In
Italia tutti si lamentano che Giustizia e Magistratura siano poco credibili in
quanto manipolati da pressioni politiche e da interessi di parte. Può darsi che
il giudizio corrisponda a verità se consideriamo il fatto che spesso dai
tribunali e dalle Corti di Cassazione giudici, pubblici ministeri, inquisitori
risultano più ladri degli inquisiti stessi. E sembra non si tratti solo di casi
sporadici, ma di una vera metastasi. Lungo sarebbe qui esaminare le cause, fra
cui certo non va dimenticata e sottaciuta anche certa educazione religiosa
troppo individualista, basata sulla salvezza dell'anima propria con messa,
sacramenti e indulgenze appropriate a scapito un po' del coinvolgimento sociale,
legalità, solidarietà. Per cui l'urgenza di salvare la propria pelle di là e
anche di qua ha contribuito a sottovalutare la pelle altrui. Di qui lo stile
tutto mediterraneo che di fronte alle autorità importante è farla franca, non
farsi beccare. È in questo contesto che va inserito il caso Andreotti, non
tanto per dare un giudizio sul suo operato, quanto sulle reazioni della gente
al Giudizio del Tribunale, su quelle del mondo ex DC e di qualche settore
cattolico. La cronaca la conosciamo tutti. Il 30 aprile 1999 il Pubblico
Ministero di Perugia chiede 18 anni di condanna per Giulio Andreotti, ex capo
del Governo, imputato di associazione mafiosa e l'ergastolo per l'uccisione
(20.3.97) del giornalista Mino Pecorelli, in quanto in possesso di documenti
segreti sull'uccisione di Aldo Moro. Chiaro che qui si tratta di una richiesta
di condanna e non di un verdetto definitivo del Tribunale. Inoltre tale
richiesta pare si basi su indizi, non su prove concrete. E cento indizi non
costituiscono una prova che sia una. In effetti principio base della Carta
Costituzionale è la presunzione di innocenza per tutti i cittadini. Da
augurarsi perciò venga affermata la sua estraneità ad ogni accusa: venga
assolto perché innocente e non per pressioni esterne all'indirizzo dei
magistrati. Non sembra però che le nostre reazioni di fronte al caso aiutino
molto alla bonifica della nostra già tanto malata Giustizia italiana. Cito uno
fra i tanti, l'articolo di fondo apparso nel Corriere di Como del 6.5.99 con
interventi di Maggiolini, Vescovo di quella città. Ovvio che in quanto vescovo
e nell'esercizio delle funzioni del suo Magistero va rispettato. Ma in quanto
uomo, giornalista, che interviene pubblicamente sulla stampa con le sue
esternazioni, può aspettarsi anche esternazioni diverse. Siamo sull'opinabile.
Andreotti ingiustamente perseguitato dalla Magistratura e dagli avversari
politici di un tempo. Ritiene il suo intervento una doverosa riabilitazione di
un uomo che per l'Italia ha fatto e dato tutto. Scrive infatti: "Il Papa
ricevendolo personalmente in Piazza S. Pietro in occasione della beatificazione
di Padre Pio (2 maggio, tre giorni dopo la richiesta di condanna del Tribunale,
N.d.R.) non ha fatto altro che interpretare il senso comune di gran parte della
gente ... Tocca al Papa, continua Maggiolini criticando i giudici, interpretare
il sentire popolare contro le richieste del Pubblico Ministero che ha perso il
principio di realtà in preda ad un delirio di onnipotenza".
L’impressione
che molti da questo intervento possono trarre, è che qui si pretenda di
ritornare alle regole della monarchia assoluta, quella secondo cui il politico
(in primis quello cattolico) è sciolto da ogni legge. È un fronte trasversale,
il partito dell'impunità, per cui si vorrebbe trasformare a priori in vittime
personaggi eccellenti che noi pretendiamo debbano sottrarsi alla Giustizia. A
ciò magari si mettono in moto televisioni, pubbliche manifestazioni e amenità
varie onde ridurre la Magistratura alla sudditanza psicologica. È in questa
linea che l'autore dell'intervento su citato aggiunge: "sono convinto che
se potesse votare Andreotti per il Quirinale la gente lo eleggerebbe, non fosse
altro perché lo considera un perseguitato! Ma il sommo della difesa
all'imputato e della lezione al pubblico Ministero sta in quest'altra
espressione: "Non si possono mettere insieme la messa quotidiana del
mattino e per tutta la vita con gli omicidi". Ma ci si può domandare: come
la mettiamo allora con la parabola di Gesù "Il fariseo e il
pubblicano?" (Luca. 18.9-14). Qui si avrebbe una chiara e saggia risposta.
Troppi bacia banchi e baroni di sagrestia lungo la storia hanno seminato stragi
di innocenti. Certo c’è da augurarsi che questo non sia il caso del nostro. In
secondo luogo: né da parte laica né da quella cattolica si dovrebbe sfruttare
una benedizione del Papa a scopi pubblicitari o per secondi fini. Andreotti è
un credente (peccatore poco o tanto come tutti), di conseguenza può benissimo
chiedere la benedizione del Rappresentante della sua confessione religiosa, come
lenimento alle sue sofferenze interiori. Direi che ha avuto anche fortuna e
forse in ragione anche alla sua figura politica e al suo blasone. Fortuna che
purtroppo non tutti i sofferenti hanno avuto. Pensiamo alle madri di Piazza del
Primo Maggio durante la dittatura argentina, cui non è riuscito di incontrare
il Papa per ricevere sostegno e conforto. Pensiamo alle madri dei ragazzi
uccisi dai contras nel Nicaragua 1983 cui non fu data l'occasione di baciare la
mano del Papa e con lui pregare per i loro figli. L'On. Andreotti ha avuto questa
fortuna, beato lui, ma non lasciamoci suggestionare, né vogliamo considerarla
un'assoluzione polemica. Né interpretarla come intuizione divina di questo
Sommo Pontefice che, novello gigante politico sulla scena mondiale alla stregua
di Gregorio VII, l'Ildebrando fa piazza pulita di tutti i nostri nanerottoli
della Magistratura e della Politica italiana scavalcandoli e sostituendosi alle
istituzioni dello Stato. Che questo sia l'anelito di qualche nostalgico DC,
parlamentare, militante, membro del clero o meno, si può capire. Ma che questa
sia l'intenzione di Papa Wojtyla o dell'alta gerarchia della chiesa ci
rifiutiamo di pensarlo. Perché allora al delirio di onnipotenza dei magistrati,
di cui parla il Vescovo Maggiolini, se ne sostituirebbe un altro molto
peggiore: quello della prepotenza proveniente da altra sponda. E se questo
fosse il clima, i giudici del Tribunale Andreotti dovrebbero avere una scorza
da elefante per pronunciare un verdetto oggettivo diverso da quello
assolutorio. Con la conseguenza che lo Stato perderebbe la sua laicità.
Magistratura e Giustizia soffrirebbero di asfissia, il loro risanamento sognerebbe
pesanti battute d'arresto, convivenza e pace continuerebbero a poggiare su di
un futuro precario a rischio. "Beati i costruttori di pace" proclama
Gesù nel discorso della montagna. Senza però dimenticare che la pace è frutto
di Giustizia.
Autore:
Albino
Michelin
30.06.1999
Nessun commento:
Posta un commento