Qualche
mese fa in un paesino del bergamasco un indiano accoltella un connazionale. Una
signora di 44 anni, Eleonora Cantalamessa , di professione infermiera mentre
parla con il centralino 112 per chiedere soccorsi intenzionalmente viene aggredita
dallo stesso indiano che la travolge ed uccide. La madre della vittima, Mariella
Armati, scrive una lettera al Corriere della Sera in cui fra l’altro dichiara: ”non
provo rabbia, non dò appellativi alla persona che ha investito mia figlia, la
giustizia faccia il suo corso. Penso ad un vero disgraziato come tanti altri. Lo
chiamo disgraziato, senza spregio, è un disgraziato come me.” Esistono persone
capaci di così grande forza interiore e di un grande amore per il prossimo per
cui “per-dono” non è messo lì per fare bella figura, ma un modo di vivere. Pensare
ad un’offesa subita con approccio di perdono limita anche sul piano fisiologico
l’aumento dell’adrenalina e della pressione sanguigna rispetto a quanto avviene
allorché la stessa offesa è pensata con un approccio di rabbia e di vendetta, che
potrebbe causare anche disturbi circolari e cardiaci. E così può avvenire
quando si continua a ruminare un’offesa. Fenomeno che capita spesso nei diverbi
fra gruppi e all’interno della stessa famiglia, ad esempio nei casi di
divorzio, nei quali se non vi è altra via d’uscita bisognerebbe separarsi senza
odiarsi, pena di guastarsi il sangue per tutta la vita col pericolo anche di
accorciarsela. Gandhi diceva che la vendetta è segno di debolezza, il perdono
segno di forza. Questo al di là del Vangelo, cui uno potrebbe credere o meno. La
vendetta è un sentimento che una volta instillato inquina la mente della persona
e la fa diventare ossessiva ed ossessionata. Allarghiamo un po’ la visuale. Tutti
conosciamo l’odio infinito esistente fra israeliani e palestinesi, persino atrocità
inaudite contro i civili e i loro bambini. Da entrambi le parti. Però mai si è
parlato di un piccolo seme di speranza: Fra tanta barbarie esiste un “Forum
delle Famiglie”, associazione non politica ma umanitaria, composta esclusivamente
da famiglie delle due parti con i propri familiari morti a causa del reciproco
conflitto. Non sono tanti, arrivano a 500. Al centro del gruppo ci sta il dialogo,
che a molti pare una soluzione perdente perché inutile. L’idea centrale: il riconoscimento
dell’umanità dell’altro, che poi è il nemico. E la conclusione: anche se ci
vendichiamo i nostri morti non ritornano più. Anzi ne aumenteremo. Ciò può far superare
la violenza ed il lutto. Il poeta libanese Kahlil Gibran nel suo libro “Il
profeta” scrive:” se vuoi vendicarti, dovrai scavare due fosse, una per il nemico,
e un’altra per te.” Questa esperienza del perdono verso gli altri vale anche
nel perdonare se stessi per sbagli, errori, colpe, peccati, comportamenti
vergognosi. Il che non significa giustificazione, quindi col pericolo di cadere
nelle dipendenze che rendono il singolo indifferente, ottuso e sordo ai nobili
sentimenti. Non va sottovalutato che all’interno di ogni persona esiste una coscienza
con un ”io agente” che compie l’azione ed un “io vittima” che la subisce. Perdonare
se stessi piuttosto che essere perdonati dagli altri può essere uno strumento
per superare momenti di sconforto e di depressione. Un esempio fra i tanti ci
può venire dagli alcolisti. Talvolta il senso di colpa è così profondo da
lasciare le persone sopraffatte e senza speranza. Si è constato in centri di disassuefazione
come alcoolisti che riescono a perdonarsi siano poi stati in grado di evitare
ricadute e sentimenti di colpa e depressioni. E qui può collegarsi anche il
perdono che viene attraverso la confessione dei cattolici. Semplicistico
pensare che il perdono dei propri peccati venga dato dal prete. Il perdono o
viene prima dato a se stessi nella propria coscienza o quella del prete è solo
una illusione, devozione rituale decorativa. I protestanti sostengono che
bisogna confessarsi e chiedere perdono alla propria coscienza, perché se
sinceri da quella non si sfugge. Se non si è sinceri non c’è prete né frate,
manica larga o stretta, che ti possa assolvere. La pratica della confessione da
parte dei cattolici italiani è in discesa libera. Cinquant’anni fa avevamo 60
mila preti ed uno sparuto gruppuscolo di psicologi. Oggi abbiamo 40 mila preti (un
calo vistoso) e 90 mila psicologi (una crescita esponenziale) con diverse specializzazioni.
Fra le altre viene citata anche una concausa da parte di chi abbandona: il
prete tende a giudicarti, a colpevolizzarti, ad umiliarti. Lo psicologo invece
tende ad aiutarti, analizzarti, incoraggiarti all’autostima. Significa che arrivare a riconciliarsi con se
stessi è terapeutico e sanante. Fa bene al cuore ma anche alla mente.
Ricordando che il perdono lo può ricevere solo chi ha compiuto una colpa.
Chiedere perdono per gli altri, a meno a che non si tratti di minorenni, come
quando la Chiesa di oggi chiede perdono per la chiesa del 1600 che condannò Galileo,
potrebbe essere solo operazione mediatica e pubblicitaria. Non fa bene né al cuore,
né alla mente, né alla coscienza dei veri colpevoli.
Autore:
Albino Michelin
27.08.2014
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