tutti anche per sua Madre, quindi vissuta con il carico umano di debolezze, ma fedele alla vocazione di diventare progetto Dio.  Maria pure è cresciuta, si è maturata, certo meglio di tutti noi, ma non di un altro pianeta. Tant’è vero che è morta come tutti non ostante l’esenzione dal peccato originale. Il dogma di Pio IX però visto nell’interpretazione delle conoscenze di oggi, scivola ad affermare il creazionismo e a condannare l’evoluzionismo. Il solito scontro scienza e fede che oggi grazie a Dio e a coscienziosi teologi tende a scemare. Il tutto perché si è considerato la Bibbia un libro di scienza anziché un libro di fede. Come se il pasticcio con Galileo astronomo che riteneva l’eliocentrismo, (la terra gira attorno al sole) e la chiesa che erroneamente basandosi sul letteralismo delle sacre scritture riteneva il geocentrismo non avesse insegnato nulla. Ma nel 1633 Galileo ha dovuto piegarsi a Urbano VIII e rinnegarsi.  Ora dopo 171 con questo dogma di Pio IX siamo pari pari. Nel panorama del pensiero del tempo entra in gioco la teoria dell’evoluzionismo di Ch. Darwin (1809-82) il quale con gli studiosi naturalisti riteneva superato il creazionismo (che Dio avesse creato in un determinato momento dal nulla l’uomo e la conseguente umanità). E sull’argomento scrisse anche nel 1859 il suo bestseller ”L’origine della specie”, in cui sostiene che l’uomo è frutto di lunghissimi tempi attraverso la selezione dai vegetali, animali, umani. E quindi salta il racconto del peccato originale biblico e viene annoverato quale mito sacro, che a ben capirlo non rinnega nulla ma attribuisce ad esso un altro significato. Simile interpretazione non piacque ovviamente a Pio IX che nel 1864 nel Sillabo la rifiutò come blasfema fantasticheria. Tuttavia la definizione del dogma del 54 aveva risvegliato e surriscaldato la pietà popolare. In un ambiente contadino e tradizionale a ciò possono essere molto sensibili anche i bambini nei quali la devozione passa attraverso racconti sacri, prodigi, apparizioni, suggestioni. Ed è così che a Lourdes, ai piedi dei Pirenei francesi, una ragazza di 14 anni, Bernardetta Soubirous (1844-1879) raccogliendo legna presso la grotta di Massabielle ebbe la visione di una bella signora che il 25 marzo del 1958 le rivelò il suo nome:” Io sono l’Immacolata Concezione”. Alcuni critici minimizzarono il fatto perché incolta, rozza, figlia di madre alcoolizzata, chiamata nanerottola per la sua statura di un metro e quaranta, pure lei con tendenza al vino e a fiutare tabacco. Altri invece giustamente ritengono che la configurazione tipologica, mentale e spirituale non c’entri molto in una visione mistica. Che questa nel caso possa essere frutto di una forte carica inconscia depositata nel profondo del proprio io da una educazione ambientale, famigliare, strettamente cattolica nulla da eccepire. Può essere quindi che la definizione del dogma di quattro anni prima anziché profezia abbia fatto da motore emotivo alle visioni della ragazza. Senza entrare in merito ai 162 anni successivi di Lourdes ad oggi, carichi di devozione e di prodigi, non del tutto peregrina è la spiegazione data da alcuni cioè che in un mondo maschilista, in cui la donna era (ed in parte ancora è) inferiore all’uomo, il porre sugli altari la donna Maria poteva sembrare una compensazione alla dignità negata ed un ricupero della stessa nei confronti del mondo maschile. Però non è sufficiente affermare che basta una per accontentarle tutte. Riteniamolo l’inizio di un lungo cammino verso l’uguaglianza su tutto e anche verso il sacerdozio femminile.

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Albino Michelin
29.02.2020

domenica 22 marzo 2020

IL DIVINO CHE È IN NOI


Il nostro tempo postmoderno forse viene troppo frettolosamente definito, ateo indifferente, relativista. L’affermazione può rispecchiare buona parte del mondo occidentale. Una costatazione però oggi è fuori discussione: l’attenzione a fenomeni che si potrebbero chiamare paranormali, tipo veggenti, stigmate ed altro. Negli ultimi 50 anni sono aumentate a dismisura le apparizioni mariane. Con ciò non si vuole insinuare che la Madonna sia veramente comparsa, ma che aumentano persone che dichiarano essere destinatari di messaggi celesti. Tutto questo ci induce ad una domanda più profonda su Dio e il divino. Esistenza, certezza, prova, indizio, illusione? Nei tempi passati esisteva soltanto la teologia (cioè scienza su Dio). Abbiamo avuto i pensatori greci da Aristotele in poi seguiti da quelli cristiani specie Tommaso d’Aquino, i quali dimostravano l’esistenza di Dio partendo dall’ordine ammirato nell’universo, nella natura, nella creazione, nella stessa biologia con le loro leggi perfette e concludevano che se esiste l’orologio ci sarà anche l’orologiaio. Oppure altri partivano dal nostro sentimento interiore espresso molto bene da S. Agostino:” O Signore tu ci hai fatto per te e inquieto è il cuor nostro fino a che non risposa in te”. E si tirava la conclusione che se l’uomo desidera l’esistenza di Dio significa che Dio esiste. Un passo un po’ più lungo della gamba. Quello che poi hanno ripreso i filosofi come Feuerbach (1804-72), a sostenere che Dio è una proiezione del nostro io. Nel senso che non è Dio ad aver creato l’uomo, ma viceversa, l’uomo ad aver creato Dio. Una espressione antica sostiene che l’uomo è capax Dei”, capace di Dio. Ma che poi Dio veramente esista ne passa. Negli ultimi decenni però è sorta la neuroteologia, a completare quale valore aggiunto la precedente teologia. Una scienza che anziché partire dall’ordine del creato o dal desiderio di sopravvivenza, parte invece dal cervello dell’uomo. Tanto che molti entusiasti da questa scoperta parlano di Dio nel cervello, del neurone di Dio, addirittura del cervello quale casa di Dio. Contributi molto interessanti, ma bisogna fare attenzione di distinguere il buon grano dalla paglia. Si chiama neuroteologia la scienza che studia l’attività del cervello durante l’esperienza religiosa, dalla preghiera alla meditazione. Grazie alle moderne tecniche di neuro immagine come la risonanza magnetica si è visto che pensando a Dio si attivano sia nei credenti come non credenti le aree frontali deputate all’attenzione e alla concentrazione e il sistema limbico associato alle emozioni. In un certo senso è come se il cervello fosse predisposto naturalmente alle esperienze del sacro o mistiche al di là delle singole religioni e credenze. I primi a studiare l’esperienza religiosa sono stati i neurologi trattando casi di malati di epilessia ed hanno scoperto un collegamento fra questa patologia e il lobo temporale destro del cervello e un improvviso manifestarsi di un interesse religioso della persona concludendo che le esperienze spirituali sono inevitabile conseguenza della configurazione cerebrale. Ad esempio nelle immagini cerebrali riferite ad un gruppo di suore francescane in preghiera si notava un rallentamento delle attività nell’area deputata all’orientamento che dava loro un senso tangibile dell’unione con Dio. La neurologia spiega come il comportamento rituale susciti stati mentali, da cui deriva una vasta gamma di sensazioni, dal sentirsi parte di una comunità, all’avvertire una unione spirituale profonda con l’universo ed oltre. Le nenie, le litanie, i mantra infondono un senso di quiete che i soggetti interpretano come serenità spirituale. Pure le danze dei mistici provocano una ipereccitazione che può dare la sensazione di incamerare l’energia dell’universo. Finché il nostro cervello avrà questa struttura Dio non andrà via diceva Newbergh. Nello specifico qui non possiamo essere casalinghi e dichiarare che la neuroteologia tratti soltanto di esperienze del sacro riservate a persone che credono in Dio e appartengono alla religione cattolica. Discorso discriminatorio, Dio è per tutti indipendentemente dall’appartenenza ad una fede o a nessuna fede istituzionale. Basti pensare al sciamanesimo, la pratica spirituale più antica nel mondo. Che degli sciamani, o preti buddisti, abbiano esperienze spirituali, di guarigioni, di chiaroveggenza, di stigmate come i nostri santi è fuori discussione. E non c’è motivo di chiamarli maghi o stregoni. Un caso tipico fra gli innumerevoli, quello di una bambina di 9 anni della California, Claretta Robertson, di religione protestante, che nel 1972 riceve le stigmate sul tipo di quella di P. Pio. Santa non è perché il mettere sugli altari è privilegio che la chiesa cattolica riserva a se stessa e soltanto per i suoi. Ma l’esperienza del sacro, del divino che è in noi è molto più ampio della chiesa cattolica e dei suoi fedeli, è universale. Di qui una domanda: e se la trascendenza, l’aldilà, Dio esistesse veramente? Gesù diceva:” Il regno di Dio è dentro di voi” (Lc.17.21). Certo Dio non ha sede nel cervello umano, ma questo può essere il tramite attraverso cui Dio si rivela all’uomo. E questo fino ad oggi è il messaggio della neuroteologia alla quale va la nostra gratitudine.

Autore:
Albino Michelin
24.02.2020

sabato 21 marzo 2020

GESÙ NON ERA UN CLERICALE

Un convivente che si lamenta perché il parroco lo esclude dalla comunione, la divorziata perché la depenna dal ruolo di madrina del battesimo, l’omosessuale perché il vescovo gli proibisce il ruolo di testimonio di matrimonio di un collega. Dall’ altra parte non mancano osservazioni che troppi preti la vogliono fare da padre-padroni, che si impongono quale unica la coscienza della gente, oppure lamentano la carenza di vocazioni, con la costatazione quasi che la chiesa così com’è sia destinata a sparire. Preti e clero un po’ troppo al centro della situazione, problema che ormai interessa sempre di meno alla maggioranza dei cristiani anagrafici. Di qui la domanda: ma Gesù era un clericale, un prete, un sacerdote divisivo fra l’istituzione e i fedeli? A farla breve Gesù non era un clericale, né ha voluto appartenere alla casta dei gran sacerdoti, comuni o sommi che fossero. Riportando qui le conclusioni di alcuni validi studiosi cattolici come H. Haag (1925-2001), X. B. Häring (1912-98), i contemporanei X. Pikaza (1941), A. Maggi (1945), si costata che dai racconti evangelici non risulta l’intenzione di Gesù di istituire un ordine sacerdotale. I rapporti fra di lui e i sacerdoti del tempio non erano molto idilliaci. Nella parabola del samaritano caduto nel fosso Gesù fece passare sulla strada anche un sacerdote, il quale avendo visto il malcapitato passò oltre senza degnarlo di uno sguardo. I gran sacerdoti detenevano la lobby del bestiame destinato ai sacrifici e ne avevano l’esclusiva dei proventi, per questo Gesù li cacciò dal tempio con la frusta perché ne avevano fatto una spelonca di ladri (Mc.11,17). Nemmeno utilizzò il loro tempio per celebrare l’ultima cena, anzi si riunì in una casa di amici. Nessuna meraviglia che siano proprio i sacerdoti a cercare in tutti i modi per farlo morire (Mc.11,18), a incitare la folla perché Pilato, il potere politico, liberasse Barabba il criminale e mandasse alla morte Gesù. Falso storico l’aver diffuso che fu il popolo ebraico ad eliminare Gesù. Si sa che il popolo delle piazze è vittima di suggestione e strumento malleabile nelle mani delle dittature, basti pensare al nostro 10 giugno 1940 quando all’istigazione di Mussolini in Piazza Venezia a Roma se gli italiani volessero la guerra o la pace il popolo gridò:” vogliamo la guerra.” Ne Gesù né gli apostoli erano sacerdoti. L’invito di lui nell’ultima cena:” Questo è il mio corpo offerto per voi, questo è il mio sangue versato per voi, fate ciò in memoria di me” (Lc.22,19) o le parole indirizzate ai discepoli: ”a coloro cui perdonerete i peccati saranno perdonati” (Gv.20,23) risulta un compito affidato a tutta la comunità. La situazione non migliora dopo la morte di Gesù. Il ricompattarsi della comunità dei credenti attorno al crocefisso risorto sperimentato come il Vivente scatena nei sommi sacerdoti una gelosia tale da gettare gli apostoli nelle prigioni pubbliche (Atti 5,18) con l’intenzione di metterli alla morte. Quando le prime comunità cominciano a darsi una struttura scelgono degli anziani (=presbiteri), uomini e donne di garanzia morale, come guida al cammino di fede. In seguito scelgono sempre fra il gruppo dei fedeli gli Episcopoi (oggi chiamati vescovi), come sorveglianti o coordinatori, però nulla a che vedere con l’abbigliamento acquisito lungo i secoli, tricorno o triregno in testa, tonaca, mitra, la cui utilità o meno non si vuole qui discutere. Fino a Costantino, cioè quarto secolo, non esiste un clero separato dal popolo e titolare di sacre funzioni. Un certo contro ruolo l’ha giocato la lettera agli Ebrei, attribuita a Paolo, ma in realtà di autore anonimo e redatta decenni dopo la morte dell’apostolo, che potrebbe costituire un’obbiezione a quanto sopra, ma di fatto non lo è. Questo l’unico documento che attribuisce a Gesù, ma solo a lui, il titolo di sommo sacerdote, quale sostituzione dei sommi sacerdoti del passato. Piuttosto è uno scritto che mette addirittura in discussione il sacerdozio cristiano. Infatti continua l’anonimo:” Gesù non ha bisogno come i sommi sacerdoti di offrire sacrifici ogni giorno per i propri peccati e poi per quelli del popolo, lo ha fatto lui una volta per tutte, offrendo se stesso” (Ebr.7,27). Infatti la lettera non parla mai riferendosi ad una comunità cristiana di sacerdoti, ma usa un termine profano per indicare le guide nel cammino della fede (Eb-13.7). Per cui B. Häring, il più autorevole studioso di morale del secolo scorso, dopo aver ribadito pure lui che la chiesa dei primi tre secoli non conosceva il termine clero né la struttura ad esso corrispondente si mostra scettico sul fatto che il clero sia destinato ancora a continuare così com’è. Anzi sarebbe arrivato alla frutta. Fino a qui la parola dei teologi su citati. La nostra domanda: se Gesù non era un clericale, né intese istituire un “ordine” clericale che problemi vi sarebbero oggi, specie dove mancano sacerdoti di seminario, e preti come da tradizione un ritorno a Gesù? Tutto il bailamme sorto nei confronti di papa Bergoglio perché prospettava e continuerà a prospettare “viri probati”, cioè persone sposate di sana condotta morale a celebrare la messa, cena del Signore, quale scisma nella chiesa causerebbe? Sarebbe semplicemente un ritorno alle fonti, al Gesù non clericale ma della storia, con il vantaggio di avere una chiesa meno verticale e più comunitaria.

Autore:
Albino Michelin
18.02.2020