domenica 24 gennaio 2021

PANDEMIA, ASSOLUZIONE GENERALE, CONFESSIONE

LETTERA  APERTA  AI  SETTIMANALI  CATTOLICI

Con la presente mi permetto di inoltrare gentile richiesta ampliata alle riviste cattoliche allo scopo di una spiegazione esaustiva sull’argomento in questione. Eventuale risposta può anche risultare di grande utilità a quel settore di cattolici che, per quanto minoritario, desidera fondare la propria fede sul messaggio di Gesù evitando il pericolo di confuso pressapochismo. E’ noto che in data 20.3.20 il Dicastero Penitenzieria apostolica, Card. M. Piacenza, ha emanato la concessione dell’assoluzione generale dei peccati, in riferimento particolare alla situazione di emergenza attuale, incluso il votum confessionis, a condizione cioè di far seguire al più presto possibile l’accusa dei peccati gravi al sacerdote, come di consueto. Prassi non nuova nella storia della chiesa. La stessa concessione è stata emanata dai vescovi del Triveneto nel periodo natalizio dal 16 dicembre 20 al 6 gennaio 21 per quanto concerne il loro territorio. Da più di qualche parte si sono sentite e raccolte osservazioni. Sull’argomento vale la pena prendere il toro per le corna, non nascondere la polvere sotto il tappetto, ma come dice papa Francesco nel programma “chiesa in uscita”, andare in trasparenza nei confronti di questo nodo scoperto. Per chiarezza e completezza la domanda viene presentata in quattro punti. 1) Chi perdona l peccati? Ovvio, solo Dio (Mc.2,5), attraverso il pentimento del cuore, cioè l’inversione di tendenza nel proprio comportamento. Ora se è Dio a concedere il perdono che motivo sussiste di ripresentarsi al prete per accusa dettagliata dei peccati? Il perdono di Dio ti arriva a rate? Sarebbe come se Dio dicesse: figliolo mio, io ti assolvo, ma per il momento resti in quarantena fino a che non ti sarai presentato dal confessore. Quasi che Dio si ponesse sotto il controllo di questi. 2) Strano che Dio ragioni col bilancino: i peccati veniali te li perdono io con l’assoluzione generale, quelli gravi in toto te li perdona il sacerdote. Una volta detta a lui la “lista della spesa” Nel frattempo rimani fra coloro che son sospesi. A parte il fatto che oggi la gente non si raccapezza più quali siano peccati veniali e quali mortali. 3) L’assoluzione generale viene data pure all’inizio di ogni messa. Tale assoluzione vale? Allora chiuso il discorso. Non vale perché considerata pia devozione? Allora meglio abolirla per non creare inutile confusione. 4) Gesù nel cenacolo ha partecipato l’incarico di rimettere i peccati solo agli apostoli o anche ai discepoli riuniti? (Gv.20,19-25) E i discepoli non rappresentano la nostra attuale comunità dei battezzati, laici fedeli? Che nelle chiese riformate siano anche gli assistenti pastorali, non sacerdoti, a dare l’assoluzione è così deviante dall’intenzione del fondatore? 5) Ovvio che non viene considerato inutile, anzi raccomandabile il presentarsi ogni tanto al sacerdote dopo l’assoluzione generale per una consulenza spirituale, per una cura dell’anima, per un senso di appartenenza alla comunità cristiana, considerando così il sacerdote l’accompagnatore della nostra fede e non l’esattore delle nostre colpe, né la condizione per convalidare il perdono retroattivo. Va detto a mo’ d’esempio che in varie parrocchie del Veneto si sono avute diverse modalità. Questo è doveroso citarlo non per istituire un processo nei loro confronti, ma per sottolineare quanto sia necessaria una risposta inequivocabile. Qui di seguito: modello a): assoluzione generale, comunicando ai presenti l’obbligo di ripresentarsi al confessore privato per i peccati gravi. Modello b) assoluzione generale previa preparazione comunitaria per l’esame di coscienza, seguita dall’assoluzione impartita dal sacerdote singolarmente ad ogni partecipante in fila senza l’accusa dei peccati comunicando che tale assoluzione è esaustiva e completa. Modello c) assoluzione generale, comunicando ai presenti che essi sono perdonati senza nessuna ulteriore accusa. Per questa varietà di modelli non sarebbe inutile anche una adeguata informazione storica sulla confessione. Che essa nei primi secoli era pubblica per i tre peccati di carattere sociale. Cioè omicidio, adulterio, apostasia dalla fede. E una volta sola in vita che nel 600-700 d. c. la confessione assunse forma di dialogo ad opera dei monaci irlandesi. Che nel 1215 Concilio Laterano IV venne definita sacramento autorizzato solo al clero, mentre prima potevano assolvere pure i laici. Che nel 1560 con il Concilio di Trento divenne una forma di tribunale in cui il sacerdote giudice assolveva il penitente a condizione si accusasse di tutti e singoli i peccati, numero, specie. Che nel 1965 con il recente concilio Ecumenico prese altro appellativo, cioè Sacramento della riconciliazione. E’ ovvio che alle richieste dei numeri 1-2-3 una risposta sarebbe di grande utilità per evitare confusione e relativismo. Gesù disse che la verità ci renderà liberi. Sia lo scrivente come altri interessati alla propria fede pensata e motivata siamo grati per eventuale chiarifica.

Autore: Albino Michelin   22.12.2020
albin.michel@live.com

sabato 23 gennaio 2021

L'ENCICLICA DI BERGOGLIO "FRATELLI TUTTI". E LE SORELLE?

Le encicliche di Bergoglio coinvolgono tutti e non semplicemente il clero sia per le tematiche come per i contenuti. Fra le più importanti due, cioè “Laudato sì” (24.5.15) a salvaguardia del creato, del clima, della casa comune, e “Fratelli tutti” (3.10.20) sulla fraternità e amicizia sociale hanno creato un impatto significativo anche se a versanti opposti con effetto certamente a tempi lunghi. Ci interessa qui “Fratelli tutti”. A pochi è nota l’esistenza di un “Concilio internazionale cattolico donne” composto da teologhe e pensatrici a maggioranza ecumenica, ma anche diversamente credenti. Alla base comunque tutte sensibili alla riscoperta e all’esperienza della spiritualità. Orbene queste si sono sentite in dovere non tanto di contestare, quanto, accanto all’apprezzamento globale, di presentare a Bergoglio un’opinione sul titolo, come se le sorelle non esistessero o rappresentassero una componente inferiore e marginale. Simili interventi, proprio perché privi di acredine, rappresentano sempre un input positivo, in quanto ogni documento papale radicato nel passato rispecchia il presente, magari timidamente aperto al futuro, e quindi non ha da disdegnare la collaborazione di persone sensibili e attente anche ai dettagli, che poi tali potrebbero non essere. Esse ammettono un piccolo passo in avanti del nuovo messale che dopo 18(I?) anni di studio ha modificato alcuni brevi vocaboli (una riga in tutto), aggiungendo quattro volte ai fratelli anche un cenno alle sorelle, e precisamente al benvenuto inizio messa, al confesso a voi fratelli e sorelle, al pregate fratelli e sorelle dopo l’offertorio, alla memoria dei defunti ricordando fratelli e sorelle. Sororita’ dopo tutto che da diversi anni molti sacerdoti includevano senza tanti nuovi messali, mossi più dalla fedeltà al senso fondante di Gesù che non alle trascrizioni degli ecclesiastici nel tempo, preferendo lo spirito che non la lettera. L’osservazione del “Concilio Donne” è che nella suddetta enciclica Bergoglio rimane nel quadro d’insieme androcentrico e nella dimenticanza di sorelle riemerge inconsciamente il maschilismo clericale. L’uso di un lessico escludente non è una inezia, si snoda per quasi tutti i 287 numeri del testo. Ad esempio la frequenza con cui compaiono nel corpo del documento termini chiave è cifra di tale impianto. Mentre il binomio uomo-uomini, fratello-fratelli ricorre 114 volte (=76%), nel corrispettivo riferito a donne ricorre 25 (24%) volte senza contare la sezione delle note il che aumenterebbe la sproporzione. Il Concilio femminile sottolinea che mentre altri documenti di Francesco (Laudato sì ed Evangelii Gaudium) ci hanno posto di fronte ad un papa sorprendente e profetico e che ispirano entusiasmo, dal greco en (dentro) theo’s (Dio), il divino dentro di noi, questo invece nel nr.86 lamenta che la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare la schiavitù. Ma ancora sulla violenza verso le donne permane l’oblio. Si evita il discorso sulla donna esclusa da funzioni di responsabilità, sulla colpevolezza e i torti perpetrati lungo i secoli, sulla questione degli abusi sessuali. Nel nr.164 la famiglia è caldo focolare domestico, ma cala Il silenzio sul fatto che la maggioranza dei femminicidi, (in Italia 1 ogni 3 giorni), degli abusi su donne e minori, maltrattamento, stupri perpetrati dai partner avvengono fra le pareti domestiche anche davanti ai figli. Silenzio pure sull’omertà delle donne, sulla complicità del clero con l’aggressore quando le donne si sentono dire dal prete di sopportare e sacrificarsi perché su di loro grava il compito di reggere la famiglia. Questo fanno purtroppo da secoli la chiesa e la società, trasformando le donne vessate da prepotenze in esseri colpevoli. Il Concilio Donne apprezza il richiamo all’amicizia sociale in quanto linfa vitale del testo. Però si chiedono se non sono forse le istituzioni, l’economia, il sapere in mano ai maschi che la assediano e la insidiano. Purtroppo la responsabilità dello sfascio morale e materiale è piuttosto del genere maschile. Se una parte consistente di questo gruppo femminile e quindi delle donne apprezza il contenuto evangelico del testo, un’altra fa delle riserve per l’autarchia maschile in esso contenuta. Questo intervento femminile su “Fratelli tutti” ci mette davanti ancora il ruolo di minoranza e di minorità della donna specie nella chiesa. L’ enciclica probabilmente non ha interpellato le donne prima della stesura. Ci si meraviglia se anche nell’internet per le spiegazioni dei vangeli domenicali si vedano solo liste di maschi e di preti. Chi scoraggia la ricchezza del pensiero e del sentimento femminile a favore di una esclusiva spiegazione del vangelo fa del settarismo sessista, un torto all’altra metà del cielo. Dio nel mito delle origini ha creato “l’umano”, nella dualità, non Adamo e poi Eva giustificando così una precedenza ed una superiorità del genere maschile. Nei suoi messaggi Papa Bergoglio viene ammirato perché ci fa volare alto. Ci si augura in futuro anche un volo alto nei confronti delle donne.

Autore: Albino Michelin   18.12.2020
albin.michel@live.com

venerdì 22 gennaio 2021

CREDO NELLA CHIESA, MA NON IN DIO

L’espressione è di Vittorio Sgarbi, noto critico d’arte italiano Diversa dalla tradizionale: “credo in Dio, ma non nella chiesa” non è burlona, ma carica di suggestione, si tratta di distinguere. E vale la pena lasciare la parola all’autore. Sgarbi sostiene parafrasando un detto di Benedetto Croce:” perché non possiamo non dirci cristiani” in un’altra: ”perché non possiamo non dirci clericali”. Il suo incipit è noto: l’arte sostituisce la fede e la religione. La religione è un tentativo di speranza nella vita eterna che non ci è affatto garantita, l’arte è una promessa di eternità, una sostituzione della fede. L’arte è la prova dell’esistenza di Dio. Per cui molti hanno la fede attraverso l’arte anziché verso Dio. Conseguenza principale per lui è quella di credere di più alla chiesa perché questa la conosciamo come consistenza storica, fatta di una quantità di pensieri, di meditazioni, di riflessioni, di militanze, di monumenti laici e sacri, arti figurative, scultoree, letteratura, biblioteche, musica. In una parola è la dimostrazione che nessuna religione ha prodotto tante bellezze come quella cristiana. Fino a qui Sgarbi e prendendo le cose alla larga dovremmo giustamente affermare senza traccia di bigottismo che il Cristianesimo è la religione del bello e della bellezza in tutta la sua poliedrica vastità. In effetti anche il suo fondatore Gesù, l’innamorato dei gigli del campo, è venuto a portare il Vangelo che vuol dire il bell’annuncio. E per non dimenticare le radici cristiane anche Bergoglio ha stilato la sua prima enciclica del 2013 col titolo ”Evangelii gaudium”. Per saperne di più leggasi il libro del salesiano M. Fox. “In Principio era la gioia”. Onde far risaltare questo aspetto è opportuno qui mettere fra parentesi determinati comportamenti della chiesa, l’eccesso dato ad una religione del sacrificio, del peccato originale, del dolorismo, del digiuno, della rinuncia a satana, degli interessi temporali, le sue “esecuzioni” contro i diversamente credenti come i 200 catari bruciati all’arena di Verona nel (1155), i 3.550 valdesi decimati in Calabria nella zona di Guardia dei Piemontesi(1561), i 120 insegnanti ”scomodi” di teologia destituiti dalla cattedra negli ultimi decenni da papa Wojtyla. Per quanto spiacevole questo aspetto qui non interessa. Fuori discussione invece che molte persone sono affascinate dall’arte. Per questo un’educazione al bello della natura come a quello delle opere di artisti andrebbe garantita a tutti. E andrebbero incrementate escursioni, visite ai musei, monumenti, cattedrali, turismo culturale. Tentiamo qui un viaggio ideale attraverso i secoli limitandoci all’arte delle basiliche. Partiamo dal VI secolo e a Ravenna potremmo ammirare la chiesa di S. Apollinare in Classe stile bizantino con i suoi mosaici policromi. Proseguiamo verso il secolo seguente all’Abbazia di San Colombano in Bobbio (PC), di stile longobardo con le sue strutture originarie ottagonali simbolo del cosmo. Proseguiamo verso il 1000 con le basiliche stile romanico di cui è costellata l’Emilia e poi S. Marco di Venezia, Monreale di Palermo. Equilibrio di stile classico, muri compatti e massicci entro cui lo spirito viene protetto dalla distrazione. Proseguiamo verso Parigi dove un secolo più tardi principiò lo stile gotico con archi rampanti atti a incutere rispetto e facilitare l’elevazione. Proseguiamo verso il Rinascimento con cupole a proteggere le città, vedi duomo di Firenze. E avanti con il barocco del 1600, teatrale, virtuoso, bizzarro, ricchezza di toni e colori, espressione di potenza e di fasto, vedi la cattedrale di Lecce e la nostra Basilica S. Pietro di Roma. Fino all’età contemporanea con lo stile assembleare, e sintonizzato al paesaggio verde della natura, vedi Ronschamp Belfort capolavoro del Corbusier nella Francia sud-orientale. Se poi consigliamo ai nostri maratoneti di percorrere la Francigena fino a S. Giacomo di Compostella è tutto un tragitto costellato di piccoli santuari dagli stili originali. Ci siamo limitati all’architettura sacra, proprietà della chiesa, salvaguardia della bellezza. Ma la chiesa ha esercitato il suo influsso su tutte le espressioni d’arte: sulla pittura da Giotto a Caravaggio. Sulla letteratura con Dante, sulla musica con il canto gregoriano, da Palestrina a Mozart. Ma l’arte non ha limiti di tempo, di cultura, di religione. Anche l’arte così detta laica ha lo stesso contenuto di quella sacra: dalla letteratura del Petrarca al Pascoli, ai vari romanzieri, dai grafiti preistorici alle opere di Van Gogh, dall’ abbigliamento imperiale romano ai nostri stili di moda P.Cardin. Gli artisti non muoiono mai, sono eterni, vivono dentro di noi e ci fanno rivivere. Se Dio crea, l’artista pure continua a creare. Ogni tipo di bellezza è salvifica, dà motivazioni, guarisce, unisce, ci fa tornare alle origini, nostalgia del passato verso un futuro ultramondano. Per cui i binomi dell’inizio, fede-arte, e chiesa-Dio anziché concorrenziali potrebbero anche richiamarsi a vicenda. E l’arte, sia essa di chiesa come degli infiniti geni autonomi, potrebbe essere un veicolo verso la fede in Dio e postularne l’esistenza.

Autore: Albino Michelin   11.12.2020
albin.michel@live.com

giovedì 21 gennaio 2021

COSTRUIRE LA SPERANZA

Le espressioni dovunque più usate in questo periodo sono “Speranza”, auguri e speriamo. La speranza come tanti atri sentimenti umani tipo amore, gioia, entusiasmo, paura, tristezza è certamente la più profondamente radicata nella nostra vita. Anche i miti più antichi dell’umanità sia nella filosofia come nella religione hanno per oggetto la speranza. Si pensi al mito di Pandora presso i greci, la prima donna che aveva ricevuto da Giove un’anfora con l’ingiunzione di non aprirla Essa invece per curiosità la scoprì e ne uscirono tutte le virtu’ contenute, ci rimase solo la speranza. Pure nel mito ebraico-cristiano della bibbia nella fuga dall’ Egitto attraverso il Mar Rosso quando Israele fondò la sua speranza verso un futuro da rischiare. Per questo in ogni occasione storica difficile si creava sempre l’attesa di un messia, di una speranza umana che aiutasse a liberare il popolo dalle difficoltà, dalle deportazioni, dall’oppressione dell’impero romano, a seconda. E anche quando Gesù neonato venne presentato al tempio l’anziano Simeone lo abbracciò come speranza di Israele e delle nazioni. E Gesù adulto nella sua predicazione itinerante garantiva tutti di non aver paura perché egli sarebbe rimasto con l’umanità fino alla fine dei secoli, non rubando a nessuno la speranza. Non si vuole qui trasbordare nell’ altro mondo e predicare la speranza che dopo la morte vi sarà una vita eterna, ma rimanere nella nostra quotidianità anche se includente l’aldilà. Pure consapevoli che un certo Cristianesimo lungo i secoli ha predicato rassegnazione, mani giunte, occhi bassi in funzione della vita futura. Aforismi e proverbi sulla speranza sono centinaia. Tipo: la speranza è l’ultima a morire e finché c’è vita c’è speranza. Ma si può controbattere come mai là dove abbiamo vita non abbiamo sempre la speranza, fino ad ammalarsi e suicidarsi. Evitiamo i casi estremi ma certo bisogna prendere atto che la speranza non va tolta a nessuno, che la pena di morte ad esempio è contro natura perché nega ogni speranza, che un medico potrà sempre comunicare al malato la diagnosi ma solo se richiesto della prognosi per non abolire la speranza. La speranza è sacra come la vita, va costruita, le va dato un fondamento umano, le va garantita una educazione, proposto un obbiettivo. Purtroppo invece noi siamo vittime dell’abuso del cambiamento, vorremmo che tutto cambiasse, la politica, il lavoro, la famiglia, le nostre vite, affascinati dall’idea magica del cambiamento. Il guaio è che noi non siamo disposti a crearlo, a produrlo, a realizzarlo. Il cambiamento deve arrivare dall’esterno, ad opera di altri, piove governo ladro. Lo proiettiamo su chi cerca di blandire con miraggi la nostra speranza. E’ qui che si annida il pericolo, la speranza diventa espressione pericolosa ed equivoca. Si aspetta e si spera tutto senza sentirsi personalmente interpellati. Di qui la resa, tanto è inutile, chi te lo fa fare a combattere con don Chisciotte contro i mulini a vento. Si vive nel cinismo, una filosofia terrificante. Sono loro, gli altri che devono cambiare. Per noi vale la pena solo se ci si guadagna, se no sei un illuso. Speranza ha la stessa radice etimologica inglese di “speed”, spinta. Il contrario di destino. E’ creazione, non ristagno nel parassitismo. E’ ingravidare, fecondare con il proprio rischio e slancio ogni ideale per farlo diventare azione concreta. In questi tempi si fa un gran parlare di crisi demografica dell’Italia, perché così si va incontro ad una nazione di vecchi, mancheranno i bambini, i giovani, i rincalzi del futuro. D’accordo, ma a che servirebbe inoculare tot persone se poi avremo una generazione pigra, senza energia, senza fame di futuro, senza speranza? L’avvenire dell’Europa non apparterà alle civiltà più tecnologiche ma a quelle demograficamente più consistenti e cariche di speranza, le tanto vituperate di colore. Se i discendenti degli italiani nel mondo si aggirano sui 60 milioni è perché i nostri padri hanno affrontato innumerevoli viaggi della speranza. E la stessa storia si ripete oggi con le migliaia di profughi allo sbando, donne incinte, bambini che sbarcano sulle nostre coste quando non affondano in mare, viaggi della speranza. Per paradosso dovremmo ammettere che l’Italia non esiste perché è la sintesi di diverse invasioni, immigrazioni, integrazioni di etnie da ogni dove che a suo tempo da secoli hanno intrapreso il viaggio della speranza. Ma restiamo nel nostro presente della pandemia virus. La speranza di venircene fuori nasce dalla consapevolezza di essere tutti parte della stessa umanità. Non serve la retorica della superiorità del nazionalismo, del sovranismo, della divisione, ci si salva o ci si perde tutti insieme, perciò con la speranza impegnata e fondata sulla convinzione delle nostre comuni radici. Speranza collettiva e solidale, e quindi vaccino di tutti e per tutti. Solo così anche l’unione fra i 27 stati europei può diventare realtà concreta. Costruire la speranza è possibile se pur fiaccati e messi in ginocchio ricuperiamo la cura di noi stessi, del prossimo e del creato.

Autore: Albino Michelin       5.12.2020
albin.michel@live.com

mercoledì 20 gennaio 2021

CON LA PAZIENZA POSSEDERETE LE VOSTRE ANIME

Questa espressione di Gesù tratta dal Vangelo di Luca (21,19) è profondamente vera perché la sperimentiamo sulla nostra pelle. Quello che in buona parte oggi abbiamo perso o stiamo perdendo con la pazienza è proprio la nostra anima. Viviamo in un tempo di alta velocità e di pazzesca frenesia. Dal 1960 con la scoperta e l’utilizzo dell’elettronica stiamo fuori di testa. Il tempo è oro, produrre per consumare, consumare per produrre, usa e getta, dai supermercati sughetto pronto, cene surgelate, torte veloci. Stiamo facendo saltare il muretto fra il tempo e la vita. Cellulare, SMS, online il mondo in casa e noi ai confini del mondo, stipuliamo contratti, Amazon ci porta ogni richiesta sotto la finestra. Orologi sempre sincronizzati a scadenze immediate. Tutto, subito, adesso. Morsi dalla tarantola, non c’è spazio per la pazienza. Che se poi la nostra civiltà viene attraversata da un incidente di percorso come l’attuale pandemia Covid 19 esplodono risse nazionali, rivolte popolari, incontenibile rabbia sociale contro chi governa e ci vieta nell’interesse della salute nazionale gli assembramenti di persone, movide, stadi, festini, viaggi, piste sciistiche, balere, affollate celebrazioni religiose, succede una baraonda indescrivibile, ci manca la pazienza. Il codice morale:” non fare agli altri quello non vorresti gli altri facessero a te, la mia libertà finisce dove comincia la tua, assunzione di responsabilità collettiva,” parole al vento, moralismi retorici. Si da’ l’impressione che la pazienza significhi sconfitta, inerzia, pigrizia, rassegnazione, passività, indolenza, compromesso al ribasso, apatia. Qualcuno ritorna a citare Giobbe:” Dio ha dato, Dio ha tolto sia benedetto il nome del Signore.” Tentiamo qualche rimedio. Anzitutto bisognerebbe imparare dalla natura il cui nome si chiama pazienza, lo scrive Balzac. Gandhi disse che la goccia scava la roccia. La natura è paziente nella sua creazione e nella sua evoluzione. Giacomo che non era un agronomo ma un evangelista scrisse nella sua lettera acclusa alla Bibbia:” guardate l’agricoltore che aspetta pazientemente il frutto della terra finché non abbia ricevuto la pioggia d’autunno e di primavera” (5,7). La natura non fa salti. Perché il granello di frumento divenga pane croccante sulla tavola di famiglia ci vuole il suo tempo, due stagioni e non ha senso forzare la maturazione. Confucio da parte sua aggiungeva che la pazienza è potere, con il tempo e la pazienza ogni foglia di gelso diventa seta. Per la gestazione di un bambino ci vogliono nove mesi nel grembo materno, e in genere un prematuro come il settimino è fortunato se non si porterà dietro delle conseguenze. Dice bene il proverbio tutto romanesco che la gatta frettolosa fece i gattini ciechi. Se la pazienza è essenziale nella biologia e vita vegetativa altrettanto lo è nella crescita culturale, etica e religiosa. Nessuno può arrivare ad una laurea se non inizia dall’alfabeto e attraverso un faticoso tirocinio non si prepari con costanza agli esami. Corsi accelerati e laurea con l’astuzia, con il denaro e con le amicizie comperata è un danno che si procura a se stessi e alla propria professionalità. Lo stesso discorso vale per la politica e le relazioni internazionali. Quante guerre nella storia si sarebbero evitate se vi si fosse premesso un dialogo paziente, una diplomazia lungimirante. Anche oggi i problemi che ci assillano sull’ Europa unita, sull’ accoglienza dei profughi del mare, sui poveri del terzo mondo, sull’ecosistema inquinato, nulla si conclude sbattendo i pugni e senza un approccio positivo e dialogico. Perdere la pazienza in questo ambito è perdere la battaglia in vista di una convivenza umana a rischio. E rientrando nel nostro privato: quante coppie in famiglia scoppiano per mancanza di pazienza, per non lasciare tempo al tempo, per non dormirci almeno una notte sopra le nostre litigate. E’ segno di grande forza interiore la pazienza con le cose che non sono quasi mai come vorremmo, con gli avvenimenti spesso contrari che sembrano studiati apposto per infrangere le nostre speranze, con le persone che mettono a dura prova la nostra sopportazione. Il cattolicesimo annovera nella sua dottrina quattro virtu’ cardinali: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, situando la pazienza quale anello di congiunzione fra le ultime due. Pure il Budda, la cui meditazione orientale è praticata anche nella nostra religione occidentale così pragmatica, pone la pazienza come una delle sei pratiche essenziali per essere suoi discepoli. Da non perdere l’occasione quindi in certe frenate sociali come il coronavirus che ci obbligano periodicamente a stare fra le mura domestiche: si può leggere, studiare, godere il bello Tv attraverso le arti figurative e musicali, superare la trappola della frenesia, trovare le coordinate della felicità, accumulare conoscenze e distillarle lentamente in vista del futuro, pure riscoprire la preghiera personale. La pazienza è la virtu’ dei forti. Aveva ragione Gesù:“ con la pazienza possederete le anime vostre”.

Autore: Albino Michelin      30.11.2020
albin.michel@live.com