Il cardinale Cushing di Boston USA (1944-70) diceva che si vestiva di rosso solo
per i carcerati e per i bambini. I primi perché si sentivano importanti e i
secondi perché si divertivano come quando arrivava babbo natale. L'espressione
mi riporta ad un articolo apparso il 23 luglio 1997 in un Giornale di
Emigrazione, autore Antonino Alessandra indirizzo imprecisato, che si firma al
femminile, ma scrive al maschile. A colpi di clava si abbatte contro un mio
precedente intervento su "Giubileo del 2000" chiedendosi se mi si
addica il titolo di reverendo o don e spaparanzando ai quattro venti che la
Chiesa preti come il sottoscritto non li dovrebbe assolutamente produrre. Mi
sia consentito quindi di affrontare serenamente l'argomento. Il fondatore della
chiesa, cioè Gesù è stato molto semplice ed essenziale in materia. "Il
Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire ... e voi non
fatevi chiamare Maestri perché uno solo è il Vostro Maestro. Guai a voi che
andate in giro per le piazze ornati di filatterie per farvi riverire dagli
uomini: avete già ricevuto la vostra ricompensa.” Di qui si capisce molto bene
che Gesù vestiva come tutti, la sua carta d'identità lo connotava come figlio
del falegname. E per gli apostoli lo stesso discorso: né rosso zucchetto, né
rocchetto, né mozzetta né bianca papalina. Non risulta dai Vangeli che Gesù
avesse istituito un particolare atelier e sartoria di abbigliamento per i suoi
più intimi. Lo stesso avvenne con vescovi e presbiteri nei primi tre secoli
della chiesa: tunica romana in uso fra le classi medio-basse.
Dal
quarto secolo in poi dopo Costantino titoli nobiliari e vesti di gran pompa in
uso presso gli imperatori passarono pari pari alle gerarchie ecclesiastiche.
(Per i preti ultimo rango della categoria, si poteva anche giustificare la
lunga tunica per via della decenza, dal momento che i barbari calati dal nord
indossavano corte vesti senza mutande). Ed ecco così che il Papa si fece
chiamare "Sua Santità". Versione sacrale e festiva dell'appellativo
"Servo dei servi di Dio" e con Paolo II (1470) si appropriò della
tunica di color bianco con baciamano dell'anello e della pantofola, tipico
gesto dell'imperatore nei confronti degli schiavi. Si fece chiamare pure
Vicario di Cristo, titolo riservato a Costanzo II imperatore d’Oriente (340
d.C.) preteso poi dal Vescovo di Roma. Che si fece chiamare pure Sommo
Pontefice, titolo in precedenza riservato solo agli imperatori romani pagani e
abolito da Graziano imperatore d’Occidente (380 d.C.) e quindi anche in questo
caso rivendicato dal Vescovo di Roma. E i cardinali romani si fecero chiamare
"Sua Eminenza" rubando un titolo che nel Medioevo veniva riservato al
Re di Francia, loro attribuito definitivamente con decreto di Urbano VIII
(1630). E qui tunica pure, ma di color rosso, già prescritto dal su citato
Paolo II. E i vescovi si fecero chiamare "Sua Eccellenza" titolo
riservato al sovrano ancora dall'età dei Longobardi e Franchi (500 d. C). Nel
Regno d'Italia venne esteso anche ai "grandi ufficiali", ma poi per
amore di giusta democrazia e uguaglianza fu abolito (1945). Legittimato invece
nella chiesa nuovamente con decreto di Pio XI (1930), anzi distribuito anche ai
patriarchi, prelati a flocculis (dal fiocchetto), ai nunzi. Ma qui con tunica
di color violaceo, sempre secondo i dettami di Paolo lI. E i prelati si fecero
chiamare "Monsignori", dal francese "Mio signore", titolo
riservato ai Re e adottato per gli ecclesiastici benemeriti dai Papi di
Avignone (1315-76). E I preti di prima categoria si fecero chiamare
"Reverendi", titolo rivendicato già nel Codice di Teodosio (438),
riservato ai cittadini eccellenti. Ripreso anche da Dante che nel Paradiso
(Capo XIX, 102) chiamò reverendi persino i romani tutti, usurpazione che gli
ecclesiastici subito contestarono. Ed anche per loro un distintivo, tunica
lunga, ma di color nero, obbligatoria dal Concilio di Trento (1560), dal 1964
sostituibile in caso di necessità con il clergyman, completo di giacca e
pantaloni neri, colletto bianco. Come si vede tanti titoli e colori diversi
secondo dignità. E i preti di seconda categoria si fecero chiamare
"Don" dal latino "Dominus", signore, per notificare a tutti
da che parte stavano: dei Borboni spagnoli e siciliani. E i preti di terza
categoria si fecero chiamare "Padre", appellativo comunque già vicino
alla realtà, potendo rivestire una funzione di guida spirituale.
E
gli ecclesiastici di ultima categoria si fecero chiamare "Frati",
proprio per questo ritenuti i più popolari. In effetti l'appellativo si
riferisce a San Francesco (1200) che chiamò i suoi seguaci "fratelli "
e li vestì con l'abito dei servi della gleba. L'abbigliamento ecclesiastico
fino a qualche anno fa comportava privilegi eccellenti come quello del
"canone" (scomunicato chi osava picchiare un religioso) e quello del
"foro" (un religioso sia pur truffaldino non poteva essere citato e
tanto meno trascinato in tribunale).
Il
Concilio di Aix la Chapelle (816) dichiarò che "l'umiltà del cuore propria
degli ecclesiastici va dimostrata anche con l'umiltà del vestito" E Papa
Celestino I (430) ebbe a scrivere: "Il Clero si dovrebbe distinguere dal
popolo per la cultura e non per il vestito, per fa condotta di vita e non per
l'abito, per l'onestà e non per la divisa" Messaggio da rivalutare anche nel
nostro tempo. Libertà dei figli di Dio dunque agli ecclesiastici che desiderano
esibire titoli ed infule colorate per dar gloria all'Altissimo, alla sua santa
chiesa, per l'edificazione del popolo che così si sente rapito a pensieri di
cielo. Ma libertà anche per gli ecclesiastici che preferiscono vestire
semplice, farsi chiamare con nome e cognome per sentirsi uomini fra gli uomini
senza distinzione di classi e di privilegi.
Autore:
Albino
Michelin
10.12.1997
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