Il convegno
annuale diocesano del 10 aprile 2000 dal tema ”Piano pastorale zurighese” con
invito a tutti i sacerdoti, operatrici e operatori parrocchiali svizzeri e
stranieri, condotto dal vescovo P.Henrici, ha avuto anche alcuni spunti di
rilievo che giova non perdere, e concerne una nuova figura di prete e di
animatore parrocchiale.
Finora
il prete si rendeva inossidabile ed intoccabile per la sua appartenenza ad una
categoria, sacrale, separata, superiore al mondo dei semplici mortali, identificata
con la divinità. In effetti il caso, non così raro, di quel giovane prete che
in un torneo parrocchiale di calcio fischiò rigore fasullo provocando una rissa
gigante la dice chiara. Il religioso si peritò di saltare dentro nella mischia
diventata una polveriera gridando: ”silenzio, quando fischio io fischia Dio”. Muove
ad ilarità certo, ma questo è un esempio emblematico del rapporto finora
esistito ed in alcune parti ancora esistente fra prete-società un po’ a tutti i
livelli: culturale, scolastico, economico, partitico, politico. Nel Veneto si dice:
”don fasso tutto mi” (faccio tutto io). Una signora, disgraziatamente dovutasi
separare dal marito, con due figli a carico, scrive: ”durante l’omelia in
chiesa un prete che da una settimana soltanto aveva preso messa predicò che
nelle famiglie dove papà e mamma si lasciano vuol dire che in quella casa è
entrato il diavolo e che i genitori non possono voler bene ai loro bambini. Mia
figlia di 11 anni piangendo mi disse che ciò non poteva essere vero. In quel
momento ovviamente non ho avuto il coraggio di dire qualcosa a quel prete che
si definiva apostolo di Gesù, ho stretto a me la bambina aspettando che la
messa finisse”. Questa specie di delirio di onnipotenza, presente anche in
molti giovani preti di oggi viene affrontato in un punto della nostra assemblea
zurighese con espressioni taglienti ed inequivocabili: ”la professione
sacerdotale esige uomini capaci di rapporti umani. Il loro mandato non
significa potere, il loro ruolo non è quello del comandante di truppe. Oltre
alla spiritualità devono possedere capacità comunicativa e sociale, accompagnare,
consigliare, coinvolgere, coinvolgersi, lasciarsi interpellare e mettere in
discussione. Se spenti e incapaci di rapporti umani, non ha senso la loro
amministrazione di sacramenti. ”Prima che uomo di Dio il prete non deve
dimenticarsi di essere uomo fra gli uomini”. Nell’assemblea è stata prospettata
anche una variante molto interessante, cioè la figura del prete ad tempus. Come
oggi nella nostra società esiste una grande flessibilità occupazionale, una
alternanza professionale, impegno serio ma a scadenza, così potrebbe essere per
il prete. Ciò lo renderebbe sereno e capace di rapporti scevri da ogni
isterismo di potere. Conosco un prete che per 20 anni esercitò il ministero
sacerdotale, poi lasciò e ora fa il tassista, nei ritagli di tempo e a
volontariato aiuta nella parrocchia. Ma la gente nota la l’interiore realizzazione
e ne rimane positivamente contagiata. Subito i cattolici della “sana dottrina”
obbietteranno: falso, la chiesa insegna che il prete è sacerdote in eterno. Sì,
ma erroneamente applicato. In effetti Paolo scrive nella lettera agli Ebrei: ”Tu
sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco” (5,5). Però
l’espressione è riferita a Gesù Cristo, non a don Giuseppe, a don Antonio, a
don Calogero. Un altro aspetto dell’assemblea è se sia stringente l’identificazione
del prete con il predicatore, se non altro nella forma. Certo il punto centrale
del messaggio cristiano è il vangelo, non il predicatore-prete. Il diletto e
furore oratorio del passato con termini roboanti, altisonanti e retorici può
oscurare la forza interiore della parola di Dio anziché renderla efficace ed accessibile.
Invece spazio ai laici nella riappropriazione della parola di Dio e adeguate
liturgie da loro animate possono creare convinzione più profonde e trainanti. In
pratica la figura del conduttore televisivo così seducente nella nostra civiltà
mediatica dovrebbe trasferirsi pure a livello di liturgie sacre, anche se
ognuno con i suoi appropriati contenuti. Quando si parla di laici ovviamente ci
si riferisci a persone, celibi o sposate, certo in possesso dei ferri del
mestiere, cioè laureati o preparati in teologia, affiancati poi da un sacerdote
eventualmente per la celebrazione della messa. In questa collocazione qualche
prete ci sta male perché si sente ruota di scorta e pezzo di ricambio. Ma il
prete deve convincersi che non ha il magico carisma di coprire tutti gli spazi,
non è un tuttologo con la ricetta pronta a tutte le bisogne. L’assemblea in
questione ”Piano pastorale zurighese” rende attenti al fatto che è da preferirsi
la celebrazione della parola di Dio ben condotta da una laico e senza la messa
piuttosto che una messa celebrata da un sacerdote per mestiere e routine, con
una lagna che concilia sonnolenza ed ogni fantasia terrena. Anche sul ruolo del prete bisogna tentare
altre strade, diversamente si resta soli e fuori strada.
Autore:
Albino
Michelin
01.06.2000
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