È
uscito recentemente un libro "Priester 2000" (Preti del 2000) in cui
si divulgano alla stampa i risultati di una maxi indagine condotta nel giro di
alcuni anni fra 3.000 sacerdoti impegnati nelle parrocchie di Germania,
Austria, Svizzera, Croazia e Polonia, praticamente nel bacino dell'Europa centrale
ed orientale. Che non sia stata inclusa l'Italia dipende probabilmente dal
fatto che i preti italiani per antica cultura si ritengono forse intoccabili,
insindacabili. Deputati per missione a confessare gli altri rimangono un po'
restii e renitenti a confessare se stessi agli altri, comunicare loro i propri
sentimenti, collocarsi all'interno di una realtà di cui tutti fanno parte. Non mi
accingo alle seguenti riflessioni per chiedere compassione comprensione o
gratificazione a favore dei preti, ma semplicemente per divulgare una informazione
che tutti coinvolge. In effetti parlare di preti significa parlare dì chiesa, e
quindi anche della gente che ad essa vi aderisce o accede sia pure in casi
eccezionali come battesimi, matrimoni, funerali. Nella fattispecie si tratta di
un'interazione reciproca. Tredici le domande del questionario dalle cui righe
emerge non tanto un giudizio morale sul comportamento dei consacrati quanto una
foto di famiglia, lasciando a ciascuno di tirare le proprie conclusioni in
materia. Emerge non tanto quello che il prete dovrebbe essere (a ciò sono sufficienti
le lettere papali), ma quello che lui stesso oggi si sente di essere. E questa
è una novità in assoluto. Ovvio che non ne esca un'immagine uniforme di
ecclesiastico, stante anche le diverse collocazioni ed estrazioni. In effetti
le risposte di un addetto ad una parrocchia di campagna non possono coincidere
con quelle di un incaricato in un centro ricupero drogati. Ne risulta un quadro
complessivo ed approssimativo di 4 categorie o tipologie. La riserva è
d'obbligo in quanto queste non sono rigidamente separate fra di loro, un prete
potrebbe appartenere un po' a questa ed un po' a quella, e collocatosi in una
categoria potrebbe col tempo passare ad un'altra. Ma vale la pena elencarle
scegliendo un criterio cronologico, anziché numerico e d'importanza:
Una prima
categoria è quella del prete “uomo di Dio”,
cioè eterno, senza tempo o fuori del tempo
cioè eterno, senza tempo o fuori del tempo
Egli
si autodefinisce "alter Cristus" (un altro Cristo), chiamato, eletto,
prescelto, consacrato da Dio e separato dal mondo. Il suo sacerdozio è eterno e
non conosce sviluppi o adattamenti storici. Il suo compito è eminentemente
cultuale: la messa quotidiana considerata come sacrificio di Cristo per
l'espiazione dei peccati, da celebrarsi anche senza la partecipazione di
chicchessia, in perfetta solitudine. In secondo luogo la confessione e via via
tutti gli altri sacramenti. Chi non vi si accosta è lontano dalla chiesa, fuori
della quale non c'è salvezza. Dogmatico, custode e guardiano della retta fede
considera ateismo e attacco alla persona di Cristo ogni obbiezione da parte
della gente verso il suo operato. Mal digerisce la formulazione del Concilio
Vaticano II (1965) che "l'insieme dei fedeli non può sbagliarsi nel
credere". Identificato con la gerarchia è scettico nei confronti della
sinodalità, cioè nella conduzione comunitaria e partecipata della parrocchia.
Di fronte ad essa si sente "Padre padrone", prete re, fa e disfa a
suo piacimento il consiglio pastorale e i gruppi di collaboratori. Si dichiara
principalmente "per" la comunità, non "con" la comunità. La
sua immagine biblica di riferimento è il Buon pastore, condurre le pecore
all'ovile, la gente alla chiesa. Molto meno portare la chiesa fra la gente.
Anche se molti potrebbero definirlo prete tradizionale o all'antica, tanto
antico non è, perché la sua figura risale al 1563 quando il Concilio di Trento
istituì i seminari, pensati come vivai del sapere e baluardi contro la riforma protestante.
Prima per 1500 anni il suo ruolo e la sua collocazione erano stati piuttosto
flessibili. Tendente al pessimismo, vede nero l'orizzonte moderno cui si
contrappone in modo viscerale. In cerca di chiarezza, certezze, sicurezze si
difende con l'intolleranza verso il pluralismo delle idee e delle religioni e
con il fondamentalismo. Preoccupato di dare buon esempio dimostrandosi cedro
del libano, roccia senza crepe, strenuo difensore del celibato ecclesiastico.
Non crea equivoci e pubblicamente si fa riconoscere attraverso l'abito talare o
completo nero con colletto e croce all'occhiello. I nostri autori riferiscono
che circa il 25 % (= 1 su 4) dei preti in Europa centrale e il 33 % (= 1 su 3)
in quella dell'Est hanno espresso di se stessi queste opinioni. Praticamente
questa prima tipologia di prete era quella comune della nostra cultura e
letteratura fino a al 1950. Le tre seguenti, raggruppanti il 75-65% degli
intervistati, sono piuttosto di recente configurazioni.
Situati nella
seconda categoria sono gli ecclesiastici
che sentono il prete come “uomo di Dio aperto al tempo”
che sentono il prete come “uomo di Dio aperto al tempo”
Qui
il sacerdote si autodefinisce meno con le espressioni simbolo dello stato
sociale "sacerdote" o "chierico", meglio invece come
presbitero (cioè anziano, consigliere di fiducia). Non si tratta solo di un
semplice cambiamento di vocabolo, ma di una nuova comprensione e collocazione,
in pratica un ritorno al ruolo biblico presentato dalla prima comunità
cristiana. Non si ritiene un altro Cristo ma con referenzialità ed esso vive
nella dedizione alla comunità! Per lui il ministero sacerdotale, anche se come
nucleo voluto da Gesù, ha subito lungo la storia sviluppi e adattamenti ed
ancora ne subirà. Il sacerdozio non appartiene ad una casta, ma è comune a
tutti i fedeli anche se con mansioni diverse. Questo prete non soggiace
all'ansia del sacramentalismo (messa, battesimo, confessione, matrimonio in chiesa
ecc.), ma dà la precedenza all'evangelizzazione e all'annuncio, mediante
rapporti accoglienti con i non credenti e con le altre religioni. Non vede il
mondo diviso in buoni da conservare e in cattivi da abbandonare a satana, ma in
ogni uomo del bene da coltivare e del male da eliminare. Non considera la sua
vita una vocazione (realtà a cui ogni cristiano è chiamato), ma una professione
nel senso etimologico del termine: professare un carisma e un impegno. I suoi
modelli biblici sono ad esempio Elia, Eliseo, Mosè, ecc. cioè capacità di
consigliare da un lato e forza sanante dall'altro. Con la comunità ha un rapporto
sinodale, cioè il dialogo, cui riconosce il diritto ad un ampio spazio
decisionale. Per lui la maturazione delle persone è più importante dell'organizzazione
parrocchiale. Portato alla mediazione e alla conciliazione occupa spesso
posizione direttive a livello territoriale. Ruolo collante, si situa alla
soglia fra l'ambito sacro e profano, fra la tradizione e la situazione attuale.
Non gli basta il buon senso, ricerca anche la competenza professionale. Perciò
non si ritiene insostituibile e si programma periodi di riposo, di ricupero, di
aggiornamento. In questa categoria si ritrovano il 50% dei preti dell'Europa
centrale e il 45% di quelli dell'Europa dell'Est.
Una terza
tipologia è caratterizzata da quella parte del clero
che definisce il prete” Uomo di chiesa vicino al suo tempo”
che definisce il prete” Uomo di chiesa vicino al suo tempo”
Come
si nota abbiamo dei sensibili passaggi dalla prima categoria "prete altro
Cristo”, alla seconda "prete uomo di Dio", alla terza e poi alla
quarta "prete uomo di chiesa", cioè della comunità e con la comunità.
Non si tratta di un calo verso il laicismo, ma di una propensione verso
l'incarnazione con la realtà in cui si opera. L'appartenente a questa terza
categoria si sente più testimone e animatore che parroco, più seminatore che
organizzatore. Per una maggiore fraternità elimina volentieri il
"don" dal suo nome cognome. Se gli manca la comunità non ritiene
necessaria la celebrazione quotidiana della messa, e quando la organizza questa
prende più l'aspetto di un'agape e di una cena del Signore che non del
sacrificio della croce. Stima e valorizza i laici, tutto imposta sulla
sinodalità e sulla corresponsabilità. Non si ritiene il padrone o il cardine
del mondo. Non gli basta essere un consacrato o un uomo di Dio, ma più delle
precedenti categorie si apre alla formazione permanente, alla cultura, ai segni
dei tempi. A questa tipologia appartengono circa 15% dei preti interpellati, in
genere assistenti giovanili, incaricati di gruppi associati laici e
simili.
Alla quarta
categoria (circa 5% del clero) appartiene il prete
che si definisce ”Guida della comunità del suo tempo.”
che si definisce ”Guida della comunità del suo tempo.”
Qui l’incarnazione
nel mondo è totale e radicale. E’ una tipologia con un massimo di attualità ed
un minimo di storia alle spalle. Ogni elemento clericale qui è del tutto
assente, abbigliamento e segni di riconoscimento in primis o presente solo per
la sua negazione. Il sacerdozio ministeriale per lui non è eterno, può venire
esercitato solo temporaneamente. Rivaluta molto il sacerdozio dei fedeli e la
struttura carismatica della chiesa senza attribuire un valore eccessivo alla
sua consacrazione. Considera facoltativo il celibato del prete, normale il
sacerdozio femminile, necessario lo sviluppo di ogni carisma dello Spirito
nella comunità. La sua autocomprensione si modella sull'espressione di S. Paolo
(2a Cor.l 24): "non siamo padroni della vostra fede ma i collaboratori
della vostra gioia". Uomo di confine, cammina sul crinale dell'istituzione
ecclesiastica. Raramente fa carriera, ma nemmeno la cerca. Tenta di superare i
limiti della struttura mediante consapevoli e autocontrollati sconfinamenti
dell'ordine attuale, esponendosi ovviamente a critiche ed emarginazioni. Per
una grande e pesante organizzazione come è la chiesa egli ritiene importanti
uomini del genere perché potenziali portatori di riforme, cui essa non può
rinunciare. Bisognoso come ogni prete di spiritualità deve ricercare più degli
altri momenti ed oasi rivitalizzanti. A questa tipologia appartengono i
cosiddetti preti di strada, dei centri di ricupero, di frontiera.
Neoclericalismo
L'indagine
si conclude con un riferimento ad un neoclericalismo di ritorno o di autodifesa. Un aspetto più
evidente nell'Europa dell'Est, ma non assente nei nostri paesi e concerne i
giovani preti. In quelle zone scomparso l'obbiettivo del comunismo, che per
oltre 70 anni li ha posti in stato di assedio, improvvisamente si trovano a
riprogettarsi in una società laica del consumismo. Aggiungi il fatto
dell'ampliamento delle competenze pastorali attribuite ai laici, teologi,
cooperatrici, catechiste che in molte parti come in Svizzera occupano spazi in
precedenza riservati al prete, oggi ridotto quasi unicamente a proferire le
parole della consacrazione alla messa. Aggiungi il fatto di vedersi
strumentalizzato soltanto a supporto del celibato e si spiegherà come tutto ciò
possa causare in lui una perdita d'identità. E di qui la risposta con la
tendenza alla riaffermazione di sé stessi attraverso il ricupero di un certo
autoritarismo, dogmatismo, abbigliamento di categoria, scetticismo verso la
modernità, riproponendosi inconsciamente un programma del lessico di chiesa del
1854 che suonava:” la dignità del prete è la più alta pensabile, unica. Egli
deve esserne necessariamente orgoglioso". E' questo un nuovo clericalismo,
non però di potere come il precedente (il prete è Dio), ma di autodifesa (se
no, chi sono io?). Da augurarsi che questa indagine possa essere resa sempre più
di dominio pubblico anche nell’interesse delle comunità che sempre più esperimentano
una evoluzione irreversibile.
Autore:
Albino
Michelin
07.09.2001
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