Il
plebiscito organizzato nel Veneto alla fine dello scorso marzo 2014 è stato da
molti considerato un folklore, da altri giudicato con sarcasmo e scetticismo.
Al di là del numero dei votanti, si parla di due milioni, l'agenzia demos
notifica che il 55% è favorevole all'indipendenza mentre un 39% sarebbe
contrario. Ovvio che si è trattato di un gesto simbolico, e non di una
secessione effettiva, tuttavia obbliga fare le dovute riflessioni. Il primo
plebiscito nel Veneto si è tenuto nel 1866 in occasione dell'annessione
all'ltalia,15 anni dopo la data ufficiale del risorgimento e dell’Unità. Abitanti
due milioni seicento tremila nove, votanti favorevoli 647.426, contrari 9. Ma
quello fu un plebiscito di speranza, nel senso che si auspicava la fine del
servaggio storico durato da secoli e l'inizio di una nuova era. Questo secondo
invece è una chiara contestazione. Reazione che si comprende meglio se si fa un
po' di indagine sul passato delle genti venete. Più di quattro secoli di
frustrazioni e di servitù dovevano lasciare il segno, da quando cioè nel 1405
il Veneto terraferma divenne una colonia, territorio riserva da sfruttare per i
nobili della città di S. Marco e per le loro gesta marinare. Una serie di
balzelli e di imposte a tutto onore e gloria dei dogi della nobile Serenissima.
Unica soluzione di sopravvivenza, l'emigrazione. Dal 1876 al 1976 il Veneto fu
la regione con il più alto tasso: tre milioni e trecentomila se ne sono andati
con la valigia di cartone in cerca di fortuna. Gli oriundi veneti nel mondo
sono oggi 9 milioni, uno stato nello stato. Per non essere ripetitivi
basterebbe citare qualche proverbio popolare, indice di bella intelligenza
specie là dove è mancata la cultura. Solo qualche decennio fa da noi (chi
scrive è un veneto) incontrando per la strada il dottore, il sindaco, il prete
ci si scappellava, ci si chinava e si proferiva sommessamente: "Servitor
Suo"! Non ci si sognava di salutare con un buon giorno. Un antico
proverbio dice: "mejo un sorse in boca al gato che on poareto in man a on
siorato" (Meglio un topo in bocca al gatto che un povero in mano ad un
signorotto". Ed un altro:" l'altisimo de sora ne manda la tempesta e
quelo de soto se magna quelo che resta" (L'Altissimo di sopra manda la
tempesta e quello di sotto si mangia quello che resta). Ed anche dopo la guerra
del 1940 entravano altri proverbi sullo stesso tono: "Neni o Toliati no te
impiena i piati" (Nenni PS o Togliatti PC non ti riempiono i piatti). Qui
si respira tutta la sfiducia dei veneti verso la politica e i partiti. Il
sentimento quindi: o che ti fai da solo e ti fai scaltro oppure ti pelano e si
fa la fame. Di qui l'altro proverbio: "veneto polenton, laora e tasi"
(Veneto polentone, lavora e taci). Ma taci fino a quando? Circa 40 anni fa in
coincidenza con il rientro dall'emigrazione di molti veneti questa regione è
diventata un cantiere in effervescenza. La gente si è sentita come gasata, padrona
del proprio destino: nello scantinato di ogni famiglia si è piantato un
laboratorio, una falegnameria, un artigianato, fino ad espandersi in grandi
capannoni tali da richiamare anche lavoratori immigrati. Il Veneto (con
Lombardia e Piemonte) è diventato una delle regioni più produttive d'Europa. Si,
ma anche la più tartassata dal fisco. Per di più con un ulteriore complesso di inferiorità,
dal momento che le due regioni limitrofe, Friuli e Trentino, godono di statuto
autonomo. Certo non è che i veneti siano esenti da colpe: la prima, quella di
non aver dato spazio all'istruzione, alla scuola, alla formazione
universitaria, all'aggiornamento. Troppo tempo dato alle braccia, poco alla
testa. Si pensava che il bengodi durasse in eterno. Ma all'apparire
dell'attuale crisi economica mondiale il Veneto fu il primo a subirne le
conseguenze. Si è visto ancora una volta, dopo una breve parentesi di successo,
ridotto sul lastrico. Di qui licenziamenti, chiusura di fabbriche, vergogna, depressioni,
suicidi, rabbia e rivolta. Ribellione soprattutto contro lo stato centrale, Roma
ladrona e la sua burocrazia, il Governo e la sua fiscalità scandalosa. L'ingiustizia
palese esistente fra il dare del Veneto all'Italia e il ricevere nulla. Solo
balzelli come dal tempo dei dogi della Serenissima, dal 1504. Di qui la
ribellione manifestatasi in diverse forme, dapprima con i forconi ora con il
plebiscito. Non è una secessione, ma una seria rivendicazione. Segnali da
prendere sul serio.
Autore:
Albino Michelin
23.04.2014
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