"Vanità delle vanità, tutto è vanità" dice un libro della Bibbia. Però secondo il Card. Martini
questa predica la si fa alla gente del popolo, ma non alle gerarchie della chiesa. Questa
personalità di spicco, invece fa il punto. Col
fascino del suo carisma egli ha da sempre espresso
l'importanza che la chiesa si metta in dialogo con il mondo
moderno, uscendo dalla sua torre d'avorio,
e ponga con chiarezza sul tappeto tutti
i problemi, li sottoponga ad un nuovo Concilio
Universale. Conscio della chiusura totale di fronte
a questa prospettiva Martini parte da solo, esce allo scoperto, come i profeti di ogni tempo, quelli con i quali la verità della storia deve fare i conti. L'ultimo
caso eclatante è apparso su
"Repubblica” del 5.6.08, organo di stampa fra i più diffusi e in Italia
fra i più apprezzati culturalmente. Esso riferisce di una settimana di studio (5-10.
Maggio) condotta dal Cardinale biblista su un tema della lettera di Paolo ai
Romani "Il peccato". Ecco un estratto del contenuto. "Tutti
questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi anche nella storia della
chiesa. Dai laici, ma anche dai preti, religiosi, suore, vescovi, cardinali, e
anche papi. Ci sono cose che devo dire alla chiesa. Quante bramosie segrete ci
sono dentro di noi. In primo luogo l'invidia, vizio ecclesiastico clericale per
eccellenza che ci fa dire perché un altro ha avuto quel posto che spettava a
me? Che cosa ho fatto io di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no?
È il vanto del carrierismo, causa di gravi mali all'interno della chiesa.
Purtroppo ci sono preti che si pongono punto di diventare vescovi e ci riescono.
Ci sono vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede
maggiore. Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Certe cose non
si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo
perché impedisce di dire la verità. San Paolo parla della vanità di fare gruppo,
di coloro che credono di fare molti proseliti perché così si conta di più.
Difetto grave, molto presente anche nella chiesa di oggi, come il vizio di
vantarsi. Ci piace di più l'applauso che non il fischio, l'accoglienza che non,
la resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità della chiesa, quella
che si mostra negli abiti, ornamenti inutili. E poi c'è l'inganno, che per me è
anche fingere una religiosità che non c'è. Fare le cose come se si fosse
perfettamente osservanti, ma senza interiorità".
Il
Cardinale non smentisce.
Ci sono un po' dappertutto oggi preti che si permettono
osservazioni su questi aspetti penosi della chiesa, ma vengono in genere
emarginati quali esibizionisti, maniaci di protagonismo, showman, alla ricerca
di pubblicità e di un posto al sole. Che però nel loro genere da una parte dei
cattolici vengono anche apprezzati per la ripetitività, continuità, coerenza
del loro "esserci anche per questo". Che vi sia però un cardinale, e
di che stazza, della santa chiesa che parli in tal maniera, non ci può che far
piacere, anche perché si ha l'evidenza di non remare da soli in quella
direzione. Sotto il suo ombrello ci sentiamo al riparo di ogni tempesta. E
anche questo conta. Ovvio che subito la stampa cattolica abbia reagito contro
"Repubblica", rea di aver travisato il discorso di Martini.
L'Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, in prima fila. Altri giornali
invece, di corrente diversa, hanno ringraziato il Cardinale perché ha gettato
un fascio di luce a chi oggi nella chiesa è profondamente deluso da una dirigenza
chiusa e blindata nei suoi privilegi e nella sua intoccabilità. Ci si aspettava
una smentita oppure una correzione da parte dell'interessato. Come in genere
avviene fra le persone d'onore "vilmente" bacchettate. È la tipica
filosofia del berlusconismo vigente: "voi non mi avete capito, mi avete
frainteso, mi avete strumentalizzato, e io quindi vi devo rispiegare". Qui
ho detto, e qui disdico. Questo tipo di filosofia è entrata anche nella chiesa.
Basti pensare quanto è successo dopo il discorso di Ratzinger all'Università di
Ratisbona (2006) quando ha tirato in campo Maometto, oppure dopo la rinuncia
dello stesso Pontefice all'Università "La Sapienza" di Roma (inizi
2008). Subito si è arruolato tutto il suo staff per riformulare la sua
posizione e dare un po' del pretestuoso a tutti coloro che invece avevano
interpretato obbiettivamente le vicende. Il Cardinal Martini però quello che ha
detto non ha disdetto con le solite piroette diplomatiche, così poco edificanti
qualora avvengano all'interno della chiesa. "Sia il Vostro parlare si si,
no no".
Le sue osservazioni
nascono dall’amore verso la Chiesa.
Ci auguriamo che la chiesa prenda atto di queste
osservazioni senza sdegnosità e sussiego, perché alla fine renderebbero un
servizio alla credibilità. Non bisogna vedere dappertutto macchinazioni degli
atei, dei laicisti, dei mangiapreti per gettare fango alle sue istituzioni
divine, e non si dovrebbe sempre invocare l’onore di Dio, come se chi parla così
disonorasse Dio stesso. In quanto poi alla vanità della chiesa, (anche qui
cerchiamo di interpretare Martini), si deve pur far sapere che l’istituzione
chiesa non si identifica con la gloria di Dio, concetto palesemente antievangelico.
L’istituzione chiesa è solo strumento al servizio del Regno di Dio. Ma su tutte
le osservazioni poste da Martini ci si potrebbe soffermare sull’abbigliamento
dei prelati e delle più alte gerarchie ecclesiastiche. Tutti sappiamo che Gesù
circolava secondo il costume, foggia di vestito del tempo. Come San Francesco
che fece portare ai suoi frati il saio, vestito abituale dei contadini del suo
tempo. Ci si domanda se nel 2000 con due terzi di abitanti che soffrono fame e
miseria abbia senso fare sfoggio di tutti questi paramenti imperiali da esibire
in mondovisione nelle cerimonie sacre. Qualcuno ricorda che nella notte di
Natale del 2007 molte persone sono state colpite dal fatto che da una parte il
papa parlasse sulla povertà del divin bambinello, nato in una grotta al freddo
e al gelo, e dall’altra lo si celebrasse esibendo ori e diamanti, vescovi e
cardinali ammantati di pirotecnici abiti, tube in testa secondo lo stile di
Tiberio Cesare, sgargianti zucchetti a copricapo in contraddizione con la verità
profonda del messaggio di povertà che si stava predicando e celebrando. Sfarzo
per dare gloria a Dio o pompa a se stessi? Fuori discussione che la
celebrazione dell’eucarestia richiede dignità anche nell’abbigliamento. Mica si
può celebrare la messa in mezzo alla gente in maniche di camicia e in ciabatte.
Ma fra i due estremi ci sta la sobrietà. E questa sobrietà nei viaggi papali,
nelle liturgie pontificali, nelle visite pastorali dei vescovi, viene poco
presa in considerazione. Non viene consigliata e tanto meno imposta con una
vera riforma radicale, lasciando al mondo le sue sfilate di moda. In effetti
molti cattolici a guardare queste celebrazioni in TV più che considerazioni di
fede ci fanno elogi e apprezzamenti di lusso, sui vestiti e relativi
investimenti.
Gesù ai discepoli: “voi non siate come i
capi di questo mondo”.
E l'abbigliamento quotidiano delle gerarchie? Mai visto un
Papa, un Cardinale, un vescovo viaggiare in abito civile, o raramente. Vi sono
molti momenti nella vita in cui ciascuno di noi deve prima di tutto sentirsi e
presentarsi come uomo, quindi con tutti i pregi e i rischi dell'umanità. Non
possiamo sentirci o farci passare come Dio in terra. Un vescovo è sempre ben gradito
nel visitare la sua gente, ma non c'è bisogno si sieda a tavola con i
collaboratori e rappresentanti della comunità locale con tanto di maxitunica
svolazzante, rossa, violacea, paonazza o a lapislazzuli. Un antico adagio,
forse di Papa Stefano, diceva che gli ecclesiastici non vanno riconosciuti dal
loro tipo di abbigliamento, ma dal loro comportamento.
C'è gente che si domanda se era proprio opportuno che Papa
Ratzinger accettasse di essere vestito tutto punto secondo gli stilisti del
mondo, che accettasse scarpe di mocassino o babbucce rosse segnate Prada,
costose al limite, oppure abiti griffati Gattinoni. Non si possono in futuro
evangelizzare questi donatori eccellenti che strumentalizzano il sacro al loro
scopo profano commerciale affinché devolvano l'equivalente agli indigenti? Che
serve predicare che il successore di Pietro è il più povero fra i poveri e il
servo dei servi di Dio? Ma fra di noi, specie fra cattolici, abbiamo sempre a
che fare con paragoni e parallelismi fuori luogo. E si dice: come ogni stato ha
bisogno delle sue parate, dei suoi fulgori, dei suoi folclori, così ha da
essere anche con la chiesa, e con i rappresentanti della sua gerarchia. Ma Gesù
non era di quest'avviso, per lui il paragone non tiene, anzi ha messo
addirittura in contrasto le due realtà dicendo: "voi sapete che i capi di
questo mondo amano primeggiare e farsi riverire. Ma per voi non sia così. Fate
come il Figlio dell'Uomo (cioè Gesù) che non è venuto per essere servito, ma
per servire''. Piccolezze, dirà qualcuno, non andiamoci ad attaccare a queste
quisquiglie. Importanti sono la messa, i dogmi, i sacramenti, la confessione.
C'è da dubitare di queste affermazioni. In genere sono le piccolezze che fanno
saltare le grandezze. Anche nei motori più potenti basta che un piccolo contatto
d’inceppi perché tutto si blocchi. Gli antichi dicevano: con la concordia le
piccole cose aumentano, con la discordia anche le grandi vanno in malora. Perciò
anche nella chiesa questi atteggiamenti di piccola vanità rendono illusorio ed
apparente il grande messaggio di Gesù. O almeno gli nuocciono assai. Nel
battesimo e in altre solenni circostanze ci viene detto dal prete:
"rinunci a satana e alle sue pompe?". Magari il battezzato è povero
in canna, a quali pompe mondane, sfarzo, vanità dovrebbe rinunciare? Anche
Papi, Cardinali, vescovi, preti sono stati battezzati. A loro pure è stato
chiesto di rinunciare a satana e a tutte le sue pompe. Grazie, Cardinal Martini,
il tuo intervento si chiama profezia. Cioè! Parola verità contro tutte le
tentazioni di mistificazione presenti pure nella nostra chiesa.
Autore:
Albino Michelin
04.07.2008
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