Non si è ancora spenta in Italia la bagarre fra i cattolici e la stizza fra
le istituzioni ecclesiastiche intorno ad un episodio di per sé insignificante,
cioè alla non partecipazione di Zapatero alla Messa del Papa di domenica 9
luglio 2006, in occasione della visita ai cattolici spagnoli e della giornata
mondiale per la famiglia. Il Premier iberico ha scelto una linea, quella del
rispetto e della buona educazione. Diversamente dai nostri connazionali, siano
essi costituiti in autorità o semplici cittadini, abituati ad atteggiamenti
spesso viscidi nonché camaleontici in occasione
di queste manifestazioni.
Primo punto: Zapatero ha rispettato i suoi obblighi istituzionali di
rappresentanza. Egli è il capo del governo e del popolo spagnolo. Come
protocollo vuole, ha accolto il capo dello Stato Città del Vaticano all’aeroporto
senza enfasi e senza sussiego, ha dato la mano all’illustre ospite, gli ha
rivolto un discorso di benvenuto, gli ha garantito due giorni di supervigilanza
e sicurezza pubblica, ha mobilitato mezza polizia della penisola, allertato i
servizi segreti di spionaggio e tutto finanziato anche con il denaro dei non
cattolici, degli atei, dei musulmani. Al papa non gli è stato torto nemmeno un cappello,
non gli è stato indirizzato nessun fischio, nessun petardo, nessun attentato
dinamitardo. Bravo Zapatero, così ci si comporta con gli ospiti di riguardo. Ma
prima di procedere, una precisazione è d’obbligo. La chiesa cattolica con il
suo indispensabile apparato di ministeri, congregazioni, servizi, personale ha
diritto ad uno spazio autonomo che dal 1929 viene chiamato Stato Città del
Vaticano. Il toponimo, nome del luogo, risale al colle sul quale gli antichi
romani facevano I loro vaticini, cioè i loro riti per allontanare scaramanzie e
patrocinare lieti auspici per il futuro divinando fra l’altro per esempio la
traiettoria del volo degli uccelli. Ovvio che tutto questo mondo necessiti di
un territorio indipendente, neutrale, 0.44 kmq, con oltre mille prelati e
addetti di cui 600 residenti e il resto pendolari. Dopo la breccia di Porta Pia
del 1870, con cui i Papi sono stati privati dello stato pontificio, questo
sembrava un sopruso. Si è rivelato poi tanta grazia di Dio. Riduzione o ritorno
alle giuste dimensioni. Conveniente pure che il Papa abbia il suo segretario di
Stato e la rappresentanza diplomatica presso i governi del mondo. Sono 174, solo
14 non hanno ancora aderito a tale gemellaggio. Rappresentanza che va ovviamente
giustificata con l’opportunità di trattenere buoni rapporti con tutti allo
scopo di collaborare per la pace fra i popoli, per l’intesa fra le nazioni, per
la difesa dei diritti umani, per il dialogo fra le religioni, per la condanna
di ogni guerra e di ogni tortura, per la lotta contro la fame e le malattie, Aids
compresa. Legittima quindi questa stanza dei bottoni cattolica, ma che a
differenza dei poteri mondani va esercitata con spirito di servizio, secondo il
monito di Gesù: ”voi non siate come i potenti del mondo, siate come il figlio
di Dio che non è venuto per essere servito, ma per servire.” È in base al pensiero
di Gesù che bisogna chiedersi se a compiere viaggi di contenuto politico, diplomatico
debba essere il papa, oppure il segretario di stato, se tali viaggi debbano
esigere esibizione di sfarzo e di lusso come gli altri premier della terra, magari
delle volte in evidente contrasto col tenore di vita dei cattolici residenti
nei paesi sottosviluppati e pieni di morti di fame. Auguriamoci un po’ più di
francescanesimo a Ratzinger, pellegrino di Dio. Queste riflessioni non se l’è
fatte Zapatero, che ha steso tappetti imperiali ai piedi di Bendetto XVI, ma si
sentono autorizzati a farle molti cattolici che non condividono lo scandalo
patito e inscenato dai nostalgici dello Stato Pontificio.
Una
lezione di sana laicità
Non sono mancate
voci di dissenso e di disapprovazione al gesto di Zapatero, come ovviamente non
sono mancata quelle di approvazione di consenso. Ci permettiamo di riassumere
le prime: la messa papale era una cerimonia dai contenuti importanti per gran
parte degli spagnoli, che sono cattolici. L’assenza di Zapatero è stata un
segno di inciviltà, maleducazione, spregio verso i grandi valori e le tradizioni
che le autorità religiose incarnano. Al di là delle sue convinzioni personali
egli ha inferto uno sgarro a tutto il popolo iberico. O temeva di beccarsi dei
fischi causa tutta la sua politica rompifamiglie? Oppure l’ha buttata in
ricatto, cioè vendicare la guerra civile di spagna 1936-39, allorché il dittatore
Franco, sostenuto dalla Chiesa, causò un milione di morti? Ed infinite altre
disapprovazioni su questa linea. D’altra parte però anche molte voci di consenso.
Anzitutto c’è da distinguere tra la persona ed il ruolo di Zapatero. Come
persona privata egli è un cattolico, battezzato, prima comunione, cresima, matrimonio
in chiesa cattolica, fedeltà alla stessa donna, due figli pure loro battezzati,
cresimati, cattolici, catechismo negli istituti cattolici, iscritti ai gruppi
scout. Dunque Zapatero non è un gay, un omosessuale, (anche se di molto
rispetto verso queste persone) un cigolò, un cicisbeo. Come ruolo politico
invece deve tener conto di tante realtà umane diverse e varare pure leggi di compromesso.
In questo senso un cristiano maturo, cioè rifiuto di usare la religione e il
papato a scopo politico e viceversa sfruttare la politica a scopo religioso. Reciproco
rispetto, debita distinzione. Un po’ diverso da nostro atteggiamento di
parlamentari italiani, popolo di chierichetti, che, come si sono profusi in
gridolini di gioia quando papa Wojtyla andò a Montecitorio il 14.11.03, così
oggi battono la strada dell’opportunismo e dell’ambiguità. Dilagante ipocrisia
nostrana dove politici di ogni colore fanno a gara nell’ostentare filopapismo
d’altri tempi. È possibile che Zapatero come cattolico sia pure andato alla
messa con il gruppo scout, ma a quella papale no. Al di là dei fischi prevedibili
e della perdita di voti al suo partito. Era una mesa cattolica? A rappresentare
i cattolici ci andava già il Cardinale primate di Spagna. Un capo di stato
invece rappresenta tutti, anche minoranze non credenti. Ha preferito senza
nessuna contrapposizione di distinguere i due ambiti. E anche qui, bravo
Zapatero.
La messa non è uno spettacolo, né una parata
istituzionale.
Ancora troppi sono i cattolici italiani che giudicano l’onestà di una
persona in base alla messa domenicale. Mafioso, evasore fiscale, truffatore, ladro,
manolesta? Sì però è bravo perché frequenta la messa domenicale. Anni di
messette e di messone non hanno servito a capire che cosa sia la messa. Molti
del mondo cattolico hanno della messa un concetto più basso di quelli del mondo
laico. La messa non è un atto di ossequio al parroco o al pontefice, come ad
esempio l’hanno concepito Fidel Castro a Cuba e Jaruzelski in Polonia. Né una
cerimonia a carattere nazionale come le messe celebrate per i morti di Nassyria
o per altre parate di carattere militare, con tanto di cappellani carichi di stellette
come generali d’armata. Né una dimostrazione di forza della chiesa così come la
intendono i settori più belligeranti della chiesa stessa, Opus Dei, Comunione e
Liberazione, Legionari di Cristo, Focolarini, Neocatecumenali, Movimenti dello
Spirito quasi per mascherare nella grandiosità la progressiva perdita della
fede. Metodo poi che è una variante occidentale del fondamentalismo. Oggi
dilaga il fascino religioso dove la fede viene calcolata in base alle emozioni,
confondendo ciò che è impressionante con ciò che è importante. La messa è soprattutto
la cena del signore, il dividere e mangiare il pane suo e nostro nella vita di
tutti i giorni. Se poi si vuole aggiungere anche che essa è il sacrificio della
croce, significa che i partecipanti si vogliono sacrificare, cioè giocano la
loro vita perché nessuno più venga crocefisso. Se la mesa è condividere in
primo luogo il pane fra i poveri, allora ci è lecito pure dissentire che sul
fatto che a Valencia il 9 luglio per la messa papale si siano investiti Frs.180.000
solo alle strutture del palco, mentre a 2 km di distanza gli immigrati sono
costretti a dormire sotto i ponti perché come Maria e Giuseppe non c’è posto
per loro nell’albergo, cioè nelle case popolari. Mentre Gesù al suo banchetto
invita ciechi, poveri, storpi (Lc.14,21) noi alla messa papale esigiamo la
presenza di dignitari, cavalieri con pennacchi e feluche, capi di stato ad
omaggiare l’insigne celebrante di turno. Queste sono le presenze scandalo, non
l’assenza di Zapatero. Quanto sarebbe gratificante se nei prossimi viaggi del
Papa in giro per il mondo venissero riservati i primi posti per “gli ultimi” e
poi, spazio permettendolo, anche per i “primi”. La messa è la cena del Signore
in cui tutti i partecipanti si mangia il pane della comunione e se a qualcuno
la si dovesse vietare non saranno certo i conviventi, o divorziati, o gli
omosessuali i primi ad essere esclusi, ma i fabbricanti d’armi e tutti coloro
che giocano e sfruttano la qualità della vita della povera gente. Se questi
fondamenti mancano, allora al posto della messa il Papa potrebbe organizzare un
incontro religioso multiculturale multietnico in cui i vari Zapatero del mondo
possono convenire indipendentemente dal loro credo. Che magari non si voglia
rinunciare alla messa cattolica per paura di perdere prestigio e controllo del
mondo. È gratificante vedere tutti in ginocchio davanti a noi, specie se sono
capi di stato. Quanta noia, si rammaricano giustamente molti credenti, per le
lunghe liturgie fasciate di ermellini, di mantelline, di broccati, di sfarzose
sete prelatizie, dove spiccano anelli grossi come padelle, tanto lontane dal cielo
come dalla terra. In una trasmissione televisiva Celentano predico’: ”Il Papa è
rock, Zapatero è lento, lentissimo.” Suscitò disagio perché voleva colpire poco
nobilmente il capobanda dei finocchi. L’espressione andrebbe rivista e
corretta, perché almeno Zapatero nell’argomento qui sollevato, è pure rock.
Grazie Zapatero per questo atto di coraggio. L’occasione per una riflessione
religiosa sulla messa senza ambiguità.
Autore:
Albino Michelin
07.09.2006
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