martedì 12 giugno 2018

SACRIFICI UMANI E MASOCHISMI PER PLACARE LA DIVINITÀ

E’ recente l’informazione apparsa sulla stampa che in Perù sono state rinvenuti negli scavi archeologici fosse comuni con sepolti da oltre 550 anni, previa esportazione del cuore, 140 bambini dai 5 ai 14 anni, che risulterebbero sacrificati alle divinità precolombiane Inca, Maya, Aztechi. C’è chi sostiene si tratti di inciviltà, chi di religioni aberranti, chi di una psicologia DNA radicata sin dalle caverne nell’animo umano, magari con diverse forme evolutive, secondo le quali, ogni divinità, rivelata o creata secondo i bisogni, da quella preistorica a quella attuale, qualsiasi essa sia, ti si rende amica e benevola solo attraverso sacrifici e offerte dei propri beni più cari e più importanti. Non occorre qui un lungo elenco di tutti gli olocausti subiti e operati dagli umani in materia. Euripide parla di Agamennone che imbaldanzito di caccia grossa promise di sacrificare la figlia Ifigenia. Sarà un mito però lo stesso voto viene descritto nella Bibbia, in cui si legge che Jefte promise in caso di vittoria contro i nemici di sacrificare alla divinità la prima persona che avrebbe incontrato al suo ritorno e si trattò di sua figlia. Nel Medioriente il dio del fuoco Moloch era ingordo di sacrifici umani: chi si avvicinava ad esso riceveva una luce ed una forza divina. Quando si costruiva una città era pure un rito religioso quello di uccidere un figlio e cospargere del suo sangue le fondamenta allo scopo di rendere patroni gli dei, e di far partecipe della divinità lo stesso figlio. In Grecia le baccanti sgozzavano i bambini per ottenere protezione dall’alto. In Svezia i vichinghi del nord offrivano sacrifici umani al Dio Odino. Le tribù celtiche ogni cinque anni organizzavano una specie di fiera agricola e si nutriva la Dea madre terra con il migliore dei concimi: bambini ed esseri umani. Il re longobardo Alboino aveva l’abitudine di bere il vino nel cranio della moglie Rosmunda. Ancor oggi in alcuni siti dell’Uganda ogni anno vengono consegnati 900 bambini agli stregoni per i loro riti propiziatori. Un classico da non dimenticare sull’argomento è il sacrificio di Isacco. Il libro sacro del Genesi racconta (22,1-18) che Abramo sente l’invito di Dio di prendere il figlio Isacco, condurlo sul monte e ucciderlo sopra l’altare per fare all’Eterno cosa gradita. Mentre Abramo stava per piantare il coltello nel giovane, Dio gli fermò il braccio e gli ingiunse di immolargli un capro lì accanto. Lo scrittore accenna che Dio voleva mettere alla prova il patriarca. Ora sia chiaro: se la vita è sacra Dio non può indurre nessuno in questo tipo di tentazione. Il caso merita una riflessione: si tratta di una trasposizione sul piano religioso di una civiltà che sta evolvendosi dal sacrificio umano si passa al sacrificio degli animali. Lo dimostra un altro passo biblico: Dio ha in abbominio i sacrifici umani (Giud.1,31). Che bisogno aveva Dio di fiumi di sangue degli animali sgozzati e sparso sugli altari? E in suo onore? Già i profeti cominciarono a contestare questa religione e questa civiltà: “voglio l’amore, non i sacrifici, la conoscenza di Dio e non gli olocausti” (Os.6.5). Per non dire poi come le cose cambiano radicalmente con Gesù: ”non hai voluto né sacrifici, né offerte”. Matteo(9,13) gli fa pronunciare un’espressione radicale in merito:” misericordia voglio e non sacrifici”. Indubbiamente nell’inconscio collettivo può sempre riemergere l’antico concetto: ”placare Dio con il sacrificio”. E se non si fa attenzione anche nella messa attuale ci capita dentro pari pari. ”La messa è il sacrificio della croce, nel quale Gesù ha espiato il peccato di Adamo e dell’umanità e ci ha riconciliato con Dio Padre”. L’idea non è barbina se ancor oggi certa stampa cattolica e certe radio Marie (circa 3 milioni gli ascoltatori), diffondono questa dogmatica, mistica del dolorismo, pena imminenti catastrofi e fine del mondo. Nessuno qui vuole mettere in discussione l’importanza e il significato della cena del Signore. Ma che Dio voglia o abbia voluto la morte di suo figlio innocente per salvare una massa dannata dal peccato di Adamo, dei suoi discendenti, di noi compresi, dobbiamo ammettere che tale regressione è opera di un teologo del 1200, certo Anselmo di Canterbury. Questi ritornava all’antico, all’immaginario collettivo nel quale tutti i popoli avevano considerato i loro dei alla stregua delle bramose autorità terrene e ritenevano necessario conquistare la benevolenza e la protezione loro con suppliche, donativi, offerte, spargimento di sangue degli innocenti. Rigurgiti che oggi si introducono nella sacralizzazione della sofferenze come grazia di Dio, piuttosto che una carenza da combattere, come in effetti fu tutta la vita di Gesù a beneficio del prossimo, quale immagine di Dio. Misticismo bolso quello che trapela e scende anche da qualche pulpito: “Dio fa soffrire quelli che ama”. Allora: Gesù morto per dare lode ed espiazione al Padre e così redimere tutti noi? Certo, morto non per sottrarci da una corrucciata ira divina bensì per liberarci dalle nostri passioni distruttive, per insegnarci che se non si paga di persona non si può delegare nessun altro. Non sono questi pensieri tanto peregrini, ma contributi di teologi contemporanei, quali Ortensio da Sp. , A. Maggi, A. Pagola e innumerevoli altri. Non si immola nessuno e non ci si immola nessuno per la divinità, ma per il bene, per la dignità e per la felicità dei propri simili: ed è lì che si incontra e si da’ lode alla divinità, facendo un pezzo di strada con colui, Gesù, che ha detto (Giov.10,10):” sono venuto perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza.”

Autore
Albino Michelin
01.06.2018

domenica 10 giugno 2018

DIFFICILE IL PERDONO, PIÙ DIFFICILE VIVERE IL PERDONO

Ogni Anno il 25 aprile si celebra l’anniversario della Liberazione, avvenuta al termine della seconda guerra mondiale, il 25 aprile 1945 appunto. Una memoria, sconosciuta ormai ai giovani che la confondono con il giorno della libertà, ma ancora ricordata dagli adulti che tende a dividere l’Italia anziché unirla, in quanto si arrischia di portare alla ribalta la lotta dei partigiani vincitori contro i vinti connazionali aderenti al Fascio, un periodo di odi, rancori, crimini, eccidi, e disgraziatamente non da una parte soltanto. Sembra qui opportuno riportare fra i tanti un gesto trasmesso dalla TV 2000 il 25 aprile del 2017, dal tiolo “Siamo Noi”, che rievocava una riconciliazione pubblica avvenuta il 3.2.2017 a Schio, città del vicentino, fra il partigiano Valentino Bortoloso (detto Teppa, classe 1923) e Anna Vescovi (classe 1943), figlia di Giulio, allora podesta’della Repubblica fascista. Un breve cenno all’origine dei fatti, prima di descrivere il percorso che ha condotto a questo epilogo, percorso durato ben 72 anni. La guerra era terminata da due mesi, quindi non valeva la pena continuare nelle vendette private. Ma a Schio non fu così, come forse in altre parti. Il Comando partigiano tentò di individuare i precedenti nemici, loro familiari e aderenti, giorno dopo giorno li imprigionò nelle carceri mandamentali, nella notte fra il 6-7 luglio da due mesi cessate le ostilità agli ordini del Teppa si fece irruzione, quattro minuti di crepitar di mitraglie 54 persone, donne, uomini, bambini, anziani sterminati, cui seguì un silenzio sepolcrale. Fra i giustiziati anche Giulio Vescovi di 35 anni, padre di Anna, allora di due ani e mezzo. Per i partigiani e loro militanti un atto dovuto, per le vittime e familiari un atto ignominioso e vile. E odio cova ancora sotto la cenere. Ogni anno allorché nel duomo della città si celebra una messa per i deceduti, da una parte del tempio prendono posto i vincitori, dall’altra i vinti. Equando il prete annuncia:” scambiatevi un segno di pace”, nessuno fa un passo. Il tempo qui e in troppi casi non è medicina. Ma la piccola Anna, man mano che cresceva, attraverso vicende personali, familiari, professionali rielaborava dentro di sé confusamente e dolorosa mente queste esperienze, tentando inutilmente di rimuoverle. La mancanza del padre, la sua eliminazione brutale, la memoria funesta che spesso si ripeteva nelle pubbliche contrapposte manifestazioni di piazza, le procuravano enormi contraddizioni e pressioni psicologiche. I suoi contatti con la chiesa, le relative istituzioni e gruppi non l’avevano accompagnata più di tanto, per cui essa anziché nella chiesa cattolica con i suoi riti ripetitivi e dogmi, trovò soluzioni e consolazioni nella spiritualità e nel suo misticismo, più adeguati ad elaborare alla radice la sofferenza umana. Nel 2005, in occasione del 50.mo anniversario, si tentò di sottoscrivere in città un atto di concordia fra le famiglie delle due opposte fazioni, ma senza tangibile risultato. Soltanto quando nel 2016 il Ministero della Difesa insignì Valentino Bortoloso (detto Teppa) di una medaglia al valore per la liberazione, riconoscimento da lui stesso bene accolto, la lama si riconfisse ancora nella piaga, il buon senso popolare reagì ed il Ministero fu costretto a ritirargli l’emblema. Ciò sconvolse ancor di più il mondo interiore di Anna Vescovi, la quale maturò l’idea di incontrare l’assassino di suo padre, non più come tale, ma nel suo volto umano, aiutata in questo anche dalla sua professione di psicoterapeuta. E ripensò:” va distinto il crimine dal criminale, non è vero’ che un assassino non può diventare una persona normale, non è vero che noi non possiamo essere diversi da ciò che siamo stati.” Non riusciva ad accettare di essere identificata e odiata da chi aveva odiato suo padre. Non riusciva a pensare che qualcuno potesse stare tranquillo odiando un proprio simile. L’odio ti acceca, ti toglie la luce dagli occhi, ti fa male al cuore, ti uccide interiormente e spiritualmente. Ma anche l’odio può avere una sua evoluzione. Così nell’ottobre del 2016 Anna scrisse a Valentino chiedendogli un incontro personale ed un gesto di riconciliazione pubblica. Questi accettò l’incontro privato nel quale fissarono l’incontro pubblico a Schio per il 3.2.2017. Mossi dallo spirito di quel salmo biblico che dice:” misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” e dalla convinzione che “c’è un Altro che ci guida” manifestarono la loro riconciliazione pubblica invitando il vescovo della diocesi, quale rappresentante di una chiesa comunità che predica il perdono, gesto anche ripreso e trasmesso anche dalla TV. Che nel caso non aveva l’obbiettivo di una pubblicità mondana, del culto dell’immagine alla Grande Fratello, ma quale testimonianza di un messaggio di riconciliazione che dovrebbe attraversare la pelle di ognuno. Il testo letto da Anna Vescovi e affidato agli ascoltatori, alla stampa e ai media suona cosi”: Noi, Valentino Bortoloso, partigiano e uno degli esecutori materiali dell’eccidio contro il fascismo, avvenuto nella carceri di Schio il 7 luglio 1945, che oggi possiamo considerare inutile e doloroso, e Anna Vescovi figlia del podestà di Schio, morto in questo stesso eccidio, e unici testimoni diretti, consapevoli che è giunto il momento di pacificare le tragiche contraddizioni della stessa storia di 72 anni orsono, con grande atto di coraggio da entrambi le parti ci siamo incontrati in un commosso abbraccio di grazia e di perdono…” Testo che andrebbe letto in ogni manifestazione del 25 aprile. Da augurarsi che fra tanti gossip in circolazione Anna Vescovi pubblichi un libro anche su questo tipo di percorso interiore: può essere un seme di speranza.

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Albino Michelin
25.04.2018

giovedì 7 giugno 2018

DIMESSI IN BLOCCO I 34 VESCOVI DEL CILE

Mai nella chiesa è accaduto che l’intero episcopato di un Paese si dimettesse. E’ accaduto da parte dei vescovi cileni il 18 maggio u.s. in occasione di una vertice tenuto in vaticano, al quale Papa Francesco li aveva convocati. Preme qui sottolineare non tanto il fatto sensazione di cronaca, quanto e soprattutto il modo di affrontarlo. L’origine di questa specie di terremoto la conosciamo tutti. Si tratta della ripetuta e non risolta né scomparsa pedofilia del clero, e del suo frequente occultamento da parte dell’autorità superiore, dell’episcopato appunto. L’intervento è la conseguenza della visita che Bergoglio aveva fatto in Cile ai primi di aprile di quest’anno, in occasione della quale aveva anche sollecitato un colloquio con alcune persone tempo addietro abusate per anni da P. Ferdinando Karadina, considerato santo e formatore di preti e vescovi, alla fine risultato vero abusatore seriale. Come sempre accade inizialmente le vittime erano state dall’entourage ritenute non credibili, addirittura allontanate. Uno dei vescovi, Mons. Barros, era stato accusato di insabbiamento dei documenti e di copertura dei responsabili. Anche il Papa in aereo di ritorno verso Roma era stato dai giornalisti incalzato sul fatto di avere istintivamente difeso il Barros, sostenendo che in questi casi non bastano illazioni, occorrono prove. Prove che poi nel giro di un mese sono state raccolte ed esibite. Qui si chiude la notizia e si apre qualche considerazione. Nella vita non ci deve meravigliare del peccato, del crimine, o di una persona e di noi uomini che dentro ci caschiamo, quanto il modo di affrontarli, di riconoscerci, di prendere i dovuti rimedi. Quindi quello che qui nella fattispecie ci interessa è l’autoconfessione. Del Papa anzitutto che chiede scusa: ”ho sbagliato, anche per affrettate informazioni, di chiedere le prove alle vittime”. Non ha importanza qui se il fronte antibergoglio ha alzato testa e cresta e suonato le trombe. In secondo luogo l’autoconfessione di 34 vescovi che rimettono il mandato. Al di là delle nostre diplomazie, del tutti colpevoli e tutti innocenti, del male comune mezzo gaudio, il gesto fa riflettere in un mondo che ha smarrito il senso delle proprie responsabilità e della coscienza collettiva, e non solo nell’ambito della pedofilia, piaga assai più comune nelle famiglie e in tutti gli strati sociali. Papa Francesco non fa l’inquisitore, non va alla caccia delle streghe e dei colpevoli, di capri espiatori, ma va alla radice del problema mostrando quanto la malattia fosse diffusa, e frutto di decine di anni di nomine episcopali selezionate secondo cordate, preferenze e referenze vaticane. Non fa l’angelo sterminatore, ma si pone in atteggiamento penitenziale necessario per la tutela dei minori e perseguire quanti si macchiano di tali colpe. E aggiunge sempre: ”alle vittime ho chiesto di cuore perdono”. Ma significativa è anche la pubblicazione del documento emanato dai 34 vescovi che suona: ”con questa dichiarazione chiediamo perdono per il dolore arrecato alle vittime, al paese, al popolo di Dio e per i gravi errori e omissioni, intendiamo ristabilire la giustizia, contribuire alla riparazione del danno, desideriamo che il volto del Signore torni a risplendere. Chiediamo a tutti di aiutarci a percorrere questa strada. Con ciò abbiamo maturato l’idea che fosse opportuno dichiarare la disponibilità a rimettere i nostri mandati.” Certo all’inizio del vertice vaticano Bergoglio aveva distribuito a tutti questo testo o uno similare, ma ciò che meraviglia è la pubblica confessione, dichiarata al mondo intero. Indubbiamente il papa può accettare le dimissioni, può sospenderle, può renderle operative alla scelta dei successori. Al limite non è che “tutti e singoli” siano responsabili degli occultamenti del reato di pedofilia. Ma qui si da’ un bell’esempio di passaggio dalla casta alla comunità solidale e penitente. Si rende operativo il detto dalla Bibbia:” confessate a vicenda i vostri peccati”. (Gc.5,16) In effetti a che serve riferire al prete in confessionale, fra quattro pareti blindate, i propri peccati in privato e poi in pubblico continuare con la catena di soprusi? La grandezza morale di una persona, che sia religiosa, laica, politica, dignitaria non sta nel gonfiare il petto di onestà ipocrita e bolsa, ma nell’ammissione della propria realtà, e della propria debolezza. Papa Francesco e i vescovi cileni non si sono barricati sdegnosamente nei loro santuari accusando le forze sataniche, gli anticlericali, i massoni, i pretifaghi o mangiapreti che la chiesa è sempre stata e sempre sarà bersaglio del fumus persecutionis. Magari dimenticando la sincerità della chiesa dei primi secoli che si autodefiniva casta meretrix. (S. Ambrogio di Milano). Questo, nel contesto degli ultimi 5 anni di Papa Francesco, è coraggio, trasparenza, ritorno ad un Vangelo autentico. Si sente spesso dire che la chiesa è nostra madre e della propria madre non si parla mai male. O anche la chiesa è Dio, la chiesa ha sempre ragione. Facciamo distinzione di tempi e luoghi, nessuno parla male della chiesa di madre Teresa, della chiesa dei missionari religiosi e laici del terzo mondo, di generosi cristiani protestanti come lo zurighese E. Sieber da poco deceduto e di un elenco infinito. Questo dei vescovi cileni non è un semplice fatto di cronaca ma un vero evento di testimonianza morale ed etica, in un mondo in cui tutto è liquido, relativo, astuzia, nessuna distinzione fra bene e male. Qui la chiesa non si impone come maestra, giudice infallibile dell’operato altrui, atteggiamenti che spesso hanno dato e danno allo stomaco, ma come discepola del Signore e del suo Vangelo. Per cui ti può anche invogliare, può legittimare a ciascuno la sua eventuale appartenenza.

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Albino Michelin
31.05.2018

mercoledì 6 giugno 2018

LA SANTISSIMA TRINITÀ: POTENZA E MAGIA DEL NUMERO TRE

Nella storia degli uomini il numero 3 ha sempre avuto un ruolo importante. Anzi nella storia personale di ciascuno esso è profondamente radicato e interiorizzato a tutti i livelli, intellettuale, emotivo, culturale, religioso, letterario. Tanto da farne una cabala del destino. Pitagora, il matematico greco-tarantino (+ 495 a.C.) lo spiegava con il fatto che il numero 2 rappresenta il pari, l’1 il dispari, il 3 la sintesi. Il 2 separa, (uomo-donna), il 3 unisce (uomo-donna figlio). E qui le esemplificazioni sono infinite. A ben osservare la triade è alla base di tutto, quando si vuole spiegare agli altri o spiegarsi le realtà più complesse si pone come base inconscia il numero tre. Il filosofo Aristotele aveva inventato il sillogismo, dimostrazione stringente su tre parti: a) premessa maggiore. b) premessa minore. c) conclusione. Esempio attualizzato: a) tutte le nazioni hanno un confine. b) l’Italia è una nazione, c) quindi anche l’Italia ha i confini. Triade abbiamo pure nei nostri tribunali: accusa, difesa, giudice. Per i cinesi 3 è il numero della totalità Cielo, terra, umanità. Nell’astronomia il sole ha 3 parabole: alba, meriggio, tramonto. Nella Bibbia abbiamo una dovizia di numeri 3. Tre sono le porte del tempio, tre i figli di Noè, tre i giorni delle tenebre in Egitto prima dell’esodo degli ebrei, tre i giorni di Giona nel ventre della balena. Tre i re Magi alla grotta del bambin Gesù. Tre i testimoni della trasfigurazione del signore sul monte Tabor, tre i giorni di Gesù nel sepolcro, tre i componenti della sacra Famiglia in terra: Maria Giuseppe Gesù, tre i componenti della Famiglia divina in cielo: Padre Figlio Spirito Santo. Tre le virtù teologali della perfezione umana: fede, speranza, carità. Tre i passaggi dei mistici nelle loro esperienze interiori: purificazione, illuminazione, unione con la divinità. Il nostro sommo poeta Dante ha strutturato la Divina Commedia, il suo capolavoro immortale su tre luoghi post mortem: paradiso, purgatorio, inferno, trentatré la cantiche in versi terzine, tre le fiere che il poeta incontra nella selva oscura, tre le persone che dal cielo corrono in suo auto: La Vergine, Lucia e Beatrice. Nelle fiabe dei romanzieri tre sono le prove che l’eroe deve superare. Giulio Cesare al ritorno dalle Gallie (55.a.C.) celebrò il suo trionfo con tre autoelogi; venni, vidi, vinsi. Anche nel genere musicale il numero tre fa bella comparsa. Puccini nella Turandot, brano “Nessun dorma “fa brillare tre volte il suo tenore: “all’alba vincerò, vincerò, vincerò” E Rocco Granata vuole più presto sposare tre volte: Marina, Marina, Marina. Non andiamo poi ai proverbi popolari, pieni di sapienza e in genere ternari:” tre cose non tornano più indietro e più richiamar non vale: la freccia scoccata dall’arco, voce dal sen fuggita, e l’occasione perduta”. Tre sono le saggezze della vita e senza limiti: il cielo con le sue stelle, il mare con le sue gocce, il cuore con le sue lacrime. Pure le scienze moderne della psicologia presentano l’uomo in ternario: spirito, mente, corpo. E Freud nella psicanalisi struttura l’uomo a tre piani: inconscio(es), la coscienza(l’io), l’autorità (il super-io). Ma quello che nel senso di questo articolo potrebbe interessare è il tre nell’ambito religioso. Le grandi culture e religioni sin dall’ antichità venerano il numero tre come divino e sacro. Mitologia indù: Brahma (creazione), Wihsnu (conservazione), Shiva (distruzione). Mitologia egiziana: Iside padre, Osiride madre, Horus figlio. Mitologia greca: Giove, Poseidone, Ade. A questo punto qualcuno si chiederà: ma come sono questi tre giorni durante i quali Gesù rimase nel sepolcro? Alla lettera tre giorni significano 72 ore. Ma Gesù sepolto è rimasto solo 32 ore o qualcosa di più (dal pomeriggio del venerdì santo ore 17 fino all’alba della domenica di Pasqua). E qui la fede non si perde se si da’ all’affermazione un valore simbolico (da non confondere con leggendario): numero tre significa perfezione, completezza. Gesù è risorto, cioè da Dio glorificato allorché, ha compiuto totalmente e perfettamente la missione della sua esistenza. Tutto questo ci richiama infine al grande mistero della Santissima Trinità, un Dio in tre persone, Padre, Figlio, Spirito Santo. Che è? Politeismo, un panteon di divinità, rivelazione divina, esoterismo? Linguaggio dei concili di chiesa dei primi tre secoli? Quando si recita il Credo noi ripetiamo parole che al tempo della filosofia greca avevano tutt’altro significato. Non bisogna dimenticare che anche le parole hanno una loro evoluzione e vanno quindi situate nel contesto del tempo. Indubbiamente la recita del Credo presenta una terminologia difficile come “Gesù unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, credo nello Spirito santo che procede dal Padre e dal Figlio…” Quando davanti alla Basilica della Natività di Betlemme si sente ripetere dagli ebrei e dai musulmani che Dio non ha figli, si rimane non tanto nel dubbio ma certo nella difficoltà di intendersi. Usiamo le stesse parole con lo stesso significato? Qui nessuno vuole farci perdere la fede e depennare un dogma ma ci si può accontentare di una spiegazione più empatica, vicina alla nostra esperienza e sete del divino, cioè: Dio è uno, autore e provvidenza della nostra vita (padre), è relazione personale con noi (figlio), e ci infonde entusiasmo nella vita (Spirito Santo). Questo non è un liquidare la Trinità, ma renderla più accessibile. Versione attuale, quale potenza e magia del numero 3.

Autore
Albino Michelin
22.05.2018

domenica 3 giugno 2018

VARIAZIONI SULLA FESTA DELLA MAMMA

Al di là del fatto che il giorno della mamma venga festeggiato nel mese di maggio, fa riflettere come la figura della madre oggi presenti tali e tante varianti da impegnare oggi giorno dell’anno per darle un volto, tanto essa si è evoluta ed è in continua evoluzione. Sappiamo che dalla preistoria lo stesso Dio veniva adorato come Dea madre terra, in quanto simbolo della fertilità e dei doni della sussistenza. Anche presso i greci avevamo la Dea Rea Silvia, e presso i romani la Dea Cibele, pure a protezione della primavera e garanti della fertilità. Storicamente la festa della mamma la seconda domenica di maggio è sorta negli Usa nel 1914 per iniziativa del presidente Wilson e in Italia nel 1957. Da noi si disse per festeggiarla nel mese della Madonna, ma oggettivamente bisogna dire che non ha nulla a che vedere con questa devozione. La madre è ovviamente inserita nella famiglia, ma già qui iniziano le difficoltà tante sono oggi le sue varianti. Famiglia patriarcale, famiglia sacramentale quella degli sposati in chiesa, famiglia delle coppie civili, dei divorziati, dei separati, dei conviventi, degli accasati temporanei, una costellazione. Come una costellazione è quindi il mondo delle mamme. Madre biologica, madre surrogata, madre adottiva, madre a prestito, madre con fecondazione artificiale, madre con utero in affitto. Abbiamo anche i mammi, coppie di gay che allevano un bambino, e avanti. E questi non accettano di essere schifati altrimenti vi dimostrano che amano i bambini più che certe madri e padri sfascia famiglie. Premesso questo quadro iniziale ci limitiamo a sottolineare l’essenziale della genitorialità e più in particolare della maternità. Anzitutto oggi si costata un calo di natalità e non tanto per il fatto che diminuisce la stessa fertilità non solo delle femmine (sempre colpa loro) ma pure dei maschi, causa lo stress e il tipo di lavoro. Il calo è dovuto anche alla non volontà di generare, o di generare in età avanzata dopo i trent’anni, addirittura verso la quarantina quando, comincerebbe l’età dei nonni. Ricordo di due signore, ad una recente festa di paese, con le quali si istaurò questo discorso. Mi dissero :”caro lei, non si tratta di questione finanziaria, che ci mancano i soldi, che non si puo’ arrivare a fine mese, il precariato dei giovani e tante storie, noi due andiamo verso la quarantina e ad essere sincere preferiamo vivere la nostra vita, le ferie a Majorca, conoscere il mondo, la libertà, i figli pesano. Il resto sono ciance.” Certo non bisogna generalizzare, ma qui c’è parecchio del vero. Un secondo aspetto: un figlio andrebbe preparato e voluto. La coppia deve parlarsi prima, e se per caso capita non programmato e voluto bisognerebbe ricordare la frase di S. Agostino: se non sei chiamato, fai in modo di essere chiamato. Voleva dire che se ti capita un fatto inatteso e inaspettato fa in modo di riprogettarti e accettare la situazione. Non si tratta di far buon viso a cattivo gioco, ma di assumersi le responsabilità della vita. Vi potrebbero essere mamme che risolvono tutto con l’aborto. In verità questo intervento sul feto è oggi di molto in diminuzione. Se pensiamo che nel 1978 al tempo dell’approvazione della legge in materia avevamo in Italia 200 mila aborti all’anno in confronto al 2016 calati a 85 mila, dovremmo concludere si tratti dell’effetto dei contracettivi. Esatto e sinceramente si tratta di un male minore. Anche la Chiesa parla di guerra giusta, cioè piuttosto che una guerra globale è meno peggio una guerra territoriale, limitata. Anche se la guerra è sempre guerra quindi un male da evitare, cosi all’aborto è preferibile usare l’anticoncezionale, perché il primo interviene sulla vita, il secondo no, la previene. E la differenza è enorme. Certo un figlio tollerato sarà sempre sul rischio di diventare il capro espiatorio, come si sente di qualche adolescente, che racconta umiliato delle discussioni di qualche genitore:” ti ho sempre detto con che con questo si doveva fare l’aborto, e tu non hai voluto”. Fondamentale nella maternità è pure il periodo della gravidanza. Il periodo in cui si forma l’inconscio del bambino, evitando strapazzi, stress, traumi, litigate. Un periodo di tranquillità psicologica e anche spirituale è di grande vantaggio. Essendo noi energia spirituale, il feto la recepisce anche nella gestazione comunicata dalla madre. Il caso di quel bambino di tre anni che ripeteva la canzone che sua madre gli cantava durante la gestazione non è certo un miracolo di qualche santo, puo’ essere fenomeno ricorrente. E poi abbiamo i primissimi anni dell’infanzia in cui lì la madre e i genitori si giocano tutto. E’ l periodo in cui il bambino legge sul loro volto il modello di comportamento da apprendere, Il periodo delle regole dettate con amore, evitando la stizza, la fretta, l’approssimazione. Tanti blocchi, complessi, trasgressioni, strade sbagliate dell’età più avanzata in genere hanno origine da questi anni in cui si forma il disegno e il quadro globale etico dell’agire futuro. E poi abbiamo il periodo della socializzazione in cui delle mamme e papà arrischiano di guastare le relazioni umane. Quando si raccomanda al figlioletto di non giocare col bambino negro si costruisce un mondo razzista, fatto di muri e non di ponti. E poi arriva il periodo dell’adolescenza, certo il più turbolento, ma anche una risorsa. L’occasione per garantire educazione, istruzione, formazione. Tante mamme invece ripiegano sul rapporto facile. Sia alla prima comunione come alla cresima, periodo del commiato ufficiale dalla chiesa, regalano ai figli lo smartfone, dove “il dott. Google” li sostituisce in tutto, nel controllo delle amicizie, nell’impegno scolastico, nell’educazione sessuale. Fino al punto che anche a tavola non si riesce più a garantire un dialogo, tutti distratti dalla TV e dal cellulare. Con la conseguenza che i genitori impotenti e frustrati diventano protettivi e proiettivi, inventano lo wahtsapp di gruppo scolastico per malmenare il corpo docente, e se boccia il figlio passano all’aggressione e alle botte. Per questo il psicoterapeuta Galimberti scriveva:” escludere i genitori dalla scuola”. Non bisogna però sempre fare nemmeno le mamme i capri espiatori degli sballi e insuccessi dei ragazzi. Non ostante tutto dicano ad ogni figlio:” sono contento che tu ci sei”. Se non altro si sentirà incoraggiato, non perderà la speranza.

Autore
Albino Michelin
10.05.2018