E' ormai da tutti assodato che da quando ebbe inizio
la guerra in Iraq nel 2003 fino ai nostri giorni che hanno visto il Libano
messo in ginocchio da un'altra guerra vi è stato un'evoluzione nel concetto di
pace, forse mutamento, forse discontinuità. Se per un verso vale quanto dice un
proverbio della bibbia: «lo stolto cambia secondo la luna» per un altro verso
va preso meglio in considerazione il contro proverbio: «è della persona saggia
cambiare consiglio». Verità sacrosante anche se non le avessimo riscontrate nella
Bibbia. Ricordiamo che allorquando Bush invase l'Iraq vi furono da parte delle
sinistre europee e specialmente di quella italiana nonché da parte dei
cattolici alternativi una serie di manifestazioni di piazza contro l’America e
il nostro Berlusconi e la sua coalizione per aver deciso e spalleggiato l'iniqua
operazione di propria iniziativa e sotto pretesti, rivelatisi menzogneri. E
ricorderemo che mentre gli Usa
predicavano legittima la guerra preventiva, missione divina contro il
terrorismo fratricida, le nostre sinistre indicavano in Bush, in Israele, e nei
vari satelliti, Italia compresa, i veri terroristi e negli iracheni gli eroici
resistenti. Dopo tre anni con l'avvento delle sinistre al Governo italiano, le
parti si sono invertite, specie per il rifinanziamento della nostra presenza in
Afghanistan e per l'invio di un contingente di soldati italiani nel Libano.
Considerata questa operazione una vera missione di solidarietà, sono scomparsi
o quasi tutti i pacifisti, le bandiere arcobaleno non sventolano più sulle
nostre finestre, la marcia della pace di agosto 2006 ha visto un calo consistente
di militanti, arrotolati molti striscioni e slogan antimperialisti. Per cui
tanti di noi hanno concluso: ciò che nei confronti delle destre e di Berlusconi
Usa-dipendente era un crimine delle genti, la stessa operazione invece adottata
dalle sinistre viene considerata intervento altamente umanitario. Alla fine si
preferisce la sentenza: è tutto «politica» sporca. Virgolettato volutamente il
vocabolo «politica» proprio perché esso oggi fra la gente comune diventa oggetto
di molti significati ed equivoci. Contiene di tutto e il contrario di rutto. E qui
bisogna operare una pulizia di senso
Il
soggetto Europa e l’Onu non sono un pupazzo nelle mai Usa.
A monte va fatta una chiarifica con sguardo retrospettivo
sui tre anni trascorsi dopo l’invasione dell'Iraq: l'opinione pubblica vi
converge sempre di più. Cioè l'Iraq è stata un'operazione militare, la fretta
di sparare a caso nel mucchio contro i presunti terroristi delle Torri Gemelle.
L'America ha rifiutato gli accertamenti delle cause, ne ha inventate delle sue,
ha negato all'Onu una politica di mediazione, è partita priva di consenso da
parte delle maggiori nazioni Europee, tipo Francia e Germania. L’Italia si è
rimorchiata al carro del possibile e scontato vincitore, forse per dividere con
lui i trofei della vittoria. Oggi si costata che l'Iraq è solo un macabro teatro
di guerra civile, 100 persone massacrate ogni giorno, una vera mattanza,
considerata una bazzecola, tanto più nessuno ne parla. L'ingenuità di voler imporre
la nostra democrazia con le forze militari e le bombe intelligenti all'interno
di un popolo composto d'infinite tribù, in contrasto fra di loro, il voler
assoggettare gli stati canaglia con potenza e prepotenza. Questa precipitazione,
senza mettere in discussione la superiorità tecnica e il progresso scientifico
degli Usa ne ha svelato però l'immaturità nei rapporti umani sia a livello
storico, sociale, psicologico. Comportamento tipicamente adolescenziale e per
nulla adulto. L'altro polo del confronto è il Libano. La guerra e il dopoguerra
in quel territorio è stato affrontato con tutt’altra logica, diciamo pure,
ammaestrati anche dall'esperienza negativa del l'Iraq. L'attuale coalizione
italiana di sinistra (ma forse così si sarebbe pure comportata quella di destra
se fosse rimasta al Governo) si è mossa diversamente. Offerta sì di un
contingente militare, ma non subalterno al servizio degli Usa per appoggiare la
sua guerra come in Iraq. Nel contesto invece di una collaborazione con l'Onu,
cioè con le Nazioni Unite, coinvolgendo il più possibile tutti gli Stati di
buona volontà alla soluzione di un problema comune. Far sentire il Libano come
una responsabilità di tutti e per tutti, certo è un piccolo passo in avanti.
Qui c'è stato un salto di qualità, cioè una „politica di pace", frutto di
accordi, dialoghi, patti espressi attorno ad un tavolo comune. Ad esempio
introdotto il soggetto Europa, il contrario di quanto ha perseguito per 5 anni
il Governo precedente. Il fatto che siano diminuite (se non altro per il
momento) le bandiere della pace, i no global, le manifestazioni arcobaleno di
Caruso e company forse potrebbe trovare qui una sua spiegazione: si è intrapresa
la strada della saggezza e della ragione, si è dimessa quella solita e millenaria
dei muscoli e della forza militare. Indubbiamente tutto è fragile, si spera che
questa rondine faccia primavera.
La pace
non è pacifismo e nemmeno non violenza.
Dovrebbe portarci a riflessione il fatto che dopo la
seconda guerra mondiale (anni 1950) nessun esercito regolare ha mai più vinto
una guerra. Francesi e Americani hanno perso in Vietnam, la Francia in Algeria,
l'Urss in Afghanistan, il padre Bush nella prima guerra del Golfo, Bush junior,
come detto, incapace di togliersi i piedi dal pantano iracheno, Israele dotato di armi fra le più
moderne al mondo non ce la fa ad affidare la sua sopravvivenza alla forza
militare, ma solo se imboccherà la
strada della difficile «politica» di pace fra due stati, due popoli, due terre.
Per «politica di pace» in genere
chiamiamo quella capace di gestire e governare i conflitti attraverso i metodi dell'azione non violenta. Cosa che
non va confusa con la nonviolenza (gioco di parole), concezione questa a
carattere di assolutezza e spesso non agibile.
Azione non violenta verrebbe a significare attività politica per bloccare,
fermare, sottrarre ragioni ai conflitti armati per trasformarli in conflitti
politici, diplomatici, culturali, economici. Appunto con il metodo paziente,
tenace dell'azione non violenta: la quale però chiede formazione, metodi di
addestramento, cioè una vera «politica». La pace non esiste, esiste solo una
politica di pace, cioè azione pratica, inserimento nei contesti, coinvolgimento
critico con le possibilità date. Se si pensa che di pace non esiste nemmeno nel
diritto internazionale una definizione giuridica e che si chiama pace
l'interruzione o la sospensione dei conflitti armati, quasi come nella Roma
antica la chiusura o l'apertura del tempio di Giano, si converrà che il lavoro da
fare è ancora molto. Per tentativi e per errori.
Da pacifismo ad una politica di
pace
La chiesa ed il cristianesimo hanno avuto nei due
mille anni approcci diversi nei confronti della guerra. Dai tempi di S.
Sebastiano, terzo quarto secolo, in cui si negava ai soldati il battesimo e
l'appartenenza alla nostra fede, di acqua n'è passata sotto i ponti. Oggi la
guerra viene accettata come soluzione estrema, ma non di condanna assoluta.
Qualcuno accuserà la chiesa di relativismo, altri la assolveranno in quanto
essa deve pure dare risposte adeguate a situazioni nuove ed emergenti. È così
che alle volte si cita ancora nella chiesa la distinzione fra guerra giusta e
guerra ingiusta, quando in fondo ogni guerra dovrebbe sempre essere considerata
ingiusta. Gesù disse «Beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli
di Dio» (Mt. 5,9). Sulla linea di questa beatitudine sono sorti anche in Italia
diversi movimenti, fra cui quello del sacerdote padovano don Albino Bizzotto
chiamato «Beati i costruttori di pace». La pace anche secondo questa logica di
Gesù dunque non esiste, la pace si fa, si costruisce attraverso tante proposte.
Ad esempio quella di inserire come materia scolastica «la politica o la cultura
della pace», quella di educare la gente a leggere e giudicare fenomeni politici
attuali, quella di fare un'analisi cristiana dei conflitti del nostro tempo. E
qui bisogna liberarsi da un atavico pregiudizio: il cristiano non fa politica,
la chiesa non deve parlare di politica, quando invece tutto è politica anche
fare la spesa o subire i prezzi di un certo mercato. Spesso la chiesa ha consigliato
ai cattolici di non fare politica per imporre loro la sua visione politica,
cioè la scelta anche di un determinato partito, vedi Democrazia Cristiana, Forza
Italia, Destra nazionale ecc. Sicché
abbiamo ancora italiani e cattolici, magari super esperti negli amori delle Vip
e delle veline, che si vantano di non interessarsi e di non intendersi di
politica. Beata ignoranza! Non è così che
si costruisce la pace. Costruire la pace non significa fare i pacifisti, i
paciosi, gli oziosi, i rinunciatari, i pigri mentali, ma analizzare,
affrontare, superare le tensioni fra i popoli, le razze, le religioni, partendo
da noi stessi. Altrimenti il saluto impartito nelle messe dal prete: «la pace
sia con voi e andate in pace» resta pura retorica verbale altisonante. Buon
ritorno quindi anche alle bandiere arcobaleno sui davanzali, agli slogan per le
strade contro la guerra, alle preghiere per la pace rosariate nei santuari, a
patto che tutto ciò porti ciascuno di noi all’interesse culturale ed
esistenziale per una vera politica di pace.
Autore:
Albino Michelin
29.09.2006
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