Anche
se i cattolici italiani residenti in Svizzera per la stragrande maggioranza non
sono molto interessati ai Documenti vaticani concernenti la conduzione e
l'animazione della propria chiesa locale, ad alcuni però non sarà sfuggita l’Istruzione
del 15.8.97 avente per oggetto "La collaborazione dei laici al ministero
dei sacerdoti".
Anche
se per noi tale argomento sarà di impellente attualità soltanto in un prossimo
futuro, esso è da tempo prassi comune nelle parrocchie svizzere, nelle quali
noi pure lentamente stiamo integrandoci...
In
effetti accanto ai preti, in fase costantemente calante, esercitano, in fase
piuttosto crescente laici, operatori pastorali, animatori, teologi di ambo i
sessi, celibi o sposati. . Preparazione professionale adeguata al tempo,
comunicazione immediata, esperienza spesso dei figli, della famiglia e della
vita vissuta, rifiuto di costituire uno stato sociale e sacrale a parte: tutto
ciò li rende strumenti indispensabili nella pastorale apprezzati a tutti i
livelli. Pure aprendosi l'Istruzione papale con un'ottima teorizzazione
sull'importanza dei laici e nel futuro della evangelizzazione va poi
chiudendosi alzando un muro di separazione con undici chiare ed inequivocabili
prescrizioni. Ne cito solo alcune, quelle che possono toccare da subito anche
le missioni cattoliche italiane .
*Ai
laici non è consentito la direzione ed il governo di una parrocchia.
*Ai
laici non è consentito fungere da presidenti nei Consigli Pastorali.
*Ai
laici non è consentito celebrare la liturgia della parola domenicale, se non
dietro mandato speciale del Vescovo. Questa però non sostituisce l'obbligo del
precetto festivo, cioè la messa del sacerdote.
*Ai
laici non è consentito comunicarsi da soli, né distribuire la comunione se non
in caso di necessità e su mandato del Vescovo.
*Ai
laici non è consentito impartire l'unzione degli infermi.
I
settimanali cattolici locali con allucinanti titoli "Laici e preti, ruoli
distinti" si dimostrano subito preoccupati di far risaltare ciò che li
divide anziché ciò che li unisce, quasi soddisfatti di potersi togliere dai
piedi dei doppioni alternativi e dei concorrenti. Di ben altro tenore invece
l'intervento sul "Forum", organo delle parrocchie svizzere, del
14.12.1997, che si dichiara perplesso e preoccupato per le conseguenze
pastorali derivanti dall'applicazione del documento vaticano e riferisce come
una trentina di operatori pastorali, laici e sacerdoti, si siano presentati lunedì
1. dicembre a Morges in occasione dell'assemblea dell'Episcopato svizzero,
abbiano chiesto lumi sulla loro "illegalità" e pregato di rinviare a
Roma l'opuscolo per una revisione. Ci sia lecita un'opinione in merito,
riferendoci anche all'Enciclica di Papa Wojtyla "Ut sint unum"
("affinché siano una sola cosa") del 25.5.95, in cui egli stesso
dichiara:" ... ascoltando la domanda di favorire una forma dell'esercizio
del primato che si apra ad una situazione nuova (Nr. 95).” La seguente opinione
dunque può completare in tal senso la domanda a lui rivolta. Già ad una
superficiale lettura di questa "Istruzione" di 35 pagine si prova un
enorme disagio per l'accumulo di ammonimenti e critiche su una delle materie di
più ampio interesse e generosa sperimentazione nelle nostre chiese locali.
L'osservazione è di L. Prezzi, Direttore de "Il Regno", una delle
riviste cattoliche fra le più serie in Italia. Solo a nr. 4 dei principi
teologici si sottolinea:” i fedeli non ordinati preti non detengono un diritto
... evitare deviazioni pastorali ... abusi e prassi trasgressive .... abusi
segnalati ... non allargare abusivamente
il termine "eccezione" ... impedire tempestivamente ... evitare che
venga danneggiato ... intervenga responsabilmente l'autorità ... " Una
tonalità di burocratico controllo da cui non si esce sino alla fine del documento.
Anche se in genere “Istruzione" non è documento eccessivamente impegnativo fra le modalità
d'intervento vaticane, il fatto che esso porti la firma degli otto principali
dicasteri romani, sottolinea uno scopo preciso: limitare l'escalation dei laici.
Un enorme disagio! Un esempio lo si
prova nel dover rapportare la proibizione di distribuire in via ordinaria la
comunione da parte di un laico con la motivazione conclusiva del documento: "Tali
prescrizioni non nascono dalla preoccupazione di difendere dei diritti
clericali, ma dalla necessità di obbedire alla volontà di Cristo, rispettando
la forma costitutiva che egli ha indelebilmente immesso alla sua chiesa". Qui
ci sia consentita un'osservazione storica. Fino all' 800 d.C., periodo
carolingio, i cristiani frequentavano la messa, detta "lo spezzare del pane"
ovviamente prendendo con le proprie mani la piccola porzione. Dopo Carlo Magno
due motivi hanno interrotto questa prassi iniziata con Gesù. Uno di ordine igienico:
la gente non si lavava le mani e stropicciava sul pane. Di qui la prescrizione
di riservare la distribuzione al prete soltanto. Il secondo di ordine morale: a
causa della pesante tabuizzazione sessuale e conseguente deprezzamento del
matrimonio, i laici che avessero compiuto un rapporto amoroso (lecito solo allo
scopo procreazione) non potevano accostarsi alla comunione. Considerati impuri
non era loro consentito di toccare il pane o corpo di Cristo. Ma dalla Cena di
Gesù per ben otto lunghi secoli la norma non era stata questa, in effetti Gesù
non aveva posto nessun tabù, "prendete e mangiate e distribuitevi il
calice a vicenda” (Luca 22,17). Non ha ingiunto: "prego, legatevi le mani
in croce sul petto o dietro la schiena, aprite la bocca, e il ministro di Dio
vi ciberà!" Disagio dunque veder motivare questo divieto con la volontà di
Gesù. Solo un esempio, perché lungo (ancorché necessario) sarebbe analizzare
tutte le altre proibizioni.
Sia detto
pure, e per inciso, che da qui trae origine il baciamano e il culto delle mani
consacrate del prete e la separazione dello stato clericale (superiore) da
quello laicale (inferiore). Sacrale il primo, profano il secondo, che tanto
peserà sulla chiesa "popolo di Dio" e sistemerà i laici ad una
posizione subalterna. Disagio, perché francamente sembra di tornare alla Bolla
del 1296 di Bonifacio VIII "Clericis laicos infestos" (è
dall'antichità notorio che i laici sono funesti al clero). Scompare nel documento tutta l'elaborazione
della teologia pastorale sulle nuove figure di laici pastori. Si nota
resistenza al riconoscimento dei loro specifici servizi, presente nei documenti
successivi al Concilio Vaticano II (1965) e in circolazione da allora ad oggi.
Come quando per esempio ("vedi Istruzioni" art., par 2) si insiste sulla
opportunità di usare sacerdoti ultrasettantacinquenni quali responsabili di
parrocchie al posto di giovani ed efficienti operatori pastorali laici: involontaria
ed amara ironia.
Il
Card. Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ammette:
"gli operatori pastorali laici hanno qui l'impressione che la loro
collaborazione viene sopportata fino a quando vi sarà penuria di preti''.
L'insieme del documento sembra proprio reggersi sulla paura che venga meno
l'importanza del prete provocando una diminuzione di candidati al sacerdozio. Infine
non si dimentichi che malconce la loro parte ne escono le chiese locali, la
figura del Vescovo e le conferenze episcopali delle varie nazioni cui dovrebbe
in primis competere questo tipo di interventi con relative applicazioni, senza
vedersi fioccare dall'alto della Curia romana tutto questo barocchismo
normativo. Qui l'espressione è di Arturo
Paoli, 85 anni, con un passato di scrittore e attualmente missionario nelle
favelas del Brasile, aggiungendo che la semplicità di Dio è un aspetto della
sua serenità.
Moltiplicare
le "grida" potrebbe essere segno di debolezza, e raggiungere lo
stesso risultato delle "grida" spagnole descritte dal Manzoni: la
perdita di credibilità. Un rischio comunque aleggia ed incombe su questa
"Istruzione" nella quale si nota che i laici contano sempre meno:
quella di una accettazione irritata da parte di pochi e di un rifiuto
silenzioso da parte di molti.
Autore:
Albino
Michelin
14.01.1998
Nessun commento:
Posta un commento