Nel
fine settimana 18-20 maggio del 2001 sono morte in Italia tre persone e seriamente ferita una quarta,
tutte investite da automobilisti che si sono dati alla fuga. A Lecco un imprenditore di 32 anni travolto e ucciso da un
camionista, a Cremona stessa sorte per un pasticciere di 35 anni, a Pavia identica fine
per una baby-sitter di 27 anni nell'atto di attraversare le strisce pedonali. Infine a
Como un quattordicenne si vide tranciata una gamba da un automobilista che non
rispettò uno stop. Le statistiche del 99 parlano di oltre 10 mila investimenti in cui i
colpevoli sono fuggiti senza prestare soccorso. Scappano o perché presi dal panico, o
per salvare la patente, o per coprire una falsa polizza di assicurazione. Non serve
qui moralizzare perché anche noi forse al loro posto ci saremmo comportati allo
stesso modo: pirati della strada. Quella esigua minoranza che ancora si ferma
per soccorrere l'investito lo fa probabilmente per non venire attanagliato da
un senso di colpa che finirebbe per tenerlo legato all'evento, incapace di dimenticarlo
e con un perenne sentimento di malessere interiore. Detto in breve, lo fa
perché un po' di coscienza dentro gli è ancora rimasta.
Questi episodi
ci possono offrire l'occasione non tanto per soffermarci in disquisizioni
giuridiche sulle responsabilità penali di omesso soccorso, quanto per chiederci
se il
nostro è un tempo più propizio alla
coscienza o all'incoscienza, se la coscienza è un dato genetico o un
acquisizione, se con la coscienza si nasce oppure la si forma (o deforma)
cammin facendo, dove trova la coscienza moderna il fondamento criterio per
distinguere il bene dal male. Se la coscienza deve riferirsi a principi
immutabili ed eterni oppure se tali principi sono essi stessi evolutivi,
provvisori, da inventare secondo le nuove sfide e provocazioni del tempo.
Domande tutte facili da porsi, ma difficili da rispondere. Anzitutto una prima
constatazione da tutti condivisa: oggi viviamo in un certo caos morale. Il successo giustifica tutto, il successo si identifica con il bene. Sta calando e
dissolvendosi il consenso su parecchie norme e precetti dei comportamento
sociale e religioso. I nostri strumenti di bordo (cioè la coscienza tradizionale)
segnano rosso, si sono rotti. Siamo in stato di allarme, sicuramente di preallarme.
Questa è la sensazione generalmente diffusa. Personalmente non vedrei la
situazione cosi catastrofica. Anzitutto pure noi tutti oggi, anche se un po' a
spanne, sappiamo fare e desideriamo affermare una distinzione fra il bene ed il male. Nessuno di noi pensa di
mettere sullo stesso piano il comportamento del mafioso con quello di Madre
Teresa di Calcutta, quello di Attila condottiero degli Unni flagello di Dio con
quello di S. Francesco d'Assisi, quello di un vile traditore con quello di un
martire eroico. E se colui che riesce a venderci un automobile con un difetto
occultato si considera furbo, esiste ancora una controparte di umanità che lo
definisce un insulto, ladro, impostore, approfittare della fiducia altrui. Al
limite quindi anche il nostro tempo esige ed esprime una certa coscienza morale. Ciò
premesso è anche vero che il senso di colpa è fortemente mutato negli
ultimi anni, è emigrato spostandosi su certi comportamenti togliendosi da
altri. Ad esempio forte senso di colpa oggi molti lo denotano nell'infrazione alle
norme dietetiche e nell'aumento di peso, mentre è loro scomparso nell'ambito di
rubare e della infedeltà coniugale: solo per citare due casi quotidiani. Di
fronte all'aumento di peso, ai cuscinetti adiposi, alla pelle a buccia di
banana, alla cellulite, ai seni penduli, ai glutei flaccidi, al sedere basso ci
sentiamo pieni di ribrezzo, fenomeni da baraccone, roba da scomparire sotto
terra. Quindi il bisogno assoluto del "Swissline Thermo System" per
ritrovare la linea perduta e la riconciliazione profonda con se stessi.
Nell'avere invece un amante di scorta sentiamo di valere di più. Si può provare
colpa per la morte di una foca monaca e non per quella di un uomo dalla pelle
scura. Ognuno di noi può moltiplicare gli esempi. Tuttavia anche questo spostamento
del senso di colpa dimostra nell'uomo l'esigenza di una coscienza del bene e
del male, anche se tale esigenza si arresta solo a livello superficiale del
bello o brutto. Se poi vogliamo fare un discorso un po' più in profondità
notiamo che tanti "principi" morali ritenuti e tramandati come
immutabili ed eterni si sono sciolti come neve al sole all'interno della nostra
stessa chiesa. Ed è questo uno dei motivi per cui molti fra
gli
stessi
praticanti restano un po' frastornati. Più che ad una coscienza critica sono
stati educati ad una morale tabuistica. Cioè un'azione è immorale perché
proibita e non viceversa. È come vivere una fase infantile: un
bambino non distingue un bicchiere rotto per sbaglio o per rabbia, è rotto e basta, e lui si
attende la rampogna. Abituati come siamo stati ad una morale fondata su
predicozzi, fervorini, pie considerazioni devozionali, delega della coscienza
all'autorità non abbiamo in mano gli strumenti per un giudizio personale. E pur
avendo ricevuto la cresima, i cui primi doni dello Spirito Santo sono sapienza
ed intelletto, sul piano morale non sappiamo ancora "ragionare" anche
perché a ciò non siamo stati educati. È più facile e spesso più comodo seguire
stereotipi e generalizzazioni piuttosto che prendersi la briga di fare delle distinzioni
reali. Indubbiamente i principi sono essenziali nel comportamento umano: sono
la voce della storia, memoria morale di un popolo, depliants di viaggio
contenenti giudizi di valore, plasmati dalla nostra coscienza collettiva e
personale del passato. Ma non bisogna dimenticare fra centinaia di esempi che
la stessa schiavitù adottata in America era sostenuta da principi etici,
civili, religiosi e cristiani, che a noi oggi suonano maleodoranti come
sentina di iniquità. È storicamente appurato che talvolta gruppi di
autorità morali si autosuggestionarono a vicenda. Rivedere punti di vista della
coscienza collettiva precedente è anche segno di rispetto verso il presente ed
il futuro.
I principi morali sono
immutabili, la loro applicazione mutevole.
S. Tommaso, dottore della Chiesa, nel 1200
sosteneva che i principi sono eterni, mentre le loro applicazioni variano a
seconda del tempo. Oggi molti suoi commentatori sostengono che eterni ed
immutabili non sono i principi, ma eterno e indistruttibile è il bisogno
dell'uomo di darsi dei principi in riferimento al suo tempo. Come dire: Mosè e
gli ebrei si sono dati i loro 10 comandamenti e noi, il mondo globalizzato, la
chiesa del 2000 ci diamo i nostri. Qui si rivela il nodo conflittuale nella coscienza
odierna: fra l'obbedienza ad una autorità morale dall'eterno precostituita e la
creatività umana. Difficile la soluzione: ai posteri l'ardua sentenza. È fuori
discussione che la Chiesa cristiana ha contribuito assai lungo i secoli alla
formazione di una coscienza europea e delle varie civiltà con le quali è venuta
in contatto. Ma offensivo nei loro confronti sarebbe giudicarle con un verdetto
di immoralità. Si tratti di certe tribù indiane che mangiavano il cadavere del
padre (una specie di comunione per appropriarsi della forza), o dei greci che
invece lo bruciavano, o degli esquimesi presso i quali gli anziani si
suicidavano per alleggerire la pressione alimentare della famiglia o presso cui
all'ospite (che è sacro) si offriva il letto e la propria moglie. Ad un esame
attento delle motivazioni non si può negare loro una coscienza morale. Ovvio
che il contatto con altri valori ed altri popoli e altri tempi abbia dovuto,
potuto e voluto modificare i loro principi e formare una coscienza diversa. Lo
stesso processo però in parte potremmo subirlo e provocarlo pure noi
all'interno della nostra chiesa: in effetti molti si domandano se la morale
sessuale, il concetto di famiglia, un certo impianto patriarcale che trasuda da
qualche settore del magistero non siano aspetti tutti da ristudiare in
riferimento alle mutate condizione storiche. Anche nella chiesa va
salvaguardato il bipolarismo missionario: da una parte essa è sì maestra, ma
dall'altra è pure discepola, cioè attenta ai segnali positivi del mondo, che
non può essere tutto marcio. Dovunque esistono uomini di buona volontà animati
dallo spirito di Dio. Molto complesso e variegato dunque un discorso sulla
coscienza. Ma va sollecitato a tutti i livelli. Diversamente comportamenti come
quelli su accennati dei pirati della strada saranno destinati ad ampliarsi
senza limite e a rendere più insicura la convivenza umana. Non è vero che tutti
noi abbiamo una coscienza: potremmo anche non averla o averla sporca.
Autore:
Albino
Michelin
15.06.2001
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