È il
sottotitolo di un libro di 166 pagine accessibile e popolare edito nel 1998
dalla S. Paolo a cura del dott. R. Chiavarino missionario in Svizzera che sì è
preoccupato di comporre in opera unitaria e coerente il numeroso materiale
rimasto incompiuto per la prematura morte dell'autore, di quel grande
psicoterapeuta che fu Pietro Balestro (1938-94), sacerdote, docente in
parecchie università italiane. Non è un libro a carattere teorico né
devozionale, ma un vero vademecum della salute se per essa intendiamo benessere
fisico, psichico e spirituale ad un tempo. Sappiamo che nell'ultimo secolo il
Vangelo è stato letto ed affrontato da parecchi punti di vista, da quello
letterale a quello filologico, semantico, teoria delle forme, storico,
simbolico, mitico, politico, marxista, della Liberazione anche a seconda delle
varie aree geografiche. Oppure da un punto di vista categoriale, come dei
bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani, ecc. Oggi la nostra società
sente il bisogno di avvicinarsi al Vangelo con altri intenti ed interessi, in
modo particolare per ricevere una risposta al bisogno di senso esistenziale.
Questa
pubblicazione si può collocare nella vasta produzione contemporanea, purtroppo
ancora soltanto privilegio degli addetti ai lavori, che affronta il Vangelo dal
punto di vista della psicologia del profondo e della psicoterapia, tra cui
emergono i poderosi studi del contemporaneo E. Drewermann, teologo e
psicoterapeuta tedesco. "Vangelo come terapia" si preoccupa
soprattutto di sgomberare il terreno facendo un'importante distinzione tra fede
e religione. La prima appartiene allo spazio della propria interiorità, la
seconda invece all'ambito esteriore e sociale concernente il complesso di riti,
preghiere, celebrazioni, precetti, con tendenza ai deterioramenti nelle
medagliette, nei cornetti e nei santoni. È raro il caso che una fede interiore
rimanga slegata da una religiosità esteriore, mentre è molto più frequente il
caso contrarlo, cioè di gente "religiosa" che non ha nessuna fede. Il
fatto di certe persone senza Dio e senza prossimo che si esibiscono ossequienti
alle gerarchie ecclesiastiche onde ottenere il consenso ai loro affari ne è una
prova. In questo senso il giudizio che oggi abbiamo "tanta religione e
tanta chiesa ma poca fede" non sarebbe poi così lontano dalla verità. E'
paradossale ma sintomatico constatare come lo stesso Gesù addita quale ostacolo
alla pienezza di vita certo modo di intendere la religione, allorché
considerata automatica dispensatrice di salvezza legata a magiche ricette, a
tempo e luogo cadenzate. Atteggiamento infantile e regressivo, come pretendere di
raggiungere la luna mettendo una scala sopra l'altra. Qui dunque, nel nostro
studio, non ci si interessa del fatto religioso, né della sua interpretazione
né della sua collocazione nei confronti delle diverse religioni esistenti.
Interessa la risonanza del messaggio evangelico nell'esperienza quotidiana, per
cui il titolo potrebbe anche equivalere a "Fede come terapia". Un
altro aspetto che emerge oggi da questa e da tutta la vasta letteratura
religiosa in merito è che il nostro Cristianesimo occidentale presenta
sottolineature troppo maschili, razionali, dogmatiche, normative, eteronome ed
eterologhe (cioè con principi che piovono dall'alto o dall'esterno), legaliste,
codicillose. Vale a dire è poco femminile, poco affettivo. Indubbiamente qui si
constata subito la mancanza della donna nella formazione della nostra civiltà.
Forse, o di certo, la sua presenza avrebbe selezionato nella Bibbia stessa
tratti meno guerreschi e meno violenti: meno testa e più cuore. Questa
osservazione ci ricollega subito ad un fatto del giorno (10.2.99), al
pronunciamento della Corte di Cassazione nei confronti di un imputato accusato
di violenza carnale nei confronti di una diciottenne di Potenza. Assolto perché
la ragazza indossava jeans e tale tipo di pantaloni non si può sfilare senza in
consenso della donna. E' nota la canea e la rivolta scatenata dal mondo
femminile con il conseguente sciopero della gonna, a scopo di protesta. Ovvio
che se alla Corte di Cassazione si fosse registrata un'adeguata presenza delle
donne il verdetto sarebbe stato diverso. Come dire, quando alla legge manca il
sentimento. E, volendo aprire una finestra sul mondo, lo stesso fenomeno
dilagante delle religioni o sette giovanili New Age, carismatiche,
apocalittiche, con largo spazio alla donna-sacerdotessa, forse dimostrano il
bisogno dell'irrazionale, cioè del sentimento e dell'affettività! Potrebbe
rappresentare una reazione all'interpretazione troppo celebrale e maschile del
nostro Cristianesimo. Nel "Vangelo come terapia" i coautori Balestro-Chiavarino
mettono in risalto come tutto il suo messaggio sia un inno alla vita, vita che
irrompe da ogni dove, secondo il detto di Gesù: "sono venuto perché
abbiano la vita e l'abbiamo in abbondanza" (Giov. 10.10). In molti di noi
c'è la paura di vivere, di spalancarsi alla vita per timore di perdere
qualcosa, una ritrosia esagerata della novità che conduce non di rado ad una
esistenza grigia e senza slancio, incapaci di godere il presente. Così la paura
di vivere ci spegne la vita. In molti di noi è radicato il complesso di Peter
Pan, la paura di diventare adulti. "Non voglio diventare donna"
piangeva una ragazzina il giorno delle sue prime mestruazioni. Ma tutti noi
piangiamo di simili recalcitrazioni. E spesso anche certa religione viene
sentita come salvaguardia al nuovo, come storico bisogno di restare dentro una
pancia immortale, in un perpetuo immobilismo. Ma proprio in questo senso Gesù
disse: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà" (Le 17.33). Oppure
in un altro contesto: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti"
(Le, 9-59). Come si vede la logica della conservazione non è la logica della
vita. E' in questa linea che l'uomo viene posto al centro del Vangelo, ama il
prossimo tuo "come" te stesso. L'uomo al centro della disputa, per il
quale la stessa legge è un mezzo non un fine. Se ha fame colga le spighe anche
di sabato (Mt 12, 1). Vivere nella sensazione della propria intrinseca
positività è indispensabile per qualsiasi iniziativa di vita, piena e calda. L'autostima
è fondamentale per una sana terapia personale. E' sempre Gesù che dichiara:
"non valete voi forse più di molti passeri?" (Lc. 12,7}. La negatività,
la ricerca della sofferenza, l'automutilazione, sia pure a gloria di Dio, non è
nella logica di Gesù. E qui si tratta di ricuperare anche nel Cristianesimo un
filone smarrito, quello della valenza positiva dell'uomo. Nel senso che se Dio si
è fatto uomo depone sul valore positivo di quest'ultimo. Messaggi biblici
secolari come "Tu sei polvere e polvere diventerai" oppure
"Vanità delle vanità e tutto è vanità" sono stati dal Vangelo
superati perché imput al nichilismo. Contro il pessimismo Gesù ha sempre ad
ognuno consigliato: "abbi fede!". Fede non tanto in me, quanto in te.
È di qui che il Vangelo inizia la vera terapia, dando all'uomo la coscienza
delle sue possibilità attraverso la fede. Fede che tutti posseggono se non
altro come seme, ma che pochi sappiamo o vogliamo attivare. Supporre che la
fede sia un privilegio esterno da Dio ad alcuni dato, al altri negato sarebbe
una forma di ingiustizia inaccettabile da parte di quell'Essere che Gesù chiama
Padre. "Vangelo come Terapia" pone Gesù e l'uomo in un rapporto di
empatia, molto più profondo che un rapporto di simpatia. Empatia significa In
effetti identificarsi dentro nella situazione dell'altro, anche se per ipotesi
fosse un antipatico. Mentre la simpatia è un sentimento che seleziona. Solo con
tre categorie di persone Gesù non è mai entrato né in simpatia, e tanto meno in
empatia: con gli ipocriti, con i farisei, con il clero del suo tempo. È stato
intrattabile. Considerando i rapporti con costoro, qualcuno di noi potrebbe definirlo
addirittura un arrabbiato ed un frustrato. È perché falsificavano la verità
dell'uomo e manipolavano la fede religiosa per gli interessi di categoria,
anziché per una vera terapia dei loro assistiti.
L'empatia
di Gesù la si incontra ad ogni passo. Rammenta quando prima della moltiplicazione
dei pani dice: “ho pietà di questo popolo, non voglio mandarlo via digiuno
perché non abbiano a venir meno lungo la strada". Gesù è sempre coinvolto
della pietà umana, dalle partecipazione affettiva, totale. In effetti invita
sempre la persona malata o depressa in disparte, la lascia parlare, le parla,
ne ricupera le vere intenzioni, non scoraggia, non sanziona, non minaccia, non
abbandona. Un vero psicoterapeuta nel quale la mentalità o la prosopopea
giudicante lascia il posto alla comprensione partecipativa. "Non sono
venuto per i sani ma per i malati" Gesù cioè non si è mai presentato come
Messia, ma come medico: è di qui che inizia la salvezza da lui operata.
Alla
fine una conclusione molto pratica. Noi cattolici consideriamo il sacramento
della confessione privata come l'occasione privilegiata per la terapia dell'anima.
L'affermazione vale, ma sembra riduttiva, considerata la sua crisi. Sfogliando
l'elenco telefonico possiamo constatare che nella città di Zurigo esistono
attualmente oltre 500 psichiatri (o psicologi o psicoterapeuti) ed una
cinquantina di preti. Qualche decennio fa la percentuale in materia era totalmente
in senso opposto. Alcuni frettolosamente concludono che la gente ha perso la
fede o che ha perso la testa, malata di mente. Sembra giudizio affrettato. La
gente ama dire e dirsi a persone che la possono aiutare a trovare un senso. Non
vogliono sentirsi né giudicati, né messi in ginocchio. Forse tra le mille e
cento cause della crisi del clero una potrebbe risiedere anche nel fatto che la
gente dubita sullo stile del prete o della confessione ad essere terapia
dell'anima. Non si dimentichi che la confessione privata è stata introdotta nel
settimo secolo dai monaci irlandesi per dare alla gente la possibilità di
dialogo interiore e terapia dello spirito. Come "possibilità" offerta
al paziente, non come "obbligo", imposto ad ogni credente. E non si
dimentichi che fino al 1200, periodo dei Concili Lateranensi, anche i laici
erano autorizzati a ricevere la confessione del popolo perché importante si
riteneva crearsi un rapporto dialogico, basato sull'empatia. Con il Concilio di
Trento (1560) la confessione privata fu resa obbligatoria e proprio sotto forma
di tribunale in cui il prete fa la parte del giudice, il fedele quella dell'accusato,
con l'obbligo di rivelare numero, specie, circostanze del peccato: di qui la
confessione privata sentita poco come una liberazione terapeutica, con il
conseguente abbandono, e la sua sostituzione da parte di altri curatori
"tecnici" dello spirito. Merito dunque dei nostri due scrittori
BalestroChiavarino di averci sensibilizzato su queste nuove realtà
"Vangelo come terapia".
Autore:
Albino
Michelin
03.03.1999
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