Sappiamo
che i rapporti fra il popolo svizzero e gIi immigrati arabi qui da noi sono
abbastanza ondivaghi e fluttuanti nel senso che le reazioni alla reciproca
convivenza non sono uniformi. Oltre che dalla diversità di cultura e di
mentalità ciò dipende anche dalle radici religiose. In fondo italiani e svizzeri
sono di tradizione cristiana, gli arabi invece di tradizione islamica. Quindi
l'appartenenza religiosa gioca pure il suo peso. Inserito poi nell'attuale
contesto generale dell'incontro fra le due civiltà la lettura del fenomeno
diventa ancora più fluida e provvisoria. Anche il caso di quell'artista ucciso
in Olanda da un fondamentalista, oppure quello della Moschea vallesana dove tre
predicatori lman sono stati perseguiti penalmente in quanto istigatori alla
violenza e all'odio razziale, sono casi che gettano benzina al fuoco. Di qui
probabilmente si spiegano certi risultati dei referendum cantonali e nazionali.
Ad esempio il 24.11.02 il popolo zurighese ha respinto il progetto che
prevedeva il riconoscimento giuridico a tutte le religioni, oltre a quelle già
riconosciute da tempo, come la riformata, la cattolica, l'ortodossa, ecc. e
questo per la paura di portarsi in casa il cavallo di Troia, cioè l'Islam. E
anche nelle votazioni del 26 settembre u.s. il progetto naturalizzazione
facilitata ed automatica è stato bocciato soprattutto per il timore dell'invasione
araba, sia pure nel ristretto margine degli sfavorevoli fra il 54-51%. Specie
nei cantoni tedeschi e italiani, mentre invece il progetto sarebbe stato accolto
in quelli francesi e romandi. Ln effetti ciò lo si costata in questi ultimi
ambienti anche riferendoci ad alcune aperture di collaborazione cristiano-
islamica, impensabili altrove. Ad esempio sembra stia facendosi strada l'idea
di formare degli lman o preti islamici nelle università svizzere. Idea non
tanto peregrina se è stata espressa e caldeggiata sulla stampa anche dal prof.
Libanese Tarek Mitri, docente all'Università di Ginevra, sostenendo che anche
in Svizzera la via mediana fra integrismo identitario e integrazione
nell'ambiente locale è possibile. Certo la questione cruciale è di sapere come.
Si può tentare una previsione ed un'analisi. Anzitutto di che tipo di "Iman"
ha bisogno l'Europa e la Svizzera. Ovvio un tipo che abbia buona conoscenza
della cultura islamica e della cultura occidentale, uomo ponte fra due civiltà.
A Ginevra il
vescovo preferisce il bistro
A
facilitare il progetto è il fatto che in Svizzera vi sono diverse università
che possiedono un dipartimento islamico. Queste potrebbero mettersi in rapporto
con delle istituzioni del mondo musulmano in Egitto, Tunisia, Malesia, Marocco,
Turchia e ospitare insegnati di tate provenienza. Certo insegnanti
"inclusivi", capaci cioè di creare un dialogo fra le componenti occidentali
svizzere e quelle musulmane, comprese le residenti in territorio elvetico. Il
sovvenzionamento di tali seminari potrebbe essere garantito dall'Arabia
Saudita, che ha tutto l'interesse di riscattarsi anche all'estero. Veramente
esiste già un modello sufficientemente credibile nei Paesi Bassi, Rotterdam,
dove degli universitari olandesi unitamente a quelli turchi, hanno fondato una
università islamica autofinanziata. Sul nostro progetto forse un po' di
ottimismo non guasta. A Ginevra esistono due moschee dove tutto procede correttamente
come (ci si permetta il paragone) presso la locale missione cattolica italiana.
Né questa né quelle sono riconosciute dallo Stato in quanto religioni, ma in
quanto associazioni private. Non bisogna lasciarsi bloccare solo dalla paura e
dai fantasmi. Bisogna superare gli impasse come quello delle ragazze che
portano il velo quando vanno alla Migros, come dei rari preti cattolici che
portano la tonaca quando vanno alla TV o per le strade. Un esempio di rapporto a livello umano, degno
di rilievo, mi sembra quello del Vescovo di Friburgo-Losanna Ginevra, B.
Genoud. Come noto questo uomo di chiesa frequenta i diversi bistro del suo
territorio per incontrare spontaneamente i fedeli che desiderano porre domande
e ricevere risposte, senza il sussiego del predicatore e senza la ricerca dell’ossequio
dovuto ai prelati di categoria. A Ginevra appunto si è incontrato per tre lunedì
della primavera 2003 al bistro “ Au Jardin d'Eden” gestito dal giovane turco
musulmano Ercan Kahraman. Entrambi gioirono della reciproca accoglienza. Non è
certo il modello Iraq della democrazia imposta con le bombe e martello in testa
che può preparare un mondo nuovo, ma solo con i semplici atteggiamenti di vita
quotidiana. Mi sembra perciò che il modello "Mitri-Genoud" sia più
efficace per una convivenza islamico-cristiana promettente. Certo una rondine
non fa primavera, ma annuncia che la primavera potrebbe non essere poi così
lontana.
Autore:
Albino Michelin
10.12.2004
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