domenica 12 dicembre 2021

BIDEN E BERGOGLIO: DUE MONDI, UNICA SPERANZA

Il 29 ottobre u.s. ha avuto luogo l’incontro in Vaticano fra il Papa e il presidente degli Stati Uniti. Dei 46 presidenti dal 1776, origine degli Usa, è il secondo cattolico dopo Kennedy con Paolo VI nel 1963. Nessun clamore, nessuna TV durante il colloquio, nessun baciamano, 75 minuti di conversazione, mentre la precedente con Trump del 2015 era durata 30 minuti. La foto con Trump mostra un volto di Bergoglio serio e pensoso, questa invece due volti sereni e fiduciosi. L’unica dichiarazione pubblica fatta da Biden riguarda la sua vita personale allorché Bergoglio lo consigliò ad essere un buon cattolico e continuare a ricevere la comunione (non ostante sia presidente di una nazione dalla legislazione abortista, anche se personalmente contrario all’aborto). La seconda dichiarazione Biden la affidò ad una nota della Casa Bianca elogiando Bergoglio per il suo impegno verso i poveri del modo, per il clima, contro le guerre. Un settore della stampa italiana non smentì la sua superficialità e uscì titolando: “l’ostia di Biden…la politica dell’eucarestia,” e avanti su questo tono. E’ emerso invece un messaggio molto più profondo quale: il puritanesimo nella chiesa e nel continente Usa, rapporto stato-chiesa, religione-laicità, fede-scienza, dogmatismo ed evoluzionismo. A molti l’America fa invidia guardandola dall’esterno perché considerata uno stato forte ricco, monolitico, oasi felice, invece a vederlo dal di dentro anch’esso ha i suoi conflitti, le sue forze centrifughe, le sue criminalità, le sue sacche di miseria. Entrambi i messaggi sia quello personale come quello della Casa Bianca meritano una riflessione. Anzitutto sul puritanesimo, anche se nessuno lo cita. E’ un protestantesimo di matrice calvinista, arrivato dall’Inghilterra con gli immigrati nel 1620. Bibbia fino all’oltranzismo, nessun compromesso con il cattolicesimo, morale ultra rigida, questa una delle tante filosofie alla base della storia Usa, col tempo suddivisasi in miriadi di sette. Nel 1973 è stata approvata la legge sull’aborto. Di qui la spaccatura con Biden cattolico che personalmente antiabortista deve fare i conti con una massa di 330 milioni di persone in 50 stati e venire a compromesso politico. Tutti ricordano in Italia l’introduzione del divorzio (1970) e dell’aborto (1978) entrambi sostenuti anche da una parte del clero. Non tanto perché ad un prete celibe interessi divorziare da una moglie che non ha, o praticare l’aborto, quanto per evitare mali peggiori nei confronti delle coppie al limite della violenza, o di ragazze e donne stuprate che finiscono pericolosamente verso le mammane o nella disperazione. Talvolta fra due mali è opportuno scegliere quello minore, perché non tutto è bianco, non tutto è nero, talvolta è grigio e anche nella morale non giova stare dalla parte dei puri(tani). Quindi va fatta una distinzione fra morale personale e morale rappresentativa. Biden in quanto rappresentativo di un popolo deve scegliere il male minore. Da qui la spaccatura fra il mondo dei puritani, cui aderisce molta parte del clero unitamente a buona parte dell’episcopato, che nel 2004 era riuscito a bocciare le presidenziali a J. Kerry, e che aveva già preparato per questo mese di novembre il divieto ufficiale a Biden di accostarsi alla comunione. Bergoglio ha bloccato l’iter, e sappiamo che egli considera l’aborto un omicidio e anche recentemente ha benedetto “le campane della vita, voce dei non nati”, destinate alla Polonia. Nel contempo però ha anche abolito la legge discriminatoria per cui una donna per essere assolta dall’aborto doveva girare mezzo mondo fra vescovi e penitenzieri, e ha concesso la facoltà a tutti i preti dell’assoluzione, lasciando alla donna stessa la decisione secondo coscienza e discernimento. Questa che sembra una bega da frati e di basso profilo, negli Usa fra puritani e democratici è battaglia fino all’ultimo sangue. E qui colpisce la morale contradditoria e schizofrenica dei repubblicani trumpisti, fra cui molti puritani che nulla mai hanno obbiettato contro la barbarie della pena di morte, le guerre in Vietnam, in Iraq, nel Medio Oriente, contro il commercio delle armi, il colonialismo selvaggio per il petrolio, le sopraffazioni internazionali. Biden poi non ha disdegnato l’altro aspetto, quello che in genere si chiama ingerenza indebita della chiesa nella politica. Si tratta di distinguere. Certo non siamo più al tempo del Cesaropapismo, quando un papa re poneva e dimetteva dal trono i principi o che reggeva le politiche mondiali. Però gli ovvii consigli dati da Bergoglio a Biden per il buon esito a Roma del G 20 (Gruppo di 20 rappresentanti del mondo) e a Glasgow del Cop 26 (Comitato mondiale di 197 negoziatori) furono indubbiamente al centro del lungo colloquio del 29 ottobre 2021. Perché oggi la politica ha bisogno di un supplemento d’anima che le può venire da una sincera e disinteressata etica universale, di cui le religioni possono essere portatrici. Un incontro che stranamente fa venire alla mente Don Camillo e Peppone, l’uno di estrazione clericale l’altro marxista che però si sono prodigati per il bene dello stesso paese Brescello. A conferma che nella vita non ha importanza da dove si viene, ma dove si va. Alla fine Biden definì Bergoglio con 4 p, combattente per il “people, planety, prosperity, peace” Non se li appunterà al petto quali coccarde d’onore ma continuerà a farsene un progetto di vita insieme con tutti quelli che hanno fiducia in un mondo migliore.

Autore: Albino Michelin 30.10.2021
albin.michel@live.com

venerdì 10 dicembre 2021

SPIRITO DEL TEMPO E TEMPO DELLO SPIRITO

Nel 62 a. C. Cicerone al senato romano fece una violenta Catilinaria contro il suo avversario aggredendolo: “o tempora o mores” Oh che tempi, che costumi”, deplorando la perfidia e la corruzione di quell’epoca, rimpiangendo le virtu’ morali del passato, ignorate e offese da tutti. Una condanna pubblica contro lo spirito del tempo. Sono passato 2100 anni da quelle invettive e niente di nuovo sotto il sole. Indubbiamente generalizzando faremmo anche un torto a tante persone e a gruppi animati da sentimenti etici che hanno non solo, resistito ma anche contribuito a pezzi di storia apprezzabili. Però anche oggi specialmente dopo la seconda guerra mondiale non si fa altro che lamentare sullo spirito del nostro tempo per le crisi di ogni genere, tanto che certi correnti religiose minacciano e paventano la fine di questo mondo. A parte il fatto che Gesù nel suo Vangelo è molto meno catastrofista e più ottimista. L’espressione “spirito del tempo“ è difficile da definire, risale alla filosofia tedesca del 1769 come Zeitgeist, e più tardi in italiano come “genium saeculi” genio della generazione. Un clima che si respira un po’ dovunque e da nessuna parte, invisibile ma invadente. Plasma le nostre abitudini senza farci violenza, fino a che ci troviamo diversi e a nostra insaputa. Ci accorgiamo che tutto è cambiato e sta cambiando ma non abbiamo strumenti né volontà per gestire un ritorno ai valori perduti, non dimenticando però che non tutti sono andati perduti, alcuni si sono evoluti, troppo pochi comunque per essere trainanti. Tutto cambia velocemente a motivo della rapida circolazione e diffusione delle idee e dei modelli di comportamento. Spirito del tempo è un clima intellettuale, culturale, etico, politico della nostra epoca, ma anche una tendenza che viene assimilata dalla nostra coscienza e ci modella dall’inconscio. Il filosofo polacco Z. Baumann usa la metafora modernità liquida per descriverci, la chiama liquida per dire il dissolversi del’ ordine sociale, una società liquida, un’impresa liquida, una morale liquida, un amore liquido. Un mondo senza tradizioni, senza regole, senza impegni vincolanti. Primo bersaglio la politica. Però la società rispecchia esattamente lo spirito del tempo. I governanti non sono sempre personaggi immorali in quanto essi stessi rappresentano lo spirito del tempo. La società non è governata male, ma è governata e addomesticata secondo le regole e i costumi del tempo, permissiva e logica del profitto, tutto e subito. I nostri verbi preferiti, anche se non proferiti sono: ignorare, mentire, prevaricare, rubare, uccidere. Noi italiani sembriamo campioni di autolesionismo e di disistima, ma non esageriamo, questo è un problema dei paesi economicamente sviluppati, dell’occidente. Quelli del terzo mondo forse ci seguiranno a ruota. Troviamo normale che McDonald, Coca-cola e i colossi petroliferi-siano i padroni del nostro stile alimentare e turistico ripentendoci il solito tam-tam, mantra ossessionante: vendere, vendere, vendere, acquistare, acquistare, acquistare senza che nessuno si faccia una piega? All’affermarsi dello spirto del tempo gioca un ruolo suasivo la pubblicità, una logorrea contro tutto e tutti. Un fiume di notizie e contro notizie senza il tempo di filtrarle. Non dimentichiamo la moda di massa. Si sa che dal neolitico l’uomo si copriva di pelli di cammello senza mutare per secoli la foggia, vestirsi per coprirsi. Oggi si cambia ogni stagione stile di abbigliamento perché l’imperativo è apparire. Aggiungi il tutto e subito con una frenesia stressante. E’ lo spirito del tempo. E qui ci si può chiedere come fare, e se vale la pena, reagire a questa violenza silenziosa. Sembra un gioco di parole, ma un tentativo di soluzione potrebbe essere il tempo dello spirito, cioè riservato alla riflessione, per il ricupero della propria autonomia intellettuale e morale. Passare dalla protesta alla proposta. Senz’altro tempo dello spirito può anche chiamarsi preghiera. Questa può servire di consolazione spirituale al singolo, al rapporto col trascendente, ma se resta così, il mondo cambia poco. Guai all’uomo solo. Soltanto se essa diventa gruppo sia religioso, umanitario culturale lentamene cambierà lo status quo. Scriveva Paolo ai Tessalonicesi: “non spegnete lo spirito, esaminate ogni cosa, ritenete ciò che è buono.”(1°,5). Dare tempo allo spirito significa riservare spazio per la formazione dei buoni sentimenti, come ieri nella prima infanzia li tramandavano con i miti e le fiabe le nonne. Ma oggi tutto è soppiantato da elettroniche diavolerie, i genitori non hanno più tempo e pazienza, regalano ai pupi appena slattati lo smartphone e ci crescono senza discernimento fra il bene e il male, nell’indifferenza, col falso concetto di libertà di opinione e di odio, come si grida nelle nostre piazze. Morale liquida ed elettronica. Ed ugualmente passione per la riflessione va coltivata poi nella scuola che non dovrebbe essere solo luogo di informazione, ma anche di formazione. Un esempio pur se limitato ma molto significativo è l’impegno assunto recentemente dai Comites (Comitati italiani emigrazione) in Svizzera che hanno lanciato e poi pubblicato in un libro un programma nelle scuole dei nostri ragazzi sulla tematica della legalità. I pensieri, i desideri, gli input per una società libera dalla mafia, dall’ndrangheta, dalla sacra corona unita, dalla camorra lasciano stupiti. Anche questa iniziativa appartiene al tempo dello spirito che se ampliato a tutti gli altri settori risanerà lo spirito del tempo, di cui il nostro mondo ha estremo bisogno.

Autore: Albino Michelin 15.10.2021
albin.michel@live.com

giovedì 9 dicembre 2021

TROPPI MITI NELLA CHIESA CATTOLICA DA REINTERPRETARE

 Le analisi sulle difficoltà della Chiesa cattolica ripetono sempre le stesse cause, cioè minor frequenza alla messa, mancanza di clero, cambiati i tempi. Tutto vero, ma si tralascia qualcosa di molto più importante. La chiesa cattolica è troppo pesante causa i suoi miti e i suoi dogmi. Questo ci viene espresso da molti studiosi di teologia, detti “Reinterpreti del Cattolicesimo”. Non hanno interessi di proselitismo o anti. Loro obbiettivo è relazionare sull’argomento per ritornare dalla religione alla spiritualità di Gesù. Lo possono fare perché la ricerca anche nella chiesa oggi è più libera, mentre nel passato il teologo dipendente dall’università o da un seminario che si permettesse di uscire un pelo dall’ortodossia veniva licenziato e messo sulla strada. Oggi ognuno ha il proprio stipendio, frutto di pubblicazioni di libri, conferenze ed altro. Inoltre questi teologi si poggiano anche sul fatto che Papa Bergoglio non cita troppe dottrine del passato, ma come Gesù bada concretamente ad agire in base alla parola di Dio e a servizio dell’uomo. E così lascia intendere che la teologia cattolica da secoli vecchia e clericale, diventa incomprensibile e allontana di più che non l’attuale indifferenza digitale. Per cui molti se ne vanno, anche se liquidati come sovversivi, scismatici, eretici: epiteti a cui nessuno fa più caso. Ora il gruppo di studio citato elenca sette miti che andrebbero oggi reinterpretati: 1) Il peccato originale. 2) Il dio rancoroso dell’antico testamento. 3) L’incarnazione di Dio nell’uomo Gesù di Nazareth. 4) La redenzione dell’umanità attraverso la morte di Gesù in croce. 5) La Trinità. 6) La Chiesa infallibile, uomini con poteri divini. 7) Il cattolicesimo, unica vera religione. Premesso che la bibbia non è una raccolta di favole e leggende, però ne contiene alcune, la cui rilettura è urgente. Il suo limite è l’interpretazione letteraria. Il mito non è un fatto storico, ma preistorico, una interpretazione del vissuto umano: d’onde vengo, dove vado, perché vivo. La bibbia però non copia materialmente i miti pagani, mentre li assume e li riempie di un significato religioso. In breve dettaglio: 1) Il peccato originale, (Dogma Concilio di Trento 1541) vedi il mito greco di Pandora. Da sempre ci si chiedeva: da dove proveniva il male nel mondo. Per spiegare che non era causato da Dio si è imbastita la disubbidienza dei progenitori, l’intervento del serpente satana, il castigo di Dio alla sofferenza e alla morte per tutti i discendenti. L’impianto è debole perché qui non paga chi rompe, tu non puoi essere punito da Dio per una colpa che non hai compiuto. Invece l’interpretazione di Thailand de Chardin ci sembra più valida: l’uomo chissà da quanto tempo (3 milioni di anni?) è stato creato o apparso sulla scena imperfetto, fragilità ed incompiutezza, affinché con la sua libertà possa superare istinti ed ingiustizie, umanizzarsi ed umanizzare fino alla fine dei tempi. Solo allora Dio sarà tutto in tutti (Paolo 1a Cor,15,28) 2) Il Dio rancoroso. (Esodo circa 1200 a.C.). E’ vero che nella Bibbia si legge la vendetta del Dio degli ebrei verso i nemici. Ma tutto ciò è segno di pochezza di quella gente che proiettava in Dio l’odio e la vendetta di cui loro erano carichi. Creato un Dio a propria immagine e somiglianza. 3) Gesù figlio di Dio (Dogma di Nicea 325 d.C.). In antico era prassi definire il re quale figlio di Dio. Un mito che persone eccezionali nascessero dalla congiunzione di un dio con una ragazza vergine del popolo. Caso anche di Romolo, primo re di Roma, concepito dal dio Marte con Re Silvia. Gesù è il prediletto di Dio (Mc.1,11)) che ha realizzato in modo totale la di lui volontà, e nel modo più perfetto che un uomo possa immaginare. Ecco perché Gesù se in Giovanni dice che il padre è maggiore di lui (14,28), in altri passi che lui e il padre sono una sola cosa, (10,22), in altri che Dio è padre suo e padre nostro, (20,27), alla fine afferma che ogni uomo è figlio di Dio. Ma forse chiedeva troppo quel tale che voleva conoscere il DNA di Gesù e quello di Dio, suo padre. 4) Gesù ci redime col sacrificio della morte in croce. Qui il mito di Ifigenia e di molti popoli antichi. Agamennone sacrificò sua figlia per ingraziarsi la dea Artemide che così essa lo perdonò. Gesù è morto in croce non per volontà di Dio padre, (sarebbe contro natura), ma per dimostraci che non cambia nulla nel mondo se non si è pronti a dare la vita per le proprie sacrosante idee, per la verità e la giustizia, l’amore verso il prossimo. Da non dimenticare che Gesù ha sempre combattuto contro la sofferenza, mai consigliata. 5) Trinità, un solo Dio in tre persone. (Dogma di Nicea) Questo mito è antichissimo e presso molte civiltà, si fonda sulla magia del numero simbolico tre, che significa perfezione. Per esempio il mito egiziano: Iside, Osiride, Horus: padre, madre, figlio. Conviene qui dribblare la filosofia greca con le sue formule grattacapo. Ci basti un esempio popolare di trinità: il sole genera, illumina, rianima. Così sarebbe la perfezione di Dio 6) Chiesa infallibile. Mito del potere, frutto della chiesa piramidale costantiniana (350 d.C.). Dogma autoreferenziale di Pio IX (1869). Ma Gesù aveva insegnato agli apostoli di non fare come i potenti del mondo che vogliono essere serviti. La sua comunità invece esiste per servire e testimoniare l’amore verso gli ultimi. 7) Cattolicesimo unica vera religione. Mito del sovranismo. Bando imperiale di Teodosio nel 385 d. c. quando la chiesa da perseguitata ricevette consenso di perseguitare e fare le crociate. Tuttavia con questo non va dimenticato il grande bene che la chiesa lungo i secoli ha espletato. Ma oggi essa andrebbe riformarla alla luce di questa problematica globale.

Autore: Albino Michelin 04.10.2021
albin.michel@live.com

mercoledì 8 dicembre 2021

FEMMINICIDI IN AUMENTO: DEDICATO ALLA BAMBINA GRACE

Fa sempre impressione leggere sulla stampa episodi di femminicidio, però altra cosa è trovarsi coinvolti di persona come successo al sottoscritto quando il 15 settembre u. s. si sentì scosso da un caso del genere avvenuto a due km di distanza dal suo indirizzo, in una contrada contigua, si può die alla porta accanto. M. ex amante uccise con un colpo di pistola allo zigomo la compagna Ale Z. di anni 21, e poi si tolse lui stesso la vita, lasciando orfana la figlioletta di due anni, dal nome gentile Grace, cui dedico il presente articolo. Il fatto avvenne nel vicentino dove 5 giorni prima a 20 km di distanza un marito uccise la compagna senegalese, e qualche tempo addietro in un paese limitrofo successe un episodio identico: quasi un contagio. Una riflessione sull’argomento è d’obbligo, ci basti ricordare che in Italia ogni tre giorni si ripete un femminicidio, stillicidio in aumento. E’ un termine di nuovo conio, qualche anno fa si usava il vocabolo uxoricidio, uccisione del coniuge, ma siccome in genere è la donna a lasciarci la vita è sorto il neologismo femminicidio. Non si riferisce semplicemente all’uccisione di una donna ma al motivo. Uccisione non per ragioni casuali come rapina, incidente, disgrazia, ma solo perché donna. Per mano del marito o ex, del fidanzato, del compagno, del convivente, o del padre contro la figlia, o del figlio contro la madre. Si vede che dal punto di vista sociale esiste ancora fra di noi una cultura arcaica che emerge non ostante l’apparente buonismo. E anche se noi occidentali accusiamo di barbarie gli arabi e i musulmani che decapitano le donne a motivo della loro moralità, le lapidano, le privano di scolarizzazione, le brutalizzano, le deturpano con l’acido, le sottopongono a alla infibulazione, impongono il burqa, le chiudono in casa a doppia mandata, in fondo non siamo molto più civili. Ovviamente evitando generalizzazioni, ci illudiamo di essere puliti fuori e dentro, ma nel nostro inconscio collettivo si annidano ancora pezzi di maschilismo patriarcale. Concediamo pure che in Italia le cose dal punto di vista delle leggi qualcosa è cambiato. Fino a qualche tempo fa esisteva il delitto d’onore (abrogato nel 1981), dopo il quale il marito se la cavava con una pena irrisoria. E’ stato introdotto il divorzio, (1970), il diritto di famiglia (1975) l’aborto, (1978), il 25 novembre quale giornata contro la violenza delle donne (1999), però anche al presente lo stato non offre alle bambine e alle donne la sicurezza necessaria a garantire loro rispetto nelle famiglie, nella vita, negli ambienti di lavoro. Mancano un approccio mirato, garanzie giuridiche e politiche. Poche le azioni messe in atto per disinnescare questa cultura arretrata. Il discorso formativo andrebbe fatto a monte. Ad esempio occuparsi della violenza e non della discriminazione significa arrivare troppo tardi. Femminicidio non è solo la morte, ma anche la mortificazione inflitta alle donne. La morte fisica è possibile là dove è già stata consentita la morte civile, la negazione di ogni dignità. Come la morte professionale attraverso le continue molestie, sevizie, violenze, disparità di salario e le rinunce lavorative in caso di gravidanza. E poi fa difetto una vera educazione sessuale che non significa semplicemente informazione medica o ginecologica ma formazione etica dei sentimenti, così diversa dalla libertà degli istinti, secondo anche gli studi di alcuni classici in materia come E. Fromm” l’arte di amare”. Pure da questo deficit psicologico può esplodere poi il delirio maschile nel femminicidio. L’uomo si sente padrone della donna, sua proprietà. Nel femminicidio salta anche il patto gerarchico: l’uomo superiore, la donna a lui inferiore, guai a infrangerglielo. La sua arroganza è legata a questi pregiudizi, che ad un tempo saranno stati anche dei valori, magari col supporto della chiesa che consigliava alla moglie silenzio e sottomissione al marito, ma che oggi si chiamano sopraffazione. Il femminicida non si riconosce narcisista, e lo è, perché non ammette che la donna si innamori di un altro, solo a lui è consentito comportarsi da poligamo. La decisione della donna di lasciarlo gli crea una umiliazione insopportabile, si sente bandito nella classe dei perdenti. Dove mai va a finire la sua muscolosità, la sua virilità, il suo potere assoluto? Mentre la virilità sarebbe la coscienza dei propri valori e sentimenti supportata dal rispetto reciproco, il possibile femminicida si sente messo in ridicolo. Di qui il sadomasochismo, le dinamiche tossiche della possessività, il piacere perverso di assoggettare, eliminare, fare a pezzi la donna colpevole di una scelta diversa. Noi uomini non ci dovremmo vergognare di metterci la faccia e riconoscere che qui si tratta di amore immaturo e malato. Il femminicidio è spesso la punta iceberg di ciò che il maschio potrebbe potenzialmente diventare dopo continuate violenze in famiglia rimaste sconosciute e dalle donne sofferte. Quando il femminicida è preso dal raptus dell’onnipotenza tribale a lui non interessa più nulla delle aziende, dei conti in banca, delle proprietà terriere, degli affetti familiari, della sua vita, addirittura dei suoi figli, vedi quanti orfani abbandonati al loro destino. Alla piccola Grace di 2 anni rimasta sola come innumerevoli testimoni dall’infanzia negata auguriamo che fra qualche anno la conoscenza di tanto crimine non le sia traumatica e che la solidarietà dei familiari parenti le possano restituire l’amore rubato.

Autore: Albino Michelin 30.09.2021
albin.michel@live.com

lunedì 6 dicembre 2021

500 ANNI FA MORIVA LEONE X, IL PAPA CHE DIVISE LA CHIESA E L'EUROPA

Da cinque secoli a questa parte fra cattolici e protestanti non corre buon sangue, piuttosto molto ne è stato versato, basti pensare fra tutte alla strage di S. Bartolomeo del 25.8.1572, nella quale i cattolici massacrarono tre mila ugonotti francesi. Oggi ci si può domandare se tanto odio si sarebbe potuto evitare, probabilmente sì. L’anniversario dell’1.12.2021 può darci una risposta, rievocando i 500 anni dalla morte di Leone X. L’impulsivo e mondano pontefice, cui è mancata cultura teologica e pazienza per evitare di fronte a Lutero uno strappo religioso e politico insanabile. Dal punto di vista storico è opportuno dare spazio anche a questo uomo non tanto per celebrarlo quanto per evitare che la storia venga sempre raccontata dai vincitori (nel caso dai cattolici), e che i vinti stiano sempre dalla parte del torto. Il futuro Leone X, all’anagrafe Giovanni De’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, di nobile famiglia toscana, nacque a Firenze il 10.12.1475 e morì a Roma il 1.12. 1521. a 46 anni. Da bambino fu destinato alla carriera ecclesiastica, a 8 anni divenne abate di Montecassino, a 13 anni segretamente per abili manovre cardinale. Si cacciò subito in politica e fondò la lega Santa (Inghilterra, Spagna, Venezia, Svizzera, Impero) contro i francesi. A 38 anni sempre con appoggio dei nobili e dei politici diventò il 217.mo papa senza essere né diacono, né prete né vescovo. In un battibaleno si fece conferire cumulativamente tutti e tre gli ordini. Energico, guerriero, raffinato mecenate, nepotista perseguì tre obbiettivi: politica con gli stati europei, sistemazione dello stato pontificio, difesa degli interessi di famiglia. Difatti scelse il cugino Giacomo a divenire suo successore col nome di papa Clemente VII non curante del conclave. Suo vero chiodo fisso era il finanziamento della monumentale basilica di S. Pietro, iniziata nel 1506 ad opera del Bramante e terminata nel 1620, 114 anni più tardi. Ebbe la nobile pensata di lanciare il mercato delle indulgenze. Cioè ogni peccato passato, presente e persino futuro poteva essere perdonato per evitare l’inferno a patto che il cliente peccatore versasse una quota prestabilita. Ed è così che Leone X pubblicò la Taxa Camerae, il tariffario con 35 libelli. Esempio: chi annega un figlio, assolto versando 27 libbre, un eretico che si converte assolto con 218 libbre, un frate che vuole ritirarsi in eremo con una donna, assolto per 45 libbre, chi spergiura senza mantenere, assolto con 131 libbre. Il guercio di un occhio che vuole farsi prete promosso con 10 libbre. E così di seguito. L’arcivescovo. Alberto di Brandeburgo e la Banca Fugger raccolsero 10 mila ducati. Il totale dell’operazione indulgenze fruttò a Leone X circa 2 milioni di euro attuali. A tanto sacrilego mega mercato si oppose Martin Lutero, nato ad Eisleben Sassonia, regione ad est della Germania nel 1483 (+1546), figlio di contadini. A 18 anni entrò in convento e si fece monaco, a 25 docente all’università di Wittenberg, a 32 si sposò con Caterina Von Bora ed ebbe sei figli. Carattere vigoroso e deciso, studioso appassionato della Bibbia, di profonda spiritualità, ansioso e vitalista si chiederà per tutta la vita:” come troverò un Dio misericordioso?” Basa la sua spiritualità sul Vangelo e sulle lettere di Paolo, formulando tre principi. 1) Sola fede. Primato della coscienza. La giustificazione e la salvezza dipendono dalla sola fede e non dalle opere, specie quelle frutto di mercato. Le opere non sono inutili ma vanno compiute come frutto dell’amore di Dio. 2) Sola grazia. Primato della grazia di Dio sul merito dell’uomo. Centralità Cristo. 3) Sola scrittura. Primato del vangelo e non delle tradizioni degli uomini. Non era una nuova religione, ma il ritorno a quella di Gesù. Il conflitto con Leone X inizia subito ma esplode nel 1517 quando il traffico delle indulgenze supera ogni sopportazione. Il 31.10 dello stesso anno espone alla porta della cattedrale di Wittenberg 95 tesi, esplicazioni dei tre principi su citati. ll tutto arrivò a Roma e il teologo di corte Silvestro Prierias pregò il papa di prendere la causa sul serio e di discuterla seriamente. Il pontefice in tutt’altre faccende affaccendato non si sente affatto minacciato da queste quisquiglie fratesche e frettolosamente si illude di chiudere il caso con la bolla Exurge del 15.6.1520 minacciando la scomunica che divenne operativa il 3.1.1521- Lutero diede fuoco a tale documento e rispose che sul trono papale siede l’anticristo. E così lo strappo diventa definitivo. Causa l’impazienza e l’incompetenza di Leone X inizia la riforma protestante, si spacca la cattolicità, la stessa geopolitica europea si assesta definitivamente con il nord Europa separato dal sud che resta papale. Forse un po’di ragione ce l’aveva quel tale a dire che se la chiesa non l’hanno distrutta i papi non la distrugge più nessuno. La conseguenza però è che in Italia il protestantesimo non ha mai avuto diritto di cittadinanza, sempre combattuto con pregiudizi, invece avrebbe potuto diventare stimolante confronto. Un tentativo di avvicinamento si è avuto il 31.10.1999. quando le due chiese hanno firmato un accordo sulla giustificazione attraverso la sola fede. E recentemente la Federazione luterana ha proposta che Papa Bergoglio tolga la scomunica a Lutero e i Luterani aboliscano l’epiteto di anticristo lanciato al papa. Purtroppo anche Leone X è stato figlio dell’imperatore Costantino (313 d. c.) del quale Dante scrisse (Inf.21,115):” Ah Costantin di quanto mal fu matre non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre.”

Autore: Albino Michelin 06.09.2021
albin.michel@live.com

venerdì 5 novembre 2021

SUL PECCATO ORIGINALE NON CESSA IL CONFLITTO TRA SCIENZA E FEDE

 Si ha un bel dire: A Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, cioè l’autonomia tra il campo della scienza e quello della fede. E si obbietterà giustamente che questo argomento è di interesse minoritario per il nostro tempo, però non lo è per una buona parte del mondo cattolico rimasto al palo. Perché anche oggi da molti pulpiti e specialmente da radio cattoliche scende sempre la stessa litania: terremoti, pestilenze, morti innocenti, dolori inspiegabili provengono dal peccato originale, una vera spada di Damocle. E anche nel catechismo della Chiesa Cattolica, redatto nel 1982, dal numero 385 al 412 si concede a denti stretti un esiguo spazio all’evoluzionismo il che significa negarlo. Ma siamo in buone con il card. W. Kasper, eminente per cultura, che dalle sedi vaticane opta per una revisione totale del dogma. In sintesi ecco il quadro dei primi tre capitoli del Genesi della Bibbia, motivo del contendere. “All’inizio Dio creò il cielo e la terra in sei giorni. Come un artigiano poi fece l’uomo dal fango e la donna dalla di lui costola, li pose in un giardino di delizie con l’ingiunzione di crescere e dominare la terra. Tutto era bello e buono. Quindi Dio mise i progenitori alla prova, quella di non mangiare il frutto dell’albero del bene e del male. I due incuriositi trasgredirono e venne comminato il castigo per loro e tutti i discendenti, morte, sofferenze, inferno. Uno spiraglio, la redenzione con la dichiarazione che una donna avrebbe schiacciato il capo al serpente.” Galileo quando fu condannato per lo stesso conflitto scienza-fede sostenendo che l’astronomia dimostrava essere la terra a girare attorno al sole e la chiesa basandosi sulla bibbia affermare il contrario, scrisse alla Granduchessa di Toscana nel 1615 che la chiesa ha da insegnare come si va in cielo e non come va il cielo. Voleva dire, la fede non si immischi nella scienza, quest’ultima una volta consolidata è parola di Dio, la fede invece può essere talvolta solo parola di uomo. Alcuni punti del conflitto. 1) Uomo nel giardino di delizie, centro del mondo. Scienza: l’uomo non è al centro del mondo, nemmeno la terra lo è, forse nemmeno l’universo perché esiste probabilmente il multiuniverso. 2) Tutto era bello e buono. Scienza: all’inizio circa 13 miliardi di anni or sono tutto era caos, con l’evoluzione il mondo sta diventando cosmo. Terremoti, inondazioni ecc. possono essere indizio di un cosmo che sta ancora assestandosi. E Il processo di umanizzazione non finisce l’anno prossimo ma avrà bisogno forse di secoli e migliaia di anni, come sostiene Th.de Chardin. La fede: si sta correggendo e proietta alla fine della storia ciò che è detto dell’inizio, come accenna la bibbia alludendo che Dio sarà tutto in tutti. 3) Dal peccato di Adamo è entrata la morte nel mondo e tutto il corredo di disgrazie. La fede: difende ancora tale concetto. La scienza: falso perché gli animali muoiono da sempre già prima che arrivasse l’uomo. Essa è un dato biologico della natura, orientata alla sostituzione e successione dei viventi. 4) Dominate la terra. La scienza vede insostituibile impedire sfruttamento e inquinamento, e anche la sovrappopolazione con il controllo delle nascite. La fede: d’accordo per il rispetto della casa comune, però nessun controllo delle nascite, ogni vita è sacra. Domanda: anche quella di migliaia di persone destinate oggi alla morte di fame? 5) L’odio, l’orgoglio, la superbia sono frutto del peccato originale. La fede tiene a questa posizione. La scienza psicologica invece ritiene che da quando l’uomo ha preso atto della sua capacità di autoriflessione si è lasciato dominare dalla bramosia, dall’odio, dall’istinto, dalla frenesia. Esperienza quindi innata. 6) Il peccato di Adamo si è tramesso ai suoi discendenti, perciò sono destinati essi pure alla perdizione eterna. La fede: sì, perché Paolo afferma che come da un solo uomo Adamo è venuto il peccato, così da un solo uomo Gesù viene la salvezza (Rom.5,12). Essa giunge attraverso il battesimo che libera il neonato dalla possessione di satana. La scienza del diritto invece sostiene che ognuno è punibile solo per i suoi atti. E che la responsabilità altrui non è trasmissibile. Che c’entro io, ciascun uomo con Adamo? 7) IL peccato originale viene espiato solo con la morte di Gesù in croce. La fede sottolinea che il Figlio di Dio venne sulla terra per placare il Padre e che tale sacrificio viene commemorato nella messa. Al contrario la scienza della psicologia obbietta essere inaccettabile che un Padre buono come da Gesù definito chieda la morte del figlio per perdonare una colpa inesistente. Incomprensibile “figlicidio”. Una sintesi a questo proposito ci viene da Paul Ricoeur (+2005), uno dei maggiori filosofi del nostro tempo: “quanto male ha fatto alla cristianità l’interpretazione letteraria del mito di Adam, quando invece è un tentativo di risposta al vissuto del tempo. Speculazione assurda sulla trasmissione biologica di una colpevolezza giuridica per l’errore di un altro uomo, respinto lontano nella notte dei tempi, non si sa bene dove, tra il pitecantropo e l’uomo di Neanderthal. Colpevoli di tutto, di colpe non nostre, compiute da un ignoto antenato. Dannati all’inferno senza colpa, redenti dalla morte di Cristo senza merito. “Il messaggio di Gesù non è stato quello del peccato originale di Adamo ed Eva ma che il male si vince col bene, l’odio con l’amore. Sforzo impari che forse durerà secoli ma alla fine la vita prevarrà sulla morte.

Autore: Albino Michelin 30.08.2021
albin.michel@live.com

mercoledì 3 novembre 2021

PER NON DIMENTICARE GINO STRADA

Scomparso all’età di 73 anni il 13 agosto u. s. in Normandia, regione della Francia dove soggiornava per un breve periodo di riposo causa problemi cardiaci, di lui rimarranno sempre indelebili alcuni logo, quali: “una vita per gli ultimi. La morte vince una volta sola, la vita vince ogni giorno. Tra il dire e il fare c’è in mezzo il fare. Fare del bene è stare bene.” Schivo, aborriva il culto dell’immagine, sia nell’atteggiamento come nel linguaggio. Però carattere deciso, determinato, un po’ spigoloso, tagliente, ma essenziale. Milanese, era nato a Sesto S. Giovanni il 21.4.1948. Sessantottino, durante gli anni della contestazione fu uno degli attivisti della protesta a tutti i livelli, ma non volle mai far parte di un partito politico anche se la stampa di destra nelle sue recensioni dopo la morte lo sdoganava nella sinistra virtuosa e spocchiosa. Pur essendo nato ed allevato in ambiente cattolico, non si dichiarò mai tale, piuttosto si definiva ateo in quanto professava una fede illimitata nell’uomo, specie in quello sofferente ai limiti della dignità umana. Non conosceva la parola nemico e mai avrebbe potuto giustificare le logiche disumane della guerra giusta e necessaria. Ferreo nella sua morale kantiana sosteneva che se siamo uomini razionali non possiamo comportarci da bestie e che alle armi e all’aggressione non si risponde con la violenza, ma con la ragione e la persuasione. Un alieno, un essere soprannaturale con una sua grammatica, un suo alfabeto, implicitamente quello di Dio, anche se si rifiutava per la solita comune ipocrisia di nominarlo e di pubblicizzarlo. Non ha predicato chiacchere, ma ha agito e si è consumato nelle tempeste delle trincee e ogni momento rischiato la vita. Potremmo annoverarlo fra i grandi uomini, come Martin Luther King, Gandhi, don Milani, don Gallo, don Ciotti, R. Livatino giudice antimafia, cioè quelli che possiedono la struttura di uomini di pace. Un accenno al suo curriculum è d’obbligo. Nel 1978 si laureò in medicina con specializzazione chirurgia d’urgenza, dieci anni più tardi in quella traumatologica. Fra l’89 e il 94 lavorò nel comitato internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto: Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia, Bosnia, diventando chirurgo di guerra. Nel luglio del 94 insieme alla moglie Teresa Sarti (+2009) fondava Emergency, una ONG, cioè una organizzazione non governativa, dall’acronimo onlus cioè associazione non lucrativa di utilità sociale chiaramente umanitaria per la riabilitazione, ricupero, rieducazione delle vittime della guerra, e delle mine antiuomo, per una cultura della pace, della solidarietà, dei diritti umani. Emergency cresciuta fino ad arrivare in 18 paesi e diventare l’unica speranza di vita per milioni di persone. Il primo ambiente della sua attività è stato il Ruanda devastato dalla guerra civile, quindi Afghanistan (10 milioni investiti), Sudan (11 milioni) Sierra Leone. (4 milioni), Iraq. Cure mediche e chirurgiche gratuite per tutti. Quasi 11 milioni di persone assistite, tra cui i buoni e i presunti buoni, i cattivi e i presunti cattivi, i terroristi, senza nessuna distinzione fra quelli di serie a e b, perché curare i feriti non è né generoso, ne’ misericordioso. E’ semplicemente giusto e lo si deve fare. Non è scandaloso avere molti soldi, importante è spenderli per la dignità degli scarti umani, e per la sacralità della vita. A Kabul ha esaminato le cartelle cliniche di 1200 pazienti notando che il 10% circa erano militari, ma il 90 % vittime civili, di cui un terzo bambini. E si è chiesto se questo era il nemico. Quando abbracciava i bambini Gino piangeva di gioia, forse perché Dio era con lui. Esigeva un grande senso di professionalità all’interno del volontariato: ecco perché sotto il profilo medico voleva ospedali belli, efficienti, con dottori capaci di curare le persone. Il suo pacifismo, il no alla violenza, è spesso risultato scomodo ai politici. Dal parlamento girava al largo, perché secondo lui pieno di papponi, di condannati e di pregiudicati. Verso i governanti non gli faceva difetto né la lingua né l’irruenza. Sempre ostacolato dai governi di destra e di sinistra, ha accusato Prodi e Berlusconi di aver portato l’Italia a intervenire militarmente nel conflitto in Afghanistan (2002) contro il precedente governo talebano, palese violazione alla costituzione italiana. Cittadino onorario delle città di Empoli e di Montebelluna, insignito nel 2015 del premio Nobel alternativo, recentemente dai soliti partiti gli è stata negata la dedica di una strada nella città di Genova. Magari da coloro che il 15 agosto u.s. hanno sfilato alla sua camera ardente con cuore compunto e dolente. Da due anni aveva individuato uno dei problemi più nefasti del nostro tempo: l’odio sul social specialmente verso i più deboli. Tanto odio e disprezzo per chi sta solo e in pericolo di morte lo feriva profondamente. Il povero disgraziato visto come la causa dei problemi e degli insuccessi degli altri. Per questo il suo sguardo era sempre volto verso l’infinito e malinconico. Ma Gino resterà sempre e fuori del tempo un grande. Lasciamolo così, senza farlo santo perché lo rovineremmo commerciandogli ossicini, reliquie e santini. Diventerebbe un idolo e non resterebbe un esempio per tutti. Gino Strada ha creduto in un mondo migliore e l’ha reso possibile. Grazie Gino.

Autore: Albino Michelin 25.08.2021
albin.michel@live.com

lunedì 1 novembre 2021

PAGARE LE TASSE: É SENSO CIVICO E AMORE CRISTIANO

Un proverbio veneto risalente ai primi anni dell’unità d’Italia verso il 1870 diceva:” carta e musso porta de tuto ”-Cioè carta e asino porta di tutto. E si riferiva al fatto che quando nei paesi arrivava il postino sul biroccio tirato da quel paziente quadrupede erano guai perché veniva a consegnare la lista dei balzelli o tasse sul macinato. E molti contadini ridotti sul lastrico erano costretti ad emigrare nelle Americhe. E’ pure a quel periodo che risale l’altro proverbio” piove, governo ladro”. L’italiano antistatalista anche perché antifisco è fino ad oggi considerato carattere furbo e fantasioso, definizione piuttosto negativa, ma di cui noi un po’ troppo ci si vanta. Non è certo un glorioso medaglione. E’ piuttosto problema da riflettere se nel 2019 la mappa della corruzione politica nel mondo metteva al primo posto l’Italia e citava come gli evasori fiscali fossero 3.546 e oltre 19 mila i lavoratori in nero con un ammanco di 108 miliardi annui alle casse dello Stato. Evasori sono i commercianti che non emettono scontrini, imprenditori che esportano capitali all’estero, professionisti che incassano laute parcelle dai clienti. Certo con la debita distinzione fra chi non vuole e chi non può contribuire. IL problema tasse è assai complesso perché coinvolge il senso civico e anche quello religioso. IL termine più preciso per indicare le tasse sarebbe tributo che deriva da tribù, fra le quali nell’antica Roma venivano suddivisi i cittadini e quindi ripartito il peso della spesa comune. Ed è così che Roma tollerante verso tutte le religioni dei popoli assoggettati imponeva però delle tasse attraverso cui costruire strade tipo Appia, Aurelia, Tiburtina. Emilia, Postumia e numerosi altre nel mondo. Come pure monumenti, Colosseo, teatri, templi, acquedotti. Nel nostro Paese paghiamo anche oggi le tasse come ci venissero imposte da un’entità estranea ed astratta mentre invece è affare nostro e non di qualcun altro. E le paghiamo sempre alzando gli occhi al cielo quasi imprecando e bestemmiando contro lo stato. Però non si dimentichi un difetto che sta nel manico. Ci manca spesso la coscienza di esercitare una funzione sociale anche perché non siamo stati educati ad un’etica politica e dei politici, come avvenuto nei paesi nordici protestanti e anche nella Svizzera dal 1500 in poi. Per fare un prete si esigono 12 anni di seminario, per fare un politico ci basta troppo spesso un astuto pifferaio. Che in Italia sia mancato il protestantesimo è senz’altro mancato un pezzo di senso sociale. Si potrebbe risanare questa dilagante corruzione convincendoci che lo stato siamo noi anche grazie alle tasse che paghiamo. Per i cristiani e per tutti gli adepti delle varie religioni in cui vige il motto” non fare agli altri quello che non vorresti gli altri facessero a te”, l’evasione va ritenuta un comportamento immorale da evitare. Anche se spesso pure qui si resta sul piano teorico. Uno dei modi possibili per amare il nostro prossimo consiste nel rinunciare ad una parte dei propri guadagni per farsi carico di chi è rimasto indietro, testimoniando che trasparenza, efficienza, umanità di questo sistema è affare nostro e non di qualcun altro. Le tasse rappresentano il modo più semplice per trovare le risorse necessarie e consentire di vivere insieme. Sono il prezzo che paghiamo per essere comunità. E sono anche un mezzo necessario per non lasciare indietro gli altri, i più poveri. Quando non le paghiamo obblighiamo un altro a pagare per noi, magari corrompendo. E allo stesso tempo ci sentiamo legittimati a continuare ad usufruire della sanità, ospedali, pulizia delle strade, manutenzione pubblica, biblioteche, forze dell’ordine, università, protezione civile, pensionamento e tutto quello che lo stato riesce a far funzionare proprio dalle tasse pagate dagli altri. Ma i conti così non tornano. Senza stato saremmo tutti più poveri, più deboli, più indifesi. Quindi il pagare le tasse, il versamento delle imposte è un dovere civico, che viene negato dalla evasione ed elusione fiscale, atto illegale, ma soprattutto noncurante delle leggi fondamentali della vita che si chiamano reciproco soccorso. Per il cittadino è la base del senso civico, per il cristiano la base dell’amore fraterno. Non si dimentichi che anche Gesù ha pagato le tasse e non tanto per dare buon esempio, ma per rispetto ad una legge dello stato che in questo caso si identifica con le legge di Dio. Pure lo Stato qui però ha un compito che spesso ignora: quello di non limitarsi ad imporre, ma garantire la “rappresentanza”. Cioè che i cittadini vengano rappresentati e siano consapevoli di come vengono utilizzati i loro soldi. Anche nel Medioevo i gruppi influenti avevano la possibilità di farsi sentire e pesare sulle scelte dei sovrani. Il legame tasse-rappresentanza salì alla ribalta la prima volta quando i coloni della Virginia in America nel 1775 si ribellarono alle imposte emanate dalla Corona inglese in nome del principio “nessuna tassazione senza rappresentanza.” Senza rappresentanza è rapina, e lo stato sarebbe un ladro che restituisce in minima parte il male tolto. Questo un primo passo per la formazione di una coscienza sociale verso un obbligo morale oggi tanto disatteso.

Autore: Albino Michelin 18.08.2021
albin.michel@live.com

sabato 30 ottobre 2021

LA MORALE SESSUALE: DALLA REPRESSIONE ALLA GIOIA

Nel secolo scorso, periodo dell’era vittoriana, si coprivano le gambe dei pianoforti perché alludevano alle cosce femminili, così si bandivano anche le cosce di pollo dai banchetti pubblici. Il legame con la morale sessuale è qui ovvio: tabu e complessi sono stati purtroppo chiodo fisso della chiesa cattolica dai tempi di Agostino in poi (400 d.C.), tormento delle coscienze, una prateria per i predicatori contro la lussuria e le sue forme, e l’imposizione di penitenze e autopunizioni per evitare il fuoco eterno dell’inferno. Sensi di colpa infiniti per le deboli vittime dei piaceri della carne. E questo fino a qualche decennio fa, quando con la rivoluzione del 68 la sessualità è diventata urlata, bene di consumo, marketing, strumento pubblicitario per l’incremento del commercio. Nel mondo cattolico vi ha contribuito senz’altro anche certo concetto di Dio, quello dell’Antico Testamento, proiezione della prepotenza degli uomini verso il dio degli eserciti e legislatore supremo. Gesù invece è venuto a portare l’amore verso sé stessi e verso il prossimo, in cui la sessualità ha pure una dimensione importante, ma non l’ha bloccata al solo obbiettivo della procreazione, dandole invece respiro e spazio nella totalità dell’essere umano. Sappiamo che nelle civiltà antiche, tipo la religione induista, il kamasutra aveva una profonda connessione con il divino e non si limitava solo alla descrizione dei modi come far l’amore. E persino i riti di Dioniso nell’antica Grecia e di Bacco nella Roma imperiale non si abbandonavano solo ai deliri sessuali ma avevano anche un’apertura verso la mistica. Per venire all’oggi dobbiamo riconoscere che noi da sempre si nasce sessuati, che la sessualità è la forza radicale, universale, ancestrale, dirompente legata alla nostra identità. Persino il neonato è carico di sessualità se già inconsciamente esperimenta l’erotismo con i baci materni sulle labbra che egli interiorizza come benefici se intuisce il di lei consenso, o tabuizzanti se ne percepisce il dissenso. Inoltre la sessualità sin dall’infanzia non viene recepita solo come piacere genitale, ma anche come energia soffusa e diffusa, che poi nella vita evolutiva ed adulta coinvolge le emozioni, la cultura, le scelte professionali, persino la preghiera, la religione, la mistica, tutto.  Società e religioni si sono applicate al controllo sessuale attraverso la pedagogia del costante rimorso, strumento indispensabile per bloccare chi apprezza le gioie della vita. Ciò implicava l’intervento autoritario e capillare in ogni campo della cultura e della morale attraverso l’indice dei libri proibiti, l’inquisizione, e a livello ancora più intimo la confessione con prontuari che quantificano minuziosamente le penitenze commisurate ad ogni colpa, strumento di controllo sociale delle singole persone, della riproduzione, della famiglia, della società, del patrimonio. La svalutazione della sessualità portava all’esaltazione del celibato che crea un’aura di sacralità attorno a chi sceglie tale sacrificio. Individuata qui la radice del clericalismo che assegna un rango superiore a chi si consacra a Dio. Il celibato possibile a determinate condizioni di sublimazione degli istinti è pure un valore evangelico, ma la rimozione della sessualità con l’arrogarsi il diritto di normare la vita delle persone a livello di coppia, coniugati o single, finisce con generare sensi di colpa, anche a chi gli passa per la testa solo un desiderio erotico. (Catechismo nr.2396). La sessualità possiede infinite sfumature nell’arco della storia personale: donazione, rispetto, responsabilità, tenerezza, ricerca e offerta di piacere, affetto, coinvolgimento fisico, dialogo di corpi e anime. Dove il piacere può evolversi verso la crescita integrale della persona da un livello elementare e istintuale ad un livello maturo, come bene si vede nel Cantico dei Cantici della Bibbia. Di qui il pudore a difesa di così profondi sentimenti. Anche su questo argomento vi è pure oggi un dissidio fra scienza e fede. Abbiamo la medicina ad esempio che ci dice come l’autoerotismo potrebbe costituire un benessere per il cervello ed epanouissement della persona ed invece la morale cattolica parla di atrofizzazione che conduce all’ottusità. E viene in mente quando la chiesa nella pratica insegnava che la masturbazione provoca nell’adolescente cecità e deperimento della spina dorsale, mentre invece la psicologia ne parla come di una ricerca di conoscenza e di appropriazione del proprio corpo. Con ciò non si vuole qui optare per ogni libertà sessuale e relativa dipendenza, anzi sottolineare la necessità dell’autocontrollo, perché è facile in materia il degrado. Una parola potrebbero qui dirla anche i giovani che di sessualità sono saturi, sino al punto che alcuni negli Usa ritornano al puritanesimo. Per questo il sinodo dei cattolici tedeschi ha inoltrato la richiesta che la chiesa ristudi il significato e la morale della sessualità. E non va assolutizzata a senso unico riferendola al passo di Paolo quando dice che il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo (1° Cor.6,19). Si, però esso non viene abusato solo con il sesso libero, ma anche con l’alcolismo, la droga, le abbuffate alimentari e strapazzi vari. Sempre fa capolino l’ossessione sessuale. Considerando l’eccessivo attuale sbando di certa parte del clero sulla pedofilia c’è chi ipotizza due strade: o l’abolizione del celibato obbligatorio, o rassegnarsi al prete quale figura di dubbia credibilità.

Autore: Albino Michelin 10.08.2021
albin.michel@live.com

giovedì 28 ottobre 2021

CHI VEDE UN BAMBINO NON VEDE NIENTE

Qualche anni fa quando un bambino faceva i capricci lo si minacciava di mandarlo in cantina con l’uomo nero. Anche se oggi un po’più evoluto egli non conosce la storia dei bambini del passato, e nemmeno del presente, bisogna raccontargliela, se pur triste, perché è la storia il ponte che collega il passato al presente e prepara al futuro. Non siamo più ai tempi di qualche millennio fa quando si sacrificavano i bambini al dio Moloch per una protezione nelle crisi o per ringraziamento di lieti eventi. Un po’ più avanti con il tempo si inciampa nei romani, nostri predecessori, che con l’infanzia non erano molto teneri. La decisione di vita o di morte, di esporre e di vendere i neonati dipendeva dal paterfamilias. Il termine puer in latino significava ad un tempo bimbo e schiavo. Si sa da missive di generali in guerra che scrivevano alla moglie:” se sarà un maschietto allevalo, se una femminuccia buttala dalla rupe tarpea”. Ma anche all’inizio dell’era moderna la considerazione sul bambino non è mai stata ottimista: “felice chi ha un bambino, non infelice chi non ne ha”. Un‘ antologia di proverbi per capire che il bambino non godeva di un riconoscimento particolare. Un barlume di attenzione verso questo essere indifeso e incolpevole lo abbiamo nell’ultimo secolo con diverse convenzioni che in teoria parlano abbastanza bene e chiaro, ma in pratica la sorte dei bambini non è molto cambiata. Ricordiamo l’Unicef 1946 (fondo delle nazioni unite per l’infanzia) basata su 4 principi: 1) non discriminare, 2) superiore è l’interesse del bambino, 3) diritto alla vita, sopravvivenza, sviuppo,4) ascolto delle opinioni dei bambini. Ed ancora l’articolo 19 dell’ONU:” Contro l’infanzia si vieta ogni forma di violenza fisica e mentale, lesione e abuso, abbandono, maltrattamento, sfruttamento.” Ovviamente a questo divieto si possono aggiungere tutte le forme di schiavitù per interesse commerciale, sessuale, prostituzione dei minori. A protezione anche di tali principi si sono fissati il 20 novembre giornata mondiale del bambino, il 12 giugno contro lo sfruttamento minorile, il 2 luglio contro la tratta degli esseri umani, il 20 giugno dei rifugiati (bambini inclusi). Il 27 gennaio giornata internazionale della memoria della shoah, dedicata a tutte le vittime del razzismo, con particolare attenzione anche ai tanti bambini ebrei come Anne Franke. Per prendere atto dell’ampiezza del fenomeno è opportuno fare una mappa della situazione nel mondo. Un miliardo e 700 milioni le vittime di violenze di ogni tipo, 175 milioni privi di insegnamento scolastico, 152 milioni sottoposti a lavori minorili, 150 milioni di ragazze e 73 milioni di ragazzi vittime di violenze sessuali, 130 milioni le bambine obbligate all’infibulazione in 27 paesi africani, la più cruenta delle mutilazioni per ricordare loro che non sono nessuno e non hanno nessun diritto sul loro corpo, 700 milioni sotto la soglia di povertà, 80 milioni di rifugiati di cui un 10% i siriani e buona parte minori. 60 milioni bambini affetti di autismo, 4 milioni di piccoli pescatori nelle Filippine, 300 mila bambini soldati dislocati in 160 paesi, 40 mila ragazzini nel Congo con 12 ore di lavoro al giorno per 1-2 euro all’ora nelle miniere a contatto di sostanze chimiche tossiche per l’estrazione di coltan e cobalto. Dietro ad un nostro smartphone ci sta quasi sempre un bambino schiavo congolese. A Dakar nel Senegal 8 mila bambini mendicanti sulle strade Un problema grave lo pone la Cina con l’infanzia negata, dove nascere maschio o femmina fa la differenza. Paese col più grave squilibrio del mondo. Un miliardo e 300 milioni di abitanti, con 33 milioni di uomini in più delle donne. Causa una legge 1979 del figlio unico. Una donna poteva avere un secondo bambino se il primo era femmina. Come dire che l’uomo vale più della donna, discriminazione plateale. Legge per fortuna allentata dal 2013. In Italia non è che le cose vadano molto meglio. 4 mila i casi di violenza sui minori, 340 mila lavori minorili ai limiti dello sfruttamento. Purtroppo da noi vi è da sottolineare una certa insensibilità nei confronti dei bambini costretti al viaggio della speranza, annegati nel cimitero del mediterraneo. Siamo stati veloci a chiudere i porti il 7.1.19, con un governo dagli slogan “prima gli italiani” mentre recentemente le madri afghane gettavano i figli oltre i reticolati affinché i militari li portassero in salvo. Chi ha cuore non può dimenticare la foto di Aylan bimbo turco morto sulla spiaggia (2.9.15), cui il musicista Beppi De Marzi noto in Europa per le sue cante ha dedicato la nuova “I bambini del mare, hanno gli occhi di conchiglia, le scarpine di pezza cucite dalla mamma prima di partire, prima di morire. Le manine sulla sabbia cercavano prati verdi.” Viene qui anche alla memoria l’immaginetta cattolica in cui Gesù invita:” lasciate che i bambini vengano a me. Chi vede e accoglie un bambino vede e accoglie me.” (Mc.9,33) Per Gesù, uscito da una società ebraica in cui il padre si vergognava di abbracciare i figli, il bambino possiede tutte le potenzialità per rinnovare il mondo. Oggi i nostri bambini pongono tutt’altri problemi, forse troppo viziati, con wellness e paghette pesanti per mini prestazioni. In un ambiente sociale sospettoso verso gli immigrati, obbligati a restarsene dove sono, sarebbe opportuno sensibilizzare genitori e figli a qualche risparmio per devolvere un contributo significativo ai bambini del terzo mondo, coerenti così con lo slogan “aiutarli a casa loro”.

Autore: Albino Michelin 02.08.2021
albin.michel@live.com

mercoledì 8 settembre 2021

STATO ATTUALE DI SALUTE DELLA CHIESA CATTOLICA

Lucio Caracciolo, filosofo e politologo direttore della rivista di geopolitica Limes, ha pubblicato recentemente su Azione del Ticino uno studio chiedendosi se la chiesa cattolica non stia andando verso un arcipelago di chiese. Dato l’interesse e la precisione dell’analisi vale la pena riportarlo al pubblico. Perché una inversione di tendenza può coinvolgere tutti, necessaria in quanto tralasciata per due mila anni specialmente nell’ultimo secolo. La chiesa cattolica si definisce universale ma mai come oggi è lecito dubitarne. Sempre più numerose le fratture interne. Come istituzione di potere, distinta dalla comunità di fede intesa da Gesù, essa si struttura in questo modo verso il 313 d.C. con la donazione dell’impero romano da parte di Costantino a papa Silvestro, prendendone abbigliamento, titoli onorifici, mondanità, stile di comando. Come in tutti gli imperi anche in quello assunto dalla chiesa le fratture partono dall’interno. Non interessano qui la consistenza numerica della chiesa attuale con il suo miliardo e trecento milioni di adepti, né le sue diatribe teologiche, tantomeno gli scandali sessuali e finanziari. Interessano piuttosto tre fenomeni paralleli e insieme connessi. Punto primo: l’indebolimento dell’autorità papale, ultimo monarca assoluto della storia occidentale. Bergoglio sta contestando il carattere costantiniano della chiesa. Il nesso fra impero romano e impero papale fu ben colto dal teologo domenicano Congar che l’11 ottobre 1962 giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II annotava sul diario:” avverto tutto il peso, mai denunciato, del tempo in cui la chiesa aveva stretto legami col feudalesimo, papa e vescovi signori di corte che proteggevano artisti, pretendevano uno sfarzo come quello dei Cesari. Tutto questo la chiesa di Roma non l’ha mai ripudiato.” Osservazioni di 60 anni fa rimaste al palo. E oggi Bergoglio ponendosi in questa linea sta indebolendo, secondo buona parte del clero, la sua autorità ed efficacia di governo. Punto due: Bergoglio intende guidare la chiesa universale non all’italiana ma dalla periferia del mondo e la spinge in uscita verso i non credenti, le altre religioni: ciò ha contribuito ad accelerare la tendenza di molti vescovi, ovviamente non residenti in Vaticano, a muoversi per conto proprio e rileggere e applicare localmente il messaggio del vangelo. Chiesa mobile e policentrica. D’altronde che cosa unisce oggi un cattolico polacco ad un cattolico africano, sudamericano, tedesco? Poco. Tanto poco da mettere in questione l’universalità della chiesa e il ruolo di un centro vaticano romano. Punto tre: i vari cristianesimi dell’emozione. Galassia di confessioni, gruppi, movimenti pentecostali o meno, che anche se di diversa estrazione fioriscono in tutto il mondo. Opportuna la domanda: sopravvivrà la chiesa cattolica romana o si frammenterà in un arcipelago? Che cosa resterà della radice occidentale del cattolicesimo romano? In che misura la tendenza disgregatrice influirà sugli assetti geopolitici mondiali? Fino a qui il Caracciolo. Una risposta va tentata con i biblisti e i teologi della nuova generazione. Punto uno: separare totalmente l’attuale istituzione chiesa dalla sua origine imperiale e restituirla al vangelo di Gesù. Slegarla dal diritto romano e dalla filosofia greco romana con cui ha costruito i suoi dogmi, specie dall’inizio con il concilio di Nicea 325, origine delle sue formule irriformabili, indiscutibili, eterne. Ritornare ai messaggi del capitolo 12 di Paolo (1° Cor.) in cui proclama la diversità dei doni distribuiti ad ogni persona, quindi ad ogni popolo e nazione, nell’unicità dello Spirito del Signore. Diversità nell’unità era il pensiero di Gesù e non uniformità escludente le diversità. La diversità, come i fiori del campo, è arricchimento, non sempre dispersione. Ma l’intento eccessivo della chiesa fu quello di esigere sottomissione, silenzio, omologazione di tutto e di tutti. Punto due: molti vescovi in varie nazioni tentano esperienze diverse più vicine al vangelo e non sempre in sintonia con la chiesa attuale. Oggettivamente all’inizio prima dell’era imperiale la chiesa era policentrica, cioè di rito orientale, bizantino, armeno, maronita ed altro nel rispetto delle diversità di culture, riti, tradizioni. D’altronde a che serve tutta questa intransigenza della chiesa centrale sul divieto di preti sposati, donne preti e quant’altro. Tutti precetti sorti dalla chiesa costantiniana e nemmeno esistenti nel vangelo di Gesù. E sulla messa? Gesù si definì “pane di vita” e con il pane celebrò la sua cena o prima messa. Il pane era il cibo base di quel paese e del nostro occidente. Un’osservazione che sembra banale: il cibo base per i tibetani è il riso, per gli africani l’injera. Perché la loro messa non potrebbe essere celebrata con il riso o con l’injera? Quello per loro è il pane di vita. Diversità di riti e di doni nell’unità con lo stesso spirito del Signore. Importante non è il cibo ma il senso della condivisione di vita. E qui le esemplificazioni sarebbero infinite, né vale la pena proseguire. Punto tre: i cristiani dell’emozione, il pullulare dei gruppi. La chiesa non deve portarsi sempre dentro l’antivirus del protestantesimo, e poi correre tardivamente ai ripari. Non tutti i gruppi sono anti o “sette”, importante che non si facciano guerra, ma vivano lo spirito del Signore che li unifica nella diversità. E se l’attuale declino venisse compensato dai ricuperi cattolici dei paesi poveri non va ripetuto l’errore di impacchettarli e omologarli tutti alla stregua del passato. Essa non può coprire le diversificate esperienze dei vari popoli. La chiesa non ha il diritto di proprietà su Gesù, ma l’invito al discepolato e alla testimonianza evangelica nei confronti di tutti sia uguali che diversi.

Autore: Albino Michelin 22.07.2021
albin.michel@live.com

martedì 7 settembre 2021

PERCHÈ NELLE CHIESE PREDOMINA IL CROCEFISSO SUL GESÙ RISORTO

Si ha un bel dire e proclamare che la Pasqua è la festa più importante dei cattolici perché centro della loro fede. Poi di fatto nelle chiese campeggia il crocefisso, la croce con inchiodato il Cristo morto. Assente quasi totalmente l’immagine del Gesù risorto. La contraddizione è palese. Negli anni 70 del secolo scorso fu costruita a Lugano una chiesa meravigliosa, di imponente architettura dell’artista Rino Tami e dedicata al Cristo Risorto. Al centro dell’abside un crocefisso di ampia dimensione, quasi ad occupare tutto lo spazio e l’attenzione, e dietro nel murale dell’abside una icona un po’ enigmatica ed eterea del risorto. Per non dire poi l’invasione di croci e crocefissi in ogni angolo di strada, sui monti e lungo i sentieri, nei bar, nei luoghi pubblici, nelle scuole, nei tribunali. Persino nei dibattiti televisivi. Basti rammentare una trasmissione Rai del 26.10.15, degenerata in bolgia con cori da stadio in cui il duo Gilletti-D’Urso si schieravano a difesa del simulacro con la Santachè a dare del pedofilo a Maometto perché su Gesù crocefisso si limitava al rispetto, ma senza fanatismo. Oggi si inizia anche a vedere chiese in cui si espone sì la croce, ma senza crocefisso in prima evidenza e sarebbe ritornare ad un cristianesimo che pone i valori prioritari ciascuno al proprio posto, ma i cattolici tradizionalisti tacciano la novità di modernismo in senso spregiativo e protestante. Come dire che il virus antiprotestante per i cattolici è sempre in agguato. E pensare che la croce nella sua origine induista e precristiana significava svasta-svastica, cioè “salve, salute a tutti” perché con le braccia aperte alle quattro dimensioni, punti cardinali, intendeva abbracciare il mondo. Un breve excursus storico ci dice che nei primi periodi del Cristianesimo non si onorava la croce: Gesù aveva diversi appellativi, pantocrate, glorioso, buon pastore e simili, ma non crocefisso, anche perché i credenti si attenevano alle prescrizioni dell’Esodo (20,4-5) di non farsi immagini delle divinità. E soprattutto perché per loro Gesù era il vivente, morto una volta per tutte. (1° Pietro c.3,18). E la sua risurrezione già era avvenuta sulla croce, quando Dio Padre lo accolse e divenne per noi il vincitore della morte. A partire dal 1100 Gesù veniva rappresentato vivo sulla croce con tunica bianca da risorto ed una corona regale gemmata sul capo. Dal 1200 con Jacopone da Todi si fece strada e fino ai nostri giorni una involuzione. La devozione al crocefisso divenne identificazione con lui da una parte e auto colpevolizzazione personale dall’altra. Identificazione fra la sofferenza di Gesù e la nostra vita piena di tribolazioni, per cui diventava più spontaneo il pensare al Cisto morto che non al risorto, un po’ lontano dalle nostre tragedie comuni. Tale identificazione però veniva abbinata al bisogno di espiazione. Cioè siamo noi i colpevoli di averlo messo in croce,” sono stato io l’ingrato Gesù mio perdon pietà”. Quindi penitenza, digiuno, mortificazioni per ottenere misericordia e paradiso. Il tutto anche sostenuto da una letteratura del tempo specie da” l’imitazione di Cristo” di Tommaso da Kempis. Di qui pure la denominazione sacrificio della croce” dato alla messa. Mentre per Gesù essa significava-la condivisone del pane, per i cattolici del medioevo fino ad oggi è diventata la riappacificazione di Dio con l’umanità tramite la morte di Gesù in croce, come Dio fosse un Moloch sanguinario che si placa per mezzo di sacrifici umani. Questo concetto è rimasto anche nella riforma recente del messale romano, un maquillage di qualche mutata espressione, ma che ha lasciato intatto l’impianto di messa sacrificio della croce, l’esaltazione del crocefisso. Anche questo un motivo di fondo della supremazia del Cristo morto su quello risorto. Certo lungo la storia il crocifisso ha incentivato l’arte. Si pensi a quello di Cimabue del 1277, alla Pietà del Michelangelo, capolavoro senza tempo, alle opere di Mantegna 1433 e di Velasquez 1631 cariche di valore emotivo, a Marc Chagall (+1985) dall’identità ebraica di Gesù. Innumerevoli poi le chiese dedicate al santo crocefisso. E ben 32 sarebbero i chiodi venerati nel mondo come autentici. Ma troppo spesso l’arte ci pone davanti a Cristi languenti, macerati, abbrutiti dal dolore, raccapriccianti come nel film di Mel Gibson. E diffuse sono pure le cosiddette Via Crucis viventi in molti paesi dell’occidente, da quella di Oberammergau in Germania, a Mendrisio in Svizzera Ticino. Anche il sottoscritto per 20 anni l’ha organizzato ogni venerdì santo ad Affoltern nello zurighese con enorme concorso di popolo, oltre il migliaio di partecipanti, dando ad essa però un contenuto culturale e motivazioni sociali.” Come può un uomo uccidere un altro uomo”, cantava nel tragitto il brano Auschwitz dei Nomadi. Ma i cattolici di sempre preferivano testi lacrimosi e penitenziali. A dimostrazione anche qui della carenza del Gesù risorto, del Vivente, datore di ogni energia spirituale all’universo e all’ essere umano, garante dell’unità fra immanenza e trascendenza, dell’aldiquà e l’aldilà, fra questa vita e il post mortem. Un cristianesimo depauperato e piegato sotto il peso del peccato se pensiamo fra l’altro al primo saluto di benvenuto alla vita che si dà ad un bambino portato al battesimo:” Rinunci a Satana?” inserito in una messa che per nove volte porta la gente a battersi il petto peccatrice. Se non si passa dall’episodio pur tragico di Gesù morto al Gesù risorto, avremo sempre una religione basata sul dolorismo, anziché sulla gioia del Vangelo e del suo lieto annuncio

Autore: Albino Michelin 16.07.2021
albin.michel@live.com

lunedì 6 settembre 2021

OLIMPIADI DI TOKIO 2021: GRAZIE ALL'ITALIA MULTIETNICA

L’estate 2021 ci ha offerto due grossi eventi sportivi. Dapprima il campionato europeo di calcio (11.6-11.7) con la conquista della coppa, il secondo le olimpiadi di Tokyo (23.7-8.8) dove l’Italia ha battuto ogni suo record di medaglie, per la precisione 40. I due successi però possono avere una diversa risonanza. Nel secondo non ha vinto l’Italia anagrafica ma quella reale, composta di cittadini nati all’interno dei nostri confini e di altri che hanno scelto l’italianità. Il trionfo calcistico entra un po’ nella nostra tradizione, ma è una esperienza sia detto più superficiale, esplosioni di fuochi d’artificio, caroselli di clacson per le strade. In breve tutto si sgonfia. Il record di Tokio invece ci regala un’esperienza nuova e più profonda, meno chiassosa e più genuina, e ci pone alcune riflessioni. Anzitutto dal punto di vista finanziario. Tutti lamentiamo le cifre astronomiche con cui vengono foraggiati i calciatori, e anche questa volta nel pieno dell’estate Lukaku il belga dell’Inter è stato trasferito al Chelsea per 115 milioni. Che poi tali divi al di là della trasferta godano di un assegno annuale dai 10 milioni in su non ci interessa, basta che vinca l’Italia. I nostri olimpionici invece dopo anni di lavoro oscuro in campi e strutture sportive senza nessuna visibilità mediatica, carenti di audience, poco osannati e privilegiati, per niente viziati, ci offrono prestazioni esaltanti, con una medagli d’oro valutata 180 mila euro, d’argento 160, di bronzo 90. Certo non sono guadagni da pensionati, ma rimangono su uno standard comprensibile. Questo un primo motivo per cui il successo di Tokyo ci rende più fieri e meno spocchiosi di una coppa calcistica europea. E poi c’è qualcosa di più condivisibile. Tokyo non fu una platea calcistica, ma ci offrì 30 tipi di discipline sportive secondo l’affermazione di Federica Pellegrini che al di là della calciomania l’esercizio e le prestazioni del corpo umano sono molteplici e meravigliose. L’Italia vi ha partecipato con 386 atleti, di cui 46 nati o all’estero o stranieri nati in Italia. Senza contare gli integrati che vi stanno alle spalle: allenatori, preparatori, tecnici, famiglie, sostenitori: mosaico di uno sport, specchio di una società cambiata, più velocemente anche dei media, delle strutture, delle istituzioni. Gli straordinari successi sportivi ci dicono che l’Italia è diventata una nazione multietnica. E non si dimentichi “multiregionale. Un sardo di Oristano (St. Oppo), un sardo-lombardo (F. Tortu), un agrigentino-avellinese (A. Baldassarre), una pugliese (A. Palmisanoi), hanno demolito anni di pregiudizi, nazionalismi, odio razziale, in poche parole hanno sconfitto l’ignoranza. Questa è l’Italia che ci piace vedere, perché non si tratta di orgoglio sardo, lombardo, pugliese, campano, siciliano, ma italiano. E altrettanto ci insegnano atleti stranieri o di doppia nazionalità. M. Jobs, due ori, madre bresciana padre marine statunitense. Sara Di Maria, padre calabrese madre canadese. E il caso di F. Desolu, (oro staffetta) nato a Cremona, figlio della nigeriana Veronica da anni immigrata, addetta ai più umili lavori, la quale ha rinunciato a seguire in tv la vittoria del figlio perché”: sono badante e devo accudire ad una anziana”: episodio da romanzo Cuore del De Amicis. La riscoperta di un “noi” meno nevrotico è il felice risultato di Tokyo. Ha vinto l’Italia reale, quella dei nativi e quella degli emigrati. Sappiamo che l’Italia fisica è fin dall’antichità terreno di transito e che l’Italia politica attuale è venuta a contatto con emigrazioni di massa solo nel 1996 con i primi barconi dall’Albania. Di qui la trasformazione. Una nazione composta quasi esclusivamente da italiani per nascita si arricchisce a merito di italiani per scelta. La nostra storia ci aiuta con gli esempi del passato, tesi un pò troppo a frenare la crescita multietnica. L’ostilità viscerale fra nord e sud, il razzismo contro i meridionali, le leggi razziali del 1938 contro gli ebrei, le lacerazioni fra cattolici e laici nel dopoguerra, l’intolleranza verso i migranti, l’odio sugli spalti degli stadi ci dicono come nel nostro DNA si annida anche un pericoloso seme di rigetto verso il prossimo. Ma siamo anche una nazione che nasce dal risorgimento trovando una matrice unitaria fra tante patrie regionali diverse. Non si vuole qui inquinare il successo sportivo con il dibattito politico, ma utilizzarlo come risorsa non dovrebbe nuocere. Tokyo è anche un successo della seconda generazione dei nostri stranieri. Sappiamo che più di un milione di questi ragazzi attendono una soluzione: il diritto di cittadinanza. Tre disegni di legge sono fermi da un anno. Lo jus soli (diritto alla cittadinanza appunto per chi nasce in questo suolo, cioè l’Italia) dovrebbe tendere a semplificare il tempo di attesa, il raggiungimento del diciottesimo anno, con permanenza ininterrotta. E’ nota la burocrazia e anche il fatto che chi diventa cittadino italiano diventa pure europeo e quindi la Commissione ad hoc ha diritto di decisione. Ma temere un futuro tribalizzato e degradato della nostra ’italianità’ può sembrare fuorviante. L’incontro fra italiani per nascita e italiani per scelta ci permetterà di affrontare sfide globali come le medaglie di Tokyo dimostrano e diventare il volano di una crescita collettiva, ampiamente identitaria e culturale.

Autore: Albino Michelin 08.07.2021
albin.michel@live.com

domenica 5 settembre 2021

LE RELIGIONI SONO UN PRODOTTO DELLA CULTURA UMANA

Si sa che l ‘abitudine facilita le varie attività della nostra vita, però nel contempo può anche impigrire la nostra riflessione, l’unica capace di rinnovare tali attività stesse verso nuove soluzioni richieste dalle situazioni del mondo in evoluzione. Se ciò si osserva nel campo della produttività avviene anche in quello dello spirito e dell’interiorità, religione non esclusa. Ogni uomo nasce con una religione o con la disponibilità a prenderne coscienza. In questo senso avevano ragione già gli antichi prima di Benedetto Croce ade affermare:” perché non possiamo non dirci religiosi”. Qui polemiche e confronti fra le religioni non ci interessano. Come quella osservazione comune che tanti cattolici sono perversi e pieni di cattiveria mentre tanti atei sono onesti ed altruisti. Oppure se esistono atei senza nessun Dio, o si tratti di una versione sostitutiva di altre aspirazioni limitate .Comunque basta aprire l’orizzonte anche solo verso le tre principali religioni: il cristianesimo con due miliardi e 300 milioni di adepti, il musulmanesimo con un miliardo e 900 milioni, l’induismo (la più antica datata 4 mila anni a.C.) con un miliardo e 200 milioni e per accorgerci, che tutte hanno la stessa base comune, con differenze minimali di nomenclatura e di usanze provenienti dalle diverse culture ambientali. Ognuna con il suo dio: Jaweh, Allah, Brahma. Ognuna con il suo mito delle origini: la mela, la pietra nera, il grembo d’oro. Ognuna con la sua classe dirigente: preti, Iman, bramini. Ognuna con le sue feste: pasqua, ramadan, diwal (della luce.) Ognuna con il suo luogo di culto: chiesa, moschea, mandir. Ognuna con i suoi libri sacri: bibbia, corano, veda. Ognuna con i suoi post morte: paradiso Gan eden, reincarnazione Svarga. Ognuna con i suoi luoghi miracolosi: Lourdes, Mecca, Gange, esistenti già nel santuario pagano ad esempio di Asclepiade ad Epidauro in Grecia nel 300 a.C. persino con risorti da morte. Cambiano nomi, ma non cambia la realtà. Cioè il bisogno dell’uomo di collegarsi con una entità, un qualcosa di superiore, se non altro per protezione. E questo per la precisione si chiama teismo. Cioè un Dio che vive fuori dal mondo, negli alti firmamenti, artefice di miracoli o disgrazie a seconda del comportamento umano Mandando l’acqua, il sole, la tempesta, pandemie in base al tipo o meno di suppliche. Figura genitoriale, benigna o truce che crea dipendenza nei comuni mortali. Non c’è nessun dio “teistico” che sovverta le sue proprie leggi di natura per accorrere in nostro aiuto in caso di necessità. Non esiste un dio al di sopra dei cieli il cui ruolo sia quello di vigilare sui vulnerabili esseri umani. Quando si mette in dubbio questo dio alla luce dei continui dolori e delle disgrazie della vita quotidiana la pia retorica dei difensori del teismo diventa quasi farneticante. Discorsi isterici sul perché e per come Dio permetta tutto questo. E’ un tipo di religione, diffuso anche fra molti cattolici, è un sentimento universale, indipendente dal battesimo, dai vari riti di aggregazione, dai vari abra catabra della religione afro-spiritica. Se ci soffermiamo sul Cristianesimo, dovremmo subito chiarire che Gesù non è venuto a fondare nuova religione. Questo dio del “teismo” è morto e non esiste come non è mai esistito. Molti i teologi che l’affermano talvolta anche con una certa pressione, basta citare titoli di studi recenti:” Oltre le religioni…… La prepotenza delle religioni”, e infiniti altri. E quindi esiste una chiara distinzione, sebbene non contrapposizione, fra Gesù e la religione. Gesù non ha fondato nessuna religione, quantunque fosse nato sotto quella di Mosè e la conoscesse bene, non ha proclamato nessuna dottrina religiosa, nessuna mitologia, nessun Adamo ed Eva, nessun culto, nessuna classe clericale, ma il regno di Dio sulla terra, un rinnovamento dell’umanità a partire dal cuore. Però oggi in un mondo come il nostro dell’indifferenza e del relativismo una chiarifica interiore delle proprie scelte andrebbe fatta. Perché il nostro attuale cattolicesimo o cristianesimo sta mascherando e devitalizzando il messaggio evangelico di Gesù in una religione di conservazione, ripetitiva e fossilizzata, in cui è debole responsabilità e responsabilizzazione. Se per esempio ci riferiamo al rapporto ricchi-poveri noi ci si accontenta di fare l’elemosina ad un mendicante, però non ci passa per la mente che il messaggio di Gesù è fondamentalmente un mondo dove non dovrebbe esistere la sperequazione indegna fra povertà e opulenza. Ed è quest’ultima la sua specificità. Indubbiamente tale passione per il regno di Dio sulla terra postula anche l’interiorità, cuor nuovo e anima nuova. Dio non è un essere che va cercato sopra le nuvole o solo nei luoghi sacri e relativi riti, ma è una forza vitale che scorre attraverso tutto ciò che esiste. Come dice Dante muove il sole e le altre stelle. Viene chiamato spirito e identificato col vento che anima le foreste. Altre volte col nome di respiro come presenza vitale insita in noi. Altre come forza d’amore (1° Giov.14-16) che dimora in ogni uomo. Le religioni sono sì un prodotto delle culture umane, ma se riescono a recuperare una spiritualità integrale come prospettata dal messaggio di Gesù o di altri saggi potrebbero cambiare il mondo, diversamente continua la tentazione di contendersi il mondo.

Autore: Albino Michelin 02.07.2021
albin.michel@live.com

sabato 31 luglio 2021

STIPENDI DEI CALCIATORI E STAR TV: URGE UN VACCINO

Da questa pandemia ci siamo in parte usciti grazie anche ai diversi vaccini posti in circolazione. Vi è però un‘altra pandemia da cui è molto più difficile liberarci ed è la sperequazione, lo scandalo degli stipendi dei campioni del calcio e dello spettacolo. Pure qui ci vorrebbe un vaccino considerando lo scippo che questi superpagati compiono ai danni di un mondo di poveri, di sottosviluppati, vittime di diverse discriminazioni. Discorso un po’ difficile per noi italiani il cui fanatismo pallonaro supera ogni limite e siamo da sempre malati di enfatite: cioè l’enfasi all’inizio di ogni campionato, per cui siamo al 100% sicuri che noi solleveremo la coppa Europei 2021 ancora prima di iniziare le competizioni. Specialmente ora che usciamo da un anno di sentimenti repressi e crisi di astinenza. Forse vale la pena di inquadrare l’argomento facendo una lista dei maggiori stipendiati nel calcio, del tennis, della box del basket, dei conduttori Tv, e showgirl. Non sottovalutando i casi di beneficenza, perché non tutto questo mondo è corrotto. E per concludere la domanda: come lo stato e gli stati dal momento che sanno mettere dei limiti ai comportamenti umani dove vogliono non possano intervenire in questo settore? Gli emolumenti vengono ricavati dall’ internet, per cui vi possono essere oscillazioni in quanto non sempre viene distinto lo stipendio dai diritti d’immagine, sponsor bonus vari ecc. In tutti i casi cifra molto vicino a quanto entra nelle tasche di questi signori. Non entriamo in merito al problema tasse o evasione fiscale perché allora non ci raccapezzeremo più. Iniziamo dal calcio: Messi 94 milioni, Ronaldo 92, Neumayr jr.76, Mgappè 24. Con 20 Oezil, Pobga, Salah, Lewandoski, Bale, De Gea, Griezmann, Verratti. Con 10 Ramos, Oblak, Emerson. Con 8 Donnarumma, con 5 Chiellini, Bonucci, Insigne, Immobile, Bernardeschi. Calciatrici: Morgan 4 milioni. Le italiani qui hanno invece uno stipendio magro, in testa la B. Bonansea con 40 mila annui. Tennis: R. Federer 106.milioni. Box: Gregor 84. Ortiz 46. Basket: Lebron72, Curry 45, Gallinari 22, Bellinelli 6. Automobilismo: Hamilton 40. Ciclismo Fromm 5. Nibali 2. Attori: St. Accorsi 58. Nuoto: F. Pellegrini 2. Passando alla TV: Bonolis 10 milioni, B. D’Urso 6, Belen R.4, Fazio 2, R. Carrà 100 mila per comparsa. Sono a tutti noti i gesti di ostentazione dei poveri diventati ricchi, si sa che la ricchezza è come l’acqua del mare che più se ne beve e più si ha sete. E’ nota la tentazione di voler impressionare i poveri col prestigio sociale ostentando Lamborghini e beni di lusso. Per l’etica dell’informazione bisogna anche citare alcuni di costoro che hanno costituito delle fondazioni, fanno beneficenza, o rilevanti versamenti per sostegno alle varie necessità. E non lo fanno tutti per detrazione tasse, come molti cinici della cultura del sospetto insinuano. Non tutti conclamano come l’attaccante dell’Arsenal Adebayor: i soldi me li guadagno io e me li spendo a piacere mio. O come in modo larvato Donnarumma che invita a dare un sorriso a chi ha bisogno. C’è chi offre un po’ di più dell’obolo evangelico della vedova. Si sa che lo sport dovrebbe portare con se’ tutta una serie di valori che vanno dall’etica all’attenzione verso il prossimo. Come Federer che investe 50 milioni per l’Africa dove ha costruito 81 scuole materne. Neumayr jr, nato nelle favelas di S. Paolo Brasile, che come riscatto personale gestisce una fondazione per bambini. Ronaldo che ha venduto la sua scarpa d’oro a 1,5 ml per costruire una scuola a Gaza in Palestina. Totti e Messi attivi a sostegno nell’Unicef. Cannavaro e Ferrara in una fondazione a Napoli per il disagio giovanile. Vialli, Mauro, Borgonovo con una fondazione contro sclerosi e malattie rare. Anche le partite di beneficenza fra cantanti, artisti, vecchie glorie dello spettacolo sono socialmente importanti come risonanza mediatica. L’aver testimonial nella moda e nello sport è un vantaggio che va oltre il mero incasso economico. Però pure plaudendo a questi rari gesti umanitari andrebbe studiata a livello globale un tetto sugli stipendi dei settori su citati. E’ rimasto inascoltato il reclamo di Craxi quando nel 1984 alla Rai aveva consigliato di decurtare lo stipendio della Carrà. Un discorso che andrebbe ripreso capillarmente, a piccoli passi e con lungimiranza a livello italiano e quindi europeo. Si pensi ad esempio all’incontro del 22.6.21 a Cinecittà di Roma fra Il capo del governo Draghi e la Van der Leyen presidente della Commissione europea per l’OK al piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR): discorsi sulla ripartizione delle risorse. E’ in queste occasioni che bisognerebbe iniziare ad elaborare un piano per una maggior giustizia sociale e quindi un tetto anche a questi stipendi. Draghi ha già fatto del suo rinunciando dal 5 maggio scorso al proprio stipendio annuale di 80 mila euro. E di seguito una sensibilizzazione che parta dalle associazioni, dalle chiese, dalla Caritas internazionale, dai discorsi papali. Il defunto teologo Hans Küng ha scritto un libro dall’ apparenza utopico intitolato “Per un’etica mondiale” in cui cita come punto di rilievo anche questo. Se la nostra società oggi non vuole aiutare i molti poveri non deve nemmeno proteggere questa minoranza irricevibile di ricchi. Civiltà dello spreco, della sperequazione, non si può vivere in un isolotto contornato di tanta povertà. Dai campionati di calcio europei 2021 urge anche qui un vaccino.

Autore: Albino Michelin 28.06.2021
albin.michel@live.com

venerdì 30 luglio 2021

SUL SACERDOZIO DELLE DONNE MESSA UNA PIETRA TOMBALE

Si dubitava, ma ora non si dubita più, partita chiusa almeno per un trentennio. Appunto quanto il tempo necessario a rivedere il codice della chiesa, ufficialmente chiamato del diritto canonico. Come noto agli addetti ai lavori, l’attuale è composto di sette libri, con 1752 canoni, approvato il 25.1.1983, avviato ad una revisione da Ratzinger nel 2007, e rifuso nel libro sesto, quello che ci riguarda, con debita promulgazione papale recente di Bergoglio il 23.5.21. Va detto subito che alcune modifiche concernenti il delitto penale sono importanti. Si ammette la mutata sensibilità del nostro tempo e quindi l’esigenza di qualche spostamento dei canoni concernenti l’abuso sessuale sui minori, la pedopornografia, e altre violenze simili dal capitolo delitti contro obblighi particolari generici a quello dei delitti contro la vita, la dignità, la libertà della persona. D’accordo sullo spostamento come anche la giustificazione di queste norme necessarie quando si riferiscono alla “salute delle anime”, secondo l’affermazione nell’ultimo numero 1752 del codice stesso. Questa modifica che passa sotto il nome di Costituzione” Pascite gregem Dei” (Pascete il gregge di Dio”) è stata presentata ai media il 1.6.21 dal presidente del Consiglio Testi Legislativi, il carmelitano Mons. F. Jannone. Oltre ai dettagli di cui sopra la vera sorpresa, choc per le donne, è stato l’aggiunta del canone con scomunica automatica della donna che si fa ordinare prete e contro colui che la ordina. Tale atto viene considerato delitto contro il sacramento, riservato solo ai maschi e vietato alle femmine. Si sa che i sacramenti sono “propter homines”, a vantaggio degli “uomini”, ma sorprende che si sia ritornati ad insistere su di un’accezione discriminatoria ed assolutamente estranea all‘intenzione di Gesù, quasi che quando egli parlava di salvezza degli uomini intendesse riservarla a quelli dai genitali maschili escludendo quelli dai genitali femminili. Ma quella di fine maggio è stata una settimana concitata per la chiesa. In effetti il 4 giugno esce pubblica notizia delle dimissioni del Cardinale di Monaco R. Marx, membro del gruppo dei 7 consiglieri di Bergoglio, personalità di grande cultura e di profonda dedizione alla causa. La Lettera di dimissioni al Papa era stata inviata già il 21 maggio. Motivazione:” La chiesa è ad un punto morto”. Non si tratta di dimissioni segretamente pilotate dall’alto o punitive per il suo comportamento, per altro sempre stato integerrimo ed ineccepibile. No, egli aggiunge che oltre ai fallimenti di carattere personale già noti come la pedofilia e adeguati interventi si tratta di fallimenti istituzionali e sistemici. Egli stesso si augura che questo punto morto divenga un punto di svolta. Dichiara di non essere stanco della carica e nemmeno demotivato, ma convinto che questa società abbia bisogno della voce del vangelo e di una chiesa che si rinnovi. In quanto a lui si rende disponibile anche tornare a fare il prete di campagna. Praticamente queste dimissioni sono collegate con l’emanazione della scomunica alle donne preti. E qui non si tratta di una coincidenza fortuita, ma di un nesso causale. Non bisogna dimenticare che la chiesa tedesca aveva inaugurato il suo sinodo già il 31.1.20 con 250 delegati dalle varie comunità e avrebbe dovuto tirare delle conclusioni in autunno del presente anno. Indubbiamente una corresponsabilità di base, da sognarsela in Italia dove ancora la costituzione di un sinodo permanente pare utopia. Fra gli argomenti di studio e di dibattito appunto il sacerdozio delle donne, che l’attuale presidente dell’episcopato tedesco G. Bätzing ritiene la domanda più urgente del futuro. Ma a metà dell’opera esce la Costituzione penale su citata che blocca il tutto. Di qui sono da collegarsi le dimissioni altrettanto choc del Cardinale di Monaco. Che poi Bergoglio le abbia respinte era da aspettarselo, ma anche la confessione di questi che la chiesa debba chiedere perdono di certe catastrofi e a della crisi con “un sentimento di vergogna guaritrice” non risolve nulla sulla vessata questione. Anzi ci si chiede dove sono andate a finire le ventilate aperture di Papa Francesco sul ruolo delle donne, che dopo 2000 anni dovrebbero essere accettate nella chiesa come esseri umani. La concessione a queste (vedi Spiritus Domini del 10.1.21) di leggere nella messa la bibbia o di distribuire la comunione sa di restauro estetico. In molti si pensa che essendo Bergoglio anche un carattere sensibile ed emotivo senta sul collo il fiato di Woytjla, ritenuto predecessore potente a guisa dei papi medievali, che con il suo intervento de 22.5.1994 ha dichiarato chiuso il discorso sulla donna prete perché così voluto da Dio. Ma su questa affermazione i teologi non cessano di studiare in quanto la considerano autoreferenziale. Viene qui in mente il tentativo coraggioso della teologa di Basilea Monika Wyss, prima sacerdotessa cattolica ordinata il 24.6.2006. Madre di quattro figli difese da sempre il diritto della donna al sacerdozio, da quando dodicenne voleva diventare prete ed amava in famiglia organizzare una specie di messa domestica. Ovviamente venne scomunicata dall’allora papa Ratzinger, al primo anno del suo pontificato e insieme con lei anche il vescovo argentino R. Braschi, che la ordinò. In questa crisi di preti maschi forse serve a poco fare novene e pregare per le vocazioni maschili, c’è un popolo di donne in lista di attesa e questa è tanta grazia di Dio. Grande opportunità, affinché il punto morto della chiesa divenga risorsa del futuro

Autore: Albino Michelin 22.06.2021
albin.michel@live.com

mercoledì 28 luglio 2021

SULLE AFFERMAZIONI DI TEOLOGI CHE GESÙ NON VOLEVA SACERDOTI

Si fa troppo presto oggi ritenere che nell’opinione comune il ruolo e la figura del prete sia superata. La triade autoritaria nei nostri paesi di qualche decennio fa (sindaco, dottore, prete) esiste ancora nell’inconscio collettivo. Non è da molto che un giovane curato arbitrando una partita di calcio sia intervenuto in una mischia minacciando: “quando fischio io fischia dio”. Esperienze che restano nella memoria oltre che nel gozzo. Una lunga storia secolare con ripetuta educazione e l’attribuzione del ruolo di ministro di Dio gli ha contagiato la tentazione di sentirsi Dio. Da tempo però i dati cominciano ad evidenziare la crisi del sacerdozio cattolico. Tutto ciò che la chiesa ufficiale ha intrapreso per fronteggiarla non ha sortito alcun effetto. Mancanza di clero, comunità senza eucarestia, celibato maschile, ordinazione delle donne sono i problemi che accanto ad altri caratterizzano l’attuale difficoltà della chiesa cattolica. Di conseguenza molte iniziative vengono chieste e affidate ai laici. E qui è doveroso uscire allo scoperto con una domanda che pare sovversiva ma non lo è: Gesù che sacerdoti ha voluto? E li ha voluti? Si sa che lui non era prete, preti non erano gli apostoli, prete non era Paolo di Tarso. Nessuno di costoro aveva ricevuto l’incarico di celebrare la messa, ma di andare, insegnare, guarire, evangelizzare, testimoniare. E qui vale la pena citare un teologo, rappresentante di una scuola attuale, per nulla contestatrice, Herbert Haag (1915-2001), svizzero tedesco fra i più noti interpreti della Bibbia, Antico Testamento. Nel 1997 scrisse un libro che continua a porre a tutti delle riflessioni:” Da Gesù al sacerdozio”. Fece e fa tutt’ora scalpore. Questa corrente di pensiero ritiene che gli ecclesiastici di oggi sono una creazione della chiesa e non di Gesù, sviluppatisi nel corso dei secoli, ed essa può decidere di mantenerli o di modificarli. L’affermazione sembra avventata ma la crisi della chiesa durerà fino a quando non deciderà di darsi una nuova costituzione in cui non ci sia posto per due classi: sacerdoti e laici, consacrati e no, e stabilire che un incarico affidato dalla chiesa è sufficiente per condurre una comunità e celebrare la messa. Incarico affidato a uomini e donne, sposati e celibi, come d’altronde era prassi nei primi secoli della chiesa. Ovvia la reazione della chiesa attuale, che allorquando appare all’orizzonte una nuova ricerca e proposta interpretativa si arrocca e toglie al caposcuola, come nel caso ad Haag il diritto di definirsi teologo cattolico. Ed è ovvia la risposta dell’altra parte. In effetti nell’ aprile del 2000 una novantina di teologi, biblisti, collaboratori ecclesiali firmano una dichiarazione diretta ai vescovi svizzeri in cui sostengono di non riconoscersi nelle accuse rivolte ad Haag e quindi la necessità di discutere la questione per ulteriori approfondimenti. In effetti bisogna prendere atto che lungo la storia il sacerdozio ha preso questa forma solo dopo 200 anni dalla morte di Gesù, con i noti santi padri Origene e Cipriano. Ma subito dopo la morte di Gesù e per due secoli l’Eucarestia veniva celebrata con semplicità nelle abitazioni dei cristiani, da tutta la comunità, come frazione del pane. Solo a partire dal quinto secolo con S. Agostino il sacerdozio viene definito sacramento, mentre prima non era necessaria l’ordinazione sacerdotale. Nel contempo assumendo scrupolosamente le categorie dell’impero romano, infule, abbigliamenti, tube, zucchetti in testa e titoli nobiliari che imperversano a tutt’oggi. Si pensi ad esempio che nel 1948 la costituzione italiana decise di non riconoscere più tali titoli come eccellenza ed altri, mentre la chiesa nonostante il concordato con l’Italia continua con don, reverendo, monsignore, eccellenza, eminenza, santità. Papa Bergoglio si è spogliato di tutto e si fa chiamare Francesco: ma è un uomo solo al comando. Aumenta il fossato clero-laici, non ostante Gesù avesse detto:” voi siete tutti fratelli” (Mt.23,8). Finché tutto si codifica, si fissa, si arresta con il Concilio di Trento (1563), fondazione dei seminari e preti standard. E qui si inserisce la definizione di Papa Wojtyla del 22.5. 1994 in cui dichiara che il sacerdozio delle donne è capitolo chiuso, la chiesa non ha il potere di modificare questa legge. Tale definizione è stata pronunciata tre anni prima dell’uscita del libro di Haag “Da Gesù al sacerdozio”, ma queste idee circolavano da tempo nell’aria e quindi l’intervento di Wojtyla intendeva prevenire e bloccare in anticipo il discorso. Cosa che invece non è avvenuta, in quanto questo movimento teologico di Haag è intervenuto proprio a porre l’attenzione sul fatto che non è stato Gesù a fissare questi paletti, se ci limitiamo al sacerdozio femminile, ma la chiesa del maschilismo. E qui è legittimo dare una risposta a doppia uscita: d’accordo, la chiesa non può mutare assetto se quanto stabilito è sviluppo implicito del messaggio di Gesù. La seconda opposta: se Gesù avesse ritenuto essenziale questo assetto lo avrebbe egli stesso espresso. Non avendo nulla detto significa che tale impianto è riformabile secondo le esigenze storiche e quindi attuali. Senza sposare definitivamente questa soluzione della scuola Haag, non andrebbe interrotto lo studio e la riflessione. Invece lascia perplessi la decisione del Card. Bassetti, presidente della Conferenza vescovi italiani, che dopo tante spinte papali iniziando il sinodo nazionale, partecipazione quale antidoto alla chiesa piramidale, espressione delle istanze della base ecclesiale, il 25.5.21 disse” si parlerà di argomenti urgenti, non di donne preti, né di clericalismo” Alla fine una delle solite autocelebrazioni. Aveva ragione il Card, di Monaco Marx quando nello stesso mese diede le dimissioni, anche se rientrate, motivandole:” questa chiesa è ad un punto morto.”

Autore: Albino Michelin 16.06.2021
albin.michel@live.com
 

domenica 25 luglio 2021

CATTOLICI CHE NEGANO LA BENEDIZIONE AGLI OMOSESSUALI

 Siamo tornati ad un altro caso Galilei, o quasi con il conflitto scienza-fede. Pare dato scientifico oggi l’esistenza di persone con un corpo biologico maschile e psicologicamente femminile come d’altra parte con corpo biologico femminile e psicologicamente maschile. Sarà un incidente di percorso della natura, ma anche questo appartiene alla natura come esistono mongoloidi (ci si perdoni l’irriverenza) irriformabili, ma degni di rispetto. La presente riflessione non riguarda né dibattiti politici, né DL Zan ma la posizione di molti cattolici che affrontano il problema con acrimonia e disprezzo, basandosi a sentir loro sugli insegnamenti della chiesa, paracadute di sicurezza. Allora ci sia consentito senza spirito di riformatori, ma allo scoperto, tentare una spiegazione di questa posizione parassitaria che ignora ogni approfondimento storico, teologico, interpretativo affermando che la chiesa non può stravolgere il suo magistero tradizionale, non può benedire il peccato, e che il matrimonio resta quello della coppia originale, padre madre figlio dai due generato. Crociata che nulla ha da spartire con Gesù e il suo Vangelo cui la Chiesa reclama di riferirsi. Di motivi ne citiamo sei e tentiamo di dettagliarli 1) infallibilità papale ad personam. Mentre invece è garantita in solido alla chiesa in quanto comunità di Gesù Vero che Gesù disse a Pietro:” Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt.16.15). Ma glielo disse in quanto rappresentante collegialmente dei dodici apostoli. Personalmente invece poi Gesù chiama Pietro Satana (Mt.16,23) perché dimostra intendimenti di prestigio laico. I dodici non erano delle belle statuine di contorno ma cogestori coinvolti. A conferma attuale vedasi anche il nr.22 L.G. del Concilio Ecumenico 1965, rimasto però inoperoso. Nel caso del diniego benedizione omosessuali la decisione non è stata presa in modo condiviso.) Stratificazione bimillenaria del potere chiesa Basti pensare al “Dictatus Papae” di Gregorio VII (1020-1085). Citiamo tre dei 27 precetti: “Al papa tutti i principi sono tenuti di baciare i piedi…Solo al papa è lecito deporre gli imperatori…la chiesa romana non ha mai errato e mai errerà in eterno. ”Questa concezione ovviamente pare superata, però inconsciamente fa capolino in tutte le decisioni, che essa si arroga in forma autoreferenziale come nel nostro caso. A conferma vedi il nr.333,3 del Diritto canonica edito nel 1983.-3). L’equivoco del consenso universale. Esso consiste nel fatto che spesso l’istituzione chiesa alla richiesta di innovazioni come il sacerdozio alle donne, agli sposati, il libero matrimonio ai preti o nel caso la benedizione agli omosessuali risponda che in questi ambiti si richiede il consenso di tutta la chiesa. Domanda: come mai i preti cattolici di rito orientale, gli attuali parroci di Firmo, Castroregio (CS) e Piana degli albanesi (Pa) hanno il privilegio di sposarsi quale premio pe essere passati nel 1596 dalla religione ortodossa alla cattolica? E ugualmente i pastori anglicani che si fanno preti cattolici.? E’ stato chiesto il consenso a tutta la chiesa o fatto un regalino per l’abiura della precedente religione all’incremento numerico alla nostra? Non si dà l’impressione di due pesi e due misure.? E’ veramente volontà di Gesù che le donne siano interdette dal sacerdozio o che i preti non possano sposarsi o gli omosessuali siano considerati banditi.? 4) Mancanza di sinodalità. Significa che prima di prendere decisioni importanti l’istituzione chiesa dovrebbe operare una consultazione alla chiesa universale attraverso i sinodi di ogni nazione. Pure premesso che la verità (quella del vangelo si chiama Amore) non può essere posta a votazione né dal papa né da qualsiasi credente. Sinodi esistono in Germania, Austria, Olanda, in molti paesi del nord. Papa Bergoglio ha sollecitato anche l’episcopato italiano a formare un sinodo nazionale, il suo presidente Card. Bassetti risponde che l’Italia non è ancora pronta (? I). Ovvio che le altre chiese dopo matura riflessione partono anche da sole. Che in Germania i preti diano la benedizione agi omosessuali motivando” l’amore vince, “oppure riferendosi a Paolo (Rom 12,14) “benedite e non maledite” oppure consigliando la chiesa alla coerenza e di non benedire le armi, vero peccato perché ordigni di morte, molto più grave che benedire gli omosessuali in cerca di un amore per quanto difficile. La maggioranza del clero fuori d’Italia non agisce per ribellione al papato ma per amore verso la gente. Vedi le innumerevoli lettere di studiosi cattolici inoltrate con rammarico. Il caso di A. Rosmini (1797-1885), prete teologo condannato due anni dopo la morte, riabilitato 112 anni più tardi, fatto beato nel 2007, dovrebbe far riflettere la chiesa di non perseguitare i suoi profeti e poi riabilitarli post mortem a nuvole d’incenso. 5) Sessuofobia secolare. Da sempre la chiesa ha paralizzato i credenti con l’incubo del peccato sessuale. Il più grave di ogni tipo di aberrazione. Inferno eterno senza scampo: sesso solo per la procreazione.  Vedasi dall’internet il” Manuale dei confessori” a cura del vescovo francese Bouvier 1857 per rendersi conto della dovizia di dettagli erotici che soprattutto le penitenti dovrebbero accusare in confessionale. Ovvio che il diniego della benedizione agli omosessuali sia ancora frutto di questo incubo. 6) Attuali tensioni fra Papa Bergoglio e Clericalismo curiale. La conflittualità esiste e non si scoprono misteri. Non ci si deve meravigliare. Nel senso che noi crediamo alla chiesa non ostante la chiesa, perché all’origine c’è Gesù e a Gesù ci si può sempre riferire. Ma dopo che questo papa ha “tentato” di riformare la curia addirittura allontanando alcuni cardinal, ultimo Becciu, o per motivi finanziari o per pedofilia, Bergoglio non può avere vita facile e quindi deve anche accettare la parte conservatrice, come in questo caso approvando il decreto della Dottrina della fede del 16. 3. 21, ancorché egli verso il mondo omosessuale sia stato da sempre rispettoso e aperto. Queste alcune considerazioni che si possono indirizzare ai cattolici ossequienti, allo scopo di rendere motivata e riflettuta l’appartenenza alla chiesa, evitando di ritornare alle crociate e di erigersi orgogliosamente dalla parte dei vergini, dei puri e casti.

Autore: Albino Michelin 07.06.2021
albin.michel@live.com