Prima delle elezioni del 13 maggio 2001 Berlusconi si
era presentato come il futuro presidente degli italiani a tutto campo,
presidente, imprenditore, artigiano, impiegato, operaio. ecc. promettendo che
in cento giorni avrebbe cambiato l'Italia. In parte è anche vero, cioè in tre
mesi è riuscito a varare tante leggi quante forse nemmeno i governi precedenti
erano riusciti nell'arco di una legislatura. Il bello (o il brutto a seconda) è
che queste leggi risultano promulgate quasi tutte per i suoi interessi o
finanziari o d'immagine. Berlusconi come persona non si discute: uomo
accattivante, grande venditore, pragmatico, quasi mitico re Mida capace di
trasformare in oro tutto ciò che tocca. Fa soldi, tanti, dovunque per tutti.
Agli italiani non importa nulla del comportamento privato di Berlusconi e
concediamo. Maggiormente però dovrebbe loro interessare le conseguenze
pubbliche e morali di certe leggi ed interventi. E qui invece siamo in debito
di ossigeno. Certo, chi vince le elezioni ha il diritto di governare, non però
in modo illimitato e assoluto. Diversamente si cade nella tirannide e nella
dittatura. Se non si rispettano i diritti delle minoranze una democrazia si
autodistrugge. Questo assetto sta per essere stravolto dallo strapotere assunto
dall’attuale presidente del Governo. E qui ovviamente il primo pensiero corre
al falso in bilancio e al conflitto d'interessi. Tutti siamo obbligati a pagare
le tasse e sottoposti al controllo del fisco. Ma se un bel giorno io divento
controllore del fisco, allora mi trovo ad essere un controllato che controlla
se stesso, e quindi un evasore fiscale che non può essere acchiappato.
Aggiungasi l'altro caso. Ad un proprietario di TV occorre che lo Stato o meglio
il Governo conceda lo spazio in etere per trasmettere. Non è molto simpatico
che sia lui a concedere a se stesso la concessione in questione e cosi anche
negarla ai suoi concorrenti. Questo si chiama monopolio, manipolazione,
controllo dell'informazione, magari con la corriva benevolenza di buona parte
della carta stampata. Oggi per schiacciare una minoranza basta lasciarla senza
voce, senza forza di messaggio nei mass media. Necessaria quindi l'approvazione
di una legge antitrust che vieti l'accumulo di trasmittenti nelle mani di un
unico soggetto. Il terzo interrogativo: qualche anno fa Bill Clinton,
presidente della democraticissima America del Nord, venne sottoposto a processo
per qualche attenzione di troppo nei confronti della sua segretaria. Grande
esempio di correttezza, quasi ci rimise la carica, ma il principio che la legge
è uguale per tutti fu praticato, non venne eluso. Uno dei primi tentativi
invece del 100 giorni di Berlusconi fu quello di condizionare l'autonomia della
magistratura. Lo sta facendo nei processi in corso pendenti a suo carico, lo ha
fatto sulla vicenda delle rogatorie internazionali. Si sa che una convenzione
in merito anche fra Italia e Svizzera è stata stipulata nel 98, in cui si
chiedeva a quest'ultima di svolgere per suo conto un atto giudiziario. Ma
nell'ottobre scorso il Governo ha approvato una normativa che rende più
difficile l'espletamento di questo iter, onde intralciare i procedimenti a
carico dl Berlusconi e Previti. Berlusconi praticamente lamentò l'aggressione
all'immagine dell'Italia come a dire: "In Italia la Giustizia sono
io". E qui anche la chiesa viene a darci una mano. Non certo quella degli
istituti missionari (con un rilevante sostegno di collaboratori che continuano
a sottolineare la poca sensibilità del nostro Governo nei confronti dei Paesi
Terzi), ma da buona parte della Gerarchia. In effetti nel quindicinale "La
Civiltà Cattolica", edita dai Gesuiti e organo ufficioso del Vaticano,
ultimo numero di febbraio, il Vicedirettore Padre M. Simone consiglia la
formulazione di una leggina per la quale "sospendere i procedimenti in
atto o futuri nei confronti del Presidente del Consiglio finché rimane in
carica con il blocco dei termini di prescrizione". Insomma la magistratura
dovrebbe smettere di indagare su Silvio Berlusconi a prescindere dal merito
delle cause per cui è indagato. Questo, ci sia concesso si chiama sacrificare
la verità alla convenienza, perpetuando il malinconico esercizio dell'italica
inclinazione a salire sempre sul carro del vincitore, a correre in soccorso del
più forte. Cosi si incoraggia il solito nostro malcostume, la vocazione alla
furbizia, il relativismo etico e civile. Questa non sarebbe "Civiltà"
ma "Inciviltà" cattolica. E il nostro rapporto con l'Europa?
Berlusconi il 7 novembre 2001 riuscì
dopo tante insistenze verso Busch a portarci in guerra in Afganistan: non c'era
bisogno. Forse solo per vanità di Patria nei confronti dell'Europa. E allorché
il Ministro Ruggero dimissionò dagli Esteri, Berlusconi che da tempo a stento
viveva sotto quella tutela si assunse egli stesso tale incarico per altro in
modo poco elegante nei confronti di altri qualificati candidati delle destre.
Come a dire: "L'Europa sono io". L'autunno scorso in una grande
assise a Bruxelles Berlusconi sentenziò che la nostra civiltà occidentale è
superiore a tutte le altre. Poco ci mancò che il mondo arabo tutto si
sollevasse per un linciaggio e per questo il nostro Presidente si affrettò a
convocare un nuvolo di interpreti, pronti a tutte le capriole letterarie, per
divulgare la smentita: "il relatore è stato frainteso!". Ma forse
Berlusconi aveva male aggiustato la mira, oppure che non volesse dirci:
"la civiltà occidentale sono io"? Queste non sono riflessioni di
carattere politico: Berlusconi governi pure. È un diritto della democrazia.
Sono riflessioni di costume: vale a dire, c'è modo e modo di governare e di
farsi governare. E a noi ovviamente è sempre concesso il diritto di opinione e
di critica, perché non vogliamo fare gli sbattisti. Cioè, non è vero che della
questione morale ce ne sbattiamo.
Autore:
Albino Michelin
22.02.2002
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