mercoledì 19 maggio 2021

RIFORMA DELLA MESSA E DEL MESSALE: LA PAROLA ANCHE AI FEDELI

Ricevo dal Piemonte a firma di Giancarlo Martini:” Da laico stranamente interessato alla liturgia sono preoccupato personalmente per il modo con cui si guarda al nuovo messale e cioè solo a ciò che norma e regola e in modo cogente l’azione liturgica e non come eventuale modello che stimoli la creatività delle varie comunità celebranti. Parlo di comunità celebranti, mentre anche il nuovo messale non mi pare favorisca una presenza davvero partecipe dell’assemblea. Il celebrante di fatto secondo le rubriche continua ad essere identificato con chi presiede. Grazie” (Verbania 16.2.21). L’osservazione non scopre l’acqua calda perché è da tradizione immemorabile che i laici siano tenuti estranei alla concelebrazione della messa e finalmente solo qualcuno come lo scrivente noti la contraddizione. In effetti anche il documento ad hoc del Concilio ultimo 1965 raccomanda che i laici non siano assistenti passivi, ma partecipino attivamente (III,48). Ovvio che tale partecipazione non dovrebbe limitarsi ad una decina di movimenti corporei, in piedi, seduti, in piedi, in ginocchio e a passivo silenzio di ascolto e adorazione. Distanza anni luce dalla concelebrazione delle prime messe condivisione di Paolo. A scanso di equivoci non significa che tutti fanno tutto ma che la comunità celebra attraverso la rappresentanza del sacerdote. Dopo mesi di sperimentazione nuovo messale e rito vengono inaugurati ufficialmente la domenica di Pasqua 4 aprile 2021. Intanto una premessa notata da molti esperti: ci sta sotto un peccato originale, cioè che traduzione e riforma sono stati eseguiti senza interpellare le varie conferenze cattoliche nazionali e quindi il tutto centralizzato nella Curia vaticana romana. E bene fa papa Bergoglio ad obbligare le varie nazioni a costituire organismi sinodali con assemblea periodiche per studiare i problemi della chiesa e decidere in modo più assembleare e capillare con delle variabili secondo le esigenze locali. Negli ultimi mesi a scopo conoscenza tentai di organizzare in località sparse degli incontri e sollecitare l’opinione dei laici praticanti o occasionali sulla ricezione di tale novità, premettendo una lettura completa del testo della messa. In sintesi dalle osservazioni di circa un centinaio di persone sono emerse tre direttrici: 1) Autocolpevolizzazione, con ripetitività quasi ossessionante 2) Insistenza eccessiva sulla messa quale sacrificio di Gesù sulla croce 3) Poco ottimismo nell’ annuncio del vangelo quale messaggio di gioia. Qualche dettaglio al punto 1). Appena si entra alla messa subito la confessione, peccatori senza sentirsi accogliere con un benvenuto. Un “Signore pietà” e corrispondenti formule ripetute durante il rito per una decina di volte. Al punto 2) le osservazioni più marcate. Ma quante volte deve morire Gesù in croce se ogni messa ne è la ripetizione? Come possibile che Dio abbia voluto la di lui morte per venire soddisfatto dai peccati dell’umanità? Qui va opportuna una risposta. Anzitutto Gesù non muore in croce ad ogni messa. In effetti Pietro scrive: “Gesù è morto una volta per tutte” (1°,1,8). E’ vero che nella messa in diversi canoni si legge, come nel IV “Padre guarda con amore la vittima che tu stesso hai preparato”. Indubbiamente modo intenso per esprimere l’amore infinito di Dio nei nostri confronti, però non coinvolgiamo alla lettera Dio in una mattanza, o in un infanticidio. Comprensibile se la formulazione si rifà al costume degli antichi patriarchi e faraoni che richiedevano sacrifici umani a protezione divina sulla nuova città. Certo che nell’ultima cena Gesù sapeva di andare incontro al martirio non in quanto voluto da Dio, ma in quanto conseguenze delle sue scelte, rinunciare alla vita piuttosto che alla sua missione. Invece la nostra messa “dovrebbe” essere un memoriale, un ripresentare, non un ripetere la morte di Gesù Così il Concilio Ecumenico 1964 (III, 47) che ammorbidisce le polemiche con i protestanti al Concilio di Trento (1564) E’ per questo che fuori d’Italia la maggioranza dei sacerdoti sostituiscono la formula centrale” questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi” con l’altra “in amore per voi”. Al punto 3): poco ottimismo. Certo che vi è una grande differenza tra le prime messe di Paolo, chiamate cene del Signore o condivisione del pane e della vita con le nostre quando ad ogni messa seguiva la mensa. Oggi si ha molta difficoltà a celebrare la messa al di fuori del luogo sacro, in famiglia, all’aperto con i giovani, con interventi ed esperienze comunicate insieme. Per non dire di certe letture dell’antico testamento come quelle che incitano a sterminare gli infedeli, o dove si declama un Dio autodefinitosi geloso che punisce i peccati dei padri nei figli fino alla terza e quarta generazione. (Es.20,3-5). Quando invece sarebbe arricchente e convincente sostituire anche con qualche brano di laici profeti esistiti in ogni tempo e pure attuali. Queste alcune osservazioni in risposta alla richiesta di G.M. che si definisce laico stranamente interessato al coinvolgimento della comunità nella messa, quando in vece ha espresso un suo diritto e quello di tutti. Non sembri una banalizzazione del divino, ma il tentativo di avvicinare il divino all’esperienza di tutti.

Autore: Albino Michelin   27.04.2021
albin.michel@live.com

lunedì 17 maggio 2021

ROSARIO LIVATINO SICILIANO PRIMO BEATIFICATO MAGISTRATO ANTIMAFIA

La cittadinanza di Canicattì, grosso borgo nell'agrigentino, può andarne fiera e questa volta alzare orgogliosamente la testa. Il 9.5.21 viene fatto beato un suo concittadino ucciso il 24.09.1990 all'età di 38 anni sulla strada Caltanissetta Agrigento da quattro componenti della stidda (=stella), organizzazione criminale di tipo mafioso. Due dei quattro killer erano residenti in Germania facenti professione pizzaioli. Finalmente qualcosa di pulito senza sempre sentirci inondati dai soliti processi di primo, terzo, ennesimo grado. Un testimone eroico della giustizia e della Verità, una volta tanto con la V maiuscola. Rosario nasce il 3.10.52, a 23 anni si laurea in giurisprudenza, a 26 diventa magistrato presso il tribunale di Caltanissetta, a 27 giudice a latere. Appena trentenne inizia ad indagare seriamente su criminalità, tangentopoli, e sui modi di finanziamento operato dalla regione Sicilia. Svolge indagini sulla mafia locale e interrogazioni a diversi politici operando anche la confisca dei beni ai malavitosi. Troppo onesto nel suo lavoro non poteva continuare indenne e fu assassinato. Naturalmente seguirono i soliti lunghi discorsi sulle responsabilità dei superiori del giudice eliminato. Anche Borsellino e Falcone, destinati nel 92 alla stessa sorte, denunciarono l’assenza dello Stato. L'anno seguente l'allora presidente della repubblica Francesco Cossiga definì" giudici ragazzini" una serie di magistrati neofiti impegnati nella lotta contro la malia. Affermazione modestamente alquanto spregiativa che la più alta carica dello stato poteva forse risparmiarsi. Nel 1993 si è iniziato a raccogliere testimonianze per la causa di beatificazione, inviate definitivamente al Vaticano, dicastero Cause dei Santi nel 2018. Certo da tutti e in modo imparziale si riconobbe la statura morale e religiosamente coerente di questa persona. Non semplicemente per il fatto della sua frequentazione alla messa tanto da portarsi appresso l’appellativo di santocchio, ma per la sua testimonianza professionale senza protagonismo esibizionista. Il 18.7.1978 quando pronunciò il suo giuramento di magistrato con molta lucidità pregò:" che Dio mi aiuti a rispettare e far rispettare la legge. Fede e diritto sono due realtà interdipendenti a contatto e confronto vitale e indispensabili. Scegliere è una delle cose più difficili, per decidere rettamente e ordinare con coscienza si deve trovare un rapporto con Dio." Ed in altra occasione disse:" quando dovremo morire nessuno e nemmeno Dio ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma quanto siamo stati credibili con la nostra onestà".  Allorché le minacce mafiose si fanno sempre giù pressanti e l’ambiente borghese che lo circonda sempre più ostile egli non reagisce da superiore né da super santo. E sei anni prima della fine dichiara:" vedo nero nel mio futuro, che Dio mi perdoni." E per due anni si astiene dal fare la comunione in preda all'angoscia e allo sconforto. Fuori discussione, un uomo di eccezionale profilo. Come in altre occasioni anche qui inevitabile l'interrogativo: elevare una persona agli onori degli altari è ancora opportuno? Dipende anche dalla lettura che ognuno fa dell'evento: sì, se è monito illuminante ad impegnarsi nella propria professione con dedizione e trasparenza. L'esperienza cristiana non esime nessuno dalla correttezza e talvolta dall'eroismo deontologico cui è obbligato ogni cittadino e ogni politico che si dichiari (non tanto cattolico quanto) credente. É qui viene appropriata la definizione di "Levatino martire della giustizia e indirettamente della fede”. E allora si capisce questa beatificazione senza tanti fuochi di artificio, frutto del coraggio e tenacia di una fede laica. Rilevante è stata ovviamente la filmografia a sua memoria. Fra la decina di film basti citare quello di A. Robilant" Il giudice ragazzino". Questo evento ci offre l'occasione di porre alla Chiesa istituzione attraverso la Congregazione Causa dei santi alcune domande per una sollecita riforma richiesta da papa Bergoglio con la decardinalizzazione di G. Becciu, da lui decisa il 24.9.20. Perché non avere la stessa attenzione per la santità laica di altri esempi, tipo L. Martin King, D.-Bonhoeffer, ed infiniti altri, seppur di diversa religione? Che cosa hanno costoro di meno dei santi cattolici? La fabbrica dei santi è solo per i cattolici, per dare al mondo la spettacolarizzazione di una chiesa wojtyliana muscolosa e trionfante? Ed ancora: che senso ha esigere (da Dio?) miracoli per beatificare una persona e poi distribuire ovunque reliquie più o meno autentiche a guisa di mercato? Non è politeismo da superare quello di adorare una quarantina di chiodi della croce sparsi nel mondo, ossicini di santi mai esistiti, capelli e latte della Madonna, ecc.? Fortuna che Livatino pare abbia operato solo un “prodigio”, e tirato per i capelli alla signora Elena Valdetara, ma non c’era bisogno, guarendola da un tumore. Però si spera che questo beato non venga “ tagliato a pezzi” e distribuito per reliquie in tutto il mondo. Sembra irriverente ma a pensarci non lo è. Ed ancora: quanta costa la prassi per fare un santo? Anche qui trasparenza finanziaria cercasi, non sottovalutando quanto accennato da Sigfrido Ranucci nella trasmissione Reporter Rai 3 del 12.4.21. Con la lettera di Fida Maria che scrive a Bergoglio di sospendere la causa di beatificazione di suo padre Aldo Moro perché vittima di discordia fra bande, con sospetto di richiesta mazzette per accelerarne la beatificazione. Papa Francesco ha capito e fa di tutto per superare le inevitabili resistenze a favore di una chiesa credibile. Intanto conveniamo con lui al riconoscimento nei confronti del nuovo beato Rosario Livatino:" Oggi abbiamo bisogno di uomini d’amore, non di uomini d'onore”

Autore: Albino Michelin   05.04.2021
albin.michel@live.com

martedì 11 maggio 2021

CENTO ANNI DI MARXISMO E DI CONVIVENZA CON IL CRISTIANESIMO

 Non si vuole per la circostanza rilanciare il partito della falce e martello contro il popolo del crocefisso e fare un comizio quanto piuttosto una considerazione dopo un secolo di marxismo, su divergenze, convergenze, reciproci influssi, quali siano i cromosomi, il DNA, il codice genetico del marxismo calato in un contesto cattolico. Anzitutto va chiarito che il marxismo non è scomparso, esiste ancora, secondo l’assioma che niente si crea, niente si distrugge. Può eventualmente restare invisibile come percorso di acqua carsica e poi ritornare a galla quando le circostanze storico-economiche lo rendono possibile per il rinnovarsi delle pressioni che l’hanno generato. Quindi più che scomparso si è trasformato ed evoluto. Anche il marxismo non è realtà dogmatica immutabile: lo dimostra la caduta del Muro di Berlino (1.11.1989), con altri fenomeni nel mondo. Esiste un comunismo bolscevico, maoista cinese, coreano, cubano, sudamericano, italiano. Tutti però fanno capo al filosofo Karl Marx (1818-1883) che nel 1867 scrisse il Capitale. In esso definisce il comunismo:” dottrina politica economica fondata sulla proprietà comune dei mezzi di produzione attraverso la lotta di classe, per un futuro di uguaglianza universale.” Allo scopo va bandita la religione, il quanto oppio dei popoli:” l’uomo ricorre alla religione perché in essa vi trova una droga e una condizione artificiale per poter sopportare le ingiustizie di qua’ e costruirsi un paradiso nell’aldilà e così sfuggire agli impegni del presente.” In effetti per Marx è l’uomo che ha creato Dio, non viceversa. Il capitalismo invece suo antagonista si fonda sulla “proprietà privata dei mezzi di produzione nella separazione fra capitalisti e proprietari nullatenenti. Per i marxisti senza pane non c’è anima, per i capitalisti produrre per il profitto e viceversa. Il capitalismo come struttura è più antico del marxismo, può risalire verso il 1400 con le scoperte geografiche e quindi con le colonie e la relativa tratta e sfruttamento degli schiavi. Per venire a noi, in Italia il comunismo come partito è stato fondato da Gramsci il 21.1.1921 e chiuso come nomenclatura il 13.2.1991, continuando poi come dottrina di sinistra riveduta e corretta con altri nomi fino all’attuale PD. Il percorso è sempre stato caratterizzato da un colpo al cerchio e uno alla botte, un piede su due staffe. Un occhio di riguardo alla chiesa da una parte e l’impegno per la classe operaia dall’altra. A riprova ne è la Costituzione italiana del 1947, stesa anche dalla Commissione comunista con Togliatti che ha inserito e approvato all’art.7 i patti Lateranensi del 1929 in cui si concede alla chiesa una serie di privilegi pure finanziari. Papa Pio XII (1.7.1949) ha scomunicato il comunismo, mettendo fuori una maggioranza di gente morta di fame, che ha pure dovuto prendere la via dell’esilio, in pratica dell’emigrazione. L’idea marxista invece ha preso quota con Giovanni XXIII e il concilio ecumenico del 1962, soprattutto rivedendo la “oppio del popolo” e orientandola chiaramente come Gesù verso un impegno sociale. Prima contaminazione in Italia fra Cristianesimo e marxismo. Ed è stata una fioritura, una nuova stagione di persone di alto profilo cristiano e di gruppi. Card. Lercaro, Vescovi come Franzoni e Bettazzi, preti come don Milani, laici come Dossetti, La Pira, Moro, comunità come quelle di base, cattolici per il socialismo, teologia della liberazione in Sudamerica, professori di università come G. Girardi e Lutte, ed una galassia di pubblicazioni. Non ostante l’era Wojtyla e il ventennio ruiniano, che volevano l’unità dei cattolici stile monolitico feudale sullo stampo dei secoli medioevali in cui vi è sempre esistita una doppia chiesa: quella imperiale a imporre e deporre imperatori, e quella pauperistica a fianco dei poveri, vedi S. Francesco. Persino recentemente abbiamo avuto il presidente della commissione europea (2014-19) C. Junker che il 12.1.2013 ebbe a dichiarare “Se l’Unione Europea non affronta la disoccupazione e il salario minimo garantito a ciascun paese dell’Europa rischia di perdere la classe operaia, per dirla con K. Marx” Che in tanto consesso si vada a citare Marx sa pressoché di rinascita. E per andare a Gesù’: fuori discussione egli non era né marxista né capitalista, però il suo impegno era diretto alla costruzione di un nuovo assetto sociale fondato sulle strutture dell’amore. Quando egli disse: beati i poveri “in” spirito non intendeva beati i masochisti, ma beati voi affinché prendiate coscienza della vostra situazione e vi adoperiate a liberare il mondo dalla povertà, come io vi libero dalle malattie, dalla fame, dalla depressione esistenziale. Senza dimenticare che le sue prime comunità, comuniste ante litteram, mettevano i loro beni in comune, modello oggi ovviamente non ripetibile, ma lo spirito di condivisione sì. Gesù non era contro i ricchi, ma contro il modo di gestire il capitale ricchezza. Certo esistono delle divergenze fra Marxismo e Cristianesimo: nello spirito, nelle motivazioni, nei metodi. Nei risultati con il capitalismo siamo alla pari, basati entrambi sulla violenza: Che il comunismo mandi in Siberia o finisca alla forca migliaia di renitenti non fa differenza con il capitalismo che per lo sfruttamento del terzo mondo fa morire di fame altrettanti milioni di esseri umani. Però fra Cristianesimo e marxismo esistono pure delle convergenze: un certo messianismo per un mondo senza classi, l’uomo al centro con i suoi diritti: “da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo le sue necessita”. E il rispetto del creato casa comune, come sostiene Bergoglio, dai cattoborghesi definito” papa cattocomunista”.

Autore: Albino Michelin   29.03.2021
albin.michel@live.com

sabato 8 maggio 2021

GESÙ: FRA CHI LO RITIENE MESSIA E CHI RIVOLUZIONARIO POLITICO

Statistiche abbastanza credibili ci dicono che ogni anno escono su Gesù oltre 700 libri. Però non tutti lo presentano dallo stesso punto di vista. Chi secondo la storia, chi secondo l’arte, le devozioni, i miracoli, i santini pattinati. Altri invece secondo un’ottica politica. Gesù sarebbe stato un rivoluzionario antiromano, una specie di Che Guevara, intenzionato a liberare la Palestina dall’invasore di turno. Al tempo di Gesù questa contava circa mezzo milione di abitanti, 28 mila kmq, 250 km di estensione dalla Galilea del Nord alla Giudea del Sud, situata fra due grandi imperi, la Mesopotamia ad est e l’Egitto ad ovest, attraversata dalla strategica strada del mare, frequentata ovviamente da mercanti e da truppe di brigantaggio, e collegante le due potenze del tempo. Coloro che ritengono Gesù un belligerante politico fanno un assemblaggio di diversi brani dei vangeli e di reperti archeologici e ti danno del Nazareno una figura secondo la loro logica di partenza. Riassumiamo: Che la Palestina per due mila anni prima di lui sia stato un terreno fertile per invasioni, battaglie fra popoli confinanti, deportazioni è noto. Come pure una grande esasperazione e volontà di sovvertire l’assetto politico, di un Messia che venisse a liberarli dalle schiavitù. In modo accentuato dopo l’anno 63 a. C. quando Pompeo aveva concluso l’occupazione romana, aumentando così la ribellione e la guerriglia dei sudditi. Tanto che il legato Varo partì dalla Siria nel 4 a.C. e crocefisse 2000 ebrei in quel di Sefforis-Tiberiade. Quindi sempre più forte era l’esigenza di un Messia liberatore, un po’ come oggi si attende con ansia l’avvento di una Virologo Messia per debellare la pandemia covid. Nel sottobosco popolare si era formato anche un gruppo di partigiani antiromani, specie di comitato di liberazione chiamati Zeloti, fra altri di diverso genere, sacerdoti, farisei, sadducei interessati invece ad appoggiare gli occupanti. Sunteggiamo l’opinione dei sostenitori del Gesù rivoluzionario. “Al suo apparire all’età di 30 anni egli si sarebbe scelto un manipolo fra gli zeloti. Pietro, figlio di Bar Jona era un guerrigliero, che poi nella cattura del Getsemani avrebbe mozzato un orecchio ad una guardia, Giacomo e Giovanni figli del tuono, Giuda Iscariota portava un coltello (sica) sotto la tunica. Gesù frequentava i villaggi piuttosto che le città per poter reclutare amici fuori dal controllo delle guardie, predicava l’avvento del regno di Dio con l’intento di sostituirlo a quello romano, beneficava i poveri con lo scopo di adescarli alla sua causa, in nome del suo Dio trasgrediva le leggi della sanità nei confronti dei lebbrosi e quelle della religione curando di sabato, scacciando i commercianti dal tempio, tuonando contro i ricchi. Si è organizzato un ingresso trionfale a Gerusalemme per dare una dimostrazione di forza, ma venne catturato perché il suo esercito era una ciurma di montati. Nel processo di Pilato vedendo imminente la mal parata e la sconfitta si dichiarò re, ma non re di questo mondo, di quello futuro, con l’intento di farsi così giustizia a tempo differito, giudicando i vivi e i morti. Mentre portava la croce al Calvario riuscì a sfuggire e darsela a gambe, tanto che le guardie dovettero sostituirlo con Giuda, che così finì sul patibolo al posto del suo maestro. Le donne poi sparsero la notizia che Gesù se n’era volato in cielo, completando così la sua rivincita”. Questo in sintesi il pensiero comune degli interpreti “Gesù il rivoluzionario” Ma per i gli interpreti studiosi la suddetta è pretestuoso forzatura. Qualche controrisposta. Fra gli apostoli Gesù si era scelto quegli incontrati, senza selezione e concorso, nella prospettiva di una adeguata formazione. Nei rapporti con i romani è stato rispettoso come quanto disse date a Cesare quello che è di Cesare (Mt 22,21), quando a Cafarnao pagò la sua dogana (Mt.17,27), quando amorosamente guarì la figlia del centurione romano. (Mt,8,13). Se predicava per costruire il regno di Dio non intendeva “di” ma “in” questo mondo, uno spirito nuovo, fraternità solidarietà perdono ai nemici. In effetti parlava sempre di un cuore puro. Con la Samaritana ebbe a dire che Dio non si adora nel tempio di Samaria o di Gerusalemme. Ma in Spirito e verità. Ha collocato Dio nel cuore dell’uomo. Ha dichiarato di non essere venuto a portare la pace ma la spada, cioè la decisione e separazione netta fra il bene e il male, Gesù non ama il grigio. Con i peccatori non fu mai giudice colpevolizzatore, consolò l’adultera, nemmeno la condannò. Con la parabola della pecora smarrita invitò a lui tutti gli affaticati e gli oppressi. Certo aveva un rapporto di preghiera e di estasi (ex=fuori) con Dio, ma la sua vita era completamente intasi (in =dentro) cioè Identificata con le sofferenze della gente. Compassionevole fino alle lacrime. Garantisce che sarà con ogni uomo fino alla fine della vita e del mondo, dopo la quale lo spirito di ciascuno vivrà nella trascendenza di Dio. Ha predicato che l’uomo non è un tubo digerente, ma un figlio di Dio, dalla dignità infinita. La vita di Gesù va considerata nel suo rapporto di continuità e di coerenza, nella fedeltà ai fondamentali della religione proposta. E di qui l’influsso nei duemila anni di storia fino ad oggi. Non entrando in merito alle solite questioni, fatti e misfatti della chiesa (che non va identificata con Gesù) la presenza di questo Vivente Messia ha valicato i tempi e i confini: Si prenda atto di quanti ospedali, case di accoglienza, orfanotrofi, missionari eroismi di singoli, madri terese, martiri lungo i secoli nel mondo, tutti contagiati da lui. E quanti che non conoscono il vangelo vivono inconsciamente il suo messaggio laico: Emergency, Medici senza frontiere, Ricoveri, Croci rosse, Case per anziani, volontariato… Infinite sono testimonianze e testimoni del Cristianesimo di Gesù’ il Messia

Autore: Albino Michelin   18.03.2021
albin.michel@live.com

venerdì 7 maggio 2021

HANS KÜNG TEOLOGO DI UN'ALTRA DIMENSIONE

Risonanza di un evento pubblico ha avuto la scomparsa il 5.4.21 del teologo svizzero Hans Küng all’età di 93 anni-Egli ha rappresentato l’ultimo sessantennio della storia della chiesa e non verrà tanto facilmente dimenticato, anzi è come il granello di senape del vangelo che sepolto sotto terra diventerà pianta rigogliosa per dare copiosi frutti. E’ stato il teologo più letto nel mondo ed ora senz’ altro le sue opere verranno ulteriormente ristampate e divulgate. Qualche cenno anagrafico. Hans Küng è nato a Sursee in quel di Lucerna il 12.3.28, a 26 anni diventa prete cattolico, a 29 pubblica una fondamentale tesi di dottorato sulla” Giustificazione per grazia”, documento basilare per avvicinare cattolici e protestanti, dopo la rottura causata principalmente per le divergenze su questa dottrina. A 32 anni diventa professore all’università di Tubinga in Germania, terra promessa di tutti i teologi, a 34 anni nel 1962 viene scelto come il consultore più giovane al concilio ecumenico. Nel 1966 invita J. Ratzinger per una cattedra nella stessa università, per quanto i due abbiano caratteristiche diverse, il primo dalla ricerca originale, il secondo dalla capacità di sintesi. Nel 1970 a 42 anni pubblica il libro di grande risonanza, anche se non il più impegnativo:” Chiesa infallibile? Una domanda” Il contenuto ed il tono appassionato non sono graditi a papa Wojtyla che lo esonera dall’insegnamento e lo scarica dalla sua squadra. Un’occasione di ulteriore resilienza per Küng che istituisce nella stessa Tubinga una cattedra di teologia ecumenica, a dimostrazione che non vi è bisogno del timbro papale per divulgare il vangelo e così da settoriale diventa realmente teologo cattolico (dal greco kata olos =in rapporto e aperto a tutte le culture). Nel 1993 fonda sempre a Tubinga l’Istituto Etica Mondiale per la promozione e l’affermazione di valori comuni e definizione dei principi morali condivisi da tutto il genere umano. Il 31.10.99 a 71 anni raccoglie un bel risultato alle sue pressioni, la dichiarazione congiunta cattolici-protestanti a firma del Card. Cassidys e il luterano Krause sulla vessata questione della Giustificazione. In essa si concorda: l’uomo viene giustificato e salvato dalla grazia di Dio e non principalmente dalle pur buone opere dell’uomo stesso. (Paolo, Rom3,28). La sua opera e il suo apprezzamento superano i confini europei per diventare patrimonio di ciascuno e di tutti. Circa una quarantina i suoi libri, raccolti in una edizione del 2015 in 24 volumi. Innumerevoli le recensioni, 16 le lauree honoris causa, riconoscimenti e dottorati vari, molte le cittadinanze onorarie. Nel 1991 l’onorificenza dell’Unesco per il suo impegno per la pace: non vi sarà pace nel mondo se non vi sarà pace fra le religioni. Attività che l’anziano teologo continuerà a portare avanti fino a che negli ultimi anni l’Alzheimer in parte non lo bloccherà. A lui si può attribuire l’espressione di Gesù nel vangelo:” sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso. (Lc.12,49). Fra tanta mole di lavoro qualcuno potrebbe chiedersi quale sia il libro che riassume tutto il pensiero del teologo. Fuori dubbio sarebbe “Essere cristiani” del 1967 Costa di 802 pagine, ma vale la pena, in quanto contiene i “fondamentali del Cristianesimo”. E’ una sintesi dei suoi scritti precedenti e di quelli successivi. Su Dio: per Küng Dio è un apriori. Egli esiste non perché noi lo annunciamo, ma viceversa lo annunciamo perché esiste. Dio è in tutto e tutto è in lui. Dio è immutabile in sé, ma cambia il nostro modo di capirlo e di intenderlo. In questo senso è evolutivo. Ugualmente riformabili sono i dogmi in riferimento all’evolversi delle scienze in quanto non possono fissare e imprigionare per sempre immagine e concetto di Dio. Sotto questo aspetto Küng conviene con l’altro grande teologo francese suo predecessore T. De Chardin (1881-1955). Su Gesù: egli lo rende più umano, più vicino a noi, distinguendo nella stessa persona il Gesù della storia e quello della fede, lo fa scendere dall’olimpo dei cieli e ce lo rende il Presente e il Vivente. Non si batte tanto pro le icone sacre e il crocefisso nelle chiese e locali pubblici, ma per il Gesù risorto, quello è morto, questo è sempre qui con la nostra storia. Profondo anche il suo studio per liberare la figura di Gesù dai miti e dalle leggende con cui al suo tempo è stato descritto. Sulla chiesa: Egli la ritiene importante, quale orientamento e alimentazione della fede personale. L’infallibilità non è un potere carismatico indiscusso dell’istituzione, ma un impegno, nel senso che essa dipende dall’ubbidienza che la chiesa stessa ha nei confronti dello spirito del Signore. Ma per non finire in una setta essa necessita di un concilio ecumenico terzo. A chi gli chiese perché non uscisse dalla chiesa il teologo memore dell’errore compiuto da Lutero che anziché uscire avrebbe dovuto restare e riformarla dall’interno rispose:” io non intendo uscire dalla chiesa perché in quanto comunità di fede posso in essa fare mia in modo critico e solidale una grande storia della quale vivo insieme a tanti altri credenti.” Al riguardo meraviglia ancora oggi venire a conoscenza che in alcune scuole svizzere qualche insegnante consigliava ai giovani la lettura di questo libro e nella zona di Trieste dei giovani in campeggio ne richiedevano lettura di qualche pagina. Anche il mondo giovanile in parte ne fu affascinato. Comunque tante sono le persone che alla lettura di questa opera hanno ricuperato o approfondito la propria fede. E le considerazioni su Küng dopo la morte? Francamente un po’ irritanti i giudizi della stampa catto-borghese per la pochezza culturale. Uno per tutti l’articolo di C. Langone su” Il Giornale” del 6.4 21 in cui definisce questo teologo “ribelle dalle sparate contro i papi, fotogenico, mondano, Willy Brand, attore da telefilm…“ Tutto qui?. Manovalanza culturale e pacchiana, ironia di chi si accontenta di scartabellare le copertine senza conoscere il contenuto, ragnatele nell’arco di Tito. Ci si permetta una risposta tolta dal proverbio latino:” sutor ne ultra crepidam” ciabattino, non andare oltre la ciabatta. Significativi invece i giudizi della Chiesa cattolica, anche da parte di coloro che l’hanno osteggiato. “Ha tradotto la fede in lingua moderna” (G. Bächting, presidente conferenza episcopale tedesca). “Ha dato una grande stimolo alla chiesa del nostro tempo” (vescovi Forte di Vasto, Bonnemain di Coira, Card. Kasper). Ci basti il giudizio della Pontificia Accademia per la vita: “grande figura nella teologia dell’ultimo secolo. Il suo impulso e le sue idee dovranno sempre in futuro far riflettere la chiesa, la società, la cultura”. Papa Bergoglio nel 2019 lo riabilitò, ma non c’era bisogno. Un tempo teologi come Küng la chiesa li finiva sul rogo, oggi ringrazia anche se tardivamente perché Küng sarà per tutti una grande risorsa.

Autore: Albino Michelin   14.04.2021
albin.michel@live.com