lunedì 17 ottobre 2016

LA "TABERNULA" DI SOVIZZO: CHIAREZZA SUI BENI DELLA CHIESA CERCASI

Un piccolo chalet, costruito sulla piazza della chiesa per celebrare la sagra del baccalà in occasione della festa patronale agli inizi di settembre, ha fatto il giro del mondo. Sì perché è finita anche in TV. Qui non ci interessa ricercare le ragioni nell’una o nell’altra parte del contendere, quanto allargare il discorso sull’appartenenza dei beni di una parrocchia, di una curia, della Chiesa in genere. Per situare il lettore diremmo, anticipando subito, che anche se la proprietà giuridica è del parroco o della curia, la proprietà morale è della comunità. Preti e vescovi se ne vanno ma la comunità resta. In succinto una dilucidazione sull’origine: è successo a Tavernelle, frazione di Sovizzo, un borgo a 8 km da Vicenza, attraversato dalla statale Postumia. Conta circa 1.370 abitanti, con una chiesa istituita parrocchia nell’agosto del 1964, qualifica di Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto conferita nel giugno del 1986. Il paese ha da sempre espresso una forte identità, sia fra i singoli membri sia con la “sua” chiesa. Denaro, sudore, sacrifici spesi anche per costruire la Casa parrocchiale del Giovane e sostenere ogni tipo di iniziativa non possono essere quantificati. Persino la costituzione della Pro Loco si è iscritta in questo clima di solidarietà. Nel 2012 in forma di donazione viene eretta sulla piazza della chiesa la tabernula chalet, quale punto di riferimento per l’organizzazione e il coordinamento, e anche come simbolo storico, in quanto Tavernelle deriva dall’antico latino “tabernula”, a significare taverna di ristoro per i sudditi dell’Impero romano. Per divergenze sorte dopo tre anni dall’impianto si disse che lo chalet della Pro Loco era abusivo ma che si poteva salvare con una sanatoria che il parroco incaricato non diede o non credette opportuno concedere. Di qui la frattura con la popolazione. Intervenne la curia vescovile a decidere la contesa: la tabernula donata sarebbe stata smontata, o distrutta e al suo posto la curia o la parrocchia ne avrebbe costruita una di nuova a sue spese. Il che significa demolire con i soldi della comunità e ricostruire con i soldi della stessa: spreco di denaro della gente di buona volontà e dei benefattori. Un bel harakiri. Il che vorrebbe significare: cari parrocchiani o pro loco, non vogliamo la vostra tabernula, vogliamo la nostra. A voi l’utilizzo con contratto di comodato. Questo è il messaggio recepito dalla gente: “Qui i padroni siamo noi, voi tappatevi la bocca e stop”. Una pacificazione imposta. Una toppa peggiore dello sbrego. Con tale premessa possiamo ampliare il discorso. Viene in mente la favola di Fedro del leone e Co. Un bel giorno andò a caccia con una vacca, una capretta, una pecora. Catturato un cervo i quattro soci si misero alla spartizione. Disse il leone: “la prima parte è mia perché io sono il re della foresta. La seconda è mia perché io sono socio della compagnia. La terza è mia perché io sono il più forte. E la quarta è pure mia perché anche se non volete io me la prendo”. Il discorso va ampliato secondo la sensibilizzazione inaugurata da Papa Francesco concernente la gestione dei beni di chiesa: povertà, solidarietà, trasparenza. Allo scopo ci si potrebbe confrontare anche con altri modelli. Ad esempio in Svizzera nel canton Zurigo, dove lo scrivente risiede, vige il modello di U. Zwinglio, (+1531), che introdusse il concetto di Chiesa del popolo. Non si continui a contrastare i protestanti, quasi fossero pecore nere, ma anche da loro prendere quello che secondo il Vangelo di Gesù sarebbe oggi più appropriato. In questo contesto finanziario la tassa del culto (in Italia l’8 per mille), non viene inviata alla centrale nazionale Opere di religione, ma rimane alla parrocchia e gestito dalla Commissione finanziaria della stessa, eletta dai cattolici del luogo ogni anno, e con valore giuridico. Per cui la comunità attraverso questa commissione è la proprietaria degli immobili sacri e connessi. Il prete e gli incaricati di chiesa non possono gestire nulla, nemmeno un mattone, sono degli stipendiati. Tutto il resto, dal pavimento al tetto, dalle lampadine alle campane vengono gestiti attraverso la commissione. Litigate sui soldi e sulle proprietà di chiesa come nel caso di Tavernelle, di Vicenza e dell’Italia, con tante critiche da parte dei nostri cattolici all’estero e in patria, dove il Consiglio affari economici è solo paravento con valore consultivo, firmatario quale cassa di risonanza, in sintesi storie del genere non capiterebbero. Certo anche il modello sopra citato andrebbe rivisto e forse in parte corretto, ma sarebbe molto già più pulito e trasparente. Non è impossibile uscirne, anche se un po’ difficile. Basti pensare che il codice di diritto canonico ecclesiastico (promulgato a Papa Wojtyla nel 1983) contiene ben 587 articoli sulla gestione dei beni chiesa nel totale di 1752, addirittura un terzo e tutti a impronta salvaguardia economica dell’istituzione. La quale istituzione chiesa possiede nel mondo due mila miliardi di immobili (fonte internet), in Italia un 20% e 500 mila ettari di superficie agraria, a Roma un quarto del patrimonio cittadino. Se non si pubblicano i bilanci e l’ammontare dei possedimenti in trasparenza tutto può essere vero ciò che di falso in materia si dice delle ricchezze chiesa. Il caso “Tabernula” dovrebbe quindi aprirci gli orizzonti e non dividerci nel piccolo mondo casalingo a suon di decreti fra parroci, vescovi e parrocchiani. Qualcuno obbietterà come mai un singolo si permette simili osservazioni alla chiesa. Subito detto: Papa Francesco consiglia di esprimere la propria opinione anche se non fosse in sinergia con la sua (ma la presente è perfettamente in linea con il suo pensiero circa ricchezza e povertà della chiesa). In secondo luogo fra tante contestazioni in materia che circolano a causa delle sue aperture, (si pensi allo scrittore e conduttore televisivo, cattolicissimo Antonio Socci, membro Opus Dei, Comunione e Liberazione, mezzo miracolato di Medjugorje, che diffonde libri apocalittici sostenendo essere invalida l’elezione di Papa Francesco, essere questo Papa un insulto alla tradizione e ai dogmi della chiesa), ci sia consentito non di predicare sopra i tetti, ma di divulgare tramite stampa, media, internet opinioni diverse, cioè di supporto al nuovo corso della chiesa cattolica.

Autore:
Albino Michelin
11.10.2016