In
genere si dice oggi che il senso di colpa non esiste più specie nei giovani.
Esisterebbe solo l'arroganza. Non si accetta né si riconosce di aver sbagliato
o di sbagliare. Tutti assistiamo a dibattiti televisivi su crimini e delitti
quotidiani, nonché a vari contributi provenienti da esperti in psicologia,
psicoterapia e religione. La tendenza pare sia la seguente: l'uomo non ha colpa
o colpe. Esistono solo delle cause che ti inducono a determinati comportamenti
e delle quali siamo solo delle conseguenze. C’è chi si spinge oltre più nel
profondo e sostiene che l’unica colpa è quella di "non vivere", pur
essendo vivi fisicamente. Quella cioè di essere statici, immutevoli, fissi,
morti. Quella di non sviluppare la vita che c’è in noi. Quella di non entrare
in contatto con gli altri, con il cosmo, con l'universo. Tuttavia all'interno
di questo dibattito non si può negare che noi siamo figli di una lunga
tradizione cattolica che ha fatto molto leva sul senso di colpa, usando e abusando
talvolta della strategia colpevolizzazione. Il senso di colpa può generare due
reazioni contrastanti: frustrazione o inibizione. Ti porta all'inutilità di
intraprendere il vecchio od un nuovo cammino oppure ti rinchiude nel tuo bunker
creando rabbia, aggressività, rancore. Le conseguenze di questo stato interiore
non sono né preventivabili né di facile analisi. In definitiva però i sensi di
colpa hanno solo lo scopo di farci del male. A parte chi li subisce, non va
dimenticato d'altro canto chi li causa negli altri come strumento per giudicarli,
denigrarli, dominarli. È classico l'esempio del coniuge che continua a ricordare
all'altro una scappatella del passato, ad esempio l'aver accettato un mazzo di
fiori dall'amico, rispettivamente amica dell'ufficio in occasione del compleanno.
Continuerà a ricordarglielo per punirlo e farlo continuamente sentire in colpa,
affinché si possa sentire più pulito di lui, superiore a lui. Gli toglie
fiducia, lo tiene nelle sue mani, lo domina. Spesso la gelosia fa questi brutti
scherzi. E più in generale il senso di colpa è un'arma usata dagli insicuri,
dai cattivi per danneggiare, per farci del male, per non lasciarci crescere,
vivere. È un'arma contro la vita: non vogliono che voi abbiate una buona opinione
di voi stessi. Vi odiano. Sono gelosi della vita che vedono in voi. Usano tutti
i modi per incrinare la fiducia che voi avete in voi stessi. Non ce l'hanno in
sé stessi e vorrebbero che gli altri fossero come loro.
Responsabilità
delle religioni
È indubbio che anche le religioni sono in
molta parte responsabili di creare negli adepti il senso di colpa.
Personalmente mi fa riflettere quel monito di Gesù (Matteo, 23,2): "Sulla
cattedra di Mosè siedono scribi e farisei. Fate quello che vi dicono, ma non
fate quello che fanno. Impongono infatti sulle spalle della gente pesanti fardelli,
ma loro non muovono nemmeno un dito". Gesù qui non attacca solo la
cattedra, ma anche coloro che sopra vi siedono in quanto soggiogano i deboli
con il senso di colpa, la iniettano a tutti e ovunque. Loro compito è quello di
esistere come struttura di potere. Possono anche gridare pace e condannare
l'ingiustizia e la violenza. Importante per loro è star li a sancire la colpa e
a dispensare il perdono. Ed anche il così detto "Potere delle
chiavi", di legare e sciogliere le colpe, di salvare per l'eternità ciò
che era perduto, cioè di salvare tutto l’uomo, se superficialmente assunto
diventa strumento di potere attraverso la logica della colpevolizzazione.
Potere delle chiavi in atto nel Cattolicesimo non libera dal senso di colpa,
anzi lo acuisce col sistema del perdono. “Caro figlio prodigo, pecora smarrita,
quanto sono grandi le mie braccia, perfino il peccatore più abbietto come lo
sei tu fu accolto e salvato". Espressione che ci fa sentire un po' meno
disgraziati, ma sempre peccatori senza speranza. Il buttarti addosso
continuamente il senso di colpa ti disarma dall’intimo, abbassa le tue difese
interiori, s'impadronisce della tua capacità critica, annulla il senso della
tua dignità, ti paralizza, t'induce a ripiegarti, a cercare sedativi. Recentemente un connazionale mi diceva che da
tempo non va più alla messa perché si sente in continuazione bersagliato a ritenersi
peccatore e a battersi il petto “mea culpa, Signore pietà, Agnello di Dio che
togli i peccati del mondo abbi pietà di noi”. Mi viene tolto totalmente il
senso dell'autostima e sostituito con il senso di colpa. Pensandoci bene un po' di ragione questo interlocutore
ce l'ha. In effetti alla messa viene troppo insistito sul sacrificio in
espiazione dei nostri peccati, un continuo martellamento e richiamo alla propria
nullità. Aggiungi poi il fatto che in tante chiese a tale liturgia si aggiunge
anche l'invito di andarsi contemporaneamente a confessare per prendere la
comunione, così la collocazione del mio essere "colpevole" diventa emergente.
Gesù non venne a
colpevolizzare, ma a proclamare beatitudini
Indubbiamente
la struttura dell'ultima cena (o prima messa) istituita da Gesù era più
centrata sull'invito all'amore che non sulla autoaccusa delle proprie colpe. Ci
si è accorti che nel prosieguo dei secoli la struttura di questa celebrazione è
stata corredata da tante richieste di perdono. Nella messa attuale da 10 a 12.
L'obbiezione del connazionale di cui sopra forse ha anche il suo peso
motivazionale nel poco interesse odierno alla frequenza della messa: qualcuno
oltre che ripetitiva e noiosa la trova anche deprimente. A questo punto è ovvia l'obbiezione: ma se
adesso aboliamo dalla gente anche il senso di colpa si va a finire nel caos
morale e sociale. Direi di no, basta però spostare il discorso. Più che al
senso di colpa adoperarsi per educare al senso di responsabilità. Allora un
equilibrato senso di colpa da patologico può diventare curativo. Non è covando
e rinnovando a sproposito il senso di colpa che si può maturare il senso di
responsabilità, ma sottolineando il bisogno di liberarsi attraverso la luce.
C'è fra di noi chi ha identificato il Vangelo con questo tipo di processo: constatazione
del male morale nel singolo e nella società, quindi peccato, quindi bisogno di
espiarlo col sacrificio, quindi richiesta di perdono, alla fine salvezza
proveniente dall'alto. Invece andrebbe tenuta viva un'altra sequenza: presa di
coscienza del nostro male morale, necessita di far luce dentro di noi,
assunzione di responsabilità, quindi salvezza che viene dall’interno, dal
profondo del nostro io. Non il divino proveniente dall'alto o dall'esterno, ma
quello che vive dentro di noi, certo totalmente altro e diverso, ma che preme
per venire alla luce. Questa identificazione interiore ha tutto il vantaggio di
inserirsi nella logica del Vangelo di Gesù, il quale non è venuto a
colpevolizzare la gente o a distribuirci un codice di colpe e di pene, ma delle
beatitudini proclamandoci: "beati voi quando riuscirete a...". Fuori
dubbio, conclusione implicita, in questo contesto andrebbe anche rivisto e
rifondato l'istituto della confessione privata. Gesù come ogni onesto psicologo
e terapeuta del nostro tempo, non insiste sulle colpe passate, ma sull’ideale
che ci sta davanti, di vita vera. La fissazione sul passato è negativa. Una
cosa è ricordare per non sbagliare, altra cosa è restare prigionieri del
passato con sensi di colpa. Sentimento autodistruttivo, paralizza il presente,
non aiuta a crescere e tanto meno a vivere.
Autore:
Albino
Michelin
12.11.2004
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