Il presente articolo non appartiene alla cronaca ma al vissuto personale. In effetti da diversi anni trascorro alcuni giorni in Calabria, a Polistena, considerevole centro nella Piana di Gioia Tauro, equidistante ed equivicino alle zone calde della ‘ndrangheta, Locri, Plati, S.Cristina, Polsi, S. Luca, Oppido Mamertina. Ho conosciuto personalmente e conversato con il Vescovo di Locri, Giancarlo Brigantini, dal popolo chiamato
P. Giancarlo. Nonché alcuni collaboratori, fra cui qualche ecclesiastico come
Pino Demasi, parroco di Polistena, e soprattutto tanta gente comune e giovani.
Come i clienti dell'Hotel Mommo, mio soggiorno preferito, familiare ed
accogliente, e poi ragazzi impegnati nelle cooperative "Libera Terra"
di don Ciotti, come Sergio, Antonio, Lisa residente a Milano, di "Libera
Lombardia". Mons. Bregantini non è morto, ma per quelle terre è come se lo
fosse, anzi peggio: il 18 ottobre 2008 trasferito senza un cenno di consultazione
ecclesiale. Di origine trentina, classe 1948, appartenente alla Congregazione
degli Stimmatini, ha mangiato pane duro, prete operaio a Marghera, Verona,
Crotone. Personalmente ho sempre avuto difficoltà di credere ai santi, quelli
messi sugli altari dopo morti, specie se fanno miracoli su comando. Preferisco
credere alle donne e agli uomini vivi, quelli che spendono la vita per dare
dignità e libertà agli oppressi, agli usati e abusati dai poteri forti e
illegali. Questo era Bregantini. Mi
diceva due anni or sono che noi preti non dobbiamo dare dignità a nessuno,
perché ogni uomo ha la sua dignità e come tale va rispettato. Specialmente il
calabrese. Pure essendo italiano del Nord, conosceva bene, si identificava con
il calabrese, perché lo amava. Ad esempio notava che in Calabria ci mancava
quella realtà cooperativistica che ha permesso alla cultura trentina di
decollare: perciò cercava di trasmettere le competenze del Nord alle risorse
del Sud. Quindi crea e aiuta a costituire un grande numero di cooperative, in
modo autonomo o in collaborazione con don Ciotti, particolarmente e su terreni
confiscati dalla mafia. Inoltra all'agricoltura ragazzi, ragazze, giovani anche
quelli strappati dalla scuola della ‘ndrangheta . Vive accanto ai contadini e
comunica loro la vocazione della terra e del bestiame. Confidava un agricoltore
che per merito suo egli non si sentiva un "pecuraru", ma un pastore,
e con il pastore le pecore danno 50% di latte in più che non con il pecoraru.
Un vescovo dell’annuncio e della denuncia
Culturalmente preparato, sapeva
essere all'occorrenza l'uomo dell'annuncio e della denuncia, divulgava lettere
su "Pastorale e mafia", premeva sulla Conferenza episcopale calabra
affinché prendesse posizione chiara ed aperta contro i soprusi dei malavitosi.
Rifuggiva da ogni protagonismo, ma utilizzava senza pausa ogni strumento
mediatico per creare soluzioni alternative. Mi dice Sergio della Cooperativa
"Valle del Marro" che anche in Calabria come ovunque esistono vescovi
burocrati-amministrativi e vescovi operativi. Bregantini apparteneva a questi
ultimi. Ciò forse dava fastidio a chi ancora è dell'opinione che un vescovo sia
un principe della Chiesa anziché un operatore di pace, di giustizia, di
socialità: Uomo fra gli uomini. Amava partecipare aIla realtà calabrese,
all'Italia tutta. Lo dimostra un fatto, per quanto semplice, ma simbolico: ogni
anno inviava a tutte le 263 diocesi italiane l'estratto di bergamotto, fiore
profumato della costa ionica. Sul piano della comune azione contro la ‘ndrangheta
allacciava rapporti con vescovi della sua sensibilità, come il caso di Cataldo Naro,
vescovo di Monreale nel palermitano, un cristiano credibile, deceduto il 29.9.06.
Si disse un po' misteriosamente, forse un infarto, forse lasciato o abbandonato
al suo destino. Nei confronti della cultura mafiosa e delle sue iniquità a
danno dei poveri era il Bregantini di una fermezza senza pari. Al suo ingresso
in diocesi come prima decisione fece diffondere in tutte le parrocchie i nomi
delle singole 263 persone ammazzate dalla mafia negli ultimi 10 anni (1984-94).
Subito pubblicò pure un libro di preghiere contro "Casa Nostra",
durissimo. Non solo minacciava la scomunica contro chi uccide e distrugge la
roba, ma anche interdiva il ruolo di padrino nel battesimo a chi teneva
rapporti con la malavita. Prima la giustizia con il prossimo, e poi l'esibizione
con i santi sacramenti.
Attorno
al santuario di Polsi una cultura barbara.
In effetti non solo in Sicilia, ma
anche in Calabria il malavitoso si costruisce luoghi di culto, cappelline sacre
lungo le strade, si annette frati confessori, riceve la comunione frequente,
irrora i muri dei propri cavernicoli con copiose aspersioni di acqua benedetta.
Il tutto sotto la protezione di P. Pio. Bregantini conosceva tutte queste
mistificazioni, ma non desisteva. E anche il primo di settembre 2007 al
Santuario Madonna di Polsi, luogo sacro del summit della ‘ndrangheta, si è
prodigato per rappacificare l'odio delle famiglie di San Luca, divise a morte
dalla strage di Duisburg in Germania. Da quel tempio di mercato e di sangue
Bregantini stava sradicando una cultura barbara. In modo particolare il vescovo
della Locride si batteva per garantire ai giovani un futuro migliore, contro la
disoccupazione ed il precariato. Dopo l'eccidio dell'on. Francesco Fortugno del
16. 10.2005, perpetrato in pubblica piazza, finalmente un parlamentare che dà
la vita per la sua gente, Brigantini si mise a fianco della Calabria finita in
ginocchio, suscitò una presa di coscienza fra tutta la gioventù e noi
ricordiamo la reazione nei cortei, nelle piazze, sui muri: "E ora
ammazzateci tutti. C'è chi spara e c'è chi spera, ci siamo, ma non ci stiamo.
L'omertà è la vostra forza, noi giovani la vostra fine". Rischiava la vita
questo vescovo? Un quesito che egli non si poneva, perché faceva parte
integrante della sua scelta di vita. L'allarme dato da Platì fu però
emblematico. Nel piccolo comune sotto i pendii del passo Zillaro , nel cui
cimitero sono sepolti più morti per mafia che non per malattia , incattivito
dai troppi tradimenti dello Stato, dove i bambini sfilano in motorino tutto il
santo giorno senza casco, sfida permanente alla legalità, con le forze
dell'ordine dall'occhio compiacente, dove si sono registrati 68 sequestri, dove
la madre d i Cesare Casella s'incatenò chiedendo la libera zione del figlio,
dove il sottosuolo protegge in una rete di gallerie una seconda città dei
malavitosi, un bel mattino nelle cooperative della' "Valle Buonamico"
si vide terra bruciata e le diecimila pianticelle di fragole, volute con amore
dal vescovo, fumanti e carbonizzate . Radicato nel sociale e nella bonifica dal
malcostume, in questa terra di santi patroni, di predicatori devozionali e
inconcludenti, Mons. Bregantini l'8.1.2008 ha dovuto dare l'estremo saluto, un
addio senza ritorno. Un trasferimento da sgomento, uno schiaffo alla Calabria,
il miglior regalo alla ‘ndrangheta. Gli uomini di malaffare d'ora in poi si
sentiranno più tranquilli. C'è qualcuno che ha il coraggio di parlare di
"scadenza di termini"? Non tiene. Se era per questo si poteva
destinarlo verso Palermo, verso Napoli, verso Bari. Cioè là dove la chiesa deve
operare una redenzione sociale. Invece no, a CampobassoBojano, sotto la
Maiella a parlare con i lupi come S. Francesco o con i pesciolini come S.
Antonio. C'è qualche altro che accenna all’opportunità di un trasferimento
preventivo: ne va della vita di un prelato". Motivazione o scusa che non
regge considerando l'eroismo innato di Padre Giancarlo. Salvare la pelle non
era la sua grammatica di vita.
Il
vescovo Bregantini, rimosso o promosso?
Il quotidiano Avvenire, giornale dei vescovi
italiani, ha invece inneggiato al prelato perché promosso alla sede
metropolitana, arcivescovile di Campobasso-Bojano, con diritto al pallio (ecc.
bla, bla, bla). Meraviglia che fra credenti si usi ancora un linguaggio paganeggiante
di promozioni, carriere, tube d'argento, anelli di smeraldo. Ai tempi della
prima chiesa si avevano ministri d'oro e pettorali di legno, oggi invece si
arrischia di avere ministri di legno e pettorali d'oro. Per un uomo, un
vescovo, vicino e dentro alle battaglie comuni della gente questo è un discorso
mistificatorio. Forse più vicino alla verità, con beneficio d'interrogativo, è
lo studio di Vincenzo Ceruso autore di: ”Le sagrestie di Cosa nostra. Inchiesta
sui preti e sui mafiosi", il quale sostiene essere oggi tre le tentazioni
del clero. 1) Le contrattazione con i mafiosi circa gli spazi sacri. 2) La
cooptazione dei mafiosi nella vita delle parrocchie e feste patronali . 3) La
seduzione alle lusinghe dei mafiosi in termini di consenso e sostegno
interessato alla chiesa. Forse non si è ancora spenta l'eco di quelle ufficiali
affermazioni del Cardinale Ruffini di Palermo che negli anni 70 concionava:
"meglio mafiosi che comunisti"! Ma più vicino ancora alla realtà
potrebbe essere una lettera partita dal monastero di S. Ilarione, Paulonia di Reggio
Calabria e munita di un centinaio di firme indirizzata a Papa Ratzinger il
13.11.2007. Essa dice: "Il grido che sale dal popolo di Dio a causa
dell'allontanamento di P. Giancarlo M. Bregantini dalla sede episcopale di
Locri-Gerace ci interpella nel profondo. Questioni che emergono con prepotenza:
lo scandalo recato ai piccoli, la ferita inflitta alla dignità del popolo di
Dio, lo scarso rispetto verso il ruolo di un vescovo. Santo Padre, urge una
conversione della chiesa al suo Signore. Urge una riforma radicale dei modi di
elezione e rimozione dei vescovi. Urge una riforma della chiesa romana che le
restituisca la sua funzione di semplice collaboratrice del Papa, aliena da ogni
carrierismo, gusto di titoli altisonanti e qualsivoglia forma di prepotenza.
Con affetto filiale F. Vermorel". In margine non va passato sotto silenzio
il comportamento personale di Bregantini: "obbedisco alla mia
chiesa". Ammirevole per il carattere e per la fedeltà di appartenenza! Ma
un'altra chiesa però è rimasta abbandonata a se stessa in preda alla mafiopoli,
quella dei calabresi onesti. Certo, un esame di coscienza per la chiesa alta: i
doni di Dio andrebbero in futuro valutati con maggiore attenzione. Con Mons.
Bregantini un'altra Calabria era possibile. Ci auguriamo che sul suo esempio
anche in futuro un'altra Calabria sia ancora possibile.
Autore:
Albino Michelin
28.03.2008
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