La moglie di Totò Reina sostiene che la mafia non esiste, è un fenomeno
creato dalla stampa per vendere più giornali. In realtà invece sta aumentando
con una incredibile escalation sia dal punto di vista delle varie intensità
locali come della diffusione e globalizzazione geografica. In passato nella
nostra Italia era ritenuto un tabù nel sud, un'invenzione dei nemici del
meridione, e addirittura irrilevante nel nord. Oggi invece al di là del suo
"unicum" di matrice siciliana è giunta ad una serie di costellazioni:
mafia del nord-est, mafia cinese, giapponese, russa, centro americana e
quant'altro. Anzitutto va ricordato che "mafia" è un'espressione
generica, abbraccia una serie di altre come stidde, ‘ndrangheta (Calabria),
camorra (Campania), Sacra Corona Unita (Puglia). Sembra che mafia derivi
dall'arabo "mahias" (=bravura, coraggio, valore), e 'ndrangheta dal
greco "andra ganthia" (=coraggio, esibizione). Mafia, un complesso
di associazioni sorelle, dette cosche, rette dalla legge della segretezza
dell'omertà, da un codice disciplinare in cui la parola è sacra, atta a
procacciare favori e guadagni a chi ne fa parte, che si propone di sostituire i
pubblici poteri con l'attuazione di una forma primitiva di giustizia. La sua
violenza ed illegalità abbisogna e viene garantita dal consenso sociale. La
composizione è trasversale, nel senso che ne fanno parte boss con abbigliamento
da pecorai e barba incolta, avvocati, parlamentari, sindacalisti, magistrati,
banchieri, commercianti, dottori, medici, imprenditori, cattolici, atei e gente
di ogni religione, preti, frati e anche prelati di elevata gerarchia. Insomma
una grande famiglia.
L'origine? Non è datata con precisione. Dal punto di vista della mentalità
c'è chi la fa risalire ancora al 1400, al tempo della dominazione spagnola in
Sicilia, in cui l'ideale era la figura del borbone l'enfatizzazione dell'onore,
dell'apparire, del baciamano: spagnolismo. Sul piano concreto è sorta con
l'Unità d'Italia verso il 1860 in cui singoli staterelli sono rimasti
abbandonati alla loro mercé e quindi con giustizia fai da te. Al tempo si
litigava per un sacco di farina sistemato da una schioppettata oggi si è
arrivati a grandi traffici di cocaina e stragi pianificate. Un aspetto
essenziale spesso sottovalutato è il consenso sociale. Chiamatelo silenzio,
omertà, compiacenza, pizzo. La mafia ha bisogno della simpatia della gente,
della complicità degli estranei, del sostegno della pubblica opinione. Le
brigate rosse hanno fallito (1970-80) perché non godevano di una simpatia
popolare. La mafia no, perché ha saputo creare un habitat favorevole evitando
l'isolamento logistico e psicologico. Tommaso Buscetta affermava che lui poteva
contare su circa un quarto della popolazione che lo lasciava vivere e a cui
egli garantiva da vivere. Come fanno cinquemila uomini d’onore, una minoranza
siciliana tenere in pugno 5 milioni di concittadini? I mafiosi doc non si
sporcano mai le mani, non uccidono mai senza necessità. Quando se ne stanno in silenzio
significa che tutto va OK. Uccidono solo in caso di necessità, ne colpiscono
uno per educarne cento. Fanno attenzione a non perdere il consenso sociale. Ciò
che può interessarci al presente, anche per non ripetere cose a tutti risapute,
è la domanda: esiste un rapporto fra mafia e religione, fra dottrina della chiesa
e dottrina della mafia, fra teologia cattolica e teologia della mafia? La
letteratura al riguardo, studi e saggi sono innumerevoli. Cito qualche titolo:
"Il Dio dei mafiosi", "Le sagrestie di Cosa nostra",
"La mafia dorata ", "Il Signore non sia con voi",
"Pentiti davanti a Dio non basta", "Una religione mafiosa
", "Il linguaggio dei gesti in Sicilia ", "Il festino di S.
Rosalia fra mito e spettacolo".
Il Dio dei mafiosi
La domanda va inserita in un contesto più ampio. Come mai nell'Europa dalle
radici cristiane hanno potuto nascere, crescere, svilupparsi di recente tre dittature
omicide: il fascismo, il nazismo, il comunismo (quest'ultimo nella Russia pur
sempre ortodossa-cristiana)? E limitandoci a casa nostra come mai in Italia, da
due mila anni culla del cattolicesimo, ha potuto prosperare tanta mafia? E come
mai tutto questa religione del Meridione non ha per nulla cambiato le cose? La
teologia cattolica laggiù è proprio inconciliabile con la mafia, oppure è
convergente, affine, vaso comunicante? Senza qui mettere in discussione i
contenuti e la perenne validità del Vangelo, che non sia per caso stato
tradotto male e ancor peggio recepito? Certo che fra le due realtà,
cattolicesimo e mafia esistono delle somiglianze sconcertanti. Si è sviluppata
una teologia che se non promosso ha senz'altro reso possibile un fenomeno di
così vasta portata e di così lunga durata. Tutt’ora dominante nella cultura e
nella mentalità del sud. Di qui una constatazione: tutti i mafiosi o la stragrande
maggioranza sono religiosi praticanti, certo non nemici di Dio e dei Santi
suoi. Leonardo Messina, capocosca di S. Cataldo (CL) „fra di noi vi sono molti
cattolici di profonda fede, ma nella regola di Cosa nostra è vietato uccidere
di venerdì. Tutti hanno nei loro covi una bibbia, tutti pregano, portano in tasca
i santini e venerano le immaginette di P. Pio. Io pure sono fra costoro e sono
cattolico". Ma tutti sappiamo che gli uomini d’onore sono religiosissimi,
ostentano addirittura in pubblico le loro devozioni, sovvenzionano le feste patronali,
regalano i primi banchi nelle chiese. Sempre il nostro Messina dichiara: „Cosa
nostra risale all’Apostolo Pietro, lui ne è il fondatore". Benedetto
Santapaola, capo della famiglia di Catania, studiò dai salesiani perché voleva
farsi prete, poi scelse la „vocazione“ del mafioso. Calogero Vizzini, il
patriarca di Villabate (CL) aveva due
fratelli preti, un cugino parroco, un cugino vescovo di Noto, uno zio vescovo
di Muro Lucano. Non manca nemmeno qualche prete boss. Come a Marineo di Palermo
dove esisteva una cosca sotto il nome del SS. Crocefisso, guidata dal parroco
don Ciro Romeo. Oppure padre Frittita, frate carmelitano che frequentava Pietro
Aglieri, latitante, gli celebrava la messa nella cappella privata, da dove
continuava a programmare delitti, che si difendeva in nome di un cattolicesimo
schizofrenico: "aiuto le anime a riconciliarsi con Dio''. Care quelle
anime, quelle venivano legittimate a continuare nella loro mala vita. Ci sono
stati dunque (o ci sono ancora) rapporti di complicità fra clero e mafia
coltivando relazioni sospette fra parenti amici dei mafiosi. Indubbiamente i
preti o i prelati di Cosa nostra costituiscono un'eccezione. Ma eccezioni
ancora più rare sono quelle dei preti "martiri" per aver reagito al
potere di Cosa nostra. In 17 anni dal 1993 ne abbiamo avuto uno in Sicilia, con
Pino Puglisi di Palermo e uno in Campania, don Giuseppe Diana di Casal di
Principe, quello che ha animato la rivolta contro il clan dei camorristi. I
martiri li abbiamo avuti nei primi secoli della chiesa e forse per motivi meno
umanitari (negavano l'incenso all'imperatore), mentre sarebbe oggi il momento
dei veri martiri che danno la vita per i propri fratelli. Ma proprio qui c'è
penuria.
Dio non
perdona, la mafia meno ancora.
Nella visione del mondo, o nella filosofia della mafia (possiamo dire
teologia) vi sono elementi base di comportamento assunti dal cattolicesimo che
influiscono sul suo agire. Ad esempio il concetto di Dio nel Vecchio
Testamento, giudice, vendicatore, che punisce i torti infertigli fino alla
terza, quarta generazione. Dopo la cattura del solito Totò Reina si è trovato
nel suo covo una massima: "Dio solo è grande ma neppure lo zio Totò
scherza". Leoluca Bagarella, corresponsabile di aver strangolato, appeso
ad un gancio, e poi sciolto nell'acido il bambino Matteo, reo soltanto di
essere il figlio del pentito Santino disse: "la decisione è nella mia
volontà, io sono come Dio". La giustizia dei mafiosi si consuma attraverso
un codice di gesti di violenza: lupara, sasso in bocca, incaprettamento, taglio
della testa, morso alle budella, estrazione del cuore e addentamento, strappo
dei genitali per ficcarli in gola. Sono modalità in riferimento al tipo di
tradimento o di sgarro. Occhio per occhio, dente per dente. Con una teologia
siffatta diffusa come una metastasi, che ci riescono a fare i poliziotti, o le
catture dei singoli latitanti? Il concetto di Dio nell'onorata società è quella
di Padre-Padrone quindi dogmatismo e fondamentalismo. Crampi mentali e blocchi
psichici. Tutto funziona se non si fanno domande. Già con i bambini si adotta
un tipo di pedagogia "nera": silenzio e obbedienza. Atteggiamento
tipico di tutte le strutture gerarchiche. Come nei seminari, un po' verso
quella linea. In un conflitto tra famiglia mafiosa e anagrafica, la precedenza
va data alla prima. Quando Marianna Di Filippo seppe che i due suoi figli
passarono fra i pentiti comunicò all'agenzia (Ansa 30.6.95): "da oggi quei
cornuti non sono più miei figli". Sempre dalla teologia cattolica: Il Dio
del Vecchio Testamento è maschio? Dunque la mafia deve avere una struttura
maschile. Ecco perché le donne nell'onorata società appaiono di rado. Anche
perché la professione dei mariti è quella del denaro e del potere. Il denaro fa
potere, il potere fa denaro. E quindi nemmeno tanto tempo resta di fare sesso,
di andare ad export, o alla ricerca di trans. Circola fra di loro anche un
proverbio; "cummanari è megghiu che futtiri" (comandare è meglio che fottere, andare a donne).
Salvo poi il caso in cui un boss venga catturato, allora è la moglie che prende
in mano le operazioni.
L’intercessione
dei santi e dei padrini
Un concetto cattolico passato pure a Cosa nostra è la devozione al santo,
quale mediatore e intercessore presso Dio. Il santo può tirare Dio per la
manica e volgerlo a sostenere gli interessi del mafioso. Emblematico il fatto di
S. Cristina, S. Rosalia. A Palermo inizialmente la patrona era S. Cristina. Ci
capita la peste. Preghiere e processioni non portano a niente. Allora gli
abitanti tolgono di mezzo S. Cristina e vanno alla ricerca di S. Rosalia. La
peste finisce, non si sa se per merito della nuova patrona e per l'esaurimento
dei bacilli. Come in una partita di
calcio. S. Cristina è stata tolta dal campo e mandata in panchina. Però
questo modello si è tradotto anche nel comportamento mafioso: dove vige il
padrino, l'amico, il cliente, il lecchino: se tu non ce l'hai, strada non ne
fai.
Una chiesa contro la mafia
A questo punto e di fronte alla situazione attuale che va sempre più
degradando, la chiesa cattolica italiana e meridionale deve uscire aIlo
scoperto e ritradurre il messaggio cristiano nella sua essenzialità e secondo
le priorità proposte dal Vangelo. Che i mafiosi abbiano il loro papa (ricorda
Michele Greco), che sappiano a memoria il catechismo medioevale è tutto
devianza e mistificazione. In questo ambito la chiesa deve rimboccarsi le
maniche. Non bastano i soliti documenti formali. A parte il fatto che anche
questi sono recenti. Si pensi solo al Card. Ruffini che nel 1974 sosteneva
essere la mafia amica della chiesa. I veri nemici sono i comunisti. Si tratta anzitutto
di riproporre la centralità di Gesù, che ha presentato un Dio Padre
misericordioso, che ha vissuto per l'amore verso il prossimo, con tutte le
conseguenze che ne derivano. Un Dio di Gesù che fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti e sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi.
Inoltre riporre in seconda visione o rimuovere certe iconi che fanno da
supporto aIl'ideologia dell'odio. Come le immagini senza numero di S. Michele o
S. Giorgio che con la spada cacciano nel fuoco infernale il diavolo, dalla
faccia di musulmano. Porre in seconda battuta il ruolo dei santi: che non sono
intercessori e padrini presso Dio, ma testimoni del bene e della solidarietà
umana anche nel nostro tempo. E poi rivedendo la predicazione basata troppo
sull'inferno e sul terrorismo intimidatorio dei castighi di Dio.
Quindi sul piano pratico, una chiesa che abbandoni atteggiamenti viscidi e
viscosi. Troncare ogni legame di amicizia e supporto con i mafiosi, non accettare
donazioni né in ambito sacro, né profano, né sportivo. Casi come queIlo del
mafioso Giuseppe Puma che nel 2008 donò alla parrocchia Regina Pacis di Palermo
un confessionale con la targa: "A perpetua benedizione di Ignazio
Salvo" (pure mafioso). Casi del genere andrebbe chiaramente stigmatizzati.
E poi condurre lentamente la gente alla "liberazione", al senso della
dignità, al linguaggio del "sì, sì, no no".
Il messaggio prioritario della chiesa oggi in Italia dovrebbe essere: "amore
del prossimo e legalità. Rifiuto di tutto ciò che sa di commercio del sacro, di
tariffe sui sacramenti e suIle messe, della protezione dei potenti". Ci si
lamenta che in Italia nel 2008-9 i casi di corruzione sono aumentati del 229%.
Se la chiesa non si stacca decisamente dalla politica e dai privilegi invocati
nei suoi confronti, tutto diventerà una mafia.
Autore:
Albino Michelin
05.03.2010
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