Grande impressione ha
fatto in tutta Italia la sciagura di San Giuliano di Puglia (CB) in cui 26
bambini hanno perso la vita a causa del terremoto di giovedì 31 ottobre 2002.
Ma angoscia ancora più profonda ci ha prodotto il racconto di alcuni scolari sopravvissuti
che per lunghe ore erano rimasti abbracciali ai cadaveri insanguinati dei loro
compagni morti sotto le maceria dell'edificio scolastico. Bambini dunque non
solo confrontati con la morte ma risorti svincolandosi fra i morti e dai morti.
Non ci sembri peregrina l'occasione di ampliare l'argomento oltre i confini di
questa disgrazia. Il tipo di educazione che noi adottiamo tutt'oggi è quello di
proteggere i bambini dalla morte, cioè di sviare il discorso in loro presenza,
di trafugarli da casa verso altre destinazioni allorché in famiglia succede un lutto.
Insomma la parola "morte" deve restare tabù. Eppure i nostri pargoletti,
supposti al sicuro di ogni infiltrazione portasfortuna, già prima dell'età di
12 anni hanno visto alla TV fra guerre ed episodi consimili circa 10 mila
morti, e morti violente. Cioè non tanto casi di normale ricambio biologico
dovuto all’età senile, leggi vecchiaia, o ad incidenti sul lavoro o di percorso,
ma morti gratuite, da spettacolo. Anzi i bambini stessi quotidianamente ai
video giochi hanno imparato ad uccidere, per eliminazione e decimazione
centinaia di persone e sussultano di gioia allorché le vedono al suolo esamini.
Allora vale la pena o meno di affrontare
questo discorso dal punto di vista pedagogico? A che serve inviare nei
territori sismici del Molise legioni di psicologi per ricostruire i bambini dal
dramma subito? A che servono queste emergenze tampone se in famiglia, dai genitori
non vengono garantite risposte ed un'educazione alla morte in forma quotidiana
e permanente? Eh sì, perché la morte fa parte della vita, come la scuola, il lavoro,
la carriera, l'età che avanza. Fuori dubbio che non va sottovalutata la
situazione che si crea in una famiglia nel caso di una disgrazia. Ognuno deve
superare dei passaggi obbligati. Dapprima il periodo dello shock che in genere
viene assorbito con il commiato ufficiale o funerale. Ma ci segue un più
periodo più lungo, quello del rigetto, della depressione, dell'inappetenza
dell'insignificanza nei confronti della vita e del lavoro. Infine più
lentamente si arriva alla fase di progettazione, come si dice, si ricomincia a
vivere. Ma all'interno di questa situazione familiare ci vivono anche i bambini.
Come comportarsi?
Le domande dei bambini sulla morte
Si sa che le angosce dell'infanzia
più frequenti, anche se non verbalmente espresse, sono quelle di morte. Cioè il
bambino teme di essere ucciso o abbandonato, e di restare così senza l'amore
delle persone care. Anzitutto sotto i 5 anni un bambino non accetta o non
considera la morte come un fatto definitivo, cioè inconcepibile per lui che il
defunto non torni più indietro. Dai 5 ai 9 anni circa tende a personificare la
morte: l'uomo cattivo, l'uomo nero gli ha rubato la persona cara. Ma già
comincia ad assimilare la realtà del non ritorno definitivo. Verso i dieci anni
ogni bambino capisce di essere anche lui coinvolto: la morte gli appartiene,
gli vive dentro. Le domande che tutti i bambini sotto questa età si pongono
sono: perché si muore? Muoiono tutti? Morirai anche tu papi, anche tu mami? Ciò
assodato bisogna rispondere alle più svariate domande che i bambini pongono
sulla morte e anche sul dopo morte. Qui è meglio citare dei casi avvenuti e
chissà quante volte capiteranno. Carmen, di 7 anni ha perso il fratellino Alfonso
di 5 anni caduto male nel parco giochi. La mamma cerca di consolarlo "IL
Signore lo ha preso con sé l'ha trapiantato come un fiore nel suo giardino, l'ha
fatto diventare un angelo del cielo". " Al che Carmen pestando i
piedi:” brutto Gesù, cattivo Gesù, se mi voleva bene non doveva portarmi via
Alfonsino". Risposta molto corrente fra i cattolici praticanti ma dannosa
alla psiche del bambino. Il effetti il signore non ruba e non causa del male a
nessuno. Risposta che potrebbe diventare germe di ateismo. Mary di 5 anni
chiede dov'è andato il nonno. La mamma
risponde che il nonno si è addormentato. Per alcuni anni Mary alla sera non
voleva addormentarsi per paura di non svegliarsi più cioè di fare la fine del
nonno. Flavio 4 anni chiede alla mamma dove è andato il papà deceduto per un
incidente d'auto. La mamma gli risponde che il papà è scomparso. Per parecchio
tempo Flavio non lasciava più uscire la mamma da sola, ma le si attaccava alle
gonne per paura che anche lei scomparisse e non tornasse più a casa. Giannetta
di 8 anni perde la mamma in seguito ad un tumore, in casa nota espressioni di
circostanza, discorsi sviati, silenzi di circostanza. Lei entra dentro
"nessuno me ne vuole parlare, ma è di questo che anch'io voglio
parlare". L'isolamento e il sentimento di non appartenenza alla comunità
nuoce di più all'anima del bambino che non il confronto diretto con il lutto e
il dolore. Lo dimostra anche il caso di Silvia 10 anni che dopo un certo tempo
viene a conoscenza della morte della nonna. Si chiude in camera e piange per
giorni. Ai genitori che la implorano grida:" piango non perché è morta la
nonna ma perché nessuno me l'ha detto.” I bambini sanno distinguere bene quando
i genitori non danno una risposta sulla morte perché essi stessi non la
conoscono e quando invece non la vogliono dare raggirandola con pietose bugie. In
quest'ultimo caso aumenta à dismisura il loro senso di angoscia. Il bambino
teme l'isolamento e l'esclusione dalla comunità mentre invece sa affrontare un
funerale, una cerimonia alla tomba allorché si sente accolto nella comunità dei
grandi. Mandarlo dai nonni, condurlo fuori paese, raccontargli storielle lo estromette,
lo espropria dal suo io e dal suo mondo di appartenenza che è la famiglia. Condurre
il bambino al funerale dei nonni o dei genitori è più terapeutico che
nasconderlo lontano dall'evento con cui o prima o dopo dovrà confrontarsi.
L'ambiente naturale del bambino è la sicurezza dell'amore. Mike 6 anni chiede
alla mamma: "se tu morirai, dove andrò io?". La mamma gli risponde:
"Qual è la persona a cui vuoi più bene, dopo la mamma?". E
Mike:"zia Eleonora". Al che la mamma conclude: "mamma non
morirà, mamma non ti lascerà solo, ma se proprio dovesse succedere farà
testamento che ti prenderà la zia Eleonora".
Le domande dei bambini sul dopo la morte
In una fredda notte
d'inverno con un tempo che tirava a pioggia e neve Vania 7 anni va a svegliare
il papà per sapere se il nonno in cimitero sentiva freddo. Il papà le indica l'attaccapanni
dove era appeso un vestitino e le chiese se quel pezzo di stoffa sentisse
freddo. Vania rispose che è lei a sentire il caldo ed il freddo. Il paio di
pantaloncini non doveva sentire nulla. Così, continuò il papà, è del nonno. Il
suo corpo è al cimitero come un vestito lasciato laggiù, ma il cuore del nonno
e lassù, il nonno si trova okay. Laura di anni 8 chiese alla nonna Mimma perché
fosse triste per la morte del nonno dal momento che un giorno le aveva detto
che in cielo sono tutti felici. La nonna le rispose che non piangeva perché il nonno
si trovava male ma perché lei senza di lui si sentiva sola. Claudio 6 anni si
vide morire il suo cagnolino Full e ansioso chiese alla zia se la bestiola
fosse andata in cielo, ma quella gli rispose che in cielo non c'è posto per i
cani. Allora il bambino piangente si rivolse alla mamma che lo riassicurò: "Full
ti aspetta sulla porta del paradiso. Quando tu ci arriverai te lo porterai
dentro".
Thomas di anni 7
durante un'escursione scolastica inciampò in un piccolo leprotto e lo uccise.
Si mise a piangere dal maestro perché voleva farci una cerimonia di funerale.
Allora l'insegnante invitò tutti i bambini in cerchio attorno al leprotto, fece
loro scavare una piccola buca, recitarono una preghiera e lo seppellirono.
Thomas ridiventò felice perché il suo amico era stato salutato, onorato, andato
in cielo anche lui. I due casi successivi stanno a dimostrare che per il
bambino dopo la morte è urgente portarsi dietro tutti i giocattoli e gli
animali che rappresentavano la sua gioia sulla terra. Che sia pura fantasia non
si potrebbe neanche accertare, dato che Gesù disse al Padre che non avrebbe
perduto nulla di ciò che lui gli aveva affidato, creazione minerale, vegetale,
animale probabilmente inclusa. Lungo sarebbe il discorso sui paragoni tolti
dalla natura per spiegare ad un bimbo il dopo morte. L'esperienza del
cambiamento che egli stesso osserva potrebbe aiutarlo. Le foglie cadono,
nutrono la terra, la terra fa crescere la pianta, questa in primavera fa
sbocciare i fiori, in estate matura i frutti, in autunno ricomincia a perdere
le foglie. Così a ciclo "tutto si trasforma, niente si crea, niente si
distrugge" potrebbe costituire un esempio che come dal bruco nasce la
farfalla, cosi dalla morte dell'uomo potrebbe rinascere un essere nuovo.
Personalmente penso che la più grossa difficoltà per le risposte da dare al
bambino sulla morte dipenda dalla fede dei genitori. Se questi non ce l'hanno,
per la circostanza dovrebbero chiederla in prestito, per il bambino è
essenziale credere ad mondo ultraterreno, splendente, con un Dio grande immenso
e buono come mamma e papà e anche di più. Quanto sopra illustrato non è una
predica ma una scuola di vita per tutti i bambini che ogni giorno devono
incontrare e confrontarsi con la realtà della morte.
Autore:
Albino Michelin
15.11.2002
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