Qui non mi interessa fare un resoconto storico sui motivi e sulle conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale(1940-45), quanto piuttosto quello che io stesso ho vissuto e che in parte ha segnato la mia vita. Sono nato nel 1932 a Sovizzo in provincia di Vicenza e il 12 ottobre del 1942 all’età di 10 anni sono entrato nell’Istituto missionario Scalabrini di Bassano del Grappa, città che dista 40 km dal mio paese di origine. Un totale di 600 alloggiati fra ragazzi delle medie, ginnasio, professori, preti, pensionati. In quell’anno della guerra noi si sentiva solo parlare, ma ci sembrava una realtà molto lontana. Le cose sono precipite l’8 settembre del 1943 quando l’Italia stipulò l’armistizio e il rapporto con i belligeranti si capovolse: con gli amici tedeschi diventammo nemici e con gli anglo americani diventammo alleati. Ci accorgemmo subito dai rapporti quotidiani sulla strada: molti nostri militari fascisti della nuova Repubblica sociale di Mussolini, detti Repubblichini, passarono dalla parte dei tedeschi, i renitenti invece si separarono in formazioni filo americane e si chiamarono partigiani. Ed anche l’Italia del popolo si divise in due fronti, nemici in casa e in famiglia. Il primo vero episodio ci capitò il 7 novembre 42. Davanti ai cancelli dell’Istituto arrivarono dei capi, con i tedeschi e diversi camion. Era di domenica e ci si trovava in chiesa. Il Superiore interruppe il rito, ci disse di portarci tutti davanti al cancello. Il colonnello reclamò lo sfratto immediato perché l’istituto doveva servire come sede del comando di guerra delle Prealpi venete. Il missionario superiore intimò: “qui non entrerete mai, diversamente questa sarà la vostra tomba”. Invano, dopo due giorni di trattative i repubblichini sfondarono i cancello e invasero il Collegio. Tutte le aule scolastiche e i vari locali furono occupati da militari e impiegati dalla Decima Mas, con grande impianto di telefoni e di telegrafi. Noi fummo costretti a portarci banchi e cattedre della scuola nei corridoi, o all’aperto. Iniziava la stagione invernale e ci riparavamo dal freddo con mantelli e coperte, ma sulle mani comparvero i geloni che ci facevano soffrire e ci rendevano difficile scrivere temi e dettati. Nei sotterranei del Collegio il Comando militare nascose armi, divise, scarponi, ogni abbigliamento adatto alla guerra. Si cominciava a sentire notizia di bombardamenti americani nelle grandi città e si temeva che anche il nostro collegio diventasse un obbiettivo da colpire. Se non che un intervento del vaticano riuscì a farlo passare come struttura umanitaria, tipo ospedale, scuola pubblica, ingiunse di colorare il tetto della bandiera papale allo scopo di evitare attacchi mirati. Dopo 4 mesi il Comando ricevette l’ingiunzione di trasferirsi in un altra sede, Villa Dolfin, e così potemmo avere un breve periodo di tranquillità. Fino a che arrivammo al martedì 26 settembre del 1944. Alle 15 suonarono le sirene di tutta la città, era l’ossessionante allarme, un lamento lugubre e doloroso, come d’altronde tutti gli allarmi che stavano sempre diventano più frequenti di giorno e di notte. Arrivò anche via radio comunicazione di uscire dalla città e trasferirsi nelle colline vicine. Alle 17 cessato allarme e ritornammo in collegio. Dalla terrazza si ebbe a vedere uno spettacolo agghiacciante e drammatico: ad ognuna delle 38 piante della strada chiamata “Viale delle Fosse” era impiccato un giovane partigiano. Altri penzolavano impiccati in strade limitrofe. Si trattava di uomini chiamati “partigiani” che per sfuggire alla deportazione in Germania e ai campi di concentramento e di sterminio si erano rifugiati da qualche mese sulle macchie del Monte Grappa, ma che in un rastrellamento a tappetto organizzato dalle SS tedesche (Schutz-staffel=squadre di protezione) unitamente ai repubblichini di casa nostra erano stati catturati. La città di Bassano alla fine venne decorata con medagli d’oro, ma nessuno più le ha restituito i suoi figli migliori. Io avevo12 anni, era il primo di tanti traumi che sarebbero seguiti. Dal gennaio 1945 ogni giorno dovevamo rifugiarci nei sotterranei perché i caccia sbucavano dai monti e scendevano in picchiata sulle nostre teste per fare saltare i due ponti sul fiume Brenta, quello nuovo distante 400 metri e quello vecchio, detto ponte degli alpini, gioiello storico del Palladio,300 metri. Di notte invece passavano gli aerei detti Pippo, (Pyper, di ricognizione che bombardavano dove vedevano luci accese) e noi allora ci si riparava sulle colline vicine. Finché si arrivò a lunedì 23 aprile 1945. Alle ore 13 eravamo nei cortili a giocare e sentimmo avvicinarsi il rumore sordo, cupo di morte delle fortezze volanti, suddivise in squadriglie, ricoprendo il cielo di Bassano. L’allarme non era stato dato perché andato distrutto l’impianto, noi si pensava che proseguissero a bombardare Udine o Treviso. Improvvisamente un boato, tanti boati in successione, oscurato il cielo, ci siamo riparati nelle aule più vicine, i vetri saltavano in frantumi, sconquassi di porte per lo spostamento d’aria. Sembrava un’eternità: anche le gente del quartiere e del vicinato si era tutta riversata in collegio, chi piangeva, chi gridava, chi cercava persone care e familiari, chi si raccomandava l’anima a Dio. Dopo un’ora di apocalisse, ritornò dovunque un silenzio di tomba. I due ponti erano stati distrutti, ma anche tanta parte della città. Diverse bombe erano rimaste inesplose nel nostro orto e nei campi adiacenti. In quello stesso giorno via radio si venne a sapere che il fronte angolo americano stava muovendo da Bologna, che quello tedesco era in ritirata verso la Germania, via Bassano, Valsugana, Trento. Il nostro Superiore ebbe la “nobile pensata” di inviare un telegramma urgente alle famiglie:” subito riprendere i figli perché in gravissimo pericolo”. Di Sovizzo eravamo quattro ragazzi: Davide, Gabriele, Florindo e il sottoscritto. Le strade erano un’imboscata continua fra partigiani e tedeschi, morti, giustiziati, arsi vivi, impiccati quasi ad ogni angolo, sparatorie in continuazione, vendette sommarie, rese di conti. Mercoledì 25 aprile i nostri papà partirono all’alba, alle 4 del mattino, con bicicletta, ma attraversando campi e sterpeti, e si fecero 45 km. Alle 13 arrivarono a Bassano affamati e stremati, poterono rifocillarsi e partimmo in otto all’avventura per il ritorno in famiglia. Sempre attraverso sentieri di campagna, e distanziati per non dare sull’occhio di essere una pattuglia nemica (di chi?). Cosi ci demmo appuntamento ad una cava di ghiaia dopo 20 km. a zig zag in un paese chiamato Sandrigo. Io e mio padre arrivammo ultimi e trovammo i nostri della compagnia senza bicicletta. I tedeschi l’avevano loro rubata. Fortuna volle che non li avevano giustiziati come traditori. Forse un po’ di pietà per quattro adulti che accompagnavano ragazzi inermi l’avevano avuta. La sera verso le 20 arrivammo ad un paese chiamato Villaverla e il parroco informatosi da dove si veniva ci diede la cena e ci distribuì chi in cantina, chi in granaio. Io ebbi un divano con mio padre all’ingresso. Nottetempo scoppiavano bombe a mano davanti all’abitazione, un gruppo di partigiani entrò gridando “Decimazione, qui ci sono dei traditori”. Convintisi della nostra situazione ci lasciarono e se ne andarono. Al mattino del 26 aprile riprendemmo la via del ritorno, attraverso boschi, sempre lontano dalle strade, dai centri abitati e dai paesi bruciati dalla rappresaglie. A mezzogiorno arrivammo ad una contrada, chiamata Torreselle, ed una famiglia ebbe compassione, ci preparò la tavola e ci diede ogni ben di dio come solo i contadini sanno fare. Ho appreso di persona che sono sempre i poveri ad aiutare i poveri. E riprendemmo il cammino. Attraverso siepi e boschi ci avvicinavamo a casa e ovunque si incontravano gruppi non più di tedeschi, ma di partigiani. Ogni volta posto di blocco, era una perquisizione, ci prendevano per spie fasciste e anche lì si poteva finire male. Verso le 20 arrivammo nella nostra corte. Il paese si era quasi tutto riversato in quell’aia, in ansia ed in angoscia per timore che dopo due giorni di attesa non tornasse più nessuno e tutti fossimo stati uccisi. La gente si commosse, era esausta per l’attesa, non aveva neanche la forza di esultare. Ma fu festa grande per lo scampato pericolo. Alla notte fra giovedì 26 e venerdì 27 aprile sulla statale Verona-Vicenza, 3 km. da casa mia sentimmo i carri armati americani e tutto il fronte anglo- americano passare, gli ultimi colpi di cannone all’entrata in città, la guerra era finita. Impressioni? E’ molto diverso leggere libri di storia e sentire racconti di guerra dal passarci dentro. Sopravvissuto per caso o per fortuna mi fa molta pena oggi vedere masse di gente che viene in Italia e in Europa fuggendo dai paesi dove una guerra finisce ed un’altra incomincia, e sentire la nostra gente che incita a sparare a vista sulle carrette del mare. Chi non ha sofferto non saprà mai capire né compatire.
Autore:
Albino Michelin
09.05.1998
giovedì 22 ottobre 2015
DIRITTI UMANI PER TUTTI ANCHE PER GLI EX PRETI (UNA TESTIMONIANZA)
In riferimento all'articolo "Diritti umani per tutti, anche per gli ex preti" apparso Su Rinascita Nr.113 mi è pervenuta questa testimonianza di Mauro Delnevo, sacerdote che ha lasciato le sue funzioni, ora sposato e padre di famiglia, di professione artigiano.
“Sono d’accordo con l’articolista che il termine "ex" può servire per rendere meglio il discorso anche se la precisazione va fatta non come rivendicazione di un titolo onorifico perso, o meglio di appartenenza ad una casta protetta e privilegiata, ma nello specifico del prete che si sposa solo come lotta contro un tipo di cultura ufficiale e quindi popolare che tende ad emarginare, rifiutare e privare di diritti chi, fra i preti, decide di sposarsi.
Ci sono dei preti, dei vescovi, dei religiosi, mercanti- managers, dongiovanni, carrieristi, costruttori edili, uomini a caccia di testamenti più o meno redditizi che non sono chiamati "ex", ma che non sono sacerdoti però nel senso più vero della parola, cioè "servitori" di Dio e del suo popolo. Aggiungo subito che pure essendo prete sposato da 13 anni con una moglie Pina ed una bella bambina di dieci anni che si chiama Miriam e che sono la mia gioia, sono assertore convinto del celibato come scelta e credo che quando questa scelta continua ad essere libera e mai imposta è possibile non solo ma è bello vivere celibi. lo ho vissuto bene il mio celibato, ho rinnovato questa scelta ogni giorno e sono felice oggi. Come ieri. Comunque mi sento un uomo fra gli uomini e nonostante una legge assurda che mi ha sospeso diciamo, "a divinis", continuo ad essere un servitore del Padre, annunciando ancora il Suo meraviglioso messaggio come "proposta" sempre! Vivo il mio essere uomo di fede nella periferia livornese, nella parrocchia dove sono stato parroco per 17 anni, nella stessa casa popolare (in affitto) dove vivevo da parroco, (ma non ho mai voluto costruire la casa canonica, anche se "ho peccato" facendo costruire una bella Chiesa a pianta esagonale!). Il Comune di Livorno, giunta a maggioranza assoluta allora Pci, mi ha messo a disposizione un terreno di mq.1500 e qui a partire dal 1987 io e la mia attuale comunità abbiamo costruito una piccola casa di accoglienza dove realizziamo il nostro cammino di fede come Comunità di Base Cristiana (ogni sabato celebriamo insieme un' Eucarestia dove tutti hanno diritto di parola) e dove accogliamo attraverso una cooperativa laica di cui fanno parte alcuni membri della comunità alcoolisti, tossicodipendenti, gente con disagi vari e loro familiari realizzando gruppi di autoaiuto. Cade e non solo per me "il luogo comune" che un prete non può amare la sua famiglia e la sua comunità di fede, non può dedicarsi al suo lavoro (la Comunità non mi mantiene) alla sua donna e ai suoi figli e nel frattempo dedicarsi a opere di solidarietà, ricerca di fede e preghiera.
La forza dell'amore, prego Dio ogni giorno che me l'alimenti, chiude la bocca di quanti si riempiono di questi discorsi, perché come minimo hanno dimenticato che l'amore umano per la propria donna e i propri figli e l'amore che viene da Dio hanno una forza dirompente ed inesauribile! Intanto i Vescovi e questa Chiesa ufficiale sono impegnati a tamponare i disastri che molti preti pedofili, non solo in America, combinano. Li proteggono amorevolmente e rimborsano finanziariamente le famiglie colpite, pagano i processi, hanno i migliori avvocati.
Ma forse è una toppa nuova su un vestito vecchio ... Tengono nascosti i preti omosessuali, li seguono con pazienza e li riconfermano nei loro Incarichi e nella loro missione. Accolgono i preti anglicani e le loro famiglie all'interno della Madre Chiesa Cattolica. Questa constatazione dobbiamo continuare a farla, attenti a non cadere nel peccato del fratello del figliol prodigo! A quando i preti celibi per scelta potranno svolgere la loro missione accanto a quelli che, per scelta, decidono di vivere l'amore per una donna? La Chiesa di base, nella quale cammino oggi, ha già abbondantemente capito questa profezia, qualche Vescovo queste cose le afferma già pubblicamente. I tempi non sono lontani. Dobbiamo continuare a pregare e a lottare per "amore", perché anche i preti sposati siano reintegrati nei loro diritti umani e nella loro dignità di persone.”
(Mauro Delnevo-Via Auronzo 8-57124 Livorno)
A cura di
Albino Michelin
25.03.1998
“Sono d’accordo con l’articolista che il termine "ex" può servire per rendere meglio il discorso anche se la precisazione va fatta non come rivendicazione di un titolo onorifico perso, o meglio di appartenenza ad una casta protetta e privilegiata, ma nello specifico del prete che si sposa solo come lotta contro un tipo di cultura ufficiale e quindi popolare che tende ad emarginare, rifiutare e privare di diritti chi, fra i preti, decide di sposarsi.
Ci sono dei preti, dei vescovi, dei religiosi, mercanti- managers, dongiovanni, carrieristi, costruttori edili, uomini a caccia di testamenti più o meno redditizi che non sono chiamati "ex", ma che non sono sacerdoti però nel senso più vero della parola, cioè "servitori" di Dio e del suo popolo. Aggiungo subito che pure essendo prete sposato da 13 anni con una moglie Pina ed una bella bambina di dieci anni che si chiama Miriam e che sono la mia gioia, sono assertore convinto del celibato come scelta e credo che quando questa scelta continua ad essere libera e mai imposta è possibile non solo ma è bello vivere celibi. lo ho vissuto bene il mio celibato, ho rinnovato questa scelta ogni giorno e sono felice oggi. Come ieri. Comunque mi sento un uomo fra gli uomini e nonostante una legge assurda che mi ha sospeso diciamo, "a divinis", continuo ad essere un servitore del Padre, annunciando ancora il Suo meraviglioso messaggio come "proposta" sempre! Vivo il mio essere uomo di fede nella periferia livornese, nella parrocchia dove sono stato parroco per 17 anni, nella stessa casa popolare (in affitto) dove vivevo da parroco, (ma non ho mai voluto costruire la casa canonica, anche se "ho peccato" facendo costruire una bella Chiesa a pianta esagonale!). Il Comune di Livorno, giunta a maggioranza assoluta allora Pci, mi ha messo a disposizione un terreno di mq.1500 e qui a partire dal 1987 io e la mia attuale comunità abbiamo costruito una piccola casa di accoglienza dove realizziamo il nostro cammino di fede come Comunità di Base Cristiana (ogni sabato celebriamo insieme un' Eucarestia dove tutti hanno diritto di parola) e dove accogliamo attraverso una cooperativa laica di cui fanno parte alcuni membri della comunità alcoolisti, tossicodipendenti, gente con disagi vari e loro familiari realizzando gruppi di autoaiuto. Cade e non solo per me "il luogo comune" che un prete non può amare la sua famiglia e la sua comunità di fede, non può dedicarsi al suo lavoro (la Comunità non mi mantiene) alla sua donna e ai suoi figli e nel frattempo dedicarsi a opere di solidarietà, ricerca di fede e preghiera.
La forza dell'amore, prego Dio ogni giorno che me l'alimenti, chiude la bocca di quanti si riempiono di questi discorsi, perché come minimo hanno dimenticato che l'amore umano per la propria donna e i propri figli e l'amore che viene da Dio hanno una forza dirompente ed inesauribile! Intanto i Vescovi e questa Chiesa ufficiale sono impegnati a tamponare i disastri che molti preti pedofili, non solo in America, combinano. Li proteggono amorevolmente e rimborsano finanziariamente le famiglie colpite, pagano i processi, hanno i migliori avvocati.
Ma forse è una toppa nuova su un vestito vecchio ... Tengono nascosti i preti omosessuali, li seguono con pazienza e li riconfermano nei loro Incarichi e nella loro missione. Accolgono i preti anglicani e le loro famiglie all'interno della Madre Chiesa Cattolica. Questa constatazione dobbiamo continuare a farla, attenti a non cadere nel peccato del fratello del figliol prodigo! A quando i preti celibi per scelta potranno svolgere la loro missione accanto a quelli che, per scelta, decidono di vivere l'amore per una donna? La Chiesa di base, nella quale cammino oggi, ha già abbondantemente capito questa profezia, qualche Vescovo queste cose le afferma già pubblicamente. I tempi non sono lontani. Dobbiamo continuare a pregare e a lottare per "amore", perché anche i preti sposati siano reintegrati nei loro diritti umani e nella loro dignità di persone.”
(Mauro Delnevo-Via Auronzo 8-57124 Livorno)
A cura di
Albino Michelin
25.03.1998
venerdì 16 ottobre 2015
UN'OCCASIONE MANCATA: LE DIMISSIONI DEL PAPA
Morto
un papa se ne fa un altro, sembrava fino a ieri uno slogan scontato. Invece da
quando (e precisamente da venerdì 7 gennaio 2000) il Vescovo Lehmann primate di
Germania si è permesso di sollevare indirettamente il problema si è data la
stura ad un finimondo. Altro che sasso nella piccionaia. Non solo nei media di
estrazione cattolica, ma anche nei quotidiani politici di ogni tendenza, cuor
solo ed anima sola nell'ossequio verso la gerarchia per un pugno di voti, si è
assistito ad una levata di scudi, è tornato redivivo lo spirito delle crociate.
Anzitutto, per partire dalla fonte, Lehmann non ha proferito nulla di irriverente.
Nel suo pragmatismo nordico, totalmente carente nella popolazioni latine dove
tutti parlano e nessuno dice, in un'intervista in TV ha espresso semplicemente
il suo pensiero in merito: "Credo che questo papa, nell'ipotesi si
trovasse impari al suo compito per motivi di salute, avrebbe il coraggio di
dimettersi''. Non c'è qui da ravvisare nessuna combine, né corni, né bicorni,
né malaugurio, né programmi di blitz ai danni del trono pontificale. È una
constatazione normale nei confronti di persone umane (ed il papa è pure un
uomo) investite di un ruolo pubblico. Il Papato appartiene pure ad un incarico
rappresentativo, tanto più alto tanto meno esente da giudizi, apprezzamenti e
considerazioni. È Gesù stesso ad invitarci ad un giudizio in merito: "dai
frutti conoscerete la pianta". Ma in Italia non è così. Si sa che noi
italiani preferiamo strisciare e stordire l'autorità con aggettivi,
qualificativi, appellativi pluriornati, salamelecchi, cerimoniose piroette,
servilismi e (perché no, diciamocelo) ruffianate. Salvo poi a fregarcene alla
prima occasione. Il fatto stesso che anche l'attuale Papa venga osannato nel
folclore intercontinentale e poi registri così profondo dissenso sommerso in
fatto di fede e costume ne è una dimostrazione. Ma tant'è: qui il "rozzo" e barbaro
Lehmann, giudicato triviale dai nostri guardiani del tempio, ha superato ogni
limite. Sacrosanto quindi il lenocinio popolare contro questo teutonico
usurpatore, nostalgico erede degli Ottoni invasori, che si è permesso di
deturpare la nostra romano centrica chiesa universale. Il Vescovo di Como
Maggiolini definì l'intervista: "aggressione di cattivo gusto". E
dalle più alte sfere vaticane all'ultimo uomo della strada tutti in coro a
suonare le corde della più lacrimosa compassione.
Riassumo
alcuni stralci: " ... Il papa sta bene, anzi benissimo ... Santo Padre
grazie per la Sua vecchiaia, Lei Santità è giovanissimo più di tanti noi
giovani. Padre, ... Paternità non si rinuncia, il Papa risponde solo a Gesù
Cristo ... Il suo è un ruolo unico, nessuno può decidere per lui, spetta a Gesù
... Non c'è posto per un papa emerito ... Povero papa, ridotto a unità
produttiva fra padroni e sindacati ... Ruolo incomprensibile per chi non ha la
fede ... Il Signore non chiede prestazioni superiori alle nostre forze, lui
stesso ci dà le forze per compiere ciò che domanda ... La potenza del Signore
si manifesta nella debolezza dell'uomo .” E avanti con tutta una serie di
espressioni, che collocate al loro posto avrebbero un significato coerente, ma
stralciate così hanno solo il sapore di fiorellini devozionali. Un'intervista
del genere non deve restare sul piano delle occasioni mancate ma offrirci l’input
di una riflessione sul piano culturale. L'intervento di Lehmann, o provocazione
vera e ridimensionata, ha fatto il giro del mondo e pone al papato degli
interrogativi, di cui alcuni di pubblico dominio, altri totalmente inediti.
Il
primo concerne il fatto delle dimissioni papali lungo la storia. Il caso di
Celestino V (13.12.1294) ritornato nel suo eremo abruzzese è il più eclatante.
Però anche di recente Giovanni XXIII ha lasciato scritto che in caso di malattia
incurabile preferiva dimettersi: ma ne venne a conoscenza solo due giorni prima
della morte (1956). Anche Paolo VI nel 1966 nel Castello di Furnone dichiarò
pubblicamente che teneva lui stesso in considerazione tale eventualità. Perfino
Papa Wojtyla, che si è sempre dichiarato in buona salute (almeno all’apparenza)
nel Codice di Diritto Ecclesiastico da lui pubblicato nel 1983 ha inserito due
canoni: il 332-335 in cui viene a sfatare il tabù delle sue stesse dimissioni
che possono benissimo capitare in caso di impedimento ad esercitare il suo
ufficio, se liberamente espresse e debitamente manifestate. In secondo luogo,
se vogliamo basare il ruolo papale sul Vangelo di Gesù come sarebbe di dovere,
allora le cose si chiariscono ancora meglio. Tale ruolo si fonda non tanto
sulla persona, ma sulla fede della stessa, e può essere esercitato come
servizio provvisorio e temporaneo. In effetti Gesù disse a Pietro: ''Tu sei
Pietro e sulla fede di questa pietra io edificherò mia Chiesa". Ma non
molto più tardi il Signore scendendo dal Monte Tabor gli fece la seguente
rampogna: "Vai indietro da me Satana perché non sai di che spirito
sei". Che lungo la storia vi siano stati papi "fedeli" che han
salvato la barca della chiesa nessun dubbio. Come d'altronde non bisogna dimenticare
che ve ne sono stati altri di "infedeli" che le hanno fatto correre
rischi indescrivibili. Per cui va dato
ragione a certi storici che affermano avere il Signore salvato il suo popolo
non sempre per merito del papato, ma nonostante il papato. I numeri ci dicono
che su 263 Papi 46, cioè un 18%, hanno tenuto un comportamento inguardabile ed
altri furono tolti d'autorità per le loro idee tutt'altro che ineccepibili.
Quindi abbiamo avuto nel tempo papi che si sono dimessi o per mancanza di
volontà o per mancanza di fede ed altri che hanno esercitato la loro funzione solo ad tempus, a
dimostrazione che tutto questo polverone sollevato attorno all'intervista di Lehmann
a difesa del ruolo indimissionabile del papa storicamente non regge. Stampa o
TV cattolica o nazionale che a bella posta tace su queste informazioni non fa
un buon servizio alla verità e si rende correa di "occasione
mancata". Un ulteriore argomento va poi portato a conoscenza del pubblico.
Da oltre 30 anni esiste una prassi per cui Vescovi (Canone 401,1) e Parroci (538,3) al 75° anno d'età devono dare le
dimissioni da ruoli direttivi nella chiesa.” Ovviamente il motivo risiede nella
scontata fisica impossibilità ad espletare i loro compiti professionali. Ora lo
stesso discorso dovrebbe o potrebbe valere anche per il Papa. La motivazione
contraria, riportata da alcuni, cioè che il Papa ha sposato la chiesa e quindi
solo la morte ne può estinguere il connubio è per nulla convincente, perché
anche un vescovo da parte sua ha sposato la diocesi e anche un prete s'è
coniugato con la parrocchia e tali dovrebbero rimanere finché morte non separi.
Però a 75 anni devono fare le valigie, ritirarsi in un ricovero, entrare nel
mucchio dei pensionati o fare i cappellani in un convento di suore.
Se
tutto ciò suona logico e non irriverente per i comuni ecclesiastici,
altrettanto lo potrebbe essere anche per il promulgatore e il garante di tale
legislazione. E aggiungasi anzi che di fronte al mondo dei non credenti sarebbe
un gesto di grande valore laico. Come dire: "anch'io Papa sono uomo fra
gli uomini, uomo come voi". C'è poi l'ultima affermazione, cioè "che
il Papa risponde solo a Gesù". Per carità evitiamo di scappare per la
tangente, evitiamo anche solo la parvenza di idolatrie e fanatismi. Perchè ciascuno
di noi, e non solo il Papa, deve in ultima analisi rispondere a Dio, a Gesù
Cristo, alla sua coscienza. E qui è lo stesso Papa Wojtyla a venirci incontro,
in un documento del 31.5.1995 (Ut sint unum) in cui desidera lumi dal popolo di
Dio per gestire in forma più democratica il suo primato. Ed è basandoci su
questa premessa che noi riteniamo che egli, come tutti gli uomini rivestiti di
pubblico potere, non ha da rispondere prima di tutto o soltanto a Gesù Cristo,
quanto piuttosto anche alla comunità dei credenti. Un caso eclatante, e per
niente eccezionale a proposito, ma che nessun oratore sacro o TV cattolica ha
mai rammentato, lo si ebbe a constatare nel Concilio di Costanza (1415) allorché
l'assemblea ecclesiale, o sinodale che dir si voglia, decise di deporre tre
papi (Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII), il cui nome venne ripreso
da Roncalli nel 1958, ed elessero Papa Martino
V, il quale accettando l'incarico, legittimò la superiorità del Concilio o del
Popolo dei Credenti sul Papa stesso. Abbiamo qui cioè una serie di dimissioni
in cui il Pontefice non si appella a Gesù Cristo, ma sottostà alla Chiesa di
Gesù Cristo. Dispiace che nemmeno i frequentatori abituali della messa domenicale
siano mai stati edotti in materia. E con tale sottocultura programmata quanto
avanti vogliamo andare nella corresponsabilità di chiesa? In tutta questa
vicenda non va dimenticato un doveroso ringraziamento. Un grazie grande e
sincero alla chiesa cattolica tedesca nel caso interpretata dal suo primate Lehmann.
Certi diplomatici sono pronti a ricordarci che attualmente non corrono ottimi
rapporti fra quella chiesa e il vaticano. Infatti risale solo al 20.11.99 il
triplice diktat del papa ai vescovi tedeschi: ritiro dai consultori abortisti
statali, no alla democratizzazione della chiesa, infallibile no alla donna
prete. Chiaro segnale inoltre di tutto ciò è il fatto che dal 1984 Roma non ha
mai scelto nessun cardinale tedesco. Ma
l'episcopato di quella nazione va oltre a quest'ultima bagatella. La forza di questa
chiesa ha radici molto lontane e molto profonde, la fortuna di avere avuto un
Lutero, un protestantesimo con cui confrontarsi e dialogare, la divulgazione
della Bibbia fra il popolo, università di teologia per laici, dibattiti
televisivi sulla fede condotti da uomini e donne sposati. Realtà tutte che in
Italia si sognano di notte.
La
vera cultura che i nostri esperti in materia possiedono la devono tutta o quasi
alle ricerche protestanti o cattoliche dei tedeschi. La nostra cultura in
patria è troppo clericale, ripetitiva, divulgativa: poco o nulla creativa. L'uscita
di Lehmann si inquadra in questo contesto di corresponsabilità nella chiesa. E
si ricollega con il precedente intervento del Cardinal Martini di Milano
(7.10.99) in cui si auspica la convocazione di un grande concilio mondiale, per
confrontarsi insieme sui grandi problemi, implicito il fatto che l'attuale
pontefice è superato da un mole di attività planetaria, oltre le sue
possibilità. Purtroppo c'è un limite a tutto, anche al Papa. Questi sono i
grandi temi che sottostanno alla "boutade' di Lehmann del 7.1.00: per
nessuno restino delle occasioni mancate!
Autore:
Albino
Michelin
10.02.2000
NOTE
DI LETTURA DI P.A. PEROTTI C.S., DOTT. IN TEOLOGIA, DIRETTORE DEL SERVIZIO
SOCIO-PASTORALE IN LUSSEMBURGO.
1) La
reazione espressa da A. Michelin in questo articolo raggiunge in sostanza le
reazioni di diverse persone che ho letto nella stampa in Lussemburgo.
2) Reazioni
che provengono da ambienti cattolici, che condividevano il parere del primate
di Germania Card. Lehman, così come era stato espresso di fatto nella sua
intervista.
3) Condivido la posizione di A.Michelin nella
sua sostanza. Ritengo che un minimo di informazione storica debba essere
assicurata se non si vuole fra mezzo secolo chiedere perdono per avere lasciato
vivere i credenti in una ignoranza ottusa, senza diritto di parola. Quella di
A.Michelin, sebbene controcorrente, fa parte di quelle prese di posizione
coraggiose che diventano oggi sempre più rare nell’ambito della chiesa. (Triuggio
(MI) 23.2.00)
ITALIA CATTOLICA E PARITA’ SCOLASTICA: PATTI CHIARI, AMICIZIA LUNGA
Qualche
tempo fa è stato chiesto al Dalai Lama, una specie di Papa del Buddismo, che
cosa gli stia più a cuore al momento per il bene del mondo. Le premure di
quell'uomo sono per i diritti umani, la solidarietà fra gli uomini, la
conquista della serenità interiore. Non freme per una scuola buddista
finanziata dallo Stato. La fede dunque non come potere di visibilità e forza
mondana, ma come lievito nella pasta, proprio secondo l'espressione del Vangelo
di Gesù. Certo siamo in un altro pianeta, non in quello italiano lontano anni
luce. A scanso di equivoci va premesso che le nostre scuole pubbliche non statali
(riduttivamente chiamate private, in genere tenute da religiosi) compiono nel
nostro paese un buon servizio, in considerazione anche della preferenza data da
molti genitori, per il senso della responsabilità professionale, della
disciplina, dell'impegno. Il dibattito, come noto, non concerne il diritto alla
loro esistenza (libera chiesa in libero stato), ma il diritto al finanziamento
totale e paritario, com’ è nel caso delle scuole pubbliche statali. E qui, come
al solito, l'Italia si spacca in cento pezzi e scende in piazza. Il movimento
"paritetico" cattolico, espresso dal Cardinal Ruini quale promotore
ed interprete, non perde occasione per alzare il volume e battere cassa allo
Stato. Il 31 ottobre del '99 ha organizzato una manifestazione in Piazza S.
Pietro a Roma con 200.000 partecipanti (pari a circa lo 0,03% degli italiani)
invitando persino il Papa dalla sua finestra a picchiare pure lui lo stesso
"sodo" per parità giuridica ed economica delle scuole private. Tutti
i convenuti in febbrile eccitazione al grido di "Libertà, Libertà!"
sporsero i loro petti contro lo Stato italiano dittatore e strozzino delle
scuole cattoliche. Molti preferiscono nella circostanza e per coerenza
schierarsi dall'altra parte della contesa perché questo movimento non darebbe
una bella testimonianza alla comunità cristiana e quindi ci sia consentito un
rispettoso ma franco dissenso sui motivi e sul metodo adottato per ottenere
dallo Stato Italiano la parità scolastica. Libertà, Libertà ... d'accordo. Ma
la nostra Costituzione al nr. 33 parla chiaro, riconosce il diritto ai privati
(laici, cattolici, islamici, marxisti e chi più ne ha più ne metta) ad aprire
le scuole che desiderano, ma "senza oneri" per lo Stato. Senza oneri
significa esattamente senza oneri, punto e basta. Ora il Movimento Ruini,
rappresentante di una parte delle gerarchia ecclesiastica, non può dimenticare
la lettera di Paolo ai Romani (13, 1): "ciascuno sia sottomesso
all'autorità costituita, perché non c'è autorità se non da Dio". Né la
Prima Lettera di Pietro (2,13): "siate sottomessi ad ogni istituzione
umana per amore del Signore". Orbene il numero 33 della costituzione
finché esiste è parola di Dio e va rispettato, non raggirato. Diversamente
sarebbe mancanza di lealtà, da noi la prima causa a rendere debole società e
Stato italiano.
Siamo
già tanto carenti di legalità e senso civico, che se poi ci si mettono pure
degli esponenti della chiesa siamo a cavallo. Ci si adoperi quindi in primo
luogo a cambiare questo passo della Costituzione rispettando l'iter democratico
e soltanto dopo si instauri un dibattimento sulla parità finanziaria. Il
movimento in questione sostiene di battersi per il diritto alla libertà. Questo
è positivo, addirittura encomiabile a patto di tirarne le conseguenze. Cioè
libertà per tutte, per le scuole cattoliche, laiche, di extracomunitari, di
altre religioni. Una domanda birbona: ma si vuole una libertà di tutte le
scuole e di tutti oppure i soldi da tutti? E qui il punto resta ambiguo. Se così
fosse, si tratterebbe solo di un interesse per la propria bottega. E poi non
dimentichiamo una possibile levata di scudi! Sarebbe corretto sovvenzionare in
toto le scuole cattoliche con i soldi del pubblico, provenienti pure da gente
che cattolica non è? Non sarebbe questo un ritorno alla Chiesa di Stato e allo
Stato confessionale, posizioni da tempo superate con la libertà religiosa rivendicata
dal Concilio Vaticano Il? Accontentiamoci
cioè di essere una scuola nello stato, e rifiutiamo di essere una scuola dello
Stato.
Un
aspetto su cui il Movimento Ruini insiste è quello della sussidiarietà. Si deve
cioè lasciare alle comunità minori, nel nostro caso alla famiglia, la formazione
culturale dei figli e per l'istituzione scolastica corrispondente. Lo Stato sarebbe
lì solo per prenderne atto, per incoraggiare e pagare le fatture. È questo un
modo tutto sui generis di concepire lo Stato, banco dell'Enalotto, ridotto a
figura di supplenza. Un'entità a proprio servizio senza la reciprocità dei
diritti-doveri. Lo Stato invece ha tutt'altre funzioni: garante della libertà
dei cittadini, che promuove e coordina, sì, ma attraverso un ordinamento ed una
fede laica. Il che non significa posizione anticattolica o anticlericale, ma
ambiente di convivenza per tutte le culture e religioni. In una società
pluralistica differenziata lo Stato deve salvaguardare una base comune ed in
questa salvare le diversità. Sarebbe un ripiegamento ed un impoverimento dello
Stato e della società civile il pullulare di una miriade di scuole settoriali,
senza scambi comunicativi e circolazione di idee e confronti dialettici. Ognuno
con la sua sagrestia, la sua moschea, la sua pagoda, la sua sinagoga e al di
sopra uno stato fantasma! Questa pretesa è una debolezza per la chiesa, paura di
diventare seme evangelico, di perdere la sua visibilità. Essa non deve
dimenticare che Gesù paragona il suo Regno ad un chicco di grano destinato a diventare
il grande albero, ad un pugno di lievito destinato a fermentare tutta la pasta,
pugnetto di sale capace di dare sapore a tutta la tavolata.
Orbene
se i nostri ragazzi devono restare protetti sotto una campana di vetro a forma
di ghetto e non sanno inserirsi nelle varie scuole pubbliche per diventare
seme, lievito, sale, significa che il catechismo e i riti sacramentali appresi
nella parrocchia sono pratiche vuote e moralistiche e che la parrocchia stessa
è diventata un arsenale vuoto, senza polvere da sparo, senza miccia,
senz'anima. Ma allora la riforma o l'evangelizzazione va fatta alla fonte, in
casa propria, non la si deve pretendere dalla scuola. Il Movimento Ruini si
preoccupa più della politica che non dei lievito, il terrore di restare nulli,
insignificanti. Però è ovvio che la politica avrà un orientamento cristiano,
non se restiamo italiani, ma se ridiventiamo ciascuno cristiani. Il nodo più
difficile da sciogliere su tutta la faccenda concerne le garanzie che lo Stato
ha il diritto-dovere di chiedere circa l'utilizzo dei contributi finanziari. Ed
è proprio questo diritto che i gestori delle scuole private e i loro patroni
mal sopportano. Vogliono i soldi, ma non i vincoli. Soprattutto quelli
concernenti l'assunzione ed il licenziamento del personale insegnante. Il
criterio discriminante fra scuola statale e privata (nel caso cattolica)
consiste nel fatto che nella prima si guarda più alla competenza e meno alla
fede e pratica religiosa, nella seconda invece no.
Nella
scuola statale un insegnante può essere ateo, nella cattolica deve essere un
credente. Il che significherebbe che la statale con i soldi pubblici è
tollerante, quella cattolica con i soldi di tutti diventa intollerante. Chi non
è con me è contro di me. Indirizzi che sono comprensibili in un seminario di
preti oppure nelle scuole cattoliche auto sovvenzionantesi, un po' meno nelle
istituzioni governative. Non sono cannonate a salve: che ne sarebbe di un
docente di storia se in un liceo tenuto da religiosi avanzasse l'ipotesi che il
dogma della SS.Trinità è una mitologia proveniente dall'antico Egitto? Silurato
seduta stante, e il giorno dopo messo alla carità.Il caso del Prof. L.
Lombardi, titolare della cattedra di Diritto all'Università S. Cuore di Milano,
esonerato il 28.10.98 per affermazioni di questo tipo o giù di lì, ne è
testimonianza eloquente.
In
una inchiesta condotta nel vicentino, territorio italiano come un altro,
risultò che qualche scuola cattolica assumeva docenti pensionati in nero alla
faccia di tutti i trentenni abili arruolati a spasso, o che altri vi entravano
perché raccomandati dal parroco o perché esibivano il santino devozionale nel
portafoglio. Pure si ebbe a costatare che insegnanti conviventi o divorziati
sono stati eliminati ed altri per mantenere il posto dovevano usare lo
stratagemma di cambiare (sui documenti) l'indirizzo civico. Cosicché al peccato
di famiglia erano costretti ad aggiungere anche quello molto più grave dell'ipocrisia.
Sempre in quel territorio una Scuola cattolica superiore viene ironicamente
definita "Diplomificio" per la facilità con cui vengono conferiti titoli
di studio a giovani pluribocciati nella scuola statale solo perché fanno i
chierichetti o i sagrestani. Ma lasciamo la casistica che comunque conferma il
sin qui detto. Non vogliamo fare gli iconoclasti, affermiamo il diritto della
famiglia a scegliere l'insegnamento e l'istituzione scolastica di suo
gradimento. Se per tradizione assodata la scuola privata cattolica ha ancor
oggi qualcosa di valido e di originale da proporre alla società civile, è
doveroso che lo Stato venga incontro con dei sussidi e modalità dì sostegno da
studiarsi. Come in Svizzera dove per esempio il Canton San Gallo ha devoluto
nel 99 oltre un milione dì franchi alle scuole cattoliche per i loro 540
studenti. Come ulteriori sussidi vengono garantiti attraverso le tasse del
culto e giornate di raccolta fondi. Cosi in Italia lo si può fare attraverso
l'8 per mille ed iniziative parrocchiali e diocesana ad hoc. Ma pretendere
tutto dallo Stato può essere una forma di demagogia e di strumentalizzazione
indebita ai danni dello stesso. Chi non è d'accordo scelga la scuola statale
pubblica e si adoperi per moralizzarla e riformarla dal di dentro. Chi non ama
viaggiare con i mezzi di trasporto pubblico è libero di viaggiare con quelli
privati: non per questo però pretenda che lo Stato gli regali la Mercedes o
l'auto taxi. Patti chiari e amicizia lunga.
Autore:
Albino
Michelin
20.01.2000
PERCHÉ NON Ml SONO FATTO SVIZZERO
Farmi
svizzero non è una tentazione contro cui abbia lottato una vita, anzi da sempre
la considero un traguardo gratificante. In effetti sentirsi cittadini di due
mondi o addirittura del mondo intero potrebbe darti la sensazione di uscire da
quello angusto e provinciale in cui sei nato. So che molti connazionali per
motivi professionali e familiari oggi cercano il doppio passaporto per piantar
su una bottega o per rimanere a piacimento in questo ambiente dove stanno
crescendo figli e nipoti. Ma io ho e difendo le mie ragioni per non farlo.
Anzitutto
non è il motivo della burocrazia che mi trattiene dal diventare cittadino
svizzero. Certo bisogna andarsi a cercare in Comune carte e formulari,
riempirli, sottoscriverli, inviarli al Cantone, quindi attendere l'esame del
Consiglio Comunale, rispedirli al Cantone ed infine alla Confederazione di
Berna per il nulla osta. Un tirocinio di 18-20 mesi, ma non sarebbe poi la fine
del mondo. Non è nemmeno il motivo finanziario che mi trattiene. Siamo tutti al
corrente dei diversi dibattiti fra le associazioni italiane e nella stampa di
emigrazione, dove si reclama la cittadinanza svizzera gratuitamente. Al
sottoscritto, stato civile celibe, stipendio medio, per una eventuale
naturalizzazione verrebbe richiesta la cifra di Fr. 5.000 circa: una mensilità.
Insomma non si finirebbe in miseria.
Non
è nemmeno il motivo della buona condotta. E noto che per divenire cittadino
elvetico bisogna chiedere all'Ufficio Federale di Polizia un estratto del proprio
casellario giudiziario. Ma anche qui, almeno suppongo, non vedrei grossi
intoppi, in quanto banche non ne ho mai assaltate, galera mai vista se non per
entrarci a visitare i carcerati. Non è nemmeno il motivo linguistico. In
effetti per quanto nei miei diversi decenni di Svizzera abbia vissuto sempre
con e per i connazionali, le tre lingue ufficiali di questa seconda patria non
mi sarebbero del tutto straniere: l'italiano perché io imparai sui banchi della
scuola primaria e superiore, il francese perché ho dovuto trasferirmi un certo
tempo anche in quel Cantone, e il tedesco perché da tempo mi trovo in questo
territorio. E il mio tedesco non dovrebbe nemmeno essere così malvagio se dopo
Messa con predica qualche anziana signora del luogo ti viene a dire:
'"Kompliment, Herr Michelin, Sermon supper", addirittura con la
doppia p, quando ne basterebbe una soltanto. E poi all'esame linguistico per la
naturalizzazione, importante che tu, evitando troppi gesti di mano, sappia
cavartela con "gruezi ... e ... wiederluege!". Non è nemmeno il
motivo dell'integrazione storica in questo popolo. Dopo 3 anni passati a
Rorschach (S.Gallo), 3 a Ginevra, 10 a Basilea, 10 a Uster, oltre il doppio ad
Affoltern della Svizzera ormai dovrei conoscere il sottosuolo (vulcanico,
dolomitico, calcareo, arenario, fluviale ecc.), la preistoria e la storia
(Celti, Romani, Goti, Visigoti, Ostrogoti, Longobardi, Carolingi, Asburgici,
Guglielmo Tell, e il resto roba dei nostri giorni). All'unica domanda un po'
complicata per ottenere il passaporto elvetico e concernente il periodo di origine
della Confederazione importante saper rispondere che essa è sorta dopo la morte
di Adamo e tu diventi abile e arruolato. Non è nemmeno il problema politico e
il diritto di voto. Anzi al contrario questo sarebbe una ragione importante per
la doppia cittadinanza. Voce che conta nell'amministrazione, nonché nella
chiesa. Ricordo che quando a Uster (ZH) già nel 75 indicevo pubbliche
iniziative per il diritto di voto nelle amministrazioni di Chiesa il presidente
della Circoscrizione mi rampognò: "se vuoi campare tutti questi diritti
fatti svizzero e iscriviti al partito socialista", magari senza sapere che
io questo partito l'avevo già scavalcato a sinistra. Il motivo invece per cui
non mi sono fatto e non mi farò svizzero (chiedo scusa) è un altro. Quello
umano della solidarietà o se vogliamo del Vangelo. Cioè, io "debbo" o
sono invitato a rispettare e collaborare con gli Svizzeri non perché sono dei
"miei", o possiedo lo stesso pezzo di carta, ma perché sono
"diversi" e hanno la mia stessa dignità. E loro "devono"
rispettare me non perché sono dei "loro", o possiedo lo stampiglio
della Confederazione, ma perché sono "diverso" e ho pari dignità.
E
qui ci viene in soccorso Paolo ai Galati, letto e riletto nelle Feste dei
popoli d'inizio novembre nelle nostre chiese: "Non c'è più né giudeo, né
greco, né schiavo, né libero, né uomo né donna, perché siete tutti uno in
Cristo". Non voglio fare il devozionale e usare e abusare del Vangelo per
evadere dai doveri e dai diritti della vita civica. Cito questo brano perché
convinto possa costituire ai credenti fondamento, costanza, speranza per nuovi
rapporti fra le diverse etnie ed i popoli tutti, siano essi ospitanti o ospiti,
svizzeri o italiani.
Autore:
Albino
Michelin
27.11.1999
L'IMPORTANZA DELLE MESSE (SE PAGATE?)
Una
domenica di fine luglio in Italia in un paese che registra un alto numero di
emigrati, di cui gran parte residenti nello zurighese, sopra un tavolo alle
porte della chiesa era accatastata una pila di pubblicità. Un foglio A4 portava
il titolo "Meraviglioso valore della S. Messa" con il sottotitolo:
"La S. Messa è la rinnovazione del Sacrificio della Croce". Il tutto
corredato da una dovizia di spiegazioni altisonanti che vale la pena riportare
qui appresso. Tale foglio munito a sinistra da una foto, riquadro di P. Pio non
era a disposizione soltanto di quella grossa parrocchia, ma pure in tante altre
della regione, quindi fenomeno di costume e di religiosità diffusa.
La
domenica 17 ottobre, una qualunque fra le tante, mi venne la nobile pensata di
fotocopiarlo, distribuirlo agli italiani nella messa della mia parrocchia per
farne una lettura insieme e relative considerazioni al posto della predica.
Trascrivo i passi più salienti in 10 punti, saltando gli altri in parte rispettivi:
1)
La S. Messa è il sacrificio che trattiene la giustizia divina, che regge tutta
la chiesa, che salva il mondo
2)
Ogni messa ottiene il tuo perdono presso la Giustizia di Dio.
3)
Ad ogni messa, secondo il tuo fervore, puoi diminuire la pena temporale in
purgatorio dovuta ai tuoi peccati. Viene diminuito su di te l'impero di Satana.
4)
Si merita di più ascoltando devotamente una S. Messa che col distribuire tutte
le proprie sostanze ai poveri.
5)
Una sola messa dà più onore a Dio che tutte le virtù eminenti praticate dai giusti
sulla terra e più che tutta le lodi fervorose espresse dai santi e dagli angeli
in cielo.
6)
Assicurati, disse Gesù a S. Geltrude, che a chi ascolta devotamente la S. Messa
io manderò negli ultimi istanti della vita tanti dei miei santi per confortarlo
e proteggerlo quante saranno state le messe da lui bene ascoltate.
7)
Con ogni messa diminuisci il tuo purgatorio.
8)
0gni messa ti procura più alto grado di gloria in cielo.
9) Sei
preservato da molti pericoli e disgrazie, in cui ti saresti abbattuto.
10)
E vieni pure benedetto nei tuoi affari e interessi personali.
Il
foglietto termina portando la frase: "Con approvazione ecclesiastica!"
L'assemblea quella domenica era composta da frequentatori abituali verso la
cinquantina. Per ogni buon conto tenevo pronto altro argomento di predica
qualora i partecipanti mi avessero fatto cenno di cambiare canale. Allo scopo
dopo la lettura del testo, in via eccezionale, passai a chiedere l'opinione,
gradimento o reazioni all'assemblea stessa. Per prima alzò la mano un'anziana
signora, sui 75 anni: "non ho parole, di fronte a questo documento mi
sento umiliata”. Documento subdolamente terroristico, proseguì un secondo
interlocutore, "la chiesa dall'impero romano ha preso l'abbigliamento, i
titoli onorifici, l'obbligo al culto con ogni tipo di intimidazione,
imposizione, premiazione". Un terzo: "perché continuare sempre a
suonare la corda del dolorismo di Gesù per farci soffrire anche noi ... Gesù ha
sofferto quella volta, ma adesso è nella gloria del Signore. Mica muore in
croce un'altra volta ... mica ha bisogno della nostra compassione". Un
quarto: "qui si svaluta una vita vissuta per il prossimo, che varrebbe
meno di mezz'ora di messa ... " "Sempre con questo suffragio e messe
per le anime del purgatorio … da bambino mi avevano detto che mia nonna non
poteva trovarsi in paradiso, era in purgatorio perché avevano fatto il funerale
con un prete soltanto anziché con tre.” Sempre questione di soldi, anche le
messe per i morti sono diventate una bottega. Questo foglio dimostra che non è
cambiato nulla e non cambierà neanche nel 2000" soggiunse un quinto fuori
della chiesa”. Basta così e ne avanza per le nostre considerazioni.
Permettiamocene
qualcuna in prima persona. Anzitutto non è riduttivo definire tout court la
messa sacrificio della Croce? Certo 2000 anni fa Gesù istituì una cena
sacrificale dicendo: "fate questo in memoria di me". Il che non
significa "fate questo in sacrificio di me". Cioè Gesù non raccomandò
ai suoi seguaci di appenderlo ancora alla croce ogni domenica, tutti i giorni
in mille chiese, in centomila altari del mondo allo scopo di placare Suo Padre.
Anche perché si deforma l'immagine di Dio quasi fosse un Dracula
addomesticabile solo alla vista del sangue di suo figlio o delle disgrazie dei
suoi figli. Non si dimentichi che Paolo scrive agli Ebrei (7, 12):” Cristo non
ha bisogno di offrire sacrifici, lo ha fatto una volta per sempre". I
protestanti chiamano la messa "Cena del Signore", gli ortodossi
"Eucarestia"(riunione di ringraziamento), non si potrebbe anche noi
cattolici ricuperare simili ed altri accenti? Insistendo troppo sul
"Sacrificio" non si arrischia di costruire cristiani involuti,
autolesionisti, fatalisti condannati a questa valle di lacrime, tesi ad
accumulare meriti per l'aldilà con il rischio di non amare seriamente questa
vita e di non impegnarsi nell'aldiquà? In secondo luogo, l'insistenza sulla
messa come fonte di successo e fortuna nella vita presente e di premio nella
vita futura non potrebbe generare pericolosi egoismi, sia pure spirituali ma
sempre egoismi? Perché non accentuare di più il senso del banchetto del convitto,
dell'accoglienza, della convivenza della solidarietà. Raro trovare dell'oggi sulla
terra un popolo come l'italiano così cattolico e insieme cosi illegale. Non
dipende un po' anche dal fatto che la nostra cultura in chiesa ha insistito
(per stare all'esempio) sulla messa per "salvare l'anima tua" in un
mondo infido e procelloso, contribuendo così a sottovalutare i rapporti con la
società civile e politica e indurci in ogni genere di tentazione e furbastrate.
In
terzo luogo questo tipo di pubblicità e di cultura non potrebbe affrontare un
certo sottobosco di ipocrisia e doppia vita? Una persona va giudicata per la
globalità del suo comportamento, laico compreso, o a cassettoni, per esempio
per la sua pratica religiosa? Episodio classico è l'Intervento di Maggiolini,
Vescovo di Como, che nel maggio '99 ebbe a scrivere sul "Corriere della
Sera: "non è possibile che un uomo come Andreotti, ex capo del Governo, messa
tutte le mattine, possa essersi macchiato di tali azioni”. Ci auguriamo certo
che il nostro venga pienamente assolto da tutto. Però non perché andava a
messa, ma perché onesto. Purtroppo pochi notano questa ambiguità nel nostro Bel
Paese. In quarto luogo, la diffusione della messa quale suffragio per le anime
del Purgatorio non arrischia di trasferire nell'aldilà una mentalità
commerciale e ridurre Dio ad un contabile finanziere al bancone
dell'Oltretomba? Indubbiamente esistono in Italia bellissime opere d'arte,
chiese, altari, pitture, sculture dedicate al suffragio. Ed è pure positivo che
durante la messa venga riservato spazio anche per la memoria dei defunti, in quanto
garantisce solidarietà al nostro mondo bidimensionale, fra noi e i trapassati.
Però in questa materia non c'è più limite. Messe per il "mio" morto,
come se Dio non fosse il Padre "nostro", messe indulgenziate (pagate)
per diminuire le sofferenze dell'anima purgante come se Dio la giustificasse in
base alle nostre opere e non in base alla sua grazia misericordiosa. Messe con
sfilza interminabile di deceduti, vero elenco telefonico da cui si recepisce
solo qualche storpia sillaba di gente ai più sconosciuta. Una domanda un po' maligna: se le messe per
le anime purganti dovessero venir celebrate gratuitamente e al committente
fosse fatto divieto di pagare Il celebrante, e ingiungere di devolvere
l'eventuale corrispondente a persone o a situazioni di bisogno senza passare
attraverso il prete, avremmo (dal Santuario di S. Antonio da Padova sino alla
Madonna di Patti Messina) una fioritura di tanta propaganda ed un battage di
tanta pubblicità?
Infine
questo incessante invito sulla "quantità" di messe da celebrare non
le devitalizza e non le priva di significato? Come quando si inaugura un
lampione, il busto di un patriota o il buon viaggio ad uno stormo di aerei
intelligenti destinati a sistemare il Kosovo: messe dovunque, tappabuchi per
tutte le circostanze, piatti per tutti i menù? Forse a qualcuno questo discorso
potrà suonare stonato, in quanto turberebbe l'establishment cattolico italiano,
preferendo rinviare tutto al giudizio universale quando Dio darà à ciascuno
quel che si merita. A parte il fatto che non è più possibile custodire i fedeli
sotto una campana di vetro e ad aria·condizionata, avremo sempre meno cattolici
italiani sottosviluppati (per fortuna). Sempre di più in effetti si rifiutano
di essere trattati come pecorelle del nostro buon popolo, semplice e ossequiente
a santa Madre Chiesa, di venire informati sotto condizione e con censura,
imboniti con tutti i mezzi sia pure con frottole devozionali. Vedi Il foglietto
pubblicitario di cui all’inizio, più divulgato di quello che non si pensi.
Autore:
Albino
Michelin
28.10.1999
BEATI I COSTRUTTORI DI GIUSTIZIA
In
Italia tutti si lamentano che Giustizia e Magistratura siano poco credibili in
quanto manipolati da pressioni politiche e da interessi di parte. Può darsi che
il giudizio corrisponda a verità se consideriamo il fatto che spesso dai
tribunali e dalle Corti di Cassazione giudici, pubblici ministeri, inquisitori
risultano più ladri degli inquisiti stessi. E sembra non si tratti solo di casi
sporadici, ma di una vera metastasi. Lungo sarebbe qui esaminare le cause, fra
cui certo non va dimenticata e sottaciuta anche certa educazione religiosa
troppo individualista, basata sulla salvezza dell'anima propria con messa,
sacramenti e indulgenze appropriate a scapito un po' del coinvolgimento sociale,
legalità, solidarietà. Per cui l'urgenza di salvare la propria pelle di là e
anche di qua ha contribuito a sottovalutare la pelle altrui. Di qui lo stile
tutto mediterraneo che di fronte alle autorità importante è farla franca, non
farsi beccare. È in questo contesto che va inserito il caso Andreotti, non
tanto per dare un giudizio sul suo operato, quanto sulle reazioni della gente
al Giudizio del Tribunale, su quelle del mondo ex DC e di qualche settore
cattolico. La cronaca la conosciamo tutti. Il 30 aprile 1999 il Pubblico
Ministero di Perugia chiede 18 anni di condanna per Giulio Andreotti, ex capo
del Governo, imputato di associazione mafiosa e l'ergastolo per l'uccisione
(20.3.97) del giornalista Mino Pecorelli, in quanto in possesso di documenti
segreti sull'uccisione di Aldo Moro. Chiaro che qui si tratta di una richiesta
di condanna e non di un verdetto definitivo del Tribunale. Inoltre tale
richiesta pare si basi su indizi, non su prove concrete. E cento indizi non
costituiscono una prova che sia una. In effetti principio base della Carta
Costituzionale è la presunzione di innocenza per tutti i cittadini. Da
augurarsi perciò venga affermata la sua estraneità ad ogni accusa: venga
assolto perché innocente e non per pressioni esterne all'indirizzo dei
magistrati. Non sembra però che le nostre reazioni di fronte al caso aiutino
molto alla bonifica della nostra già tanto malata Giustizia italiana. Cito uno
fra i tanti, l'articolo di fondo apparso nel Corriere di Como del 6.5.99 con
interventi di Maggiolini, Vescovo di quella città. Ovvio che in quanto vescovo
e nell'esercizio delle funzioni del suo Magistero va rispettato. Ma in quanto
uomo, giornalista, che interviene pubblicamente sulla stampa con le sue
esternazioni, può aspettarsi anche esternazioni diverse. Siamo sull'opinabile.
Andreotti ingiustamente perseguitato dalla Magistratura e dagli avversari
politici di un tempo. Ritiene il suo intervento una doverosa riabilitazione di
un uomo che per l'Italia ha fatto e dato tutto. Scrive infatti: "Il Papa
ricevendolo personalmente in Piazza S. Pietro in occasione della beatificazione
di Padre Pio (2 maggio, tre giorni dopo la richiesta di condanna del Tribunale,
N.d.R.) non ha fatto altro che interpretare il senso comune di gran parte della
gente ... Tocca al Papa, continua Maggiolini criticando i giudici, interpretare
il sentire popolare contro le richieste del Pubblico Ministero che ha perso il
principio di realtà in preda ad un delirio di onnipotenza".
L’impressione
che molti da questo intervento possono trarre, è che qui si pretenda di
ritornare alle regole della monarchia assoluta, quella secondo cui il politico
(in primis quello cattolico) è sciolto da ogni legge. È un fronte trasversale,
il partito dell'impunità, per cui si vorrebbe trasformare a priori in vittime
personaggi eccellenti che noi pretendiamo debbano sottrarsi alla Giustizia. A
ciò magari si mettono in moto televisioni, pubbliche manifestazioni e amenità
varie onde ridurre la Magistratura alla sudditanza psicologica. È in questa
linea che l'autore dell'intervento su citato aggiunge: "sono convinto che
se potesse votare Andreotti per il Quirinale la gente lo eleggerebbe, non fosse
altro perché lo considera un perseguitato! Ma il sommo della difesa
all'imputato e della lezione al pubblico Ministero sta in quest'altra
espressione: "Non si possono mettere insieme la messa quotidiana del
mattino e per tutta la vita con gli omicidi". Ma ci si può domandare: come
la mettiamo allora con la parabola di Gesù "Il fariseo e il
pubblicano?" (Luca. 18.9-14). Qui si avrebbe una chiara e saggia risposta.
Troppi bacia banchi e baroni di sagrestia lungo la storia hanno seminato stragi
di innocenti. Certo c’è da augurarsi che questo non sia il caso del nostro. In
secondo luogo: né da parte laica né da quella cattolica si dovrebbe sfruttare
una benedizione del Papa a scopi pubblicitari o per secondi fini. Andreotti è
un credente (peccatore poco o tanto come tutti), di conseguenza può benissimo
chiedere la benedizione del Rappresentante della sua confessione religiosa, come
lenimento alle sue sofferenze interiori. Direi che ha avuto anche fortuna e
forse in ragione anche alla sua figura politica e al suo blasone. Fortuna che
purtroppo non tutti i sofferenti hanno avuto. Pensiamo alle madri di Piazza del
Primo Maggio durante la dittatura argentina, cui non è riuscito di incontrare
il Papa per ricevere sostegno e conforto. Pensiamo alle madri dei ragazzi
uccisi dai contras nel Nicaragua 1983 cui non fu data l'occasione di baciare la
mano del Papa e con lui pregare per i loro figli. L'On. Andreotti ha avuto questa
fortuna, beato lui, ma non lasciamoci suggestionare, né vogliamo considerarla
un'assoluzione polemica. Né interpretarla come intuizione divina di questo
Sommo Pontefice che, novello gigante politico sulla scena mondiale alla stregua
di Gregorio VII, l'Ildebrando fa piazza pulita di tutti i nostri nanerottoli
della Magistratura e della Politica italiana scavalcandoli e sostituendosi alle
istituzioni dello Stato. Che questo sia l'anelito di qualche nostalgico DC,
parlamentare, militante, membro del clero o meno, si può capire. Ma che questa
sia l'intenzione di Papa Wojtyla o dell'alta gerarchia della chiesa ci
rifiutiamo di pensarlo. Perché allora al delirio di onnipotenza dei magistrati,
di cui parla il Vescovo Maggiolini, se ne sostituirebbe un altro molto
peggiore: quello della prepotenza proveniente da altra sponda. E se questo
fosse il clima, i giudici del Tribunale Andreotti dovrebbero avere una scorza
da elefante per pronunciare un verdetto oggettivo diverso da quello
assolutorio. Con la conseguenza che lo Stato perderebbe la sua laicità.
Magistratura e Giustizia soffrirebbero di asfissia, il loro risanamento sognerebbe
pesanti battute d'arresto, convivenza e pace continuerebbero a poggiare su di
un futuro precario a rischio. "Beati i costruttori di pace" proclama
Gesù nel discorso della montagna. Senza però dimenticare che la pace è frutto
di Giustizia.
Autore:
Albino
Michelin
30.06.1999
domenica 11 ottobre 2015
SACRAMENTI E INVESTIMENTI
Giovedì
15 aprile 1999 la Rai 2 nella "Vita in diretta" condotta da Michele
Cucuzza mandava in onda da Scafati, (Salerno) un servizio su "Come
prepararsi alla Santa Comunione". Esso faceva direttamente seguito ad un
precedente documentario sugli orrori della guerra in Serbia, con lunghe colonne
di profughi, bambini, donne, anziani esausti dagli stenti e dalla fame. Tanto
la TV e i mass media ci hanno abituati al livellamento di tutto, nel bene e nel
male. Orbene da Scafati, cittadina di 30 mila abitanti sul fiume Sarno, in quel
di Salerno, sono apparsi in TV diversi atelier di moda, invasi da maschietti e
femminucce indaffarati sulla scelta del vestito, ovviamente bianco per queste
ultime aspiranti principesse. Corredo su misura, con relativa sfilata di
damigelle barbigirls e baroncini, prova generale per la mega esibizione della
prima comunione. I prezzi al listino delle sarte di mestiere variano da uno a
cinque milioni. La videocamera di Cocuzza si trasferì quindi allo studio
fotografico, dove l'addetto parlò di un'altra cifra quasi equivalente, cioè dai
due milioni in su per un servizio completo, aperitivo, corteo BMV, il primo
"incontro" con Gesù, il pranzo, l'orchestrina rock. Sempre Rai 2 apri
lo zoom sul ristorante di classe, dove il Maître d'Hotel dettagliava con
sussiego il menù, il prezzo per ogni singolo commensale sulle 80 mila lire,
compresa torta alta come la torre di Babele che separatamente viene quotata
sulle 100 mila lire. Per finire, il prezzo del banchetto per 100-150 devoti
circa, varia dagli 8 ai 12 milioni. Aggiungi poi le bomboniere regali ed i
confetti: Gesù per il suo primo incontro con l'innocente pupillo(a) chiede il
modico esborso di famiglia su 12-15 milioni, tondi tondi le entrate di un
intero anno di lavoro del capofamiglia, sempre che un lavoro ce l'abbia e non
si trovi a spasso, se no deve gettarsi fra le braccia degli usurai indebitarsi
fino al collo e chi se ne fotte. Non c'è da prendersela per carità né con i
paesani di Scafati né con quelli di Pontechiasso (si fa per dire) in provincia
di Como e tanto meno con il buon Gesù. Si obietterà che in chiesa bambini e bambine
indossano tutti una tunica bianca tipo uniforme. Vero, ma prima e dopo la messa
la tunichetta da 10 mila viene tolta onde lasciare spazio ai modelli passerella.
Quello squarcio televisivo mette a nudo una realtà molto squallida sia dal
punto di vista sociale come da quello religioso. Qualche volta sarebbe
opportuno leggersi il vangelo un po' più dal punto dì vista laico e non
soltanto sacrale, se non vogliamo che il santo libro diventi proprio l'oppio
dei popoli.
Il
primo incontro con Gesù, obbietta la devozione popolare, merita tutto questo e
anche molto di più. Lecito dubitare, anzi sostenere ad alta voce che ad ogni
bambino già dall'età di due anni andrebbe spiegato che il primo incontro con
Gesù non è quando si va a ricevere quel pane, ma quando ci si imbatte con un
coetaneo di colore, di razza diversa, immigrato e, dietro suggerimento dei
genitori, si divide con lui il proprio giocattolo. Questa è la prima vera comunione,
la prima forma di unione e di rapporto con Gesù. In effetti egli disse:
"ero povero, ammalato, abbandonato e mi avete accolto. Perché chi accoglie
uno di questi ultimi riceve me".
E ci
sovviene anche di Zaccheo, furbastro predecessore delle nostre tangentopoli,
che desideroso di vedere il fenomeno Gesù si arrampicò sul sicomoro di Gerico. Fortuna
volle che incrociò lo sguardo del profeta di Nazareth, ne restò colpito e
scendendo gli si appressò dicendo: "Maestro oggi è nella mia casa entrata
la salvezza, do la metà dei miei beni ai poveri, e a quelli che ho frodato
restituisco il quadruplo". Anche questo è un ulteriore esempio di prima
comunione. Non si dice che siano andati alla pizzeria centrale di Gerusalemme,
ma che fu fatto un investimento a favore dei poveri. I cristiani dell'età
apostolica, memori che Gesù aveva istituito l'Eucarestia come una mensa di
amici e di fratelli, celebravano la messa nelle case, insieme distribuivano il
pane e ne portavano con relativa colletta in denaro alle vedove e ai bisognosi.
Non è mai esistita una comunione con Gesù che non sia stata anche una concreta
condivisione di beni fra la gente che si trascinava la vita in stato di
necessità.
A
ben osservarci dentro, lo spirito delle nostre attuali prime comunioni, tipo Scafati,
non è di porre al centro Gesù, ma in modo surrettizio il bambino stesso, anzi
la di lui famiglia che strumentalizza il sacro per un'effimera affermazione del
proprio status sociale. Non si dimentichi che Giuda vendette Gesù per 30
denari, l'equivalente di 12 milioni di lire odierni. Orbene molte nostre prime
comunioni del terzo millennio continueranno ancora a svendere il Figlio di Dio
all'incirca per la stessa somma. Oggi ci scandalizziamo tanto con raccapriccio,
e a ragione, delle violenze penetrate sui minorenni, sfruttamenti, incesti,
prostituzione, pedofilia e di chissà quante altre aberrazioni. Perché non ci
aggiungiamo anche questa? È un altro tipo, ma vera devianza nella formazione
della coscienza dei bambini e dei minori. Queste sono le vere stragi degli
innocenti, i veri traumi, anche se indorati di pseudo religiosità, che portano
diritto all'ateismo e all'indifferenza degli adulti. Gesù ha cacciato i
mercanti dal tempio e questi sono i moderni discendenti, anche se vestiti di
bianco e avvolti in nuvole d'incenso. Ovvio che fra di noi, nei tipi un po'
conservatori, cioè quelli che hanno perso l'autobus delle riforme e il contatto
con la comunità viva dei credenti, sarà un po' più difficile liberarsi da certe
categorie mentali concernenti l'Eucarestia, ideologie divenute col tempo
teologie (cioè volontà di Dio), quando invece sono sorte soltanto come
prescrizioni igieniche. E mi riferisco fra le tante all'interdizione di toccare
il pane della comunione con le mani, e l'obbligo di assumerlo sulla lingua
attraverso la mediazione del prete. Una breve informazione storica ci dirà che
fino al tempo di Carlo Magno (800 d.C.) il pane ognuno lo assumeva con le
proprie mani, ma siccome la gente del tempo non se le lavava, non aveva molto
dimestichezza con il sapone e con la doccia e stropicciava senza molto galateo,
allora si emanò una prescrizione igienica di non mettere le mani sul pane. Ma
oggi che la gente ha acquisito il senso della pulizia personale è quindi
passato il pericolo, caduta la legge. Il pane della messa è ritornato ad essere
più amico e familiare. Ma molti questi passaggi storici non riescono a farli,
anche perché alcuni preti si guardano bene da queste informazioni, ne va del
loro potere. E le prime comunioni potrebbero perdere i loro contenuti sfarzosi
e faraonici.
Questo
discorso ovviamente tiene di più in riferimento alla prima comunione e alla
cresima, momenti tipicamente religiosi, mentre sono meno urgenti per quanto concerne
il battesimo e il matrimonio in chiesa, in quanto momenti abbinati anche alla
festa della nascita e dell'amore. A conclusione di quanto sopra mi permetto il
riferimento ad una esperienza personale. La domenica 28 marzo ‘99, giorno di
grande affluenza per la festa delle Palme, io stesso ho proceduto ad
amministrare la cresima di 8 italiani adulti, in maggioranza coniugati, che
l'avevano chiesta non in vista della solita carta uso matrimonio, ma perché ne
sentivano un bisogno spirituale. In base al canone 884 del Diritto
Ecclesiastico chiesi ed ottenni dal Vescovo di Coira-Zurigo la delega per tale
sacramento. Non era certo mia intenzione rubare il mestiere al Responsabile
della diocesi, che va collocato anzitutto come segno e promotore dell'unità fra
le diverse comunità di un determinato territorio, e non necessariamente come
distributore di cresime. Temevo anzi di fargli un torto anche perché i vescovi
in Svizzera e fuori d'Italia sono persone molto più alla mano, dialogiche, e
conversative. Ma io cresimando degli Italiani dovevo collegarmi alle loro
esperienze avute o vissute in Patria. Dove purtroppo talvolta qualche vescovo
cede alla tentazione di diventare lui il protagonista della Cresima, con
l'accento sul personaggio, sul baciamano, con cerimoniale ieratico, a scapito
magari del messaggio, che difficilmente diventa essenziale e coinvolgente. Non
si dimentichi invece che il protagonista è il cresimando e il suo gruppo di
appartenenza. Come componente essenziale della nostra esperienza avevo posto due
condizioni: vestito di tutti i giorni e dignitoso, la partecipazione al pranzo
comunitario. Ed è così che dopo la messa, senza tante fughe verso i ristoranti
con fotografi e reporter, ci siamo incontrati nella sala della chiesa con circa
120 persone. La comunità ha offerto il pranzo ai cresimati e loro padrini
madrine, mentre genitori, familiari, amici hanno contribuito con un modica
spesa. Si è ricavato un netto di Fr. 1945 inviato ai profughi del Kosovo.
Amici
italiani di Scafati o di Pontechiasso o di Vattene alla pesca chi ci proibisce
di muoverci tutti o di più in questo senso a cominciare in primis dal clero e
dai preti, unici responsabili del colpo di spugna a troppi mercati del sacro?
Indubbiamente vi sarà qualche rumore di guerra da parte delle sarte, dei
cuochi, dei cine reporter, dei pasticcieri. Ma avremo l'occasione di
ricompensarli in altre circostanze. Ma non andrebbe dimenticata questa felice
esperienza, alternativa alle solite prime comunioni e cresime fatte di
investimenti, usure e fallimenti.
Autore:
Albino
Michelin
02.06.1999
IO MISSIONARIO CAVALIERE? NO, GRAZIE
All’
inizio del 1999 ricevetti dall'Italia un malloppo postale con la seguente
informazione datata 18.12.1998: "Alla cortese attenzione di D. Albino Michelin.
Su proposta del nostro Delegato svizzero Cav. Dott. A. Costacurta ci onoriamo
di prospettarle l'ammissione all'Ordine internazionale dei Cavalieri della
Santa Spada di S. Galgano. Le prospettiamo inoltre anche in alternativa al
precedente il conferimento dell'Ordine Imperiale di Carlo Magno di cui furono
Gran maestri Federico Barbarossa di Svevia, tutti gli imperatorie Re della Casa
di Svevia, Manfredi di Sicilia etc., F.to Conte A. Ceri, Gran Priore Italiano
Ordine Carlo Magno". Insomma due Cavalierati, l'imbarazzo della scelta.
Fra tante nuvole d'incenso chi non si sentirebbe rapito in cielo e volare dalle
stalle alle stelle? Mi chiesi innanzi tutto da dove poteva essere partita
questa segnalazione nei confronti del sottoscritto e la ricollegai al decennio
passato a Basilea (1961-71), durante il quale avevo costituito soprattutto in
direzione giovani un club culturale italo-svizzero, per il quale e con il quale
organizzavo pure cicli di conferenze e di dibattiti a scadenza mensile dal
titolo "Interrogativi dell'esistenza umana", che io stesso tenevo all'Università
di Basilea.
Questo
movimento veniva seguito da ragazzi che poi si fecero anche strada in tutti gli
ambiti del sapere e seguito pure da molti connazionali emigrati, operai,
lavoratori, casalinghe per i quali quel periodo costituì un'occasione di
promozione umana. E tanti, quando mi incontrano, lo rammentano ancor oggi e ne
serbano un bel ricordo. E questo pure per me come per ciascuno è gratificante.
Orbene, il Cav. A. Costacurta apparteneva a questo gruppo, operaio amante della
cultura e della riflessione, divenuto più tardi dottore, nonché scrittore in
diversi generi letterari e cofondatore dell'Asis (Associazione scrittori
italiani in Svizzera), cui pure il sottoscritto è membro, ma nella quale poco
tempo ha per collaborare. Da questo circolo, suppongo, abbia preso avvio la
segnalazione nei confronti del sottoscritto. No, grazie.
La
mia rinuncia non parte da un senso di spregio (chi disprezza compera!) verso
coloro, specialmente emigrati che hanno raggiunto tale riconoscimento, perché
veramente se lo sono meritato sacrificando il loro tempo libero con spirito di
altruismo e per una propria personale elevazione umana magari nonostante una
malferma salute come nel caso di A. Costacurta. No, grazie. Ciò che un
missionario fa, deve farlo per passione della professione, per il piacere del
dovere. Questo come considerazione generale. Se poi caliamo giù a considerare
un individuo come il sottoscritto, in tale onorificenza si troverebbe
addirittura catturato in una camicia di forza, perché lontano dal suo look, dal
suo carattere. In contraddizione con il verbo che va divulgando. Lo vedreste
voi un tipo che circola vita natural durante in jeans, t-shirt, scarpe da ginnastica,
una calzetta bianca e l'altra rossa simbolo dei colori del Vicenza Calcio?
Improvvisamente apparire sfolgorante per la grande cerimonia in cappa magna, cappello
napoleonico a doppia tesa, una rivolta ad oriente e l'altra ad occidente, con
marsina, feluche e pennacchi armato imperiali fasciato di sontuosa greca di
lucente durlindana alla Orlando, celebre cavaliere di Roncisvalle?
La
gente si direbbe che questo tipo sta dando i numeri o sta arrivando dal
Carnevale di Rio. No, grazie. Tale onorificenza sarebbe in contraddizione con
il linguaggio del sottoscritto. In effetti, chi lo conosce lo considera ancora
una delle poche voci libere di preti italiani in Svizzera, forse un po’ polemista,
cioè uno che tenta di leggere la realtà in controtendenza. E secondo me, in un
mondo di omologati, di allineati, di cervelli all'ammasso (anche nella chiesa)
può rappresentare un fatto positivo, se non addirittura carismatico. Ma come si
fa a conferire una onorificenza ad un tipo del genere? No, grazie. Da anni il
sottoscritto contesta tutti i titoli ecclesiastici in circolazione! Da Sua
Santità a Sua Eminenza, a Sua Eccellenza, a Monsignore, Reverendo, Don ecc.,
perché specialmente oggi fuori da ogni semplicità e povertà evangelica. Di
fronte all'Istituzione, quella clericale compresa, diventerebbe un arrivista,
uno svenduto, un incoerente. Dimostrerebbe che il potere logora solo chi non ce
l'ha, ed ora che madre natura gliene conferisce un pezzetto con il titolo di
Cavaliere, eccolo subito a dimenticare le proprie origini, a tradire le sue
radici. Forse un gesto di debolezza del sottoscritto, che potrebbe temere
eventuali ritorsioni o portarsi appresso il nomignolo di voltagabbana. No,
grazie. Va detto senza ironia verso chi si merita e si fregia di tale
onorificenza. Ma al sottoscritto bastano le parole di Gesù: "anche quando
avrete fatto tutto ciò che dovevate, sappiate di essere serviti inutili".
Autore:
Albino
Michelin
24.03.1999
LA MORALE DEI GIOVANI
Mercoledì
sera 17 aprile 1991 verso le ore 23, Antonio Maso di anni 52 e la moglie Maria
Rosa Tessari di anni 48, ritornavano dalla Parrocchia del proprio paese,
Montecchia di Crosara (Verona), dopo un incontro sulla bibbia. Appartenevano ad
una famiglia di buona tradizione religiosa ed avevano 3 figli, ritenuti in
paese bravi ragazzi, Nadia 27 anni sposata, Laura 26, Pietro 19. Entrati in
cucina i due genitori sono stati massacrati a colpi di spranga sulla testa.
Morti in qualche istante in un lago di sangue. Ad organizzare la brutale
eliminazione è stato il figlio Pietro, con altri 3 complici del paese: Paolo
Cavazza 19 anni, Giorgio Carbognin 19 anni e D.B. minorenne 17 anni.
Non
sono riusciti a far fuori Nadia e Laura, le sorelle, perché in quell'istante
erano altrove. Obbiettivo: impossessarsi dei pochi soldi dei genitori,
spartirsi l'eredità, togliersi qualche capriccio giovanile, girare con la BMW
da cento milioni, frequentare i bar esibendo vestiti firmati. Dopo l'eccidio i
4 giovani sono andati tranquillamente in discoteca onde simulare di fronte
all'opinione pubblica una rapina di malviventi. Quattro mostri per 3.000
abitanti, una percentuale che non torna. Ma attenzione, è qui il punto in cui
vale la pena arrivare, andiamoci piano a definirli mostri. Questo è un giudizio
che proviene dalla morale dei genitori, degli adulti, della tradizione. Ma non
sempre coincide con il giudizio dei giovani di oggi. Fa male dirlo, ma vediamo
perché i quattro baby killer, attualmente nel carcere di Verona in attesa del
processo, ricevono posta. Molte lettere specie di ragazzi e ragazze che
vogliono conoscerli. Non certo per linciarli, ma per ammirarli. Più di una
ragazza scrive che vorrebbe sposare Pietro, il figlio organizzatore di tutto lo
sfracello. Lettere dunque di solidarietà, lettere d'amore. Questi imputati non
sono per i loro coetanei degli assassini, ma degli eroi, dei modelli da
imitare. Il doppio omicidio del 17 aprile a Montecchia spettacolarizzato anche
dalla TV costituisce un test molto significativo per la società tutta, e non
solo per quel paesino. Dunque la gioventù di oggi ha i suoi eroi. Gli eroi, si
badi, non devono essere necessariamente buoni, onesti, altruisti. Non sono
quelli che stanno al di sopra del bene e del male, sono coloro che fanno delle
cose straordinarie. Ora certamente questi ragazzi hanno fatto una cosa
straordinaria e dimostrato il maggior coraggio possibile, poiché non è
pensabile nulla che vada al di là della eliminazione dei propri genitori. Un
successo esaltante. I genitori erano solo dei salvadanai da rompere. Questa la
prima impressione che esce dal nostro test.
La
seconda: molti giovani non hanno più il "nostro" codice etico,
ammettono lecito tutto e il contrario di tutto. Una lettera dice: "non ci
importa di come vi giudica la legge, per noi siete degli eroi" tabula rasa
di tutti i valori morali, per cui Pietro, il figlio assassino o l'eroe alla
Freddy Kruger afferma: avrò fatto una cazzata. Ma anche chi fa delle cazzate ha
bisogno di essere capito. Qui siamo proprio al plagio delle mitologie negative,
al mostro di Nightmare dal volto bruciato e le unghie a lamina d'acciaio. La
terza impressione. I giovani di oggi hanno il loro tribunale segreto e
interiore che non coincide con quello della comunità sociale. Si mostrano
indignati o indifferenti di fronte alle punizioni della giustizia umana. Il
fondamento della loro morale è la solidarietà dei coetanei. Legittima per loro
è qualsiasi azione quando tale viene considerata dal gruppo di pari età cui
appartengono e dagli amici. Venire considerato un incapace dai propri coetanei
è per un giovane peggiore di una pena di morte, significa togliergli la
speranza di realizzare il proprio progetto di vita. Infine non si dimentichi
l'altra parte del test di massa, quello degli adulti. Noi adulti infatti ci
sentiamo rassicurati quando possiamo dire che questi ragazzi sono stati dei
mostri. E così ne usciamo puliti e deresponsabilizzati. Noi non c'entriamo con
le nefandezze di questi nostri figli. Ma purtroppo questa morale dei giovani è
frutto di una società impostata e programmata da noi adulti. Gino Bartali, il
campione ciclista degli anni 40-50, gridava dopo certe tappe perdute: ''Tutto
sbagliato, tutto da rifare". Dire che tutto si potrebbe rifare
riproponendo il vangelo di Gesù viene considerato superato. Si vede che non
siamo ancora arrivati al fondo dell'abisso. Abbiamo bisogno di tante altre
lezioni ancora, il massacro dei due genitori di Montecchia non è bastato.
Autore:
Albino
Michelin
23.11.1991
SIAMO TUTTI COLPEVOLI
Non
vale la pena entrare su problemi risaputi, quanto piuttosto dimostrare che di
questa guerra del Golfo siano colpevoli tutti. È prassi cominciare sempre
denunciando gli organismi lontani e internazionali, che non implicano la nostra
responsabilità. È il solo modo per sentirci senza peccato e scagliare la prima
pietra. Allora cominciamo dall'Onu? E sia. Ci si domanda: se invece ad essere
l'lraq ad invadere il Kuwait fosse stata la Tanzania ad invadere lo Zambia,
credete voi che l'Onu avrebbe mosso un dito per difendere il diritto delle
genti oppresse? Probabilmente no, perché nello Zambia non vi sono interessi
economici, la gente non vale niente, sono nani e zulù. Non è vero che siano
tutti uguali, tutti uomini. C'è qualcuno più uguale degli altri, più
"uomo" degli altri.
Dal
1948 all'88 ben 10 sono state le risoluzioni dell'Onu e tutte disattese. La
carica suona quando fa comodo. Questa volta l'Onu l'ha suonata, ma come
portavoce e altoparlante dell'America, dei suoi interessi, dei suoi pozzi di
petrolio. L'America? È il Paese più pacifista della terra quando non si tocca
il suo portamonete o non si intacca il suo orgoglio di "Caput mundi",
impero del mondo. Oggi negli Usa tutto è a stelle e strisce secondo la bandiera
americana. Gioielli, orecchini, camice da notte, mutande, cravatte, pullover,
tutto a "stelle e strisce". La carta igienica invece porta la faccia
di Saddam Hussein e tutto il mondo gode nel vedere gli americani pulirsi il
sedere con la foto del beduino irakeno. Lo si fa per solidarietà con i soldati
nel Golfo, si dice, ma in fondo si dimostra la solita violenza all'americana,
il suo stato mentale. L 'Italia? Patria del diritto, la giustizia delle genti.
Orbene è made in ltaly un terzo dei Bunker per aerei e truppe scelte di Bagdad.
Luigi Cimolai di Pordenone con altri amici di ditte tedesche e jugoslave ne ha
costruiti parecchi per Mig e Mirage con piste di lancio e tutti a prova dì
bomba.
Non
si dica che pensasse di costruire un asilo infantile, opere di beneficienza per
handicappati, oppure uno scivolo per bambini.
La chiesa? Non vogliamo coinvolgere tutti e tutto, ma un documento di
cronaca è di dovere. Padre Zanotelli, direttore della rivista di cronaca
"Negrizia" di Verona, il 1.4.1987 ha accusato i venditori d'armi al
Medio Oriente, lran incluso, come mercanti di morte. Inoltre che la nostra
cooperazione per il terzo mondo è solo strumento d'interesse per le nostre
industrie. Spadolini e Andreotti hanno creato un caso con il Vaticano. E il P.
Zanotelli ha dovuto lasciare l'Italia ed emigrare nel Congo. Si dirà che il
Papa non sapeva di tutto questo, Però certe cose in un "Azienda"
avvengono quando si sa che i responsabili sono consenzienti. Oggi ci sta bene
che il Papa predichi contro la guerra nel Golfo perché è un'avventura senza
ritorno, ma ci starebbe meglio che non venissero più allontanati da noi i
profeti di pace, quelli che con largo anticipo mettono il dito sulla piaga,
sulle cause, e sui focolai di guerra. I giovani? Fanno tenerezza quando
manifestano sulle piazze con una colomba dipinta sulle gote. Peccato che
pacifisti e manifestanti sono solo durante l'anno scolastico, Infatti l'lraq ha
invaso il Kuwait giovedì 2 agosto, durante le vacanze. È stato quello il primo
giorno dell'ingiustizia e della guerra.
Dov'erano
i giovani? In vacanza, in tutti i sensi. E prima del Kuwait, quando Saddam
Hussein fece uccidere con delle nuvole terribili migliaia di curdi, dov'erano i
giovani? Non un corteo, non uno striscione.
O
sono forse Usa dipendenti? Con la preoccupazione innata nei giovani europei di
indossare pantaloni jeans, gridare musica è jè, parlare linguaggio OK, emulare
patriottismi alla Rambo, che non siano anche per caso per un pacifismo
all'americana? Questa guerra ci pone dunque dei grossi interrogativi, e
costituirà per i prossimi decenni una riflessione globale non tanto sullo
sterile pacifismo ma su che cosa e come si possa e si debba costruire fa pace
fra i popoli.
Autore:
Albino
Michelin
26.01.1991
ANTICOMUNISMO E POSTCOMUNISMO DEI CATTOLICI
Le
repentine trasformazioni dell'Est e il crollo dei regimi sorti dalla
rivoluzione d'ottobre 1917, il fallimento del comunismo come messianismo
terrestre sta generando nell'opinione pubblica due posizioni diverse e opposte:
Trionfalismo da una parte, esame di coscienza dall'altra. Il Trionfalismo
(l'avevo sempre detto io ... l'avevamo sempre detto noi ...) è l'atteggiamento
di un anticomunismo, viscerale e reazionario, usato come alibi per rifiutare
ogni sorta di riforme sociali, come colpa e infamia, con cui bollare e togliere
ogni credibilità a chi lo propone. Il Trionfalismo è l'atteggiamento snob tipico
di chi mette alla berlina l'avversario negandogli persino la buona fede e
negando qualsiasi valore all'utopia marxista, che pura puntava ad un mondo più
giusto. Indubbiamente non vanno dimenticati gli orrori e gli orrendi misfatti
del comunismo e specialmente dello stalinismo, oppressore della libertà di
coscienza e della dignità umana. Ma il mondo cattolico non deve molto godere
del fallimento altrui, se ricorda quanto la chiesa cattolica ha compiuto lungo
i secoli: inquisizione, rogo per i Savonarola, legittimazione della schiavitù e
chi più ne ha più ne metta. Si dirà: "altri tempi, altre idee ... Un
errore di metodo ... " Giusto! E allora la stessa considerazione va
riproposta nei confronti del passato comunismo dell'Est. L'atteggiamento più
giusto che il mondo cattolico dovrebbe assumere in questa circostanza è l'esame
di coscienza. Il crollo del socialismo reale non deve costituire una resa ai
modelli economici, culturali e religiosi dell'Occidente. Diremo un paradosso,
ma il marxismo è "contro natura", in un certo senso come lo è il
Cristianesimo. Perché sia quello come questo impongono l'altruismo. La
diversità si è situata a livello di metodi: il primo intendeva raggiungere
l'obiettivo con la dittatura, il secondo vuole arrivarci per una convinzione di
coscienza individuale. Il capitalismo invece è "secondo natura",
nella linea cioè dell'istinto, dell'egoismo personale, lascia libero gioco ad
ogni tipo di affermazione individuale, coerenza e sopraffazione. Era troppo
difficile essere comunisti, è più comodo essere capitalisti. Il fallimento del
sistema comunista non significa legittimazione del nostro e tanto meno la
pretesa dì questo a diventare modello di convivenza e progresso.
La
bancarotta dell'economia comunista non significa la consacrazione del nostro
sistema di mercato. In effetti il nostro Nord capitalista va indebitando
miliardi di persone del Sud-Africa e nell'America Latina. Prima aveva
giustificato la schiavitù, le colonie, le dittature, oggi, ne va creando delle
nuove. E questa è oppressione "neo stalinista" del mondo capitalista.
Nel comunismo dell'Est la religione veniva repressa, ma esisteva e continuava
nel popolo. Profonda è la spiritualità di quella gente, la pratica religiosa,
le vocazioni al sacerdozio e alla vita monastica. Nel mondo capitalista
occidentale invece la religione è inutile, così come la spiritualità laicale,
monastica, la scelta del sacerdozio. Nel mondo comunista vigeva una ferrea
disciplina sul costume e sulla famiglia. Nel nostro capitalismo, divorzio, aborto,
droga, criminalità, razzismo, vanno distruggendo ogni tessuto sociale. Nel
mondo dell'Est la libertà era agognata e perciò si scappava attraverso il muro
di Berlino. Da noi della libertà non si sa che farsene e quindi il capitalista
è un mondo di scontenti, depressi, suicidi.
E in
Italia? Il Partito Comunista ha avuto il coraggio di cambiar nome, la
Democrazia Cristiana invece continua con faccia di tolla a tenersi il suo, che
di "cristiano" proprio non ha nulla. Ma, si sa, è strumentale agli
interessi privati, al clientelismo, alla mafia, alla camorra, alle tangenti.
Forse anche la nostra Italia postcomunista ormai si merita una sinistra unita
in alternanza con la giubilata e decorata DC: l'occasione per una gara di
emulazione, si spera, non tanto nel rubare di più, ma nel servire meglio la
causa di tutti.
Autore:
Albino
Michelin
17.03.1990
RIVOLUZIONE NON VIOLENTA
Chi
ha letto il libro di Giosuè senz'altro sarà rimasto scioccato del fatto che
questo eroe biblico dopo aver conquistato Gerico ed acquisito la vittoria abbia
dato ordine che tutti gli abitanti venissero uccisi e sterminati.
Che
bisogno c'era di sangue se la battaglia era finita. Certo si tratta di una
cronaca, non di una giustificazione del fatto. Fortuna che Giosuè non è
Vangelo: meglio tagliar corto! Il fenomeno più sconvolgente e impensabile della
nostra storia contemporanea riguarda la rivoluzione in atto nell'Europa
orientale. I Regimi comunisti mantenuti al potere per tanti anni con il terrore
vengono spezzati via da movimenti collettivi popolari, senza violenza, senza
vendetta. I vecchi dittatori, macchiati di crimini non vengono uccisi ma solo
processati, destituiti, messi da parte, pensionati con i loro diritti civili. Unica
eccezione, ancora tutta da decifrare, quella della Romania che conferma la
regola. Il cambiamento è cominciato con la rivoluzione in Portogallo detta dei
garofani, perché la gente infilava garofani nelle canne dei fucili dei
militari. Anche in Spagna il passaggio dal regime di Franco alla democrazia è
stato pacifico, incruento. Una novità limitata per ora e purtroppo al solo
nostro continente. Al di fuori, a Salvador, Panama, Cambogia, Arzebagian,
Palestina continuano a funzionare gli schemi tradizionali dello scontro armato,
della rappresaglia, della vendetta. Per secoli e secoli nel Medioevo cristiano
- cattolico, nella Ginevra di Calvino, nella rivoluzione francese, nello
stalinismo, gli eretici, i ribelli, i fautori del dissenso venivano torturati e
uccisi. Per distruggere il pensiero si uccideva la persona che lo portava. La
storia è stata un immenso mattatoio. La vita umana non valeva nulla. Adesso,
grazie a Dio e alla buona volontà degli uomini, pare che le cose stiano
cambiando e che gli uomini debbano essere lasciati in vita qualsiasi idea
abbiano. Eventualmente controllati, limitati nell'esercizio della libertà, non
uccisi. L'uomo vivo può sempre cambiare idea. Il tentativo sbagliato, l'errore
politico, persino l'orrore può essere fonte di nuova conoscenza e nuova
coscienza. L'essenza della rivoluzione pacifica attuale consiste nella rinuncia
a punire la vecchia e classe dirigente, anzi consentendo la possibilità di
presentarsi a nuove elezioni. Le rivoluzioni del passato invece non hanno mai
applicato queste regole. Hanno cominciato subito a perseguitare i vinti
innescando la catena di vendette senza fine. La vendetta guarda solo al
passato, è ossessionata dal passato e quindi infierisce sui suoi protagonisti e
adepti. Il vero progresso dell'uomo, la vera rivoluzione comincia con un
rifiuto del passato, con una dimenticanza, con un perdono. In questo quadro
generale vi è qualcuno, tentato di sprecare tempo per attribuire il merito chi
a Wojtila, chi a Gorbaciov, per i diritti d'autore. Forma sottile e farisaica,
una trappola per inquinare il processo di unità e ritornare a nuove vecchie
divisioni, nuove guerre di prestigio e di religione. Certamente qui in questa
rivoluzione non violenta vi è presente il seme del messaggio evangelico. Il
Cristianesimo non si identifica con tutte le religioni per l'amore del
prossimo, ma si diversifica da tutte per il perdono al nemico. Il cristiano non
è colui che ha tanti amici, ma colui che non ha nessun nemico, non se lo crea,
non se lo coltiva.
Sembra
che questo principio evangelico, anche se in forma anonima e senza brevetto di
fabbrica, sia entrato nello spirito e nelle esigenze delle nostre società
dell'Est a dimostrazione che la rivoluzione non violenta è l'unica strada per
una pacifica convivenza.
Autore:
Albino
Michelin
27.01.1990
SERVIZI E DISSERVIZI
Nella
nostra società e nella cultura contemporanea l’espressione "Servizio"
non ha molta risonanza. È piuttosto insignificante, una specie di luogo comune,
privo di valenza, inadeguato ad interessare il nostro immaginario collettivo.
Insomma parola vuota ed inflazionata. Tutt’al più richiama per contrapposto il
"disservizio". E qui subito viene da pensare al disservizio pubblico,
ai continui scioperi di treni, traghetti autobus. Al disservizio delle
comunicazioni, al disservizio sanitario, come ai materassi inzuppati e marci di
urina dell'ospedale di Agrigento, ai topi e scarafaggi all'Ospedale Bambin Gesù
di Roma, ai medici della mutua con file di pazienti lunghe come l'anno della
fame. Al disservizio burocratico, per cui per ottenere un pezzo di carta si
deve fare i pellegrini per giorni di ufficio in ufficio. Eppure nel Vangelo
"Servizio" è la parola che ha maggior risonanza sulla bocca di Gesù.
Anzi Gesù sì definisce lui stesso Servizio. Pensiamo alle sue scelte operate
all'inizio della vita pubblica, al rifiuto di accettare l'impulso della folla
che lo vuole re, alla lavanda dei piedi nel cenacolo, ai banchetti e pasti
presi con i peccatori come espressione di servizio agli ultimi anche della
graduatoria morale, alla sua morte servizio sulla croce. Una delle sue più
belle affermazioni infine: "non sono venuto per essere servito, ma per
servire". Gesù insomma ha costituto un ribaltamento delle posizioni e
delle prospettive allora vigenti. Gli ultimi saranno i primi e i primi gli
ultimi. Cioè colui che propone di dominare, di approfittare e di servirsi degli
altri, va considerato ultimo nel suo regno, nella logica della comunità
cristiana. Per restare un momento su questo asse portante
"Cristiano-servizio", si deve dare atto che lungo la storia la
comunità cristiana ha creato vari servizi, per combattere le cosiddette povertà
tradizionali. Servizi come risposta ai bisogni oggettivi di necessità primaria,
un pane, un letto, un alfabeto.
E
qui si potrebbero citare per i trovatelli e per gli esposti i vari istituti di
beneficenza, case per sordomuti, le scuole di S. Vincenzo per la cultura dei
nullatenenti, enti come "Il Boccone del povero" dove si distribuiva
una minestra calda, gli ospizi chiamati istituti della Provvidenza, Suore
poverelle a raccogliere le madri nubili. Per non dire degli ospedali ideati nei
tempi passati dallo spirito di "servizio" verso i malati. Non tutto
nella gestione di queste istituzioni è stato esente da critica. Però una
lettera d'amore è sempre vera, sempre bella, anche se contiene errori di
grammatica. Così globalmente considerato il servizio offerto dalla
"chiesa" lungo i secoli è stato un impulso d'amore partito dal
vangelo e scritto nella storia. Oggi però il cristiano non si trova più, almeno
nella nostra società europea, confrontata con le povertà tradizionali. Lavoro,
scuola, assistenza, sanità, tutto è gestito dallo Stato. Invece sono emerse,
stanno emergendo le nuove povertà. Ed è qui che rimane uno spazio immenso da
riempire con nuove solidarietà, con nuovi servizi improntati allo spirito del
Vangelo. Pensiamo alle persone sole, a quelli che non riescono a trovare un
senso nella vita, ai tossicomani, ai tossicodipendenti, a quelli che non
valgono e quindi non possono, agli annoiati, agli incapaci di relazione, ai
malati cronici e terminali. Di fronte a queste situazioni la comunità cristiana
oggi deve approntare nuovi servizi, inventare nuove forme di incontro di
assistenza. Deve diventare impegno, promozione globale. Gesù è stato esplicito:
«da questo conosceranno che siete miei discepoli se "vi
interesserete" gli uni dei bisogni degli altri».
Autore:
Albino
Michelin
09.09.1999
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