Non
entriamo in merito alle responsabilità personali di questo incidente
all'italiana, anche perché sarebbe moralmente scorretto ritenere tout court
colpevole un indagato al presente solo indiziato di associazione a delinquere a
scopo di usura ed estorsione: l'arcivescovo di Napoli. Come moralmente
inaccettabile tutta la sagra, la spettacolarizzazione, i tintinnii di manette
inscenata attorno al prelato. Che tuttavia tintinnii di miliardi siano stati
girati per sostenere dalla bancarotta fratelli, parenti, nipotini, questo pare
accertato. Innocente risulterà l'indagato se il denaro era di sua proprietà, un
po' meno se l'ammontare in questione proveniva da altre fonti o apparteneva
alla diocesi, cioè al popolo di Dio. E questo sarà compito della giustizia. Stampa
cattolica e parte della gerarchia italiana hanno fatto quadrato attorno alla
sua innocenza. È indubbiamente secondo il Vangelo solidarizzare con chi si
trova in difficoltà, però di qui a deresponsabilizzare, a decolpevolizzare, ad
assolvere chicchessia rappresenta un salto affrettato. Finiamo sull'ambiguo e
sul peloso. Si dovrebbe cioè andare più cauti perché se per disgrazia Giordano
venisse dichiarato colpevole, la chiesa verrebbe ovviamente accusata di omertà
sociale e di categoria, nonché di incoerenza e di intenzionale occultamento
della verità. Lei che fonda la sua testimonianza sul sacramento della confessione,
lo scaricherebbe sulle spalle dei poveri fedeli anziché praticarlo essa per
prima. Ciò che invece ha lasciato perplessi e che raccoglie pochi consensi è la
regia, condotta dallo stesso porporato che si mette a pretendere prerogative,
privilegi, immunità. L'Italia invade uno stato estero ... La chiesa è sovrana
... ingerenza indebita in atti di culto ... un cardinale gode di onori dovuti
ad un principe di sangue. Insomma canta chiaro e forte che la legge è uguale
per tutti gli altri, non per il cittadino Michele Giordano? Se lo può
giustamente chiedere l'italiano e il cattolico medio.
II
settimanale diocesano di Savona del 25.10.98, non unico per la verità, rifiuta
di rimanere nel coro e attraverso Il suo direttore A. Magnano, tenta un
discorso di fondo che va al di là del caso singolo, coinvolge il sistema, la
struttura e tutto il popolo di Dio, il quale rappresenta in ultima analisi la
fonte privilegiata del denaro vaticano, del denaro della diocesi, del denaro
delle parrocchie, ecc. La vicenda del Cardinale di Napoli, scrive il su citato
articolista, ripropone l'alternativa sempre viva fra due modelli di chiesa: a)
quello del privilegio clericale, società perfetta a se stante, zona franca, non
tenuta dalle regole comuni del vivere civile b) Quello di una chiesa, compagna
di strada dell'uomo, che non si arroga speciali diritti, ma annuncia il Vangelo
da brava cittadina del mondo. Proprio secondo la testimonianza dei primi
cristiani che si distinguevano per la correttezza del loro vivere civile e non
rivendicavano statuti speciali. Un fatto cosi chiacchierato, tipo quello in
questione, dovrebbe essere affrontato e vissuto come una prova di
corresponsabilità nel bene e nel male. Cioè la responsabilità, dell'eventuale
illecito maneggio di tanto denaro non cade solo sul prelato ma anche sulle
strutture della chiesa locale e sul senso di chiesa dei diocesani. Cioè dov'è e
dov'era "il popolo di Dio" di Napoli? Si accontenta soltanto di
applaudire il sangue di S. Gennaro? Perché non ha mai esigito un controllo sui
beni della "sua" chiesa campana, degli immobili, dei fondi, delle
offerte, delle donazioni, dell'lrpef, dell'ammontare dello stipendio destinato
al Cardinale, al Monsignori, ai parroci, agli insegnanti di religione, e via
via? Popolo di Dio del Vesuvio dov'è la tua corresponsabilità di chiesa? O sole
mio. Indubbiamente non va sottovalutata una difficoltà, che cioè noi ci si
trova di fronte ad un codice canonico ecclesiastico che costituisce il Vescovo
"Monarca" assoluto della propria diocesi. E non per delega, ma in
forza della sua ordinazione episcopale che lo assimila a Cristo
"Sacerdote, Profeta, Re". È su queste premesse teologiche che un
vescovo viene ritenuto amministratore unico, unico rappresentante legale dei beni
materiali, potestà incensurabile. Diritto canonico nr. 1237. Se deve essere
consigliato da un gruppo di amministrazione, questo ha valore solo consultivo,
quindi di retorico contorno. In definiva, dal punto di vista finanziario il Vescovo
deve controllare tutti i suoi "sudditi" (circola ancora questo
vocabolo?), ma non può essere controllato da nessuno.
E
quindi disgraziatamente potrebbe anche capitare che un ingente patrimonio
diocesano, parrocchiale, ecc. del popolo di Dio venga deposto in banca, giocato
in borsa, o nascosto sotto il mattone, senza che nessuno possa proferire verbo.
Di qui ovviamente molti credenti si pongono la domanda se questo tipo di
teologia non vada oggi riletta e se le relative norme canoniche non possano venir
modificate in vista di una maggiore corresponsabilità del popolo di Dio, cui
esso pure si addice l'assioma "Il Popolo è sovrano, in quanto Gesù ha
proposto il Regno di Dio in cui non è il mondo a servizio della Chiesa, ma la
Chiesa a servizio del mondo. Il caso Giordano potrebbe quindi rievocare
l'inadeguatezza della struttura finanziaria ecclesiastica attuale in rapporto
ad una società fondata sul metodo democratico con diversi poteri a controllarsi
reciprocamente. Certo non è il metodo democratico soltanto ad assicurare
l'onestà dei pubblici amministratori, vedi la corruzione dilagante nelle
democrazie moderne, vedi la nostra Tangentopoli. Sì, ma non per eccesso di
controllo, semmai per difetto, cioè per ancora troppa poca democrazia. Però là
ove esiste maggiore coscienza democratica, là minore è lo spazio in balia della
corruzione. E noi siamo convinti che la chiesa italiana dopo due mila anni di
radicamento nel nostro territorio possieda un vangelo capace di rendere onesto
almeno l'1 % dei 60 milioni di cittadini, in grado di gestire responsabilmente i
beni della loro chiesa. Se no deve rivedere i suoi metodi e i suoi obbiettivi
prioritari di evangelizzazione. Nella chiesa attuale quindi, per quanto
concerne l'amministrazione dei beni, ad iniziare dal quella napoletana è auspicabile
una separazione netta fra lo stipendio del personale (l'operaio ha diritto alla
sua mercede), dei chierici (Vescovi parroci-missionari) e quello della
diocesi, parrocchia, locale. Cosicché se qualcuno di costoro si sente in obbligo
di aiutare i familiari lo faccia con i suoi soldi, non con quelli del popolo di
Dio. D'altronde chi di noi risiede nella Svizzera tedesca sa che questo è un
meccanismo da tempo in vigore, non perfetto, ma meno rischioso e soprattutto
più trasparente. Aggettivo qualificativo oggi fondamentale per non divenire
schiavi del mammona. E' noto che nei nostri Cantoni le tasse di culto (= beni
dei fedeli) non vengono raccolte e amministrate dal prete o dal Vescovo, ma da
una commissione laica debitamente e giuridicamente eletta, e attraverso di
questa finanziate opere e persone di culto, dalla costruzione del campanile al
mensile del Vescovo, del parroco, del teologo, del sagrestano. E con resoconti
dettagliati, annualmente resi pubblici. Al contrario mantenere e difendere una
sola persona (Cardinale-Vescovo-parroco) quale amministratore unico dei beni di
chiesa, senza organismi di controllo realmente autonomi dal potere del
"Monarca", rende quest'ultimo fragile, perché dopo tutto anche lui è
un uomo esposto a tentazioni e a possibili deviazioni.
Se
non si va verso questo tipo di riforme allora teniamoci pure i nostri Jor, i
nostri Marcinkus, i nostri Giordano, i nostri piccoli o grandi scandali. Ma chi
vive e sente la chiesa dal di dentro non può che soffrirne.
Autore:
Albino
Michelin
04.11.1998
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