mercoledì 24 marzo 2021

SAN REMO 2021: GIÙ LE MANI DAI SIMBOLI SACRI

Dalla prima edizione del 1951 a questa settantunesima di strada il nostro palcoscenico della canzone italiana ne ha fatto molta. Da quando Nilla Pizzi ha ricevuto il primo premio con “Grazie dei Fiori” questo festival è diventata la vetrina musicale più popolare della nostra gente. Molti canticchiano ancor oggi Vola Colomba, Vecchio Scarpone, Mamme, Volare. Ovvio che con gli anni anche la musica specchio dei tempi si è evoluta: melodica, pop, rock, urlata, di protesta, tecno, jazzista, edonista. E siamo arrivati al 2021, cinque serate 2-6- marzo. Ad altri l’intento di farne un giudizio dal punto di vista artistico, dei contenuti, con analisi sociologiche, auditel e quant’altro. In questo articolo si vuole focalizzare l’evento da un angolo circoscritto, ma significativo. Breve inquadratura: due presentatori: Amedeo Sebastiani (Amadeus), e Rosario Fiorello, 26 artisti, alcuni ospiti d’onore, fra cui Lauro De Marinis col nome d’arte Achille Lauro. Contorni, abbigliamenti bizzarri, un insolito femminilismo, confusione di generi, travestimenti eccentrici, maschi vestiti da femmine, baci gay per combattere l’omofobia: forse l’effetto della pandemia, il bisogno di uscire dall’isolamento e dalla depressione. Fino a qui quanto ci ha passato il convento. Un’osservazione però e abbastanza pertinente è sul numero esibito dal duo Lauro-Fiorello. Vestito total black, con la corona di spine cinta attorno al capo, lo showman Achille esegue la sua canzone “Me ne frego”. Già il testo si presta a delle riserve: un messaggio dal significato:” me ne frego, faccio l’amore col mio ego”. Praticamente l’apologia del nulla, del proprio individualismo, della propria istintualità, del vuoto, dell’irrilevanza di ogni regola e dei così detti valori. Ma gira e rigira non è tanto il testo che fa stupore quanto l’abbinamento con la corona di spine, simbolo sacro della passione di Gesù, dell’Ecce Homo di Pilato, quando questi condanna Gesù così conciato e distrutto all’esecuzione capitale. Ma qui non è stupore è reazione giustificata. Forse volevano i due figuranti anticipare la rappresentazione della passione di Gesù stante la Pasqua ormai alle porte? Anche questa volta ci si appella alla libertà di opinione, siamo in democrazia, libertà di espressione. Ovviamente non potevano mancare le reazioni, in quanto ogni simbolo sacro ha la sua collocazione, diversamente diventa profanazione. Tanto più che questa blasfemia è stata divulgata sulle copertine di innumerevoli riviste. E reazioni sono arrivate subito dal Vescovo di San Remo A. Suetta e dall’Aie (Associazione italiana esorcisti), talvolta considerati intimidatori perché metterebbero satana dovunque. Ma in questo caso non si può dare loro torto quando sostengono non potersi definire culturale e men che meno educativo per le nuove generazioni un simile spaccio di cinismo verso i simboli sacri. Come tutti i torti non avrebbe il parroco di Montemurro (PZ) A. Mattatelli, quando per un’identica osservazione gli venne bloccato il Facebook per 12 ore. E non ebbe tutti i torti a reclamare sostenendo che questa è una dittatura, perché libertà di opinione ci sarebbe solo in campo politico e nel quotidiano, ma non nella religione. Il discorso sul simbolismo religioso è più profondo di quello che sembra. Perché non tocca Gesù Cristo, tocca il credente, cioè la persona. A Gesù Cristo quel baraccone folk di Achille+Fiorello non interessa per nulla. In cielo sputi, schiaffi, flagelli sghignazzi non lo tangono più. Ma al credente questo interessa, lo può offendere nell’ identità fondante. Ad un credente Cristo gli appartiene come la sua pelle. Si è già avuta in Italia qualche anno fa reazione del genere quando un esponente politico della Lega, M. Salvini esibiva e sbaciucchiava per le piazze crocefissi rosari, madonne, santini a scopo elettorale. Questa è pure prostituzione del sacro a interesse politico. Oltre al fatto che tali gesti richiedono coerenza non dimostrata nel caso da questo comiziante, plurimo accoppiato in barba alla tradizione cattolica e sprezzante di epiteti contro i diversi, rom, profughi, stranieri, in contrasto con ogni vangelo. Il nostro non se ne adonti. E giova anche rammentare l’atto terroristico di Parigi, del 7.5.2015 contro la redazione della rivista Hebdo con 12 assassinati per una satira nei confronti di Maometto. I simboli religiosi non hanno per oggetto la divinità ma la persona che vi aderisce, bisogna rispettare la loro collocazione. Il crocefisso in Italia è sempre causa di inutili battaglie da parte dei fondamentalisti intransigenti. Un non senso volerlo esporre od imporre dovunque: nei tribunali dove si svende la giustizia, nelle scuole dove si vuole catechizzare solo la propria religione anziché accogliere la cultura di tutte, nei bar dove circolano bestemmie di fuoco. Il Crocefisso bene nelle chiese, luoghi di culto, sale di assemblea religiosa, sentieri di montagna dove l’escursionista può ristorarsi in una preghiera. Inoltre rispetto per tutti i simboli non solo per quelli cattolici. Per quello degli ebrei, (la menorah), dei musulmani, (la mezzaluna), degli induisti. (Om). Oggi si pubblicizza ovunque l’espressione: rispetto. A San Remo arrivi un augurio per il prossimo festival 2022: rispetto anche per i simboli sacri.
 

Autore: Albino Michelin   09.03.2021
albin.michel@live.com

lunedì 22 marzo 2021

LA DONNA IN SVIZZERA A 50 ANNI DAL DIRITTO DI VOTO

Negli ultimi due secoli dopo la rivoluzione francese e con l’affermazione dell’illuminismo, camminare al lume della ragione, tanti obbiettivi si sono raggiunti e in maggioranza positivi. Uno dei più difficili e laboriosi è stato quello della parità diritti uomo-donna. Nuova Zelanda per prima, 1907 Norvegia, 1913 Danimarca, Islanda, 1918 Austria, Germania, Regno Unito, 1945 Italia, 7.2.1971 Svizzera. Ovviamente qui ci limitiamo alla Svizzera. Si è trattato di un cammino lungo, difficile, conflittuale, anche se inizialmente condotto da una minoranza di donne. Nell’arco di 123 anni lungo il percorso rafforzato dal sostegno degli uomini, in modo particolare militanti nel partito socialista. Inizialmente la prima Costituzione Federale del 1848 dichiarava che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma il diritto di voto era riservato solo a quelli di sesso maschile. La donna doveva restare fiera nella sua trilogia delle tre K. Küche, Kinder, Kirche (Cucina, bambini, chiesa). Uscire da questa trilogia significava snaturarsi, al che la chiesa aggiungeva il castigo per il peccato originale commesso nel paradiso terrestre, conseguente alla sua disubbidienza al Creatore nel mangiar la mela. In seguito alla promulgazione della Costituzione si sono formate le prime associazioni femminili intenzionate di esigere parità. Nel 1886 decisiva fu l’intraprendenza della prima leader Meta von Salis a calarsi nell’agone. Diverse richieste furono fatte al Governo Federale, chiaramente respinte. Se da una parte questo veniva chiamato il Movimento del Lumacone per la sua lentezza nel raggiungere gli obbiettivi, dall’altra si avverava quanto dice il proverbio “la goccia insistente scava la roccia”. Nel 1929 una petizione di 250 mila firme venne dal Parlamento ugualmente bocciata. Dal 1951 al 55 le varie associazioni e consultazioni divennero palla di neve, finché nel 1969 si organizzò una massiccia discesa in piazza di tutte le donne per reclamare questo loro diritto. Che venne raggiunto con la con la votazione federale del 7.2.1971: votanti 65%, favorevoli 66%, contrari 34%. Cantoni su 26: favorevoli 19, contrari 7. Il 29.4. 21 verrà commemorato l’evento con l’emissione di una medaglia d’oro. Gli altri 7 cantoni continuarono nel dibattito sulla parità dei diritti e finalmente nel 1990 con l’accettazione dell’ultimo, l’Appenzello interno, il suffragio femminile divenne totale a livello comunale, cantonale, nazionale. Ma dopo quella data ancora lungo fu e resta il cammino della donna per una effettiva parità. Ad esempio quella salariale. Si sa che nella Costituzione svizzera del 18.4.1999 iniziante con il preambolo” in nome di Dio onnipotente” si scrive:” l’uomo e la donna hanno diritto ad un salario uguale per un lavoro di ugual valore”. Parole rimaste troppo nel vento. La donna a tutt’oggi è penalizzata perché spesso lavora in settori a basso salario, vedi pulizie, ristorazione, commercio in dettaglio, più le incombenze di famiglia. Sei donne su dieci vivono con lavoro parziale, mentre 1,8 se si tratta di uomini. Nella busta paga delle donne abbiamo la media di 1.455 fr. mensili di meno in paragone. Le imprese sono debitrici alle donne di circa 10 miliardi all’anno. Il 56% di queste differenze può essere spiegato da fattori oggettivi, come la posizione professionale, l’anzianità, il titolo di studio. Tuttavia il 44% dei diritti salariali rivela una potenziale discriminazione in questo settore. Tant’è che il 14.6.2019 si è registrato uno sciopero nazionale nelle piazze inondate dalle femministe. Non basta essere femminili in questa società, quando occorre è opportuno diventare persone sensibili non solo alla gentilezza, ma alla giustizia per tutti. Di qui le” femministe”. Il 1.7.2020 è stata costituita una commissione sociale per le ditte superiori a 100 dipendenti a cui le donne possono rivolgersi contro questo tipo di discriminazione, ma le donne anche qui devono avere il coraggio di alzare la testa con una nuova attitudine solidale. Altro diritto da raggiungere è l’alternanza in famiglia uomo-donna. Si sa che dal 2005 la donna ha il diritto congedo maternità di 14 settimane e l’uomo dalla votazione del 27.9.2020 a 2 settimane, ma è ancora poco, anche qui processo lento. In quanto poi alle giovani della futura generazione esiste una disparità, nel senso che presso le scuole superiori abbiamo più donne che uomini, al contrario invece nei piani alti. Indubbiamente se in futuro si avrà una maggior cultura e presenza del femminile nella politica, nell’amministrazione, nel sociale avremmo anche una maggiore sensibilità e onestà nelle relazioni umane Vale la pena convincersi che la parità uomo-donna ad ogni livello gioverebbe ad entrambi le parti.

Autore: Albino Michelin   27.02.2021
albin.michel@live.com

venerdì 19 marzo 2021

LA DOTTA IGNORANZA

Non sono due espressioni contradditorie, ma si riferiscono ad un libro dell’umanista tedesco Nicola Cusano del 1440. In gergo viene chiamato ossimoro, cioè accostamento di due termini di senso apparentemente contrario. In effetti se si è dotti non si è ignoranti e viceversa. Il Cusano con il giusto senso de proprio limite sosteneva “so di non sapere” e specialmente parlando di Dio affermava che di lui noi non possiamo dire tante cose (= siamo ignoranti), però nello stesso tempo animati dalla curiosità di sapere sempre qualcosa di più. Sia su di lui, come su di ogni realtà umana. Tale curiosità la definisce dotta: di qui il titolo. Lo stesso problema riportato ad oggi non sarebbe quello di conoscere tutto, ma la curiosità del sapere, dell’auto appropriazione, del confronto nell’ambito di qualsiasi disciplina. Senz’altro dire ad una persona “ignorante” è un’offesa imperdonabile. Ma qui “dotta ignoranza” fa capire che la cultura non consiste tanto nel sapere, quanto nel sapere di non sapere, che non è un litigio di parole, e quindi sperimentare dentro di sé una perenne curiosità dell’oltre e delle sue motivazioni. E questo indipendentemente dall’età. Vi sono infatti giovani già vecchi perché bloccati da una pigrizia e sclerosi mentale, considerano inutili gli studi, secondo un certo proverbio veneto” laora e tasi”, lavora e taci. Quindi per molti l’ignoranza è addirittura comoda. Ma vi sono anche anziani sempre giovani in quanto tesi perennemente all’alimentazione del loro spirito. Al limite non si nasce analfabeti, analfabeti spesso si diventa e non è un paradosso. Ed è di qui che si collega anche una differenza di fondo. Molti sostengono che per essere onesti sia sufficiente farsi una cultura. Che la disonestà, criminalità, ingiustizia dipendano dalla mancanza di cultura. In parte è vero, in parte un po’ meno. Anche perché se giustamente ci riferiamo all’antico maestro greco Socrate esiste una distinzione fra istruzione ed educazione. Entrambi fanno parte della cultura, ma la differenza sta che l’istruzione è introdursi delle nozioni dall’esterno, l’educazione (latino educere=estrarre) è far riemergere dal nostro interno motivazioni e valori migliori per renderli operativi nella vita. In effetti esistono persone molto istruite che compiono ogni sorta di trasgressioni, di cafonerie e di delinquenze. Non vogliamo sempre riferirci ad un caso emblematico, quello di Eichmann (fra gli infiniti), finissimo intellettuale, ma privo di educazione e di tant’altro se si pensa alla pianificazione della shoah con milioni di ebrei bruciati ai forni crematori. E’ fuori discussione che l’istruzione può servire all’educazione, ma a questo punto le necessita un supplemento d’anima, proveniente dalle riserve della propria spiritualità, a patto che la persona rifiuti di farsi trainare dagli istinti di turno, i quali non si situano tutti e sempre sul piano della ragione. E’ solo così che la scienza può diventare coscienza. E rovesciando lo stesso argomento si può cadere in un altro equivoco, quello che disonestà, ingiustizia, malvagità siano soltanto frutto della diseducazione in quanto l’uomo sarebbe essenzialmente, buono. La malvagità non sarebbe intrinseca all’essere umano, ma una malattia della mente, che si chiama ignoranza. L’affermazione va se si esclude nel caso ignoranza incolpevole, tipo analfabetismo, deficit di istruzione. Ma non certo quando l’ignoranza è quella oggi tanto diffusa, cioè ignoranza blindata nel proprio orgoglio, identitarismo, fondamentalismo, saccenza, arroganza, nel so tutto io. Questa considerata sentimento di onnipotenza è invece pietosa debolezza. Ed è veramente pericolosa, al di là del livello di scolarizzazione, più ancora della malvagità. Perché con una canaglia si può sempre ragionare, ma con un ignorante di questo tipo mai, tempo perso. E qui costatiamo che ogni forma di potere ha bisogno dell’ignoranza dei sudditi e di sfruttarla. Pensiamo al nazismo e alle dittature di ogni genere che hanno potuto sviluppare la loro brutalità deprivando le masse del libero pensiero. Al sovranismo attuale che si espande inoculando slogan identitari e gretti del chi fa per sé fa per tre, contro l’uno per tutti e il tutti per uno. Al trumpismo negli Usa che ha fatto furori perché il popolo di fronte ad un potente milionario perde il lume della ragione e il senso dell’umana solidarietà. Al potere occulto dei media, che col pretesto dell’informazione catechizzano i creduloni, li strumentalizzano, li inebetiscono, e questi abbindolati si fanno la loro cultura su“ l’ha detto la TV e il Grande Fratello”. Alla stessa chiesa che nel passato è talvolta caduta nella tentazione di esercitare questo tipo di potere, con l’Indice dei libri proibiti, occultando la bibbia e l’imperativo:” figliolo credi senza discussioni, misteri della fede”. Ogni tipo di potere ha bisogno del suo “gregge” e impedire che il singolo esca dal gregge e divenga un “egregio”, cioè pensatore autonomo. Forse proprio questo voleva dire Cusano nel 1440 con il suo libro dal titolo “La dotta ignoranza” e così riaffermare pure l’evangelico consiglio di Gesù:’” La verità vi farà liberi”

Autore: Albino Michelin   15.02.2021
albin.michel@live.com

giovedì 18 marzo 2021

URGE UNA RIFORMA DELLA TEOLOGIA CATTOLICA

Si pensa che la teologia sia una scienza elitaria del clero, riservata agli addetti, a qualche appassionato di scienze religiose, relegata nei conventi e seminari. La gente comune, non è suo mestiere disquisire su teorie astratte. Invece la teologia (dal greco teos-logos, studio su Dio) è l’asse e la struttura portante della fede e della tradizione cattolica. Di qui la schizofrenia secolare: una cultura teologica del vertice che tutto decide da una parte, dall’altra una ignoranza popolare della base verniciata di catechismo che prona ubbidisce. E così si è creata la sclerosi del pensiero cattolico. Fortuna che da qualche tempo ci si risveglia e si lavora da parte di molti competenti in materia: cammino non facile perché si arrischia come nel trentennio Wojtyla-Ratzinger (1978-2013), anche se molto meno con Bergoglio, l’estromissione dall’ insegnamento ufficiale. Oggi però dopo il “trionfo” della traduzione di qualche riga del messale, durata decenni, si è all’alba di una nuova teologia, e se ne sente il bisogno. A comprovarlo bastano due casi, da cui si possono trarre conseguenze più vaste. Oggi è superata la filosofica greca, definita ancella o stampella della teologia, con la sua cosmologia e scienza. La visione dell’universo che ci ha descritto la Bibbia e ritenuta anche al tempo di Gesù e da lui stesso è molto diversa da quella di Galileo del 1500, prima della quale si conosceva soltanto l’astronomia di Tolomeo (100 d.C.), cioè il geocentrismo. La terra al centro attorno cui girano il sole e gli astri. Creato suddiviso in tre piani: in alto il cielo con i pianeti sede delle divinità Giove, Marte, Venere… in basso la terra abitazione degli uomini. Nel sottosuolo detto gli inferi serie di cavernicoli, in cui riposavano le anime dei morti a guisa di larve in attesa. Con Galileo e il suo eliocentrismo si rovescia il mondo e la scienza astronomica. In alto il sole cui attorno gira la terra con i pianeti, nel sottosuolo falde acquifere. Però sullo schema precedente si è costruito il dogma della discesa di Gesù agli inferi dopo la morte, dogma che noi professiamo nel credo. Questa triade non regge, senza voler qui entrare nel discorso paradiso inferno, e quindi nemmeno regge questo dogma, caso mai lo si può conservare come reperto storico. Ci voleva e ci vuole poco capire che si tratta di un mito simbolico a significare che dopo la morte tutti i defunti si riuniscono in Cristo. Qui è chiaro l’insegnamento, cioè che la chiesa dovrebbe accettare l’evoluzione del mito secondo la scienza, anziché ritenersi in modo letterale principio dogmatico, irriformabile. Il secondo problema che ci interessa: l’evoluzione dell’uomo. La teologia tradizionale parte da un punto per lei indiscutibile, chiamato creazione diretta di Adamo ed Eva da parte di Dio 5-6.mila anni fa, chissà con quale conteggio. E di lì la disubbidienza della coppia al Creatore, il castigo di tutti i discendenti, Dio benevolo che manda suo figlio sulla terra a morire sulla croce per espiare i nostri peccati, così noi attraverso la chiesa e i sacramenti ricuperiamo la salvezza eterna. Schema classico, chiamato piano della salvezza. Ma anche qui oggi la scienza parla diversamente. L’uomo risalirebbe a 3 milioni di anni fa (circa) a nome Lucy con un cervello di 30 cm. cubi a confronto del nostro attuale di 1.300, seguito dall’homo habilis 2 milioni di anni, Heidelberg e Neanderthal 250 mila fino a 30 mila anni fa, quindi il nostro sapiens e gli attuali quasi 8 miliardi di umani. Dove collochiamo il peccato originale della prima coppia? Con la Lucy?, dopo l’homo habilis, dopo quello erechtus, dopo quello di Heidelberg, dopo quello di Neanderthal, dopo quello sapiens? Quanto peccati originali diversi ci dovrebbero essere? Ma la teologia tradizionale è legata al letteralismo cronologico della Bibbia. La difficoltà di accettare una descrizione simbolica per il timore di reinterpretare il piano della salvezza. Non entriamo qui nel complesso problema del male. Provvisoriamente riteniamo che anche noi uomini per evoluzione deriviamo dagli animali ereditando da essi il positivo e il negativo, distinguendoci per il fatto che essi uccidono per cibo, noi uccidiamo i nostri simili per malvagità. Però la nostra teologia rimane su quello schema, e lo ribadisce anche nell’ultimo Catechismo ai numeri 385-421 detti del peccato originale. Certo nulla contro i teologi dal primo cristianesimo ai nostri giorni, contro Agostino di Ippona, Tommaso d’Acquino, Anselmo d’Aosta, Cusano, Ignazio, Lutero, Pascal, Kierkegaard, Danielou, De Lubac, Barth, Urs Von Balthasar, Ratzinger, Küng, tutt’altro che carneadi. La teologia dovrebbe però evitare il carattere autoritario, non è assolutezza come la scienza. Questa si basa su esperienze concrete, la teologia su immagini e simboli. Essa non distrugge nessuna fede e religione ma le orienta secondo l’evoluzione della scienza e del mondo. Dio non cambia in sé, cambia il nostro modo di pensarlo. E come alla terra gli astronomi quattro secoli fa dissero: “eppur si muove”, così oggi i cattolici ugualmente potranno dire alla teologia:“eppur si muove.”

Autore: Albino Michelin   01.02.2021
albin.michel@live.com

mercoledì 17 marzo 2021

L'ETERNO PROBLEMA DEL PERCHÉ IL MALE

E’ la domanda che gli uomini di ogni tempo dal filosofo greco Epicuro (300 a.C.) ad oggi hanno posto agli dei e al nostro Dio o come negazione della sua esistenza o come negazione della sua provvidenza. L’argomentazione in sintesi sarebbe la seguente: o Dio può eliminare i nostri mali e non vuole e allora è un malevolo, oppure vuole e non può e allora è un impotente, oppure non vuole e non può e allora è un’entità inutile, oppure vuole e può e non interviene, ma allora è un essere inquietante. Il male è una realtà complessa e va analizzata per parti. Esiste una male metafisico, cioè conseguente al nostro mondo ed esistenza limitata, tipo catastrofi naturali, terremoti, inondazioni. Qui non lo mettiamo in conto nel senso che come oggi la meteo può prevedere il tempo di domani, così la scienza potrebbe in un futuro sia pur lontano prevedere anche questi fenomeni in modo da non costruire città su terreni sismici o soggetti a inondazioni. Esiste poi un male fisico: come il dolore degli innocenti, malattie interminabili, nati anomali, morti improvvise. Lo riprendiamo subito sotto. Esiste quindi un male morale: quello causato dalla coscienza o incoscienza degli uomini, come guerre, torture, discriminazioni, attentati, omicidi. In questo caso è insensato appellarsi a Dio, è responsabilità dell’uomo e chi causa il suo mal pianga se stesso. Esiste anche un male espiatorio, quest’ultimo scelto e invocato da determinate persone per motivi religiosi, frequenti nella storia del cattolicesimo, esempio fra gli innumerevoli Jacopone da Todi (1230) che chiede al Signore una cinquantina di malattie, dal mal di denti alle emorroidi per poter espiare i propri peccati, quelli dell’umanità, liberare le anime del purgatorio, identificarsi con le sofferenze di Gesù in croce, fermare la mano punitrice di Dio sulle iniquità del mondo. Qui un dubbio: più una strumentalizzazione masochista mascherata di spiritualità, da curare. Esiste infine un male di prova, tipico di quelli che sostengono Dio non vuole ma permette la sofferenza per sottoporre alla prova la fede del credente. Ricorda Macchiavelli che sosteneva il fine buono (tipo guadagnarsi il paradiso) giustifica ogni mezzo (la sofferenza). Come un padre che mettesse alla prova e conseguente rischio un figlio perché gli vuole bene: un caso da galera immediata, mi diceva un obbiettore. In tanta complessità ci si limita qui al male fisico, evidenziando la risposta data da Gesù quando gli presentarono un nato cieco dalla nascita chiedendogli chi avesse peccato, lui, i suoi genitori, i nonni, gli antenati. E questo perché alcuni curiosi avevano in testa il detto della Bibbia, (Dt 5,9) nel quale si legge che Dio punisce i peccati dei genitori nei figli fino alla terza e quarta generazione. Ma Gesù, predicando la buona novella che Dio è amore e non punisce nessuno, non entrava in discussione nel merito sapendo di essere venuto a completare e ad evolvere la legge dell’Antico Testamento. Altri presenti erano convinti che quel male, come ogni disgrazia venisse dal diavolo. Era la mentalità del tempo, persino degli evangelisti, che anche un semplice raffreddore ritenevano fosse opera del diavolo. Anche qui Gesù non entra in discussioni teoriche sapendo che l’ossessione del diavolo proveniva dalla dottrina di Zaratustra della Mesopotamia qualche secolo prima, perciò Dio non poteva avere dei concorrenti onnipotenti a contrastarlo. E su questo punto non manchiamo di rispetto dicendo che Dio è il primo ateo in quanto non può avere alcuna divinità fuori di lui. Altri curiosi rammentavano il mito delle origini, della ribellione di Adamo ed Eva a Dio a motivo della mela, quello che noi oggi chiamiamo peccato originale con il conseguente castigo di Dio sull’umanità a venire, quindi attribuivano a questo filone la disgrazia del nato cieco. Bene, Gesù chiarisce ogni dubbio e dichiara:” nessuno ha peccato, ma è così perché in lui si manifestino le opere di Dio” (Giov.9.2). Nessuna relazione fra peccato e malattia ma all’apparenza una risposta sibillina. La spiegazione qui di molti teologi attuali sembrerà una favola da barbi, però si situa nella logica della fede e del cammino della storia: nessuna nostalgia di un paradiso perduto, ma un progetto perché la creazione non è finita. Cioè Dio opera continuamente e con l’uomo affinché il dolore e il male vengano tolti dal mondo. Perché creazione ed umanità sono in cammino verso un mondo nuovo. Un discorso ricuperato e approfondito dallo scienziato teologo del nostro tempo T. De Chardin, e dalla sua scuola, secondo il quale l’umanità è in continua evoluzione da tre milioni di anni e forse chissà per quanti, con inizio dalla cosmogenesi alla biogenesi, alla noogenesi (mente), alla cristogenesi. Lungo percorso verso una umanizzazione sempre più perfetta, quando Dio sarà tutto in tutti (1 Cor.15,28). Questa l’attuale teologia e filosofia cristiana, sia pure una fra le tante, che però ha il vantaggio di rendere l’uomo cosciente a che il superamento del male e di tanti mali nel mondo è a carico della sua corresponsabilità

Autore: Albino Michelin   19.01.2021
albin.michel@live.com