Sabato
27 maggio 2000 la città di Berna fra l'Hotel Alfa, la locale Missione cattolica
e la Chiesa della SS.Trinità ha visto una invasione di connazionali. Il
giornale di bordo parla di 900 persone di cui 450 adulti e 250 giovani presentì
ai lavori del mattino, più 150 aggiuntesi al pomeriggio per la messa
conclusiva. Certo il numero è rilevante ma più che all'impressione coreografica
esterna queste manifestazioni tanto valgono quanto intendono affrontare i nodi
cruciali delle missioni cattoliche in Svizzera: la loro esistenza, continuità,
ricollocazione, le loro componenti anagrafiche, l'apertura o la resistenza nei
confronti dell'integrazione con l'ambiente locale ecc. Però indicazioni valide
per il futuro pochine, anche perché in queste manifestazioni si tratta più di
seminare che di raccogliere. Il titolo sul frontone portava all'incirca il
motto: "Testimonianza e visibilità delle Missioni in Svizzera". Non è da escludere un certo panico negli
ultimi tempi serpeggiante per l'abolizione o decurtazione di fondi da parte
delle amministrazioni ecclesiastiche svizzere nei confronti delle missioni
stesse. Care amministrazioni, noi cattolici italiani ci siamo, ve lo facciamo
vedere e abbiamo diritto alle nostre legittime sovvenzioni (in buona parte dalle
nostre tasse del culto) per la sopravvivenza. Che i soldi siano importanti oggi
anche nella evangelizzazione lo dimostra lo stesso buon Samaritano: con le sole
buone intenzioni non avrebbe combinato nulla, ma ha potuto pagare l'albergo al
malcapitato caduto nel fosso perché disponeva del denaro sufficiente. Non
entriamo qui in merito alla legittimità o meno della Chiesa svizzera sulla
decisione di ridurre i contributi alle nostre comunità. Però una prima lacuna
va rilevata: al Convegno di Berna la chiesa ufficiale Svizzera è rimasta
assente. Il suo incaricato per gli stranieri, N. Brunner, occupato per un
matrimonio, non ha nemmeno inviato un suo delegato rappresentante. A parte il
dott. Koppel, segretario d'ufficio della Migratio, non si sono visti né
delegati delle varie commissioni centrali cantonali, né quelli delle
Amministrazioni locali, sia pure con una o due lodevoli eccezioni. Chiara
l'interpretazione: siamo ancora due chiese parallele. La nostra pastorale
italiana, per gli italiani e soprattutto all'italiana viene tollerata in quanto
(per gli svizzeri) destinata ad un binario morto, perché non abbiamo voluto o
potuto acquisire peso morale verso le comunità elvetiche con iniziative di
collaborazione reciproca. Se da una parte è da ritenersi esagerata questa forma
di cannibalismo integrazionista nei confronti degli stranieri, dall'altra dobbiamo
convincerci che il terreno perduto si può ricuperare solo cominciando dal
basso: in Svizzera dopo 7 secoli di democrazia di base manifestazioni di
pressione di massa per intimidire e piegare i vertici lasciano il tempo che
trovano. Qui oggi ogni comunità italiana deve rinnovarsi ad iniziare dal
"suo" piccolo ambiente e, pur mantenendo uno spazio di legittima
autonomia culturale e religiosa, deve approntare determinate iniziative comuni
anche con la chiesa svizzera. Per l'assenza del vescovo elvetico incaricato si
è ricorsi al Cardinal Tonini, che, per quanto uomo di Dio carismatico e
mediatico, non ha fatto altro che evidenziare maggiormente la distanza e il
parallelismo fra le due chiese. In effetti ci si può chiedere che stesse a fare
qui un prelato totalmente italiano quando nostra interlocutrice è la comunità
svizzera. Un'altra lacuna la si potrebbe ravvisare nell'insistenza di un
monocolore confessionale e nella totale assenza di ecumenismo. Non ci si
riferisce certo qui alla mancata partecipazione di pastori protestanti, ma ma a
quella delle nostre famiglie miste, in cui il partner italiano è di confessione
cattolica e quello svizzero di confessione evangelica o viceversa. Sarebbe
interessante conoscere dai nostri studiosi sociologi il numero e la statistica
di questo tipo di focolari nelle nostre missioni. E anche qui lo stesso
risultato: all'interno delle nostre stesse famiglie esistono due chiese
parallele e non comunicanti. Una terza lacuna concerne il mondo specifico delle
nostre missioni. Si sa “ab immemorabili” che la maggioranza dei membri della
chiesa è composta da donne, però sulla bigoncia ad impugnare microfoni ci sono
ancora troppi maschi. A Berna due sole eccezioni per confermare la regola:
l'intervento di una religiosa e quello della dottoressa A. Rudeberg che fece la
proposta di un volontariato più qualificato e professionale, ma che nel bel
mezzo del suo dire venne sollecitata a farla breve. È scontato inoltre che la
maggioranza dei membri della chiesa sono laici. A titolo di curiosità quella
cattolica ne conta (pare) un miliardo o poco più, mentre i religiosi, papa
compreso, ammontano al 1.370.000. La stessa proporzione si può trasferire nelle
comunità locali. Però la chiesa "docente" continua ad essere quasi
sempre e solo quella clericale, quella laicale resta troppo e solo discente.
Così a Berna abbiamo ascoltato una bella relazione del dott. G. Mileti di
Neuchatel sulla pastorale giovanile interculturale, sulla necessità di
investire mezzi e persone in questo settore. Però la solita costatazione di due
chiese, parallele: quella del clero celibe guidata da maschi, e quella del
popolo seguita dai bambini, dai vecchi, dagli sposati e soprattutto dalle
donne. Un'ultima lacuna: la mancanza di giovani. E qui non si scopre la luna. 160-220 giovani sui sedici anni presenti alla
giornata congressuale. La realtà è che a 16 anni non si è giovani, ma
adolescenti, in un periodo ancora di semitutela della famiglia, della scuola,
della chiesa. Ma giovani al di sopra dei 20 anni, o coppie di fidanzati, ecc.
di questa fascia di età, svincolati da ogni tutela sociale: trovarne uno era
come pescare l'ago nel pagliaio. Significa che dopo 18 anni all'incirca noi
delle missioni e delle parrocchie perdiamo tutti e non riusciamo più ad avere
con loro sintonia alcuna e tanto meno lunghezza d'onda. La loro chiesa è il
dancing, la loro liturgia è la musica metallica. E noi continuiamo con le
nostre messe rituali, ripetitive, asettiche a monologhi. Si legga a proposito
un interessante articolo apparso su "Rinascita" del 15.6.200 a firma
di don Stefano Balie. Abbiamo purtroppo anche in questo settore due chiese
parallele: quella dei pensionati e quella dei giovani in età minorile, non
comunicanti e incomunicabili. Il Convegno infine non ha tralasciato fra le
righe di rammentare le cosiddette "Unità pastorali", cioè
l'aggregazione territoriale di varie missioni, che pure conservando la loro
autonomia, faciliti scambi e collaborazione. Questo è senz’altro positivo, ma
va però evitato un pericolo, quello di una semplice lottizzazione geografica,
anziché strumento di riqualificazione pastorale, culturale e religiosa con la
messa in comune e la valorizzazione dei carismi migliori a servizio di tutti.
Ed è cosi che, sembra, le varie missioni centrali come Ginevra, Losanna, Berna,
Bienne, Basilea, Zurigo, San Gallo dovrebbero diventare centri propulsori e
dinamici, laboratori di riciclaggio e aggiornamento per le zone limitrofe,
specie di università popolari dove vengono esposti e dibattuti gli argomenti di
attualità e prospettate eventuali risposte alle urgenze di oggi. Nessuno vuole mettere il naso in casa altrui,
ma bisogna fare I conti con il turismo pastorale, cioè con gente che in
occasione di battesimi, matrimoni, ecc. si trasferisce da una missione ad un'altra
e fa giustamente le sue osservazioni e i suoi confronti. Ma nemmeno di questo il
Convegno di Berna del 27 maggio, forte dei suoi 900 militanti, ha preso atto.
Va comunque elogiato il coraggio di chi si assume l'organizzazione di tali
manifestazioni nella speranza non faccia difetto il coraggio di constatare le
eventuali lacune e la volontà di approntare appropriate terapie.
Autore:
Albino
Michelin
22.06.2000
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