Ogni
tanto qualcosa si muove in qualche comunità italiana del Canton Zurigo, sia
essa associazionistica o cattolica. Mi riferisco nello specifico ad una pubblica
assemblea organizzata dalle Acli di Uster (ZH), resa nota attraverso la stampa
di emigrazione, sul tema: "Partecipazione degli stranieri e degli italiani
nelle strutture scolastiche ed ecclesiastiche", effettuatasi mercoledì 5
dicembre 2001. Sorvoliamo sulla prima parte della serata, non perché priva
d'interesse, anzi è stata con molta competenza condotta dalla connazionale
Silvana Sperduto, universitaria e membro della locale Schulpflege. È solo una
scelta di limitare il campo, ma l'argomento, presenza degli stranieri nelle
amministrazioni scolastiche locali resta di primaria importanza, anche se i
primi a disinteressarsi sono i primi interessati, i genitori. Ci soffermiamo
alquanto sulla seconda parte, che poi risulta complementare alla prima. Si
tratta della presenza degli stranieri nelle strutture della chiesa locale
zurighese. Questo tema è stato affrontato con rara competenza dal parroco cattolico
di Uster, Dr. Ettore Simioni, per giunta italiano di origine e di nazionalità.
Egli introdusse la sua relazione con un significativo aneddoto. Tre ragazzini
discutono vivacemente su come nasce un bambino. Il primo, italiano, risponde:
"dai genitori", il secondo, francese: "dall'amore". Il
terzo svizzero, conclude il discorso: "In Svizzera dipende da Cantone a
Cantone". Esatto, per quanto riguarda l'organizzazione della chiesa
cattolica nello Stato elvetico dipende tutto dalle costituzioni cantonali, quindi
il nostro referente, onde evitare di cacciarsi in un ginepraio bene fece a
soffermarsi soltanto sul Canton Zurigo.
Fino
al 1964 la chiesa in questo territorio era come nella maggior parte del mondo
ente di diritto privato. Cioè si regolava, pure nel rispetto della legge civile
vigente, secondo un suo codice interno ecclesiastico. Ad esempio, il Vescovo
mandava in una parrocchia il prete che voleva, lo investiva dall'alto dei suoi
diritti, e costui cercava di campare come meglio poteva con la benevolenza di
facoltosi credenti e con l'elemosina dei fedeli e tutto finiva lì. Nel 1964 in
questo Cantone sì è effettuata una votazione popolare, ovviamente secondo i
dettami della legge Svizzera (cioè diritto dì voto escluso agli stranieri
indipendentemente dalla loro religione) ed è passata la proposta. Cioè anche la
Chiesa cattolica, come precedentemente lo era quella protestante e quella dei
vecchi cattolici, diventò un ente di diritto pubblico. Così da una parte essa
ne trasse dei benefici, dall'altra ne perdette.
Benefici
ottenuti: riconoscimento ufficiale, uscita da una situazione catacombale e di
tolleranza, uguaglianza nei doveri e nei diritti. Benefici perduti: obbligo di
darsi una struttura democratica secondo le leggi del Cantone, cioè il
sacrificio in parte della propria autonomia. Per una società autoritaria e
piramidale com'è stata la chiesa cattolica in tutto il mondo da Costantino in
poi, assumere strutture democratiche è la fine di un mito. Spieghiamo le
conseguenze con un esempio: il vescovo manda un sacerdote a dirigere una
parrocchia. Se l'assemblea annuale dei cattolici (chiamata comune ecclesiastico)
non lo vota o lo boccia, il vescovo se lo deve riprendere o si innescano grane
infinite. Persino il caso del Vescovo Haas di Coira-Zurigo verso il 1995 non è
andato esente da questa logica. Roma l'ha voluto imporre? Il popolo diocesano,
attraverso il suo parlamento (Sinodo) non lo gradì anzi lo rifiutò, di
conseguenza non gli passò la quota finanziaria corrispettiva per il suo
mantenimento ed attività: in conclusione il prelato dovette cambiare diocesi.
Un secondo svantaggio della votazione del 1964 viene ravvisato nella
discriminazione fra cattolici svizzeri e cattolici stranieri, cioè una certa
spaccatura all'interno della chiesa. Ecco il parallelo: negli enti di diritto
pubblico lo straniero in Svizzera non può votare. Di conseguenza egli è escluso
dal diritto di voto anche nelle faccende interne alla sua chiesa, a meno che
non acquisti un passaporto svizzero. Di qui ecco la domanda: cattolici svizzeri
e cattolici stranieri sono uguali? Davanti a Dio si, ma davanti alla chiesa
zurighese no. In effetti, nelle assemblee amministrative a costoro è permesso
si il diritto di parola, ma non quello di voto, né attivo, né passivo. Un terzo
aspetto di concessione allo stato è la riscossione delle tasse di culto in
forma obbligatoria. Il loro ammontare ed impiego è controllato dalla società
civile e rispettivi organi allo scopo dì evitare imbrogli, storni, fallimenti.
Come si nota in questo contesto tutto si tiene con tutto e risponde ad una
logica, discutibilissima, ma democratica e fondata sulla democrazia degli enti
riconosciuti di diritto pubblico.
Cambiare
questa legge è possibile? Ovvio, attraverso un referendum cantonale. In
effetti, prossimamente verrà sottoposto a votazione il seguente progetto
"lasciare libertà alle varie parrocchie di concedere o meno il diritto di
voto agli stranieri". Nel bel mezzo della sua relazione, il Dr. Simioni,
venne interrotto da un connazionale: "ma in Svizzera i preti sono pagati
dal Vaticano, vero?". Casca il palco, a dimostrazione di quanto siamo
prigionieri della nostra cultura di chiesa italiana monarchica. Una domanda che
palesa il nostro vuoto di democrazia in materia. Nello zurighese, come anche in
altri cantoni dì Svizzera, accanto ai comuni politici e scolastici, che restano
autonomi, abbiamo anche i cosiddetti comuni di chiesa, formati dai cattolici che
contribuiscono con le tasse del culto. Due volte l'anno costoro si riuniscono
in assemblea e leggono o confermano per 4 anni il loro esecutivo, gruppo
amministrativo composto in genere di 7-9 membri. Il comune politico gira
l'ammontare delle tasse del culto al comune di chiesa il quale lo amministra
secondo esigenze prioritarie: stipendio al personale, preti, catechisti, teologi,
catechiste, mantenimento degli edifici sacri, ecc. Una percentuale va al
parlamento cattolico cantonale (Sinodo} per le necessità diocesane, fra cui lo
stipendio al vescovo, in terzo luogo viene devoluto a bisogni sociali. Poi
qualcosa andrà anche al Vaticano per spirito di corpo, ma con piramide
rovesciata. Cioè i primi a usufruire delle tasse del culto sono i contribuenti
locali, poi via via si sale verso l'alto o verso l'esterno. Ma dal Vaticano i
preti zurighesi non ricevono il becco d'un quattrino, anzi sarebbero tenuti ad
un'operazione inversa.
Ovvio
che la serata di Uster conducesse ad una conclusione altamente positiva: quella
di indurre i nostri connazionali cattolici in possesso del doppio passaporto a
candidarsi nelle amministrazioni delle chiese locali. Come giustamente ebbe ad
osservare S. Dugo, del Comitato ACLI organizzatore dell'iniziativa, si tratta
di fare un discorso politico, nella struttura bisogna entrarci, è nella stanza
dei bottoni che si conta e dove si possono cambiare le cose. Qui non serve fare i singolari. Tutte le
missioni e i missionari dello zurighese ed oltre dovrebbero fare comunità per
un obiettivo altamente promozionale in favore degli stranieri: si colga l'occasione
propizia.
Autore:
Albino
Michelin
14.12.2001
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