Il 13 agosto 2013 Antonella Russo di
Avola (Siracusa) madre di tre figli venne uccisa con una fucilata dal marito
che subito dopo si suicidò.
Oggi la figlia maggiore Nancy di 19 anni vive a Ferrara con una borsa di
studio e anziché in scienze infermieristiche preferisce laurearsi in giurisprudenza
per occuparsi di violenza sulle donne e soprattutto dei figli del
femminicidio. II 25 novembre è stata scelta dall’Onu nel 1999 quale
giornata mondiale sulla violenza contro le donne. L’origine risale già al 1960
nella Repubblica domenicana, allorché le tre sorelle Mirabel furono massacrate
dall’allora dittatore per avere contestato il caos e l’arretratezza del paese. Questa
giornata non è ancora entrata profondamente nel tessuto sociale, come ad esempio
quella degli innamorati 14 febbraio, quella della donna 8 marzo, quella dei papà
19 marzo, quella delle mamme 2° domenica di maggio, quella dei nonni 2 ottobre,
ma già quest’anno si è constatata una sensibilità più partecipata. Si è visto
in tante parti del mondo pubbliche manifestazioni e riproposto il simbolo
ideato da E.Chauvet, artista messicana, scarpe rosse sopra una sedia vuota a
richiamare l’attenzione sulla scomparsa e la eliminazione di tante donne nella
violenza e nel sangue. Le statistiche in merito non fanno clamore ma sono
drammatiche. Nel mondo una donna su tre, all’incirca un miliardo e duecento
milioni subisce violenze, sfruttamento fisico o sessuale. Di cui 150 milioni under
18. Tre milioni di bambine ogni anno sottoposte a mutilazioni genitali. In
Europa 7 donne ogni giorno vengono uccise dal loro partner, circa 2.500 all’anno.
In Italia sono 7 milioni fra i 6 e 70 anni a subire vessazioni, fra cui un
milione sottoposte a stupro o tentativi di stupro. Dal 2000 ad oggi oltre 2.400
le donne uccise, sempre in Italia. Solo nel 2013, anno nero 179 di cui 75 al sud,
60 al nord. 44 al centro. Il 32% per motivi passionali, il 29% per litigi
banali, il 16% per motivi finanziari o d’interesse. Al di là di queste cifre
poi ci sta un numero considerevole di
bambini e di figli orfani, abbandonati senza famiglie, condannati a emigrare fra
parenti, amici, o ricoverati in istituti di comunità. E qui sorge subito la domanda: come mai oggi
tutta questa escalation del femminicidio e della vendetta maschile sulla donna?
Questo tipo di violenza non è frutto di un raptus come potrebbe essere il suicidio,
ma un fenomeno strutturale, radicato, culturale, di mentalità arcaica che
soggiace in profondità anche sotto la superfice di un progresso tecnologico
galoppante. Si pensi all’America in cui la violenza sulle donne ha fatto in un
anno più morti che non i militari in Iraq e dintorni. E’ anche un complesso d’inferiorità’:
solo un piccolo uomo ha bisogno di sfregiare, tiranneggiare, ferire, uccidere
per sentirsi grande. E poi un incomprensibile istinto di proprietà: tu devi
essere bella, stereotipata come una barbi, dipendente, ubbidiente …tu sei mia, non
puoi, non devi lasciarmi. E prende la soluzione di punirla, buttarla dalla
finestra se parla allo Skype con il suo ex, se balla con un altro, se esce con
il gruppo ginnastica. E quali rimedi si potrebbero proporre? Le donne vengono
consigliate a denunciare ai centri antiviolenza o alle autorità competenti. Ma
qui si trovano di fronte a diverse difficoltà. Diffidenza da parte di costoro e
lungaggini snervanti e umilianti. Ci si ricorda ancora la prassi di un tempo, quando
fino agli anni 70 i famigliari davano sempre ragione agli stupratori maschi e a
loro si aggiungevano pure gli avvocati. Quindi si preferisce sopportare, attendere,
subire. Anche perché molte tentano fino all’impossibile di salvare figli e
famiglia, temono di restare sole. Altre vivono di amori malati, si adattano alla
violenza, hanno bisogno delle scosse dell’uomo. Quindi non se ne vanno subito o
mai, e si lasciano uccidere. Altre preferiscono chiedere il divorzio, ora che hanno
raggiunto anche una certa autonomia finanziaria. Ed il fatto che siano in
maggioranza le donne ad esigerlo sta a dimostrare che forse sono anche stanche
di sevizie e di soprusi maschili. Ma prevenire è meglio che intervenire. Quindi
a monte si dovrebbe già operare una diversa pedagogia con le bambine e con i
bambini. Si insegna erroneamente alle femminucce che per piacere a qualcuno
devono essere belle, ma anche umili e sottomesse, pazienti, assecondare i
desideri altrui per far valere magari più tardi i propri. Si, essere belle
prima di tutto non per piacere agli altri ma per piacere a se stesse. E ai
maschietti già dalla scuola materna far capire attraverso l’educazione sessuale,
a patto che non si riduca solo ad informazione anatomica, il meglio e non il
peggio della differenza. Quindi la complementarietà e il rispetto. Se non si inculcano
questi sentimenti fin dall’infanzia non entreranno certo più tardi nella testa
degli adulti. Il tutto andrebbe supportato meglio anche dallo Stato. Se pensiamo
che quello italiano mette ogni anno a diposizione dei centri antiviolenza la
bella somma di euro tremila(sic) se ne dovranno fare ancora parecchie giornate
annuali mondiali sulla violenza contro le donne per creare un’adeguata sensibilità
su questo allarmante fenomeno.
Autore:
Albino Michelin
03.12.2014
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