Quello
dei simboli è un linguaggio antico quanto il mondo. Magari si evolvono, vengono
sostituiti con il cambiar dei tempi o dell'età anagrafica dell'uomo, ma restano
indistruttibili. Anche i bambini quando disegnano si esprimono attraverso i
simboli seppure simili a
scarabocchi. C'è sempre il sole (simbolo di vita e gioia), la casetta (simbolo
di protezione e sicurezza), la pianta (simbolo della natura con i suoi cicli di
sviluppo). La fantasia del bambino è sempre popolata da simboli, cappuccetto
rosso, le fate, gli gnomi, il grillo parlante. Le opere letterarie, i films, la
pubblicità tutto si esprime e risveglia l'attenzione attraverso i simboli.
Anche la Bibbia, a parte ovviamente le figure storicamente indiscusse come Gesù
la sua famiglia, la sua morte, i profeti dell'Antico Testamento, è si parola di
Dio ma che si esprime attraverso una grande quantità di simboli. E come quando
qualcuno con il dito ti segna la luna, tu non devi guardare il dito ma la luna,
così è dei simboli, nel caso, di quelli contenuti nella Bibbia. Importante è
sapere decodificare. Diversamente la Bibbia anziché un libro che unisce diventa
un libro che divide.
La
parola "simbolo" deriva dal greco "sün-ballo", o "sün-ballein"=rinviare
oltre. Indica un oggetto o un modo di dire che non va recepito nella sua significanza
oggettiva, ma che rinvia ad una realtà più profonda e più universale. Ad
esempio la bandiera è un pezzo di stoffa se la considero come semplice manufatto.
Non significa nulla in se, ma rimane altro. In effetti, se io ci sputo addosso
tutto il suo popolo insorge, lo considera un insulto a tutti coloro che essa
rappresenta. Il simbolo è un'immagine mentale carica di sentimenti, di affetti,
di pulsioni, di impulsi, nonché di sogni. In quanto poi alla lettura dei
simboli diremmo che la percezione di essi può dipendere da un sentimento
oggettivo. Ad esempio: non amo il nero perché mi fa paura. Oppure dalle
abitudini e dalle diverse culture. Ad esempio in Europa nei funerali ci si
veste di nero (qui simbolo del lutto), in qualche parte dell'Asia ci si veste
di bianco, perché là quello è il colore del lutto. In India la vacca è sacra
(simbolo della vita, del latte quale nutrimento vitale), da noi la vacca è un
quadrupede come tanti altri. O ancora, la percezione dei simboli può dipendere
da una realtà immanente, oggettiva. Ad esempio la notte è il simbolo
dell'oscurità e della morte per tutti e per tutte le epoche. Come sopra citato,
ugualmente il sole è il simbolo della vita per tutti e per tutte le epoche. E
facciamo un passo più avanti. Il simbolo è o può essere anche bivalente. Ti
rimanda ad un significato oppure al suo contrario. Ad esempio, la madre è uno
dei simboli più immediati. Ti rimanda a pensare: donazione, dare la vita, aiutare
a crescere, rendere autonoma è indipendente una persona, suo figlio. Ma può
significare anche l'opposto, cioè possesso, sentirsi proprietari del bambino,
viziarlo, chiocciarlo. Si vuole che realizzi ciò che la madre ha fallito, la si
schiavizza. Con tutte le conseguenze psicologiche che ci capitano addosso
allorché si abusano e si sfruttano i simboli. Dunque ci sono simboli
particolari e universali, simboli provvisori e permanenti. Anche qui, ci si
scusi la ripetizione, il problema è decodificare. Ecco perché oggi i medici
come i psicologi, parapsicologi, psichiatri, psicoterapeuti hanno assunto
un’importanza essenziale nella salute specie mentale della persona.
L'elaborazione, l'espressione, la repressione, la regressione dei simboli
sono aspetti da non sottovalutare. Questa premessa un po' teorica è però
essenziale se vogliamo affrontare il discorso sul crocefisso e sui simboli
religiosi (moschee, minareti o campanili islamici compresi) uscendo un po' dai
luoghi comuni e dalle guerre di religione.
Dalla croce alla svastica
Un bel
salto nel tempo. Già nel 500 a.C. la
Croce era conosciuta come simbolo di buon augurio. Dal sanscrito
"Schwasti". In effetti le 4 braccia orientate verso i quattro punti
cardinali volevano significare "salute a tutti, un abbraccio a tutto il mondo".
Più tardi al tempo dei romani,
i nostri antenati gloriosi hanno rovesciato il senso di questo simbolo, dall’amore
all'odio. Ciò avviene anche nelle coppie di innamorati: se succede una rottura
la persona amata diventa la più odiata. Non la si vuole più vedere. E così i romani
sulla croce ci inchiodavano gli schiavi.
Come dire: "ti facciamo vedere noi, o sedicente Messia, gli auguri
di buona fortuna. L’abbominio e il disprezzo di tutti, come per ogni schiavo,
né più né meno. Nei primi tre secoli della chiesa il crocefisso non divenne il simbolo
ufficiale del Cristianesimo, come lo fu il Buon Pastore. Senz'altro abbiamo
qualche passo dell'apostolo Paolo che enfatizza talora il significato della
Croce di Gesù, secondo cui un Dio offeso dai peccati degli uomini avrebbe
preteso una riparazione adeguata: il sacrificio del suo stesso figlio. Ma poi
Paolo corregge questa sua concessione alla mentalità del tempo affermando:
"se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede". Per la
vera Chiesa dunque Croce e crocefisso rappresentano un momento di passaggio
(transeunte). Mentre invece lo stato permanente di Gesù dopo la Pasqua è il
"Risorto, il Vivente": Questa è la vera identità cristiana. Al tempo
delle persecuzione (200-300 d.C.) dell'Impero Romano contro i cristiani, il
simbolo usuale di questi non fu il crocefisso, ma il pesce. Un acrostico.
Perché dal greco "JKDUS" le iniziali significavano: "Gesù Cristo
di Dio Figlio Salvatore". E dopo la pace religiosa di Costantino (313) il
simbolo più comune dei cristiani ritornò ad essere Gesù Buon Pastore. E chi
visita la Basilica di Sant'Apollinare in Classe (Ravenna), stile bizantino del
520 d.C. osserverà
Decreto regio di Benito Mussolini un grande mosaico nell’abside in cui campeggia uno stupendo Gesù tra fiori e agnelli a brucare l’erbetta: idilliaco Gesù buon pastore. Purtroppo nella storia successiva Gesù è diventato un simbolo bivalente, a volte simbolo di vita e di amorea volte abusato come simbolo di morte e di distruzione. Infatti già dal tempo di Teodosio Imperatore (380 d.C.) la croce ha iniziato ad essere simbolo di potere, per spronare le crociate, per schiavizzare popoli interi, battura sulla bocca degli ebrei per indurli a confessione o sulle labbra delle streghe per farle ravvedere prima di essere bruciate al rogo. Fino alla croce uncinata dei nazisti, simbolo della shoah nella seconda guerra mondiale. Senz’altro croce e crocefisso hanno suscitato nella storia eroismi, solidarietà, cura dei poveri e dei malati, ospedali, istituzioni benefiche. Ma anche qui con il rischio sempre in agguato dell’ambivalenza. Per onorare la croce si è predicata rassegnazione, sottomissione, meriti per il paradiso. E tanto silenzio. Porta la tua croce figliolo e stai zitto. Quando invece Gesù disse: ”misericordia voglio e non sacrificio.”
E
così siamo arrivati al 1924, al dittatore Benito Mussolini che patteggiò con la
chiesa. Se essa riconosceva il partito fascista, se gli concedeva il sabato per
la ginnastica e lo sport dei lupetti, balilla, avanguardisti, piccole italiane,
egli il Duce avrebbe reso obbligatoria l'affissione dei crocefissi nei locali
pubblici. Papa Ratti Pio XI ci cascò nel tranello tanto che nel patteggiamento
del 1929 definì Mussolini l'uomo della Provvidenza. Più tardi si accorgerà dell'astuzia,
tenterà di condannare il mito della razza, ma intanto la frittata era fatta.
Tutto il popolo italiano è convinto che l'affissione obbligatoria del
crocefisso sia il simbolo storico della nostra identità, invece è solo un
equivoco politico o quasi. E nell'ora settimanale di religione questa vera storia
del crocefisso non la si insegna. Proibito capire, obbligati a obbedire. La
verità viene cosi ancora una volta manipolata. Non si vuole l'ora di
"cultura e storia delle religioni", e così si elimina una chance: la
reciproca conoscenza delle fedi da parte delle varie etnie stanziate in Italia.
E la polemica sale. Obbligo di esporre il crocefisso nei luoghi pubblici se no
fioccano le multe. Per chi non si adegua: 500 euro di multa dal sindaco di Trivolzio
(PV), altrettanto a Galzignago (PD). Per chi lo toglie? 500 euro di multa, vedi
sindaco di Enna e di Scarlino (GR), 150 euro vedi sindaco di Besana (LC). Un
modello per tutti? Il sindaco di Verona che nel suo ufficio al posto della foto
del Presidente della Repubblica Napolitano ci mise il crocefisso.
Si
obbietterà che in Italia '84% della popolazione vuole il crocefisso nelle scuole.
Non ci importa la loro composizione. Mi esonero da eventuali offese, ma lo dice
lo studioso Mannheimer. In genere si tratta di anziani, praticanti
conservatori, tradizionalisti, di cultura mediobassa, meridionali, e ovviamente
atei di destra. Lo dice. Però in materia di diritti e di coscienza non vale il
principio di maggioranza. Nell'ambito della coscienza non c'entra la
democrazia: ognuno ha libertà di seguire il proprio credo, e il dovere di
rispettare quello diverso, degli altri, anche se fossero minoranza, cioè nel caso,
il 16%. A imporre il crocefisso nei luoghi pubblici e per legge noi italiani
saremmo come i maomettani che impongono il Corano e il burqa con sanzioni
penali. Pari e patta, per niente migliori.
Altra
voce dal coro: Noi toglieremo il crocefisso dai luoghi pubblici, costruiremo
moschee e minareti quando "loro" ci lasceranno costruire le chiese
nei loro territori. Reciprocità! Bene, ma Gesù non ha ragionato così. Prima ha
cominciato lui e poi disse: "venite e seguitemi". Anzi forte quella
sua espressione: "se voi fate del bene a quelli che lo fanno a voi, che
merito ne avete? Avete già ricevuto la vostra mercede". Aspettare
reciprocità non è cristiano. Allora dove porre oggi il Crocefisso, abolirlo del
tutto? Niente affatto, il simbolo è visibilità e ogni religione ha diritto a
questa visibilità: nei luoghi appropriati! Non certo in tribunale, nemmeno nei
bar degli avvinazzati, nemmeno nei nascondigli dei mafiosi latitanti. Don
Milani, quel prete fiorentino che dopo la guerra aveva organizzato nella sua
parrocchia di montagna una scuola per adulti, sapendo che la sua povera gente
erano tutti comunisti, nell'ora di lezione toglieva il crocefisso dalla parete
della canonica e lo riponeva nel cassetto. Non era un vergognarsi di Cristo, ma
rispetto verso certi poveri cristi che si trovano nella miseria spesso a causa
della strumentalizzazione cattolica del crocefisso stesso. I luoghi adatti per
l'esposizione di questo simbolo, oggi come oggi, possono essere i nostri luoghi
di culto, la cima dei monti, i sentieri di montagna o anche, a seconda della
propria fede, attorno al collo. Ma prima di tutto il luogo appropriato del
crocefisso è la propria coscienza. Troppi crocefissi in giro, poco vangelo,
nessuna coscienza. E tutti i politici e cattolici loro seguaci che si
scandalizzano per la sentenza di Strasburgo del 3.11.09 facciano un esame di
coscienza. La vera battaglia è quella di non crocefiggere nessuno, di togliere
la croce sulla spalle degli ultimi. Da noi crocefissi sono i precari, i senza
tetto, gli stranieri, i respinti nel mare, gli annegati delle carrette. A che
servono i crocefissi sui muri quando si offende il crocefisso violando il
talamo coniugale, inventando riti pagani al Dio Po, si baciano le pantofole
alle gerarchie cattoliche a scopo elettorale? Questo è uso politico della
Religione. Anche se l'Italia è la prima ed ultima provincia del Vaticano
teniamoci il nostro simbolo dell'identità patria che è la bandiera. E
lentamente maturiamo la sostituzione del Crocefisso con il vero simbolo cristiano
che è la Risurrezione di Gesù. In effetti in molte chiese abbiamo già questa
icona: un Gesù nella posizione di crocefisso, ma senza croce e senza chiodi.
Come librato in cielo. Si riferisce al Vangelo di Giovanni secondo il quale la croce
per Gesù si è identificata con il trono della Risurrezione. Vogliamo inaugurare
una vera battaglia a favore o contro l'esposizione del crocefisso nei luoghi
pubblici? Bene, togliamo la croce dalle spalle dei poveracci del nostro tempo,
facciamoli risorgere a nuova dignità.
Autore:
Albino
Michelin
08.12.2009
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