domenica 29 novembre 2020

UN' ALTRA CHIESA É POSSIBILE?

Oggi è palese a tutti la crisi che sta attraversando la chiesa. Molti sociologi parlano addirittura di superamento delle religioni, sorte 5 mila anni fa. Conviene limitare il discorso al Cristianesimo che con i suoi due miliardi e duecento milioni di aderenti su 7 miliardi di abitanti è la aliquota a noi più familiare. Con una distinzione anche qui nel senso che il Cristianesimo in Europa e Paesi progrediti sta diminuendo, mentre negli altri continenti registra un piccolo aumento. Ll teologo J. Vigil nei suoi libri “Una spiritualità oltre le religioni” sostiene che noi viviamo nel postreligioni. Un contesto nuovo ma che richiede un cambiamento del vecchio sistema, sostituzione per intero del precedente computer. Necessita cambiare il computer stesso, hard disk che gira a vuoto, pieno di virus, che non consente applicazioni. Forse si passerà da una Cristianesimo di quantità ad uno di qualità. Non occorre qui citare e ripetere le cause del quasi collasso della nostra religione. Vedi l’abbandono dei riti tradizionali dalla nascita alla morte, liturgie ripetitive e monotone, relativismo, agnosticismo, consumismo, cambiamento di civiltà, insomma esilio del Dio tradizionale. Alcune conseguenze come gli scandali della chiesa, mancanza di clero non sono così determinanti come le cause su descritte. Però non è detto che questo toccare il fondo rappresenti l’inizio della fine, potrebbe essere anche una risorsa, un Kairos’ come dice Paolo di Tarso, cioè una grazia di Dio. Ecco dei tentativi, forse discutibili per iniziare da capo, prima ancora di aprire il catechismo dei bambini, riprendendo alcuni possibili aspetti di sensibilità laica orizzontale. Anzitutto come primo passo tornare in parte al passato, nel senso che non bisogna del passato gettare via l’acqua sporca con il bambino. Ad esempio abbiamo avuto nel 500 un monachesimo con Benedetto: oggi si dovrebbe riservare dentro a ciascuno di noi uno spazio di monachesimo, silenzio-preghiera, per chiederci che cosa facciamo e dove andiamo. Abbiamo avuto nel 1300 un francescanesimo con Francesco, figlio di un benestante che getta i suoi ricchi panni in piazza per indossare l’abito e la vita dei poveri. Oggi un po’ di francescanesimo andrebbe ripreso dentro di noi, per diventare poveri per lo spirito, cioè capaci di condividere e senza sfruttare il prossimo. Abbiamo avuto nel 1500 un Martin Lutero, fondatore del protestantesimo, che sottolineava l’importanza della coscienza, voce di Dio. Anche qui un pezzo di protestantesimo andrebbe coltivato dentro di noi, oggi sbandati come siamo nel soggettivismo e nell’incoscienza. E avanti con innumerevoli altri esempi: un certo passato andrebbe ripreso e riletto in contesto moderno. Un secondo passo per ricuperare il Cristianesimo sarebbe l’educazione e la gioia della solidarietà. Tempo fa si ripeteva che quando si fa l’elemosina si deve pensare che nel povero c’è Gesù. Molti però rispondono di aiutare il povero perché ne ha bisogno, non interessa loro guadagnarsi il paradiso, ma fargli del bene perché un nostro simile, un nostro fratello. La solidarietà non ha religione, ma è aperta e fondamento di tutte le religioni. Si dirà che questi sono aspetti laici, orizzontali, non hanno niente a che fare con la chiesa, la sua voce dal cielo, il suo libro sacro, le sue rivelazioni, i suoi miracoli, i suoi dogmi. Eppure non ha senso una re iniziazione della chiesa se non si è disponibili a questo agire autenticamente umano. Battesimi, sacramenti, messa, tutte realtà a rischio, buttate al vento. Un terzo passo per “un’altra chiesa” sarebbe reinterpretare la figura di Gesù e della Bibbia. La Bibbia non è dettata da Dio, ma ispirata e scritta per noi da persone illuminate e sagge. Disturba quando si sente dire che la bibbia è una raccolta di favole e si esaurisce la figura di Gesù nel miracoloso anziché misericordioso. La chiesa deve iniziare a spiegare che esiste un Gesù della Storia e un Gesù della fede, senza paura di confondere le anime pie. Il Gesù della fede è l’unica versione storica che sia stata a noi trasmessa e pervenuta. Fissarsi sul letteralismo della Bibbia senza interpretazione e rinvio adeguato al nostro tempo significa fare un’operazione arcaica, mantenere i pochi fedeli nell’ignoranza e nel fondamentalismo. E spiegare che più importante della religione e fondamento di essa è la spiritualità, il rapporto interiore con lo Spirito Universale, il Dio del Cosmo, della natura, del cuore. E poi come quarto passo la messa, costruita lungo i secoli a medaglioni fino al Concilio di Trento 1562, basata sul senso di colpa e sull’affermazione che Dio Padre viene placato dalla morte in croce di Gesù suo figlio, vittima innocente per la remissione dei peccati. Qui si rasenterebbe il parricidio. La necessità di smontarne diversi pezzi per tornare a Gesù e a Paolo per i quali la messa era la frazione del pane, convito della gioia. Se al posto di tanti indottrinamenti e terrori del peccato venisse applicata l’enciclica di Bergoglio  ”Evangelii gaudium” probabilmente un’altra chiesa sarebbe possibile.

Autore: Albino Michelin      03.11.2020
albin.michel@live.com

venerdì 27 novembre 2020

LA DOTTA IGNORANZA

Non sono due espressioni contradditorie, ma si riferiscono ad un libro di Nicola Cusano del 1440 che in fondo si collegava ad un concetto di S. Agostino vissuto un millennio prima, il quale parlando di Dio sosteneva che di lui noi non possiamo dire tante cose (= siamo ignoranti) però animati dalla curiosità di sapere su di lui sempre qualcosa di più. Tale curiosità egli la definisce dotta: di qui il titolo. Per cui il problema riportato ad oggi non sarebbe quello di conoscere tutto, ma quello concernente la curiosità del sapere, del confronto, dell’approfondimento, del collegamento globale delle varie discipline. Senz’altro ignorante è un’offesa alla persona e ignoranza un handicap dell’essere umano. “Dotta” vorrebbe dire che la cultura non consiste tanto nel sapere, quanto nel sapere di non sapere, che non è un litigio di parole, e quindi sperimentare dentro di sé una perenne curiosità dell’oltre. E questo indipendentemente dall’età. Vi sono infatti giovani già vecchi perché bloccati da una pigrizia e sclerosi mentale, considerano inutili gli studi, secondo il proverbio” laora e tasi”, lavora e taci. Per molti l’ignoranza è comoda Ma vi sono anche vecchi sempre giovani in quanto tesi perennemente all’alimentazione del loro spirito. Al limite non si nasce analfabeti, analfabeti si diventa. E qui si richiede anche una distinzione di fondo. Non sempre la cultura è crescita interiore e arricchimento esteriore. Non sempre la scienza personale è coscienza (non occorre riandare ai medici nazisti della shoah che tagliavano a pezzi gli ebrei per i loro esperimenti). Nel nostro mondo interiore possono esistere delle plaghe di ignoranza voluta, difesa e capace di violenza e criminalità. Ne possiamo elencare alcune e relative manifestazioni. Fanatismo, fondamentalismo, integralismo, tradizionalismo, nazionalismo, sciovinismo (patriottismo esaltato), stachanovismo (smoderato zelo sul lavoro), ed altri. Tutte queste attitudini se non le teniamo sotto controllo, se non le apriamo al confronto, possono anche diventare deleterie. Con una canaglia si può sempre discutere, con un ignorante no. Il fanatismo (dal latino fanum=tempio) è tipico di chi si sente come invasato da forza divina, schiavo della causa in cui si è intrappolato, vedi i kamikaze suicidi. Nel piccolo come il tifo negli stadi. Per un fanatico juventino la Juve non perde mai, se perde è colpa dell’arbitro o di trame occulte. E’ una fissazione che diventa ignoranza, ma non dotta perché incapace di ragionare, di andare oltre. L’identificazione fanatica con la massa può portare persino ad una ipnosi collettiva. Chi può negare che non sia stata questa l’esperienza delle centinaia di persone che nel 1917 hanno visto a Fatima il sole rotante durante l’apparizione mariana? Ampliandolo sul piano della cultura, della religione, della politica il fanatismo è l’identificazione in maniera esasperata fino alla rigida intolleranza nei confronti di chi sostiene idee diverse. Suo parente è il fondamentalismo. Rigida interpretazione dei testi sacri, conservatore in materia religiosa e politica, sostenitore a spada tratta delle destre americane. Nella Bibbia niente sottrazioni, niente aggiunte, tutto blindato affinché non vada perduto nessun fondamento. Anche nelle religioni non tutti i fondamentalismi sono uguali: Il protestante fa della Bibbia un assoluto, il cattolico invece fa dell’autorità chiesa un talismano. L’ultima enciclica di Bergoglio” Fratelli tutti” del 3.10.20 gli causerà ulteriori uscite dalla chiesa in quanto i fondamentalisti non accettano fratellanza ebrei cristiani musulmani. E’ una forma di ignoranza che rifiuta il confronto, priva della curiosità di sapere quali risorse possano esserci al di là del cattolicesimo. Niente a che vedere con la dotta ignoranza. Altro parente è l’integralismo. Rifiuta qualsia alleanza e collaborazione con movimenti di ideologia e ispirazione diversa. Si pensi alla Democrazia cristiana in Italia anni 1950, quando intendeva spazzare via tutto e tutti e diventare una specie di teocrazia. Nicchia protettiva in cui non c’era spazio per nessuno se non per se stessi. Anche qui come nel fondamentalismo non tutte le religioni e politiche sono identiche pure appartenendo allo stesso territorio e cultura storica. L’integralismo islamico dei mistici sufi non ha nulla a che vedere con quello del burqa dell’Afghanistan. Come nel nostro attuale cattolicesimo non ha nulla a che fare l’integralismo di Comunione e Liberazione, Opus Dei, neocatecumenali, movimento dello Spirito, di gente che vuole tornare alla messa in latino, alla comunione in bocca, alla esclusione dei divorziati, omosessuali e quant’altro con d’altra parte la teologia della liberazione o un cristianesimo oltre frontiera e del Dio misericordia. Tommaso d’Aquino (1200) sosteneva che i principi sono eterni ma la loro applicazione è evolutiva. Gesù si è trovato a discutere con dei farisei integralisti che gli rimproveravano perché guarisse la gente di sabato. Al che rispose:” se vi cade un asino di sabato nel pozzo lo tirate su o lo lasciate affogare?” Lo volevano uccidere anzitempo.

Autore: Albino Michelin      30.10.2020
albin.michel@live.com

giovedì 26 novembre 2020

IL COMUNE DESTINO DOPO LA MORTE: SALVEZZA O PERDIZIONE?

Sono frequenti di fronte ad eventi per la maggior parte luttuosi espressioni come destino, fatalità, mala sorte, si vede che era la sua ora, era scritto, il caso ha voluto...Destino, sintesi di simili modi di dire indica un susseguirsi di eventi considerato predeterminato, superiore alla volontà dell’uomo, frutto di una legge oscura, concetto legato alle antiche religioni, e anche oggi nella maggior parte della mentalità laica. Per i greci il destino era un capriccio dominatore dei mortali e degli stessi dei. Destino il dio degli dei che tutto predeterminava nei suoi immutabili decreti. L’universo concepito come un tutto destinato alla sua parabola ascendente e discendente. Per gli stoici legge fatale che nessun dio poteva modificare. Virgilio (70-19 a.C.) nell’Eneide raccomanda:” abbandona la speranza di piegare i decreti degli dei con le preghiere in quanto tutto è stabilito dalla natura delle cose”. Concetto che Agostino d’Ippona più tardi (400 d. C.) correggerà sostituendolo con Provvidenza. Ma non ostante ciò pregiudizi, dubbio, sfiducia rimangono. Qui vale la pena di riferirsi a Paolo di Tarso, contemporaneo di Gesù e alla lettera agli Efesini, il cui autore è un suo discepolo. Al Capo 1(3-5) si legge:” Benedetto Dio che ci ha prescelto prima della creazione del mondo per essere santi…. predestinandoci ad essere figli adottivi”. Da notare che egli pure convertitosi alla religione di Gesù non si definisce mai cristiano, ma ebreo giudeo e santo, nulla a che fare con quelli messi sugli altari dalla chiesa nel tempo, ma in quanto prescelto da Dio come noi e l’umanità del passato e del futuro. Fondamentale per Paolo è che egli non parla mai di una predestinazione alla condanna ma in prospettiva esclusivamente positiva. Egli ha un suo concetto di peccato che non è il singolo atto di trasgressione, bensì una condizione previa e costante prima di ogni trasgressione. Una alienazione permanente ed una opzione esistenziale, anteriore e premessa di ogni trasgressione. La morale per Paolo si sintetizza in una parola,” agape” amore, che in greco significa amore gratuito pure verso le persone non piacevoli. Dio ci precede gratuitamente anche a prescindere dal nostro pentimento. Nulla ci potrà separare dall’amore di Dio (Rom.8 39) a meno che non si tratti di una decisione di rifiuto totale da parte dell’uomo. Al tempo di Paolo fioriva una comunità a Qumran sulle rive del Mar Morto, chiamata degli Esseni per i quali il mondo era diviso in due, i figli della luce (ovviamente inclusi loro) e i figli delle tenebre (tutti gli altri), una setta. I primi cristiani eliminarono i loro manoscritti perché in Dio siamo tutti figli della luce. Gli esseni erano esclusivisti e Paolo li ignora. Mai Paolo parla della libertà dell’uomo per asserire che Dio condanna. Estremizzando va detto che Dio è l’unico ateo in quanto non crede nell’esistenza di un altro Dio onnipotente al di fuori o contro di lui, quello che noi chiamiamo diavolo, dio del male, e nemmeno quindi può esistere il suo regno, chiamato inferno. Che se ci fosse sarebbe vuoto come ebbe ad asserire il biblista Card. Martini (2012). Quando Paolo scrive che tutto Israele sarà salvato (Rom.11,25-26) significa che anche tutti gli uomini non appartenenti ad Israele lo saranno. In effetti in altra parte egli si completa:” Tutti risusciteremo in Cristo” (1.Cor, 15.22), non solo i cristiani, ma l’intera umanità. E qui senza fallo qualcuno obbietterà che Matteo al capitolo 25 (31-46) parla di un giudizio universale in cui Dio metterà le pecore alla destra, le capre alla sinistra, cioè i buoni e i cattivi. I prima andranno alla beatitudine, i secondi alla maledizione eterna. Allora qui non si dimentichi che tutte le espressioni minacciose della bibbia, genere letterario apocalittico, sono state aggiunte postume come letteratura pedagogica, cioè nell’intento che la paura frena di più di quanto sospinge l’amore. Ma il giudizio universale avviene ogni momento e per tutti al momento della morte, quando il singolo si rispecchia in Dio, e se indegno passerà temporaneamente attraverso una purificazione. Lo asserisce lo stesso Paolo:” si salverà come attraverso il fuoco” (1.Cor.3) E chi sostiene che non sarebbe Dio a condannare alla perdizione ma l’uomo con la sua abusata libertà da Dio rispettata si potrebbe rispondere che non può reggere a confronto la libertà condizionata, miope e nana di cui noi sulla terra usufruiamo con la lungimiranza eterna e planetaria di Dio. Se così fosse, meglio che Dio non ci avesse permesso di venire al mondo per condannarci alla morte. Quale padre si compiacerebbe di vedere un figlio in una eterna malora e per di più godere del suo disegno per i secoli dei secoli realizzato? Chiaro che nessuno di noi ha la sfera di cristallo e affrontare argomenti del genere esige alle spalle studiosi qualificati per evitare piose e devote considerazioni e quindi si consultino competenti, come Romano Penna. Ma al di là dei teologi o dei maghi troppa è la sete di infinito in ogni creatura, di amare ed essere amato, perché tutto finisca nel nulla e nella perdizione.

Autore: Albino Michelin      20.10.2020
albin.michel@live.com

mercoledì 25 novembre 2020

BERGOGLIO SULLE COPPIE OMOSESSUALI: UMILIATE E REINTEGRATE

Nessun terremoto teologico per quanto ha espresso Bergoglio sulla necessità di un riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali. Secondo un suo metodo ormai noto: dapprima un annuncio dirompente, poi due passi indietro per smorzare le reazioni, quindi ritorno all’intervento ufficiale e chiuso il discorso. A lui non interessava tanto allineare le coppie gay alle varie legislazioni, anche se la nostra Italia è l’unico o uno dei pochi stati europei a non riconoscerle giuridicamente. L’intervento è avvenuto mercoledì 21 ottobre alla festa di Roma dove si presentava il film “Francesco” a lui dedicato, opera del regista ebreo-russo E. Afineewsk. Semplice e chiara la sua affermazione:” Anche gli omosessuali sono figli di Dio, hanno diritto ad una famiglia. Necessita una legislazione per la garanzia dei loro diritti”. Come sempre accade, chi lo interpreta a destra, chi a sinistra, chi lo esalta, chi lo strumentalizza, chi lo squalifica come eretico. C’è pure chi ha scritto che questa affermazione è frutto di collage di espressioni risalenti al passato. Non ci interessa il boomerang. Quanto piuttosto rispondere a chi ricorre alla bibbia:” essa parla chiaro, la famiglia è quella fondata sull’unione maschio femmina, un padre e una madre, va presa alla lettera, questo è dogma indiscutibile”. A parte il fatto che papa Francesco non ha affermato che la coppia genitoriale gay sia uguale ad una famiglia naturale o sacramentale. Allo scopo ci riferiamo ad una lettura della messa di domenica 25 ottobre 2020, quatto giorni dopo tale pronunciamento. Esodo 22,20:” Non molestare il forestiero perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltrattare la vedova e l’orfano …se no la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada”. Lettore:” Parola di Dio”. Tutto il popolo:” rendiamo grazie a Dio”. Ringraziare Dio per questo massacro di gruppo? Bibbia alla lettera? dogma indiscutibile? Allora conseguenza logica sarebbe: tutti quelli che si sono opposti e si oppongono anche oggi ai migranti, agli sfruttati, ai bambini senza pane dovrebbero essere passati a fil di spada. E l’Europa di 10 milioni Kmq sarebbe un ‘immensa necropoli, un cimitero museale di scheletri deceduti e trapassati a fil di spada. Parola di Dio…Ma qui si solleverebbe la folla di contestatori di ogni fede: “ma no, questo è un modo di dire, bisogna sapere leggere, interpretare, contestualizzare nel tempo di allora. Tutto si evolve”. Teologi seri e studiosi coscienziosi da un altro versante ci rispondono che ciò è vero, fuori discussione posizione da loro sempre ritenuta. Ma qui ci si permetta il collegamento, di comparare il testo su citato ad un altro contemporaneo di allora che ci riguarda, cinque secoli a.C., riferito al mito delle origini, che non significa favola e nemmeno verbale storico, ma esperienza spirituale attraverso narrazione simbolica:” Maschio e femmina Dio li creò Sarete due in una carne sola…Crescete e moltiplicatevi.” (Gen.1,27-28). Qui ovviamente non entriamo in merito alle opinioni possibili della scienza attuale che parla di eventuale primo genitore bisex, scintosi poi in maschio e femmina. Evitiamo querelle simili a quelle avvenute con Galileo, usciremmo perdenti. Torniamo al testo su citato: qui la Bibbia, dogma di fede? La risposta: Dio ha creato l’amore nella diversità dei sessi. Che al limite potrebbe anche essere sterile, senza crescita e moltiplicazione. La famiglia è successiva, una forma sociale frutto di svariate legislazioni storiche. Ma l’amore no, è dalle origini. E che fa il matrimonio e relativa famiglia non è il ministro di culto o civico con stola e fascia multicolore, ma l’amore dei due. Inoltre l’espressione maschio-femmina non va intesa solo fisiologica o parziale, può esserlo anche in quanto psicologica e veramente integrale E può succedere che già dalla nascita in un corpo fisiologico di maschio abiti una psicologia femminile e viceversa in quello di una femmina. L’amore sessuale in questo caso può risultare naturale fra i due, e naturale pure il conseguente compito educativo genitoriale. Si sa infatti che gli omosessuali possiedono una carica affettiva superiore alla norma, ancorché alcune loro espressioni esteriori frutto di reazione andrebbero controllate. Recentemente una coppia gay A. Rubero sposato da 30 anni con Dario, padre di 3 figli per maternità surrogata scrive al papa Bergoglio desiderando di sposarsi religiosamente e sentirsi parte della chiesa deplorando che i suoi figli siano pubblicamente derisi. Bergoglio gli telefona di persona raccomandandogli di condurre i ragazzi in parrocchia. Da non dimenticare il caso del gay J. Cruz cui Bergoglio confidò: “è Dio che ti ha fatto gay e comunque ti ama. E anche il papa ti ama” Troppe sono state le umiliazioni lungo la storia nei loro confronti, da Sodoma e Gomorra, roghi di chiesa, stermini fino a ieri con la shoah perché il papa non prendesse le difese proponendo per loro un riconoscimento giuridico ed una legislazione paritaria con diritto ad una famiglia. Un omaggio anche al Cardinal Martini (2012) che lamentava come la chiesa fosse su tanti aspetti in ritardo di 200 anni. Non era certo un’offesa ma l’invito di Gesù:” alzati e cammina.”

Autore: Albino Michelin     12.10.2020
albin.michel@live.com

lunedì 23 novembre 2020

ANCHE SE NON AL 25 DICEMBRE, IMPORTANTE CHE GESÙ SIA NATO

Il motivo del presente articolo nasce dal fatto che il sottoscritto di recente ha ricevuto da una missione cattolica di Svizzera un articolo senza firma in cui gli si chiedeva se fosse suo allo scopo ovviamente di inserirlo nel bollettino di comunità. Il sottoscritto non fece apporre la firma in quanto non di sua appartenenza. Tuttavia la cosa mi gratifica in quanto l’argomento di tale articolo faceva la debita distinzione fra il Gesù della storia e il Gesù della fede, nonché i vari simbolismi esistenti nel e attorno ai vangeli, argomenti dal sottoscritto di solito affrontati, e per questo riconoscibile. L’articolo inviatomi non teme di aprire la mente ai lettori praticanti, tentativo ancora troppo raro nelle missioni cattoliche dedite alla conservazione tradizionale del proprio gregge. Tutto ciò mi induce a riportare l’argomento elaborandolo solo nella forma descrittiva. Si può iniziare dal presepio. Il Gesù storico al suo tempo non ha costruito né insegnato a costruire presepi, questo è frutto della devozione dei fedeli secoli dopo e quindi appartenente al Gesù della fede. Il primo fu organizzato da S. Francesco d’Assisi 1222-23, vivente e interpretato dai paesani. Diventato in seguito sacra rappresentazione a partire dal napoletano, entrato poi nelle famiglie con statuine di terracotta per la gioia dei bambini. Dunque un simbolo. Ma i simboli come i miti parlano a noi in modo più profondo della realtà. Che cosa potrebbe dirci oggi il presepio nelle famiglie, nella scuola, nella piazza del paese, nella sala comunale? Potrebbe rievocare l’invito di Gesù:” lasciate che i bambini vengano a me”. E quindi evitare che il presepio diventi causa di risse, come quando si escludono i bambini stranieri dalle recite natalizie, dai saggi, dai concertini corali multietnici, dagli incontri culturali in cui ogni colore spieghi i suoi simboli religiosi. Così difficile? Pare si voglia evitare un inquinamento razziale. Il presepio è un simbolo risorsa, casa comune, incontro di solidarietà. Forse quest’anno non si potrà fare causa la pandemia, ma non tutto il male viene per nuocere, può portarci a riflettere in attesa che nel prossimo futuro il presepio divenga simbolo unitivo e non divisivo. Altra distinzione fra il Gesù della storia e il Gesù della fede, o devozione popolare, è la data del natale, 25 dicembre. In Europa si canta “tu scendi dalle stelle al freddo al gelo”. In Sud Africa e sud America c’è poco da saltare, si è cotti dal solleone. Premesso che vale la pena lasciare agli esperti in materia la discussione se Gesù sia nato a Betlemme secondo la profezia augurio di Michea (5,1) oppure a Nazareth (Mt.2,23), importante che sia nato. Lo comprovano anche documenti di scrittori estranei e laici, tipo Giuseppe Flavio e lo storico Romano Tacito. Che però Gesù sia nato il 25 dicembre è una possibilità su 366, quindi ridotta al lumicino. Si tenga a mente che gli antichi non si interessavano molto della data di nascita quanto piuttosto di quella della morte. Un uomo era degno di memoria in considerazione delle opere compiute in vita e riassumibili retrospettivamente con la morte. Poi da considerare che il vangelo non è un verbale della vita di Gesù ma la codificazione del suo messaggio e della sua esperienza religiosa di fondo con l’aggiunta di qualche accentuazione da parte degli evangelisti e della loro scuola dopo la scomparsa di Gesù stesso. E qui ovviamente grazie agli studiosi in materia, che oggi sempre più ci rivelano le linee portanti del suo annuncio. L’impero romano festeggiava il solstizio d’inverno al 21-25 dicembre, secondo il calendario di Giulio Cesare, cioè la notte più lunga dell’anno. E la celebravano con saturnali, feste tipo i nostri carnevali, in onore di Mitra, dio del sole. Perché da quella notte il sole iniziava a diffondere più lungamente la sua luce, vincendo così le tenebre. I primi cristiani festeggiavano il compleanno di Gesù in ordine sparso, come gli ortodossi di oggi il 6 di gennaio. Ma esperimentando che il vero sole dell’umanità è Gesù, sovrapposero alla festa pagana questa nuova cristiana. Il tutto pare con Papa Liborio il 354 d.C. Dopo aver stabilito la data di natale i fedeli fecero altri calcoli. Se Gesù è nato il 25 dicembre vuole dire che Maria l’ha concepito 9 mesi prima, ed ecco il calendario attuale che al 25 marzo registra l’Annunciazione dell’Angelo a Maria. In definitiva la data della nascita di Gesù è un ritrovato della devozione popolare cioè legato al Gesù della fede. Però il simbolismo del sole, luce del mondo, a lui riferito è molto più ricco. Il sole illumina, riscalda, matura. Così all’ umanità e al singolo uomo Gesù è luce, via, verità, vita, conforto, sostegno. Peccato che la distinzione fra il Gesù della storia e Gesù della fede sia ancora un tabu se pensiamo alla recente traduzione del messale, operazione di maquillage, in cui il Gesù della storia continua a venire oscurato dal Gesù della fede e della devozione, perpetuando cosi tutte le inutili tensioni e ritorsioni fra cristiani innovatori e tradizionalisti.

Autore: Albino Michelin     05.10.2020
albin.michel@live.com