mercoledì 13 gennaio 2016

DISFATTISMO LE CRITICHE ALLA GERARCHIA CATTOLICA?

Negli ultimi periodi i rapporti Stato Chiesa in Italia sembrano inasprirsi senza esclusione di colpi. La Costituzione nostra al nr. 7 sottolinea  che  queste  due  realtà  sono  ciascuna  nel suo ordine  indipendenti  e sovrani. Ciò si è fortunatamente verificato negli ultimi decenni finché esisteva la Democrazia Cristiana. Scioltasi questa, il suo ruolo è stato gestito in prima persona dalla chiesa. Quindi con il rischio di mescolare sempre le carte: da testimone del Vangelo ad agente politico. Di qui lo (pseudo) scandalo delle destre politiche nostrane, teodem, teocom ecc.  ad arginare l’anticlericalismo invadente, emergente, scriteriato. Qui andrebbe però fatta un'appropriata distinzione. L'anticlericalismo è sempre esistito, talvolta come negazione esplicita di Dio e di coloro che lo predicano. Posizione per noi indifendibile.  Ma altre forme di anticlericalismo impongono una riflessione. C'è per esempio quello scaturito dalla rivoluzione francese nel quale presi di mira non erano Dio e Gesù Cristo, ma i privilegi degli ecclesiastici e della classe borghese. E questa fu un'occasione di purificazione. E poi c'è un anticlericalismo quale risposta a ciò che si considera un'invadenza indebita, oppure ad una omissione di giudizio morale da parte della chiesa sui fatti di rilevanza etico-sociale. Ed ancora un'ulteriore distinzione. Fare delle osservazioni alla chiesa come alla gerarchia è sempre anticlericalismo? Certo che no, anzi spesso è un dovere che nasce dall'interesse e dalla corresponsabilità verso di essa. E quando si dice "osservazioni" non s’intende contestazioni gratuite, derisioni, ironie, barzellette . Ma un'opinione motivata, un dissenso fondato su ragionevoli basi e maturato dal buon senso dei fedeli.
                                Pippo Baudo in TV: chiesa troppo lontana dalla realtà
Cito a proposito alcuni casi in cui osservazioni poste alla gerarchia e a Papa Ratzinger sono state dall'entourage vaticano tacciate di sacrilegio e addirittura di terrorismo ideologico. Sabato 3 febbraio ‘07 il poliziotto Filippo Raciti viene ucciso in una serie di scontri verificatesi in occasione della partita di calcio Catania-Palermo. Il giorno seguente alla TV pomeridiana "Quelli del calcio", Pippo Baudo, catanese doc, esprime pubblicamente il suo rammarico: la festa cittadina della patrona S. Agata andrebbe abolita per le vie della città e celebrata solo all'interno della chiesa. Sarebbe offesa alla sensibilità degli onesti ignorare una vittima che non è solo casuale, ma abitudine di un mondo calcistico che produce violenza e morte a ritmi continui. Benedetto XVI nella predica dell'Angelus a mezzogiorno   dal balcone pontificio ha parlato dei Pacs (coppie di fatto), eutanasia, aborto, ma di quanto accaduto a Catania non ha detto una parola. "Il dovere della chiesa è quello di stare vicino ai problemi sociali". Poi il Pippo nazionale continua: "Noi presentatori   della TV possiamo orientare verso il meglio, dato che in tanti ci ascoltano". Insomma per Baudo è un invito alla chiesa di non rimanere estranea alla realtà. Il giorno seguente l'Italia si solleva con la solita caciara di proteste.  Dall'Osservatore Romano, quotidiano vaticano, a tutti i quotidiani della destra si parla di attacchi indegni alla gerarchia e al Santo Padre. "Prima di parlare del Papa e della chiesa Baudo si sciacqui la bocca. Che questo predicatore tuttologo voglia insegnare a Benedetto XVI a fare il suo mestiere è cosa ridicola più che falsa". Entra pure nella mischia la Vigilanza Rai che diffonde un comunicato: "Le dichiarazioni di Baudo contro il Papa sono talmente sgangherate che credo sia azzardato affidargli la conduzione del Festival di S. Remo". E poi innumerevoli altre voci, sempre sulla stessa onda politica: "la chiesa catanese ha una ragione in più e non in meno per mantenere la sua festa religiosa tradizionale".  Ed il portavoce della stampa Vaticana F. Lombardi: "non mi sembrano parole appropriate perché la Santa Sede ad altissimi livelli aveva manifestato biasimo per questo gravissimo episodio".
Che rispondere? Baudo non si riferisce agli altissimi livelli. Né al segretario di Stato Card. Bertone, quello che organizza "la clerical Cup di calcio" fra preti, con l'illusione che tale iniziativa, sia pure simpatica, possa costituire una presa di posizione del pontefice nei confronti di questi crimini frequenti. Il divino Pippo si riferisce al silenzio del Papa nella predica dell'Angelus a mezzogiorno dal balcone di Piazza S. Pietro. In effetti quella domenica era il giorno annuale dedicato alla vita. Oltre alla solita dichiarazione contro l'aborto, l'eutanasia, le coppie di fatto valeva la pena, secondo Baudo, fare menzione anche di questa vittima e di tutte le vittime nella violenza dello sport. Pure la vita di Raciti è sacra e non solo quella dei bambini nel seno materno. Che poi Papa Ratzinger non sia stato informato dell’accaduto sui fatti di Catania e gli siano stati posti in mano altri dispacci ciò non toglie che l’osservazione del nostro conduttore televisivo sia stata pertinente.  Ma che "la chiesa non debba restare lontana dalla realtà" non è osservazione da permettersi in TV, la chiesa va sempre elogiata, questo pensano i fedeli devoti. Ma, ci si chiede, non la si può dissentire con un’opinione diversa? Ma come si può crescere nella comunità cristiana se il metodo resta quello dell’omertà?  C'è purtroppo fra di noi il diffondersi dell'idea che il magistero quotidiano del Papa goda di una sorta di infallibilità generale concessagli dal suo pensare isolato e solitario.
                                   Concerto di Andrea Rivera: sassi contro il papa.
Vi aggiungiamo un secondo caso. Alla festa del 1° maggio il cantante Rivera tenne un concerto a Roma di fronte a 400 mila giovani. Qui il suo testo musicale: ”Il papa non crede nell’evoluzionismo, siamo d’accordo. Infatti la chiesa non si è mai evoluta. Il vaticano ha rifiutato i funerali a Welb, deceduto per eutanasia. Non è stato così per Pinochet e Franco, dittatore del Cile il primo, della Spagna il secondo. È giusto così, insieme a Gesù non c’erano due malati di aids, ma due ladroni”. Ovvia soprattutto qui la reazione dei media: ”terrorista  ideologico, illetterato, ignorante della storia, sparata di chi cerca protagonismo”. Risposta: ovvio che questa espressione è ironica, quindi offensiva. Però nella sostanza su ciò vi sarebbe da fare un pensierino. Cioè dall’origine delle scienze moderne, dall’astronomia di Galileo alla psicanalisi di Freud e alla democrazia moderna la chiesa dapprima si è opposta, poi si è sempre rimorchiata alla ricerca, alle scoperte, alle evidenze scientifiche, ai sacrifici altrui. Anzi talvolta se n'è appropriata come fosse stata lei la promotrice. E anche sulla concessione benevola di privilegi religiosi è opportuna qualche legittima osservazione: che il divorziato Berlusconi venga diffuso in mondovisione mentre riceve la comunione dalla mani di un alto prelato tanto bene non si combina con l’interdetto di comunione a povera divorziata casalinga. Cioè, purtroppo vi è spesso della gente che fa della satira e dell’ironia sul Papa e sulla gerarchia perché non è concesso fare nessun tipo di osservazione. Che poi 400 mila giovani abbiano applaudito Rivera significa solo che la chiesa si deve convincere, sia pure a malincuore che non si può giocare una partita politica culturale sulla testa delle nuove generazioni senza che i giovani rispondano applaudendo o fischiando. Infine un terzo caso su cui non ci dilunghiamo. Un gruppo di volontari cristiani in occasione della recente visita del Papa in Brasile si è permesso di fargli osservazione perché non è andato nelle favela dove sono accalcati 4 milioni di senza diritti e senza tetto. Egli si sarebbe accontentato del Brasile di Lula e dei governanti, oppure di quello dell’Apparicida e dei devoti, ma il vero volto del Brasile non l’ha nemmeno sfiorato. Quando Gesù ha dato la precedenza ai poveri annunciando loro: il regno di Dio è vicino a voi.
                                 Monarchica l’immagine che la chiesa ha di se stessa.
Qualcuno si potrà domandare come mai sia così difficile nella chiesa far circolare opinioni, correttivi, dissensi costruttivi. Il motivo principale consiste nell’immagine che la chiesa ha di se stessa. Cioè essa si definisce: 1) governo gerarchico di istituzione divina, 2) il papa incarna ogni potere giudiziario, legislativo, esecutivo (Can. 331-333) 3) ogni vescovo ha lo stesso potere nella sua diocesi (Can 381). Ora senza distinzione di poteri non c'è possibilità di controllo. La chiesa si dichiara società perfetta indipendente e autosufficiente. Il Concilio Vaticano II (1965) la definisce "Popolo di Dio", ma il Codice di Diritto Canonico (1982) conserva la struttura monarchica e con il Papa Wojtyla, simpatico comunicatore ma severo legislatore all'interno della chiesa, si è tornati al periodo del Vaticano I°, Unità d'Italia (1870). Sembra utile concludere citando un documento del teologo Ratzinger pubblicato nel 1967 e proponibile ora, concerne la posizione che potrebbe tenere un credente di fronte all'autorità della chiesa. Ossequi? Silenzio? Il testo ci sembra illuminante. ''Al di sopra del Papa come pretesa vincolante dell'autorità resta comunque la coscienza di ciascuno, cui si deve obbedienza prima di ogni altra cosa. Se necessario anche contro le richieste dell’Autorità ecclesiastica. L’accento sull’individuo, di cui la coscienza è supremo ed ultimo tribunale, non permette di soccombere sotto i gruppi sociali, compresa la chiesa ufficiale, opponendosi così al crescente totalitarismo.” L’estensore di questa affermazione è poi diventato 38 anni più tardi Papa Benedetto XVI. Ogni osservazione rivolta a lui e alla gerarchia cattolica non dovrebbe quindi essere sempre considerato disfattismo, ma espressione di corresponsabilità.

Autore:
Albino Michelin
15.06.2007

QUANDO LA PRIMA COMUNIONE DIVIDE LA FAMIGLIA

Il caso qui riportato è successo in una parrocchia di Tarzo (TV) e sono stato pregato di citarlo anche per rendere ragione ad una famiglia delusa. Si tratta di una signora residente in Svizzera, la cui figlia sposata si è trasferita in Italia e dopo Pasqua del 2007 ha celebrato la prima comunione della nipotina. Si tratta di una mamma separata perché qualche anno fa il matrimonio non si reggeva più. Il parroco le intima chiaro e netto: alla festa della bambina la madre non può accedere alla comunione perché separata, la sua situazione sarebbe di scandalo ai convenuti. Il ministro del culto è inflessibile, zelante tutore e guardiano della legge canonica: questa donna è pietra di scandalo!  Siccome non la si può lapidare per legge come ai tempi di Gesù, allora la si elimina moralmente e socialmente.  Ma pure questa è lapidazione. Secondo le usanze mercantili di buona parte della chiesa italiana tutti i bambini dovevano portare al prete una bustarella con dentro soldini per “opere di carità”. E ugualmente i genitori: una seconda bustarella, assai più sostanziosa, per la chiesa.  L'interessata pare abbia fatto qualche timida rimostranza: ma se mi rifiuta la comunione perché mi esige la .
bustarella? Logicamente dovrei essere esclusa da entrambe le incombenze. Ma quel parroco buon mercante del tempio da quell’orecchio non ci sentì e incassò tutto a gloria di Dio. Questi casi non sono rari, sono ancora frequenti nelle nostre parrocchie d’Italia. La risposta a questa sacrosanta osservazione esigerebbe una serie di analisi sia a livello evangelico, religioso, come psicologico, pedagogico, finanziario.
                                 Non è il prete a decidere l’usa e getta dei cristiani
Evangelico: in linea di principio la comunione non si dovrebbe rifiutare a nessuna persona. Non è il prete a decidere l’usa e getta dei cristiani che gli si presentano. Gesù dalla sua cena, prima messa, non ha cacciato fuori nessuno, non ha escluso dal mangiare il suo pane nessuno, nemmeno Giuda.  Sempre ammesso e non concesso che separati e divorziati siano da porsi sullo stesso piano di Giuda, il traditore, il che è assai discutibile. Sarebbe giudizio altamente offensivo e denigratorio. E poi il prete di Tarzo e quelli della sua corrente ferrea, inflessibile-talebana dovrebbero sapere che l’ultima norma di comportamento è la coscienza del singolo e non l’autorità della chiesa, per quanto questa sia importante e necessaria a formare la coscienza dei singoli. Affermazione che noi riscontriamo già nel 1967 da parte del teologo Ratzinger, poi Papa Benedetta o XVI, nel compendio documenti del Concilio Vaticano II. Questo concetto che alla fine è la coscienza del singolo l'ultima istanza del comportamento morale viene pure sottolineata dalla Chiesa cattolica svizzera, per cui è impensabile qui saltare la comunione ad un divorziato o separato, sia in una festa di famiglia come nelle messe normali. Nel   territorio di Vicenza   esiste un gruppo di divorziati credenti con il nome "Convocati dalla parola di Dio “in cui alcuni vengono tollerati a ricevere la comunione di nascosto, fuori parrocchia, in altra chiesa, magari di notte, dove e quando nessuno li conosce. E qui andiamo di male in peggio, perché questa è ipocrisia bella e buona, benedetta da Santa Madre Chiesa. Conclusione  intermedia: non tanto perché noi siamo in Svizzera,  o  perché la chiesa svizzera è diversa da quella italiana, o perché  troppe chiese  cattoliche in materia sono una babilonia, o perché ognuno può  interpretare  le  cose  a  suo  piacimento  fai da te,  o tirare l'acqua al suo mulino, ma  semplicemente  perché  partendo  dal  punto  di vista  del nostro Vangelo e della lettera di Paolo ai Romani questa signora di Tarzo - Treviso avrebbe potuto accostarsi alla comunione con la sua bambina e ricevere con ciò ulteriore forza morale per affrontare la vita insieme. Se la chiesa di Tarzo o altre parrocchie italiane dovessero negare la comunione a qualcuno, questo qualcuno potrebbe essere meglio rappresentato dai mafiosi, dai camorristi, dagli sfruttatori, dai pedofili (anche preti); dagli evasori fiscali, dagli avidi di privilegi (anche ecclesiastici) a scapito della povera gente.
                                                 Il punto di vista pedagogico
La prima comunione è l’occasione fra le più importanti che vede riunita tutta la famiglia. Riunita solo attorno ad una tavola imbandita, ad una porchetta, ad un albero di dolci, oppure anche e soprattutto attorno al Pane della cena del Signore, detta comunione, cioè comune unione?  In effetti che la bambina di Tarzo abbia potuto ricevere la comunione e da questa la madre ne fosse esclusa suo malgrado rappresenta per la piccola una specie di shock   penalizzante dal punto di vista educativo. Ogni bambino considera importante ciò che suo padre e sua madre fanno e vivono insieme con lui.  Diversamente egli si convince che messa, comunione, preti, chiesa, cerimonie religiose sono cose da bambini e che alla prima occasione, man mano che si diventa ometti e poi adulti, si possono tralasciare. Non seve a nulla consigliare un bambino di 9-10 anni: "tu fai la comunione, la mamma non viene con te perché è una peccatrice."  Espressioni del genere sono lesive alla pedagogia del bambino.  E non ha senso che la mamma si scusi presso il figlio con i motivi per cu i la chiesa l'ha messa in castigo, come a scuola si mandano i cattivi dietro la lavagna. Il ragazzino si fa l'idea che la chiesa è un regime punitivo di arresti domiciliari e non una comunità di accoglienza.  E lui si tira tutte le conseguenze del caso. La gente, divorziati, separati ecc. sanno già che alcuni si giustificano dicendo che vanno rispettate le leggi della della chiesa. Però sappiamo tutti che ci si può anche adoperare per cambiarle allorché si considerano ormai obsolete e superate. E soprattutto non va dimenticato che la legge, quella della chiesa compresa, è per l'uomo e non l’uomo per la legge. Seconda conclusione intermedia: quanto avvenuto nella parrocchia di Tarzo e quanto si ripete in molte parrocchie italiane è controproducente anche a livello familiare: la chiesa arrischia di separare ciò che la natura umana e Dio ha unito.
                                          Prima comunione, bustarelle a pioggia.
Infine c'è l'aspetto economico. Semplicemente scandaloso che un prete neghi la comunione ad una divorziata o sperata e contemporaneamente non rifiuti anzi esiga la bustarella pro chiesa. Una domanda però si potrebbe e dovrebbe porre a questa signora e a tutte coloro che si trovano nella sua situazione. Dov'è il vostro coraggio, la vostra dignità?  Prima di gettare la spugna, di tapparvi sdegnosamente la bocca, o di attaccare il clero dietro la schiena, perché non si affronta il prete o i preti direttamente, a quattro occhi, a viso aperto, e negare coerentemente la bustarella? Perché si abbassa la testa finti ossequienti davanti ai mercanti del tempio?  Si ricordi che Gesù dal Tempio non ha cacciato le coppie di fatto, i divorziati, le prostitute ma i mercanti. Qualcuno spesso ci chiede: come mai oggi la chiesa italiana si fa sempre più esigente, intrattabile, soprattutto su lla questione famiglia, coppie di fatto, divorziati, ecc. Non vi sono forse anche altri problemi morali più importanti come la corruzione negli affari ed innumerevoli altri settori della vita civica? Abbozzo una risposta: secondo me questo non è espressione di forza ma di debolezza, perché il cattolicesimo oggi non è un mondo che sta vincendo, come si era abituati a credere o illudersi nel passato, ma un mondo che sta franando. Per cui la chiesa dovrebbe proporre altri strumenti e metodi che non siano quelli della Prima Comunione di Tarzo se vuole riconquistare credibilità   e   ridonare fiducia e senso agli uomini del nostro tempo.

Autore:
Albino Michelin
01.06.2007

GESÙ DI NAZARET: VANGELO SECONDO JOSEPH RATZINGER

Non appartiene ad uno dei 4 Vangeli ma è libro interessante perché fa discutere e si lascia discutere. Messo in circolazione a metà aprile 2007, 440 pagine Editore Rizzoli, esso porta impresso in copertina: Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, con accentuazione sul nome anagrafico di famiglia. È la prima volta nella storia che un Papa parla ai credenti come uno di tutti noi, uno che cerca il volto di Dio, anziché come gerarca, pastore supremo che propina dall'alto della sedia gestatoria dogmi, precetti, interdetti.  In effetti, egli ci tiene a sottolineare: "questo non è un atto di magistero ma espressione della mia personale ricerca. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo quell'anticipo di simpatia senza la quale non c'è alcuna comprensione".  Ovviamente Ratzinger non intende "simpatia" nei suoi confronti: in effetti molti cattolici avranno acquistato il volume per ossequio, per sostenerlo e fargli coraggio. No, egli per "simpatia" intende di mettersi in uno stato d'animo disponibile prima della lettura, non neutrale, tanto meno ostile. Perché sarebbe solo tempo perso ed un'auto esasperazione mentale. Ratzinger è un credente, che una volta tanto non parte dalla chiesa e dalla sua tradizione per aggregarsi i cattolici, ma va a monte, alle origini, cioè a Gesù Cristo. Procedimento ineccepibile e necessario soprattutto per noi cattolici italiani che vediamo nella chiesa il partito di Dio, totem e tabù intoccabile. Sì perché parlare oggi alla nostra gente di cattolicesimo, di cristianesimo, di valori cristiani, di Europa cristiana, di famiglia catto-cristiana senza riferirsi a Gesù sarebbe come fare il giro ciclistico d'Italia senza avere la bicicletta. Ciò come premessa d'autore. Il libro di facile e godibile lettura, oltre che a comunicare la propria esperienza di Gesù, si prefigge anche lo scopo che di ritenere irrilevante la distinzione operata oggi da qualche tempo fra il Gesù della Fede e il Gesù della Storia, questo non lo disturba più di tanto. In quanto considera l'attuale metodo storico-critico di approccio alla Bibbia come utile, ma insufficiente.  Chi ha potuto leggere il primo libro di Ratzinger "Introduzione al Cristianesimo" (1966) troverà in esso un filosofo, un creativo, un militante. In questo invece si ritrova una sintesi del precedente a scopo non di comunicare una dottrina, ma un'esperienza relativa ed esortazione a che il lettore possa esso pure incamminarsi in questa direzione.
                                  Papa Ratzinger: ognuno è libero di contraddirmi.
Non è un libro creativo che presenti nuove interpretazioni e stimoli alla ricerca. D'altronde non si può pretendere che una persona investita di impegni ufficiali e istituzionali abbia tempo di approfondire analisi, origine, composizione del Vangelo. Ovvio che si viva un po’ di rendita dì quanto imparato. Come i medici condotti, brillanti fino alla laurea, ma poi l'esercizio della professione li obbliga a chiudere i libri. E quindi di fronte a casi appena fuori della norma ti mandano dallo specialista di turno. Lo stesso discorso vale ancora per il Vangelo, la sua interpretazione e per ogni realtà religiosa. Chi si ferma al catechismo e teologia del seminario è perduto. Un prete, un vescovo, un cardinale, un papa sono talmente assorbiti dalle prestazioni quotidiane che manca loro il tempo per aggiornarsi. È qui molto significativo l'atteggiamento mentale di Ratzinger: "ognuno è libero di contraddirmi".  Un'umiltà che convince, tipica delle persone intelligenti. Solo gli incolti e gli "ignoranti" non accettano osservazioni e punti di vista alternativi, convinti come sono di saper tutto.  In quest'atteggiamento di senso dei propri limiti culturali e intellettuali, Joseph Ratzinger ci permette di trarre alcune conclusioni implicite senza forzature. Cioè che esistono diversi tipi di autorità, che potrebbero essere tre: autorità gerarchica, autorità di competenza o magisteriale e autorità carismatica.  Autorità gerarchica: certo un capo in famiglia e anche nella chiesa un'autorità gerarchica ci vuole. Per dare indicazioni più o meno vincolanti e garantire un'unità di appartenenza. Ma questa deve pure avvalersi e rivolgersi ad una seconda autorità, quella dì competenza formata da teologi, studiosi della Bibbia, che magari non appartengono nemmeno alla categoria clero, ma a quella dei laici, degli indifferenti, magari a quella degli atei. La verità in quanto tale non appartiene a nessuna religione, al contrario è la religione, cattolica compresa, che deve adeguarsi e cedere il passo alla verità. In questo senso il libro del Papa andrebbe completato e confrontato con l'altro bestseller di Corrado Augias "Inchiesta su Gesù, chi è l'uomo che ha cambiato il Mondo". Un approccio a Gesù totalmente neutrale e alla ricerca solo della sua verità storica. Allorché la Gerarchia cattolica, solo perché composta dal Papa e dai vescovi si autodefinisce infallibile e assume il ruolo di "magistero" indiscusso, arrischia di uscire dal proprio ambito e prendere delle cantonate: qui la storia è maestra. Il magistero dunque appartiene anche all'autorità di competenza che non è sempre identificata con la gerarchia. Infine esiste la terza, l'autorità carismatica propria di coloro che possiedono il talento innato, quasi l'istinto del vangelo e lo testimoniano in modo visibile e tangibile, anticipando gerarchia e magistero. Vedi fra gli altri Francesco d'Assisi e Madre Teresa di Calcutta con il loro eroismo verso i poveri.
                 Il Gesù della storia e il Gesù della fede: ma quanti Gesù ci sono?
A dilucidare questa distinzione ci può servire un dibattilo sull'argomento mandato in onda la notte di Pasqua da Satellite 2000, la Tv dei vescovi italiani, registrata all'Università Pontificia del Laterano, quindi dottrina cattolica doc. Un relatore, ovviamente ben vaccinato (Romano Penna), afferma che dai Vangeli importante è recepire ciò che Gesù ha detto di se stesso e ciò invece che gli altri, la comunità cristiana di lui hanno detto dopo la sua morte. Nel primo caso si tratta del Gesù storico, nel secondo del Gesù della fede. E citiamo qualche esempio. I racconti dell'infanzia di Gesù e della tomba vuota dopo la crocifissione sono affermazioni di Gesù oppure racconti simbolici aggiunti tardivamente? Certo il Vangelo non è una leggenda, ma raccoglie delle leggende elogiative allo scopo di far emergere l’eccezionalità della persona di Gesù. Gesù non ha mai detto di essere nato il 25 dicembre, oppure a Betlemme, nemmeno di essere Cristo, il figlio di Dio, la seconda persona della SS. Trinità. Tutto ciò è stato attribuito a lui tardivamente.  La data di nascita 25 dicembre è stata fissata nel 355 da Papa Liborio, il luogo Betlemme è o può essere aggiustamento tardivo secondo una affermazione del profeta Michea, 700 anni prima: "E tu Betlemme non sei la più piccola delle città di Giuda perché da te nascerà il condottiero d'Israele "(Capo 5). Personalmente risponderei: non è importante la data e il luogo di nascita di Gesù, importante che sia storicamente esistito. E continuo con il relatore del Laterano: "Cristo" è appellativo pure tardivo, attribuito a Gesù, per riferirlo ai Re d'Israele che venivano unti sulla fronte prima dell'intronizzazione. Così l'espressione "Figlio di Dio" era un qualificativo ricorrente fra i romani e i greci che definivano "figli di Dio" re ed imperatori del tempo. Tutto ciò appartiene al Gesù della Fede, cioè quello che con fede la comunità a seguire attribuì a Gesù. Ma realmente che cosa disse Gesù di se stesso? Qui è la risposta per raggiungere il Cristo della Storia.  Pochissime cose, ma essenziali.  Ad esempio egli chiamava Dio "Abba Padre”, si sentiva identificato con lui.  Nessun fondatore di religioni ha rivolto questa espressione filiale a Dio.  Inoltre Gesù incontrando malati di ogni genere, nello spirito e nel corpo, si prodigava a dare loro salute, gioia, senso di vita. Dopo di che diceva: "adesso è arrivato il Regno di Dio. Il regno di Dio è qui, sono io". Cioè Dio era diventato realtà, Uomo in lui. Chi voleva vedere o sentire Dio doveva rivivere la sua esperienza. Non è Gesù che si è fatto Dio, ma Dio che si è fatto uomo in Gesù. Ed ancora: Gesù si definisce un vero ebreo, mandato soprattutto solo alla gente della sua razza, che non si sceglie fra gli apostoli un extracomunitario. Solo lentamente si apre ad uno, spirito più universale.  E tanti altri brani ed episodi, che estratti dal complesso dei vangeli rivelano quello che Gesù ha detto di se stesso.
                    Il metodo storico-critico è una chance per conoscere meglio Gesù.
Questo tipo di lavoro è possibile garantirlo solo attraverso il cosiddetto metodo storico critico, che analizza linguaggio, abitudini del tempo e ne trae delle conclusioni.  Che questo discorso salti fuori solo ora (cioè da cinquant'anni a questa parte) non è colpa di nessuno, forse della nostra bimillenaria ignoranza e di chi non ci ha da essa liberato. Papa Ratzinger però nel suo libro non fa nessuna distinzione fra il Gesù della Storia e il Gesù della Fede: per lui che Gesù sia Figlio di Dio è reale come il fatto che Gesù sia figlio del carpentiere. Al di là di questo suo atteggiamento va detto però che il metodo storico oggi è una grande chance per avvicinarci a Gesù, anche se Ratzinger lo accantona un po'. Come ha accantonato troppo frettolosamente e tappato la bocca a tanti teologi di buona volontà che avevano a proposito un'idea diversa dalla sua.  Ma la sua affermazione nell'ultimo libro "qui ognuno è libero di contraddirmi" vuole anche correggere la sua intransigenza allorché anni or sono faceva il guardiano della fede, in qualità di Prefetto deIla stessa Congregazione. In conclusione: il suo viaggio verso Gesù è di stimolo anche a noi per avvicinarci a questa esperienza. Perché troppi cristiani oggi ci meriteremmo l'osservazione di Gesù: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.”

Autore:
Albino Michelin
18.05.2007

IN ITALIA RICCA LA CHIESA POVERO LO STATO

Molti si chiedono in questo periodo a quale complicità mai si debba assistere nei rapporti tra vaticano e chiesa da una parte, politica e governo dall’altra.  Si meravigliano perché ad esempio in Svizzera abbiamo sì una chiesa istituzionale e gerarchia come in tutte le parti del mondo, però più silente, propositiva, comprensiva. Quanto sta avvenendo questi giorni in Italia, aprile 2007, è vera guerra di religione con una paese spaccato in due. Scritte a vernice multicolori sulle facciate delle chiese di Torino, Milano, Genova, Bologna, Napoli che non si vedevano nemmeno ai tempi del 1948 quando per le strade si cantava Bandiera rossa e si voleva tagliare la testa ai preti e a lor signori. Il tenore degli attacchi murali da un mese a questa parte li conosciamo tutti: ”Bagnasco (presidente dei vescovi italiani, dotato pure di una scorta a carico dello Stato italiano, cioè del nostro popolo contribuente) vergogna, Bagnasco a morte, Bagnasco attento ancora, ...fischia il vento, Ruini-Bagnasco-Ratzinger assassini, Ruini trans, preti, vescovi, cardinali i veri pedofili”. Per non menzionare il volantinaggio in una chiesa di Genova la notte i Pasqua con la distribuzione di immaginette non di P.Pio, ma porno con la Madonna bisex. Ovvio che tutte le persone con un po’ di sale in testa condannino simili volgarità, questa escalation anticlericale. Però una domanda si impone: da dove trae origine tutta sta virulenza? Dall’odio contro Dio e contro Gesù Cristo di cui il Cardinale e curia vaticana sarebbero messaggeri? Purtroppo qui Dio e Gesù Cristo c’entrano poco, anzi niente. Tentiamo una risposta abbastanza semplice: dal fatto che la chiesa italiana a differenza di tutte le altre chiese del mondo si è gettata a pesce nella politica, specie nella legge in discussione riguardante le coppie di fatto e omosessuali. Il botto finale è stata la recente affermazione di Bagnasco che cioè gli omosessuali sono simili agli incestuosi e ai pedofili. Salvo poi a modificare il tiro, sullo stile di Berlusconi (qui te lo dico e qui te lo nego) lamentandosi di esser stato frainteso. Nella circostanza non giova ripetere quanto già a tutti noto. La chiesa cattolica come tutte le altre ha il diritto di predicare il suo vangelo e tale diritto nessuno glielo può impedire, ma non ha il diritto di rompere l’anima a mezza Italia come sta facendo. Questa pesante ingerenza nei processi legislativi è fuori luogo, soprattutto ordinando ai politici cattolici di votare in parlamento contro determinate leggi. Se no siamo dalla parte dei talebani e degli islamici fondamentalisti che difendono con la spada i dogmi delle loro dottrine. E allorché la chiesa si mette in politica deve accettare anche le conseguenze, fischi e fiaschi compresi. Ma alla domanda posta è opportuno andare oltre. D’onde nasce questo interventismo della Chiesa a gamba tesa nei confronti dello stato italiano? Risposta lampo: dai soldi. I soldi provenienti dal Concordato e dal potere che da essi ne deriva. Sì, perché questa è la logica dei soldi: i soldi fanno potere, il potere fa soldi ed entrambi fondano il diritto o meglio l’illusione di essere padroni anche in casa altrui. In un’analisi di questo tipo va fatta una debita distinzione: noi credenti ci identifichiamo con la chiesa popolo di Dio, fondata da Gesù di Nazareth, nella quale gerarchia e istituzione sono necessarie per un servizio di animazione e di testimonianza evangelica e nella quale noi pure ci sentiamo dentro e dentro ci vogliamo stare. Ma dissentiamo da quella istituzionale (sia essa italo-gerarchica o vaticana) allorché con l’anacronistico “animus pugnandi” (furore agonistico) vuole fare di tutto e di tutti una repubblica cattolica, sotto una specie di redivivo stato pontificio.
                         Dal Concordato Stato-Chiesa alla nuova Costituzione italiana.
Ho citato il Concordato e giova una dilucidazione in quanto qui risiede la fonte dei possibili sconfinamenti. I cattolici italiani sono digiuni di questo trattato e pochi preti si danno la briga di una indispensabile informazione, dibattito, cultura. È scomodo. Stipulato fra il governo Mussolini e il Papa Pio XI l’11 febbraio del 1929 inizia nel nome della Santissima Trinità, ma poi sviluppa tutto un discorso di carattere finanziario. Si prende atto della nascita della città del Vaticano, con sua autonomia territoriale e giuridica. Ad esso regalie in beni immobili, in esenzione dalle tasse, in privilegi di varia natura. Ad esempio il Papa gode di immunità quale Sovrano Re, i cardinali quella dei principi. Il Concordato chiude le tribolazioni e le vicissitudini sorte nel 1860 con l’unità d’Italia e nel 1970 con la presa di Roma, dopo di che il pontefice venne liberato e spogliato dello Stato Pontificio, con regioni come Marche ed Umbria, cui seguirono scomuniche a grappoli e a raffica contro i nostri avi sequestratori. Si risolse quel contenzioso con la legge delle Guarentigie o garanzie del 13.5.1871 cioè con un atto unilaterale dell’Italia che riconobbe al Papa un risarcimento annuo pari agli odierni 12 milioni di euro. Che se poi si volesse andare indietro nel tempo il discorso si farebbe lungo. Basta dire che verso il 320 Costantino fece al Papa Silvestro la famosa donazione del suo impero (verificatosi poi documento falso) a dimostrazione fra l’altro che molta chiesa più che a Gesù Cristo si convertì all’imperatore e ai suoi patrimoni. Aggiungiamo che nel 754 Pipino il Breve fece a Papa Zaccaria concessione di larghi territori quale ringraziamento allo stesso pontefice per aver preferito i Franchi ai Longobardi. Questo solo a dimostrazione che il rapporto con il denaro è DNA, sangue nelle vene della chiesa cattolica. Contestazioni non mancarono: i valdesi con il sacco dei penitenti reagirono a tanto fasto ma furono dichiarati eretici(1187) e San Francesco tentò con i suoi di vestire il saio dei contadini. Certo una chiesa viva, quella della gente comune, quella del popolo esiste, ma ciò non toglie che l’attuale chiesa italiana risenta del brodo culturale-economico di una lunga storia. Per cui anche il Concordato del 1929, come poi la sua revisione del 1984, ci presenta due contraenti, ma non sullo stesso piano. Un primo (la chiesa) in posizione di superiorità e che prende tutto, un secondo (L’Italia) in posizione di svantaggio e che cede tutto. La nostra Costituzione(17.12.1947) dirà che Stato e Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine sovrani e indipendenti (art.7) però di fatto se non vi è l’approvazione vaticana, i Patti Lateranensi inclusi nel Concordato non si possono cambiare. Solo nel caso quindi che sia d’interesse alla santa Sede. Di qui la soggezione permanente dei nostri governanti al papa, ai cardinal di stato, ai vescovi, al clero. È potenza economica che dal denaro si sente tentata o legittimata a sconfinare nella politica e a gestirla essa stessa in prima persona. Lo dimostra l’invasione clericale in TV e nei media. Ma come sopra detto, con i rischi e reazioni del caso: anticlericalismo e ipocrisia ossequiente.
                               L’otto per mille, una valanga di soldi alla chiesa cattolica.
Con questa storia plurisecolare alle spalle arriviamo alla legge del 20.5.1984 in cui viene istituito il meccanismo dell’8 per mille, entrato in vigore il primo gennaio 1990. In questa convenzione la borsa dell’Italia verso la chiesa si è allargata ulteriormente. Firmato da Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio e dal Cardinale Casaroli per la santa Sede, ecco il testo: "Una quota pari all’8 per mille sul reddito annuo delle persone fisiche è destinato in parte a interessi umanitari gestiti dallo Stato, in parte a scopi di carattere religioso a diretta gestione della chiesa cattolica”. Un finanziamento che giunge ogni anno a quote elevate, circa un miliardo di euro. Creando fra l’altro a causa di un particolare meccanismo disparità con le altre confessioni religiose. Esempio degli ultimi dati: soltanto il 30% degli italiani si è espresso nella dichiarazione scritta a favore della chiesa, ma in pratica essa ha usufruito dell’87% di tutte le entrate. Di cui il 47% alle esigenze di culto, il 34% al mensile stipendio per 38 mila sacerdoti, il 18% per opere di carità e terzomondismo. Tale ammontare non è sotto controllo alcuno, allo stato si invia un resoconto annuale approssimativo. Il tutto è centralizzato a Roma e la gestione non molto assembleare potrebbe avere investimenti discutibili, anche a scopo politico, come l’invasione di manifesti e volantini pubblicitari per il referendum sulla procreazione assistita del 2005. Inoltre agevolazioni come l’esenzione dell’ICI, dalle tasse sulle aziende commerciali gestite dalla chiesa e dalle parrocchie, stipendio statale garantito agli insegnanti di religione, la cui nomina però dipende dal solo vescovo. Per non parlare poi delle scuole private, tenute in maggioranza da ecclesiastici, a cui lo Stato garantisce sensibili sostegni finanziari non ostante ciò venga escluso dalla costituzione (art.33). Ed altri innumerevoli contributi come il finanziamento delle acque vaticane e 30 milioni di euro nel 2004 per l’impianto d’acque autonomo. A tutto ciò si aggiunga che il vaticano possiede ben tre istituzioni finanziarie: la Banca centrale, il ministero dell’economia, e lor (Istituto opere di religione) in cui è lecito dubitare della trasparenza dei conti in quanto il bilancio non è accessibile al pubblico. Una conseguenza, se non altro come dubbio legittimo: che la chiesa italiana intervenga così di rado contro la corruzione sia dello Stato come dei privati cittadini, contro l’illegalità, contro tangenti ed evasioni fiscali potrebbe trovare spiegazione che essa stessa è un po’ troppo impegolata in queste pastoie,  preferisce quindi puntare tutte le sue batterie sul sesso, contro le coppie di fatto, gli omosessuali, i divorzi, ecc. limitandosi  ad una sfera abbastanza secondaria nei confronti  invece del messaggio principale: amare il prossimo, non giocarlo, non deluderlo, non sfruttarlo sull’uso della roba.
                                       Ritornare ad essere una chiesa missionaria.
Vi sarebbe una soluzione a tutto questo grigiore? Senz’altro. Basterebbe riferirsi al Documento del Concilio Ecumenico ”Gaudio e Speranza” nr.76: ”L a chiesa non basa la propria missione sui privilegi offerti dall’autorità civile e s’impegna a rinunciare all’esercizio dei diritti legittimamente acquisiti quando il loro uso possa far dubitare della sincerità della sua testimonianza (7.12.1965). Certo ingenuo sarebbe sostenere che la chiesa deve mantenersi a pane ed acqua e rinunciare al denaro, utile senz’altro per mantenere l’istituzione come laboratorio di idee evangeliche e soprattutto a favore dei bisogni mondiali e dei poveri. Ma usarlo con altre modalità: trasparenza, gestione laicale, controllo. Nonché più modestia: rinuncia all’abbigliamento imperiale dei suoi prelati, al camauro e alla mantella d’ermellino papale, alle tube e alle tuniche dorate dei suoi cardinali e monsignori. Tutto questo sa di partito borghese e la chiesa partito non è. Si confronti con la chiesa svizzera: si potrà giudicare quest’ultima di essere abbiente e forse troppo taccagna. Ma bisogna darle atto che è trasparente, che i soldi delle tasse di culto (una specie dell’8 per mille) non vanno in mano né i vescovi, né ai preti, ma gestiti dalla comunità cristiana con precisione e controllo da una commissione revisori dei conti. Da cui vescovi, preti, missionari, addetti al ministero ricevono lo stipendio, ma guai poi ad intascare tangenti. In Italia si smetterà di fare politica smaccata, si acquisterà una credibilità di chiesa che al momento è in costante calo.

Autore:
Albino Michelin
19.04.2007

PRIMA DI ALZARE LA VOCE CONTRO GLI OMOSSESUALI

Sabato 10 marzo 2007 a Roma, capitale d'Italia e del cattolicesimo, a detta di molti abbiamo assistito ad una delle più banali carnevalate e mascherate della nostra storia. Una manifestazione di piazza organizzata dai gay omosessuali a favore dei ”Dico” (diritti delle coppie di fatto, le loro comprese). A detta di altri invece, pure molti, si è finalmente potuto gridare al mondo degli ipocriti che la discriminazione, il disprezzo, la condanna di queste persone da parte dei cattolici e dei borghesi conservatori vanno contro il vangelo e i diritti dell'uomo. Ed è proprio una stranezza unica che in Italia si debba ricorrere a queste messe in scena per richiamare l'attenzione sui principi più fondamentali della vita. Mercoledì 12 marzo alla trasmissione di Santoro "Anno Zero" su Rai Due, dal titolo "Chiesa e Omosessualità" il ministro Mastella lasciò platealmente il pubblico gridando: "sapevo che questo era un comizio di comunisti, ma non che fosse un mucchio di froci". Il sesso è sempre stato un argomento tabù e l’omosessualità una vergogna da schifare. Vale la pena quindi operare un'analisi più approfondita non tanto del fenomeno scandalistico, quanto della seria realtà che sotto vi soggiace.
                                                       Intendersi sul linguaggio
Cioè sulle parole che stiamo usando.  Anzitutto il vocabolo "sesso" deriva dal latino "secari", che significa separare, distinguersi, differenziarsi. Rendere diverse e complementari due parti di un'unica realtà, nel caso l’uomo e la donna. Sono diversi ma si richiamano e si completano. Esiste un sesso biologico determinato al momento della fecondazione, cromosomi XX nell'uomo, XI nella donna.   Esiste il sesso genetico, quello che sviluppa i diversi e differenti ormoni. Certo vi potrebbe essere anche una patologia ed uno sviluppo cromosomico non lineare. Non andiamoci a trovare delle colpe, così è.  Esiste un sesso psicologico affettivo, dipendente dall'anima e dall'animo. Sono importanti ricerche del psicologo Jung, (1875-1961) zurighese. Cioè "l'anima“ corrisponde alla parte femminile dell'inconscio dell'uomo, e  "l'animo" alla parte maschile dell’inconscio femminile. Nel senso che dal punto di vista psichico nell’uomo è presente l'anima, nella donna l’animo. Coppie opposte e complementari all'interno della nostra struttura emotiva, di ogni uomo e ogni donna.  Fondamentale è l’equilibrio fra queste due polarità, lo sviluppo coerente. In caso contrario abbiamo i cosiddetti diversi, da noi posti nella categoria degli omosessuali. La prima componente della parola "omo“ non  significa uomo, bensì dal greco vuol dire  "uguale",  cioè avere rapporti con l’uguale sesso. Più globalmente si definisce come tendenza o preferenza per le persone che appartengono allo stesso sesso.  Talvolta tale sentimento si esprime addirittura come identificazione col mio simile. L'omosessualità, continuiamo con la chiarifica dei termini, può essere innata oppure indotta. C'è chi viene al mondo così e chi lo diventa per una particolare ambientazione e frequentazione sociale, soprattutto se prolungata. Questo secondo caso può essere frequente negli istituti di soli maschi o femmine, seminari, caserme, educandati ma potrebbe essere anche superabile con la mutazione dell'ambiente e dei rapporti.  Più difficile invece se non impossibile alla natura qualora si tratti di omosessualità innata, congenita.  E qui qualcuno parla addirittura di cervello con diversa configurazione, il che non significa affatto cervello malato. Altri si riallacciano anche alla biologia animale per affermare che gay o lesbiche si nasce. E portano il caso dei piccioni, oche, lupi, macachi, babbuini che sono o manifestano tendenze omosessuali. Elementi di ricerca da approfondire, senza il sorriso ironico dei moralisti bolsi.  D'altronde chi offende persone che dalla nascita scrivono con la mano sinistra? La cosiddetta terapia riparativa, a cui oggi si tenta di ricorrere, se può dare una mano all'omosessualità indotta, può essere insufficiente e talvolta pericolosa in quella innata e congenita.  Spesso l'interessato la recepisce come violenza con spinte verso il suicidio.  Questa analisi è frutto degli studi attuali, però fa ancora specie che pubblicazioni edite da tipografie cattoliche non diano rilevanza a queste conclusioni e tutto riducano a peccato, devianza colpevole, mancanza di fede e di preghiera. Con il risultato che gli omosessuali sarebbero dei lerci peccatori, gli eterosessuali sarebbero angioletti del cielo. Il frutto di una bimillenaria educazione   cattolica. A monte di ciò non va dimenticato il fatto che gli omosessuali o lesbiche sono dotati di una profonda sensibilità affettiva, tanto più intensa, quanto più nell'infanzia è stata soffocata, punita, deviata o carente. Non è novità per nessuno ricordare che i più grandi geni furono pure omosessuali: Leonardo da Vinci, Michelangelo fino a noi Pier Paolo Pasolini, e il contemporaneo tutt'ora vivente Franco Zeffirelli, regista filmico, autore dell’opera cinematografica "Gesù ". Inoltre Padre Testori, prete gesuita di Comunione e Liberazione, emerito scrittore. Tutti costoro, senza vanto e senza infamia, hanno dichiarato pubblicamente la loro omosessualità e difeso diritti e riconoscimento che agli omosessuali si dovrebbero concedere.
                                 Troppo lunga la storia contro gli omosessuali
 Per 2000 anni condannati a nascondersi, ad occultarsi, a sparire. Oppure finire nel rogo. Fino a qualche anno fa gli omosessuali non potevano accedere alle cariche pubbliche o all'insegnamento, in Germania furono sterminati con gli ebrei della Shoah. In un paese del Siracusano (Sicilia) una   famiglia di ex emigrati, tre figli, ha dovuto abbandonare la gestione di una funzionante pizzeria, e trasferirsi al nord con tutti i rischi d’inserimento professionale perché il figlio Francesco all’età di 12 anni si è scoperto donna e volle chiamarsi Francesca. Condannato e condannati tutti alla morte sociale. Ma questi casi in Italia, nei paesi cattolici, sono quotidiani. Non esiste documento alcuno della chiesa emanato in difesa della vita e dell'incolumità di costoro. Il tutto basato sulla Bibbia, una Bibbia, sia chiaro, non contestualizzata. Ne citiamo qualche passo. Genesi 19.5: "Fai uscire i due uomini che vogliamo abusarne " gridava il popolo a Lot. Omosessualità punita con la distruzione di Sodoma e Gomorra . Paolo, I Corinti 6.9: "Non illudetevi, né immorali, idolatri, sodomiti, erediteranno il Regno di Dio". Paolo ai Romani I,26: "Dio li ha abbandonati a passioni infami, a rapporti contro natura, donne con donne, uomini con uomini" . Paolo la a Timoteo 1,9: "La legge è istituita per gli iniqui, ribelli, empi, omicidi, maschi che si accoppiano con maschi ...". Certo così è scritto, ma facciamo attenzione alle letture o meglio alle interpretazioni strabiche e pericolose. Questi testi vanno posti nel contesto storico. Cioè in quel tempo l'atto sessuale era concepibile solo in funzione della procreazione.  Un accoppiamento doveva avere per scopo un figlio. Masturbazione, sesso per amore, perdita e spreco del seme era un delitto contro la moltiplicazione della specie. Oggi un diverso contesto ci fa comprendere che importante prima di tutto è l'amore, in secondo luogo che vi può essere un rapporto anche senza figli (esempio il matrimonio degli ottantenni). Per cui la domanda più che lecita: due omosessuali o lesbiche che convivono nell'amore sotto lo stesso tetto vanno contro la legge di Dio, di Gesù, della Bibbia?  Lasciamo aperto il discorso perché anche il Cardinal Martini consiglia a non essere troppo sommari nella questione. Senza sottovalutare ma nemmeno sopravalutare alcuni documenti vaticani usciti di recente. Come quello del 3.6.03 che vieta le unioni legali fra gli omosessuali e quello dello ‘05 che proibisce a chi ha tendenze o cultura omosessuale a farsi prete. Dico "senza sopravalutare".  Perché in merito tutti siamo testimoni di radicali evoluzioni nella chiesa. Ad esempio i preti non potevano quarant’anni fa celebrare il matrimonio in chiesa a coppie conviventi, perché concubine. Storico l'episodio del Vescovo di Prato Fiordelli che per poco non finì in galera per aver diffamato in cattedrale una coppia divorziata dichiarandola pubblica peccatrice.  A distanza di 40 anni oggi tutti i preti sposano in chiesa coppie di fidanzati che convivono da anni. Non disturba pensare che fra qualche tempo i divorziati saranno ammessi alla comunione, diversamente a messa ci sarà lo sciopero della fame (delle ostie intendo). La storia ha insegnato tante cose anche alla chiesa. Purtroppo che essa anziché fare della storia apripista si è fatta spesso dalla storia rimorchiare. 
                                     Outing, la sfida pubblica degli omosessuali.
Outing è una espressione inglese e significa esternazione, manifestazione. Scandalizzare e rivendicare pubblicamente la propria appartenenza al mondo gay. Una legittimazione alla luce del sole. A Roma il 10 marzo 2007 se ne sono viste di tutti i colori, da manifesti con pubblicità romantica come "famiglia arcobaleno", ad altre molto più pesanti come: "Meglio omosessuali che flagellanti ". "Dico io, oh Papa Ratzinger così tu ci ... Ruini  la vita". Sino ad un cartello mezzo blasfemo: "Maledictus  XVI" . Anche fra di noi chi è credente ci è rimasto male. E per due motivi: primo perché si vedono strapazzate persone rappresentative. Secondo per un motivo inverso, cioè che questo anticlericalismo, morto da oltre un secolo, la chiesa un po' se lo merita. Perché una cosa è la libertà di predicare il vangelo e la morale, che nessuno le contesta, ed un'altra è voler gestire la politica italiana in prima persone con intimidazioni morali e condizionamenti ai rappresentanti del Governo. Una legge che regoli anche i diritti delle coppie di fatto omosessuali o lesbiche (adozione di figli qui non compresa) è fuori discussione. Né ci si deve difendere con la scusa che gli omosessuali sono minoranza. Fossero il 10% o l'1 % non fa differenza. Le leggi si fanno sempre per tutelare le minoranze, le maggioranze ”oneste” non ne hanno bisogno. Gli ospedali di ortopedia si costruiscono non perché la maggioranza dei cittadini ne abbia bisogno, ma perché una minima percentuale necessità di cure adeguate al caso. Indipendentemente dalle conclusioni di questa battaglia certamente un diverso atteggiamento deve assumere la società, specie l'alleanza degli intolleranti antigay. Lasciar cadere l'espressione gay perché offensiva. Sorta in Provenza (Francia), nel quinto-sesto secolo significava tipo gaio, vivace, ridanciano, cigolò, pagliaccio. Abbiamo almeno la buona educazione di chiamarli omosessuali e di batterci per il riconoscimento dei loro diritti. Questo potrebbe dire rispettare i diversi.

Autore:
Albino Michelin
23.03.2007

martedì 12 gennaio 2016

PAPA RATZINGER SULLA DITTATURA DEL RELATIVISMO

Uno dei motivi, forse il principale, per cui Ratzinger dai cardinali fu eletto papa è stato il discorso del 18 aprile 2005 in occasione di funerali di Wojtyla e dell’apertura del conclave elettorale per il suo successore. Praticamente una dotta e serrata disquisizione sul relativismo e contro il relativismo, il grande pericolo della società attuale. Veramente egli vi ha aggiunto anche qualcosa d’altro come “nichilismo, agnosticismo, sincretismo, individualismo, marxismo, collettivismo, liberalismo” e tutta una serie di sismi, ma il suo chiodo fisso fu e sarà vita natural durante il relativismo. Dittatura del relativismo, che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie. Argomentazione serrata, pensiero netto che fanno di Ratzinger una persona coerente e lineare. Organizzazione e diplomazia non è suo mestiere, si lascia condurre dai vari canali e Ruini di turno, ma come filosofo e come teologo è riferimento indiscutibile. Tuttavia è sui contenuti del relativismo che il dibattito resta aperto e abbisogna di analisi in tutte le sue componenti. Diversamente espresso così si presta a dire di tutto e il contrario di tutto. Nessuno pretende di insegnare al papa di fare il suo mestiere, ci siamo noi o ci sono già tante mosche cocchiere nella nostra società, ma anche la visione di un pontefice è pur sempre legata alla sua cultura, alla sua natura, alla sua storia personale. Ignorare tutto questo significa fare del papa un dio in terra, con tutte le pericolose idolatrie, siano esse di matrice laica o ecclesiastica. Quindi intendiamoci prima sulle parole. Relativismo vorrebbe significare che tutto è niente e niente è tutto, ogni comportamento umano vale l’altro, sia a livello individuale che collettivo, è il mio istinto a decidere.  Ma può significare anche che in ogni aspetto umano, in ogni teoria, in ogni ideologia, in ogni uso e costume vi può essere qualcosa di positivo. E questo relativismo va studiato, approfondito, non a priori demonizzato. Talvolta addirittura usato come materiale di costruzione a fronte di nuove istanze e mode che si presentano. Dipende dalle competenze e dalla coscienza con cui il nuovo viene affrontato. L a coscienza indubbiamente ce l’abbiamo tutti, ma talvolta può anche essere sporca e muta, essa abbisogna di competenza, cioè di informazione, confronto, formazione, responsabilità. È il primo tipo di relativismo da noi citato che Ratzinger considera il più grande nemico dell’umanità oggi: che l’errore sia uguale alla verità, che tutte le verità si equivalgano, che non esistano verità assolute, principi immutabili nell’ambito morale, che ci si lasci portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina.
                                              C’è anche una dittatura del dogmatismo.
Indubbiamente questa visione della realtà non deve portarci al dogmatismo. Perché se pericolosa oggi è la dittatura del relativismo, non meno lo è quella dell’assolutismo. In effetti ha anche Ratzinger stesso in più di una occasione relativizzato l’assolutismo della chiesa del passato, non solo dopo i mea culpa del predecessore, ma anche a non giudicare la storia di ieri con i pregiudizi e la mentalità di oggi. Caso emblematico, nella scorsa estate in occasione del suo viaggio in Polonia ebbe a dire che lo sterminio degli ebrei nell’ultima a guerra mondiale non è stato frutto dell’odio di tutto un popolo tedesco, ma soltanto di alcuni criminali nazisti. E aggiunse: ”conviene guardarsi dalla pretesa di giudicare le generazioni precedenti vissute in altri tempi e in altre circostanze in assenza di prove reali. Non si devono giudicare le differenti precomprensioni di allora”. Se ne deduce che ogni nostro giudizio può essere condizionato da un pregiudizio. Per cui trasferire il nostro giudizio di oggi, cioè il modo di valutare la bontà o la malvagità di un’azione del nostro tempo ad un comportamento del passato o viceversa può essere un’operazione frettolosa, imperfetta e superficiale. In un certo senso si può dire allora che tutto è relativo, che bisogna situare un atto umano in relazione al modo, alla cultura, alle circostanze in cui fu compiuto. Un secolo fa i predecessori dell’attuale papa condannavano la democrazia come una delle pesti più terribili. Oggi invece sembra che la democrazia l’abbia inventata addirittura la gerarchia cattolica e che solo quest’ ultima sia in grado di orientarla direttamente intervenendo ad ogni piè sospinto persino sulle leggi del parlamento.  Abramo della bibbia si racconta avesse deciso di uccidere il figlio Isacco per piacere a Dio. Oggi lo si considera un crimine, ieri invece rappresentava un gesto di sottomissione alla divinità sacrificando le cose e le persone più care. Sansone gridò:” perisca Sansone e tutti i filistei” facendosi crollare così il tempio addosso per coinvolgere nella rovina anche i nemici. Era un modo di dare lode a Dio sterminando chi in lui non credeva. Suicidio? Non passava nemmeno per la testa. Era martirio, atto eroico come i nostri kamikaze.  S.Tommaso nel 1200 sosteneva che a questo mondo ci vuole chi comanda e chi sta sottomesso. Quindi padroni e schiavi. E ha dato pure dei principi perché gli schiavi restassero tali e tali continuassero ad essere i padroni. Non si sognava di abolire la schiavitù perché contro la dignità dell’uomo. Semplice, era la morale del tempo che si vedeva garantita la continuità della società. Gli esquimesi di qualche secolo fa per la mancanza di generi alimentari e per l’eccessiva crescita della popolazione abbandonavano i vecchi a morire fra le placche del ghiaccio, non certo per crudeltà ma per necessità di alimentare le nuove generazioni.  Per noi è immorale questa mancanza di assistenza, oggi senz’altro, ma mettendoci nei panni loro, al loro posto, la cosa diventa relativa. Appunto relativismo accettabile. Per non affermare tutto e il contrario di tutto si deve dunque ammettere che esiste un relativismo buono ed uno pericoloso. Ma affermare tout court che oggi viviamo in pieno relativismo, veleno della nostra società, lo scomunicarlo significa fare una lettura partigiana del mondo nel terzo millennio. E gli esempi sarebbero infiniti. Importante è capirne la chiave di lettura. Non sono i principi assoluti, eterni, non negoziabili che fanno un comportamento onesto o disonesto, ma il soggetto stesso che riesce a riflettere su che cosa si compie, chi lo compie, perché lo compie, in quali circostanze lo compie, quali effetti ha previsto, quali alternative ha preferito o tralasciato. Quindi condannare in modo sommario e sbrigativo la cosiddetta etica della situazione (i tedeschi la chiamano Siti im Leben) potrebbe essere ottusità mentale e ignoranza delle coordinate psichiche dell’uomo. Indubbiamente bisogna difendere e diffondere nella nostra società ideali e principi, ma sempre con qualche analisi di fondo. Cioè i principi hanno delle costanti e delle variabili. Le variabili sono le applicazioni dei principi che possono nelle situazioni evolversi.  Aggiungiamo inoltre che esistono principi e ideali. Questi sono posti sempre davanti agli occhi di tutti con la differenza che fanno riferimento al futuro, sono sovversivi (vedanesi le beatitudini di Gesù), ma vengono realizzati gradualmente.
                               Confusione morale: che cosa è il bene e che cosa è il male?
Più che il relativismo dunque è oggi il qualunquismo morale a farci paura. Oggi abbiamo pensiero debole, morale bassa, etica carente. Lo Stato efficiente è quello che fa dei buoni affari, per cui il migliore sarebbe quello di evadere il fisco, la medicina dovrebbe permettersi tutto ciò di cui è capace, dire la verità non sarebbe sempre una virtù. Se fosse così, come sarebbe possibile mantenere i segreti professionali. L’onestà non sarebbe mai la miglior politica. I criteri giusti per l’informazione non sarebbero l’obbiettività ma il sensazionalismo. Profitto sarebbe farla franca, l’unico scopo dell’economia: spendere milioni per budget militari, anziché investire risorse per la sicurezza dei cittadini, sciupare capitali scandalosi per il festival di Sanremo con un milione di euro alla Hunziker e 700 mila a Pippo Baudo anziché garantire dalla disoccupazione i precari e dalla miseria i pensionati. Oggi un comportamento è morale, cioè onesto, solo perché è normale, cioè compiuto da tutti o dalla maggioranza. La scienza è diventata la nostra parola d’ordine, scientifico è sinonimo di etico. Se scientificamente arriviamo a fare qualche cosa, significa che dobbiamo e possiamo farlo. Degrado a lungo termine, come inquinamento, desertificazione, tramonto della civiltà, estinzione della specie, depauperamento demografico, boh… no problem. Gli animali possono sopravvivere grazie all’istinto, noi non abbiamo questa fortuna. Possiamo sopravvivere solo educando e attivando i nostri poteri valutativi morali. I valori morali sono più basilari di tutti gli altri, perché riguardano non ciò che facciamo, produciamo, possediamo, ma ciò che siamo come persone. Da questo caos ci usciremo soltanto se le varie religioni del mondo potranno tra di loro solidarizzare e diventare vere agenzie di formazione umana.  Anche la nostra chiesa cattolica dovrebbe recepire tutto questo evitando le solite musiche da organetto, ricette dogmatiche, rigidità, assolutismi, piagnistei, per riscoprire invece quel Gesù del “cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia”.

Autore:
Albino Michelin
09.03.2007

PRETI SPOSATI FIGLI DI UN DIO MINORE

La questione dei preti sposati oggi riemerge a scadenza ripetitiva, con toni ed iniziative sempre più vistose.  È come un fiume carsico che sembra essere scomparso nel sottosuolo per riemergere poco oltre con impeto crescente. È un problema ondivago, cioè va e viene, esplode alla base della chiesa cattolica per venire subito dalla gerarchia romana bloccato.  Ma ecco che riappare e i guardiani del sacro non sanno più come arginare il fenomeno. È cronaca contemporanea, quotidiana. Ad esempio il 2.12.06 il Cardinale brasiliano Claudio Humes, anni 72, nuovo incaricato in Vaticano nel ministero «Clero» ti fa un'intervista sul quotidiano «O Estato de S.  Paulo», in cui saluta il suo popolo e dichiara che il celibato dei preti non è un dogma, ma solo una disciplina della Chiesa cattolica, e quindi può essere ristudiata col mutar dei tempi: quando deve cambiare, la chiesa cambia. Ma appena mise i piedi a terra nell'aeroporto di Fiumicino venne invitato a smentire tutto, a battere in ritirata. Il prelato dovendo inaugurare il suo nuovo dicastero tentò di salvare capra e cavoli, addolci la pillola, evitò trambusto nei sacri palazzi, come avvenne per la conferenza di Ratzinger a Ratisbona sulla citazione contro Maometto. Ammorbidì: «La questione non è attualmente   all'ordine del giorno».  I quotidiani e settimanali di stretta osservanza cattolica hanno pure sorvolato sull'espressione «attualmente», quelli laici invece hanno messo in risalto soprattutto quella. Per dire che l'argomento non può essere archiviato né rimandato alle calende greche. Il Cardi riale Hume non né il primo né l'ultimo a simili affermazioni. Erano ricorrenti col Cardinal Martini, arcivescovo di Milano e di attualità presso molti vescovi, anche se si esprimono con una certa diplomazia per non venire bacchettati: ma che di tutto ciò hanno il cuore gonfio. In coincidenza, come se ciliegia tirasse ciliegia, salta pure fuori ancora il pirotecnico vescovo africano Milingo, invitato in tutte le TV del mondo, anche a Matrix di Mentana la sera del 5   dicembre. Sposatosi nel 2001 pure continuando ad esercitare, fu invitato da Papa Wojtyla e dopo il colloquio sembrava fosse rientrato nei ranghi lasciandosi dalla novella sposa. Negli ultimi mesi invece è tornato alla ribalta e come un tsunami va raccogliendo preti sposati e istituendo convegni, gruppi, associazioni per loro e con loro. Vera crociata contro il celibato obbligatorio dei preti. Sottolineo «obbligatorio» in quanto pure Milingo, come innumerevoli altri rispettano il celibato opzionale e liberamente scelto. In effetti anche nella su citata trasmissione ebbe a dire: «anni fa il Papa mi ha pregato di non farlo soffrire, di non creare uno scisma e che lui in qualità di pontefice avrebbe affrontato l’argomento. E io per rispetto verso un anziano sofferente, basandomi sulla sua promessa sono rientrato. Io voglio bene al Papa, dico per lui tre rosari al giorno, ma anche lui su queste cose deve tornare a Gesù.  La Chiesa non deve interrogare se stessa, ma il Signore del Vangelo. Dopo il mio ritorno a Roma il Papa non ha studiato un bel niente, anzi ha chiuso ancor di più tutti i catenacci. E così io sono comparso di nuovo sul ring per difendere il diritto del Santo Vangelo, il libero celibato dei preti. Milingo mica tanto pirata, mica tanto macchiettista. In effetti sabato 9 dicembre 2006 ha organizzato negli Usa un grande sit-in con preti sposati e questo desidera compiere in tutti i continenti. I preti nel mondo sono oggi 405.000, mentre nel 1978 si attestavano sui 421.000, quindi con una diminuzione del 4%. Certo il calo non è dovuto solo all'obbligo del celibato ma senz'altro anche ad esso.
                        Celibato dei preti, una tradizione costante, ma senza radici
Fa meraviglia che scrittori cattolici sul tipo di Vittorio Messori vadano sulla stampa internazionale a divulgare simili affermazioni: «il celibato risale alla chiesa delle origini, all'epoca apostolica». Premesso che anche qui va riaffermato il celibato come «consiglio» sì, come obbligo assolutamente no. Uomini eminenti, considerati tali fra i nostri cattolici, devono imparare a dire la verità storica, non manipolarla, magari col pretesto di non scandalizzare i deboli nella fede. Loro li rendono ancora più deboli. Le mezze verità fanno più male delle bugie. Non possiamo sempre andare avanti con il proibito capire, i diritti di ogni uomo sono pure i diritti alla verità. In effetti se vogliamo stare alla storia il celibato dei preti fu reso obbligatorio nel Concilio Laterano II°(1139) dopo le riforme del Papa Gregorio VII (1020-1080) e sancito nel Concilio di Trento (1545). Una tradizione nella chiesa sarebbe vincolante se si fondasse su detti, fatti, comportamenti voluti da Gesù, dalla sua prima comunità cristiana. Nel nostro caso non è così. Gesù ha guarito Ia suocera di Pietro, ma non gli ha imposto di abbandonare la moglie per seguire il Maestro. La maggioranza degli apostoli era sposata e Gesù non ha rimproverato loro di essere figli di un Dio minore.  L'apostolo Filippo aveva 4 figlie (Atti 21,1). Paolo nelle sue lettere a Timoteo e Tito mentre vede consigliabile che tutti siano celibi come lui, però non impone a nessuno tale stato di vita, ma raccomanda che i vescovi abbiano comportamento onesto ed una moglie soltanto. Né si può obbiettare che il celibato obbligatorio fosse sottinteso, come una semente depositata nella predicazione di Gesù e che lungo i secoli fosse sbocciata, fiorita, ed avesse esigito una codificazione tassativa come l'attuale. Gesù nel suo messaggio ha espresso chiaramente l'amore al prossimo e le sue varie costellazione nell'attuarlo. Ma poi non ha esibito un codice di obbligazioni, un ricettario di comandi e divieti, tipo questo in argomento.
                                      Matrimonio dei preti, merce di scambio?
Studiosi seri attraverso prove storicamente sempre più documentate sostengono che il celibato sacerdotale è diventato lentamente obbligatorio per dei motivi che oggi sono superati o si possono facilmente ovviare. Cioè la misoginia e il conflitto d'interessi. Il primo: la donna veniva considerata essere subalterno, in parte immondo, atto solo alla procreazione dei figli. Concetto fortemente sottolineato da S. Agostino verso il quarto secolo, il quale dopo di aver convissuto per 15 anni con una single ed aver avuto un figlio illegittimo, si convertì o si voltò dall’altra parte e divenne fervente antifemminista. L'altro motivo, il conflitto d'interessi. Convenienze sociali, per cui il celibato poteva impedire ai preti di formarsi dei propri clan familiari, schiatte dinastiche, caste legate alla parentela. Il nepotismo dei papi ha causato tanti guai (è vero), chissà dove avrebbe condotto il figliolismo di tanti preti (si dice): a dilapidare i beni della chiesa. Ad entrambe le motivazioni oggi si può trovare risposta. Costatiamo il positivo contributo portato oggi dalla donna in società, nella scuola, nella religione. Perciò qui discorso chiuso: la donna moglie di un prete potrebbe essere un'ottima collaboratrice nella pedagogia della fede. In quanto al conflitto d'interessi, una legislazione ecclesiastica ad hoc potrebbe situare il prete nella condizione di non nuocere finanziariamente, e di non fare il maneggione: il suo stipendio e fermo lì. La gestione dei beni in mano ad una comunità di laici come nella prima chiesa, dove il denaro e l'assistenza venivano distribuiti attraverso i diaconi, mentre al presbitero (prete) era demandata la divulgazione della parola di Dio. Oltre a questi due motivi non andrebbe dimenticato un dubbio che potremmo chiamare «merce di scambio». Cioè non risponde a verità che nella chiesa cattolica vengano riconosciuti solo preti celibi. Ad un certo punto e per certi versi pare che tutto faccia brodo. Sposati sono i preti cattolici della chiesa siriana, armena, copta, antiochena, melkita, etiopica, e quelli di rito orientale. Sposati possono esserlo una ventina di preti (numero anagrafico attuale) della diocesi di Lungro (Cosenza) Calabria, con i territori di Firmo e Castroregio e S. Paolo degli Albanesi (questo in Basilicata). E non come dei fuoriusciti, ma come un " gran dono di Dio" secondo la definizione del loro Vescovo Sotir Ferrara. Cioè un fiore all'occhiello della chiesa cattolica. Ma l'origine di questo privilegio lascia perplessi. Cioè nel 1596 alcuni della gerarchia cristiana ortodossa si dichiararono disposti a passare alla chiesa cattolica e di riconoscere il primato del papa se questi avesse loro e ai suoi successori concesso il libero celibato e matrimonio dei preti. E il contratto o baratto fu concluso. I successivi ucraini e albanesi che immigrarono nei nostri paesi su citati si portarono dietro anche questo cimelio. Così abbiamo oggi preti calabresi e lucani sposati con tutte le benedizioni di Santa Romana chiesa, con tanto di moglie, figli, facoltà di messa, confessione, oli santi.  Stupisce che persone che da 70 anni frequentano la messa tutte le domeniche e bazzicano in tutte le sagrestie non conoscano queste realtà e continuino a definire apostati gli ex preti o i preti sposati. Merce di scambio si è pure verificata di recente qualche anno fa quando il Cardinal Ratzinger accettò nella chiesa cattolica preti con moglie convertitisi dal protestantesimo. Ad andare in fondo, questo come si vede è tutt'altro che un dogma di fede o volontà di Dio, è una prassi a macchia di leopardo. Una disciplina a fisarmonica.
                                    Nessuna fuga in avanti, ma ritorno alle origini. 
Non tengono più in definitiva certe obbiezioni funzionali in materia. Che il matrimonio dei preti ovvierebbe al calo delle vocazioni e alla penuria del clero, che anche i preti cattolici sposati come i pastori protestanti avrebbero figli drogati e spose infedeli. Aspetti secondari. Noi invece dovremmo batterci per un diritto ed il suo esercizio. È un diritto evangelico per un prete scegliere entrambe le strade: o celibato libero per una convenienza e testimonianza spirituale, oppure matrimonio. E questo indipendentemente dal fatto che il clero sia o meno in crisi di identità, di numero, di presenza. Allo scopo di evitare traumi nei confronti degli inossidabili devoti una soluzione intermedia sarebbe quella optata pure da certo Padre francescano Frate Cantalamessa, predicatore televisivo, che plaude all'iniziativa di dare il sacerdozio a persone sposate, padri di famiglia che lo desiderino e che manifestino passione, competenza, fede. Altro che crisi di vocazioni! E qui non si fa nessuna fuga in avanti: è solo un ritorno alle fonti, al Vangelo di Gesù.

Autore:
Albino Michelin
15.02.2007

LA DODICENNE STUPRATA: DI CHI LA COLPA?

Caro Direttore,
Ritengo che le insinuazioni espresse dal signor Albino Michelin nei confronti delle donne sono inqualificabili. L'auspicio è che siano le donne a rispondere a costui, che parrebbe nutrire lo stesso pensiero del mufti australiano, e trovare pure la soluzione alle non poche violenze sessuali o carnali commesse dagli extracomunitari provenienti da certe zone, il quale, come scrive il Corriere della Sera dichiara: «Se porti fuori della carne nuda ... e i gatti arrivano e la mangiano ... di chi è la colpa, dei gatti o della carne lasciata scoperta? La carne nuda è il problema. Se la donna rimanesse nella sua stanza in casa con il velo non ci sarebbe problema». Alle dichiarazioni del mufti, benanche parrà folle, è bene che il signor Michelin sappia che il versetto 223 della sura Il° del Corano dice: «Le vostre mogli sono per voi come un campo da arare, aratelo quando lo desiderate...». Quale la conclusione? Che quando non possiedi un campo da arare e carne da mangiare, ara un campo qualsiasi e sfamati con un pezzo di carne che trovi in strada. Detto ciò, con meraviglia apprendo che il signor Michelin si scandalizzi che la dodicenne si sia inventato lo stupro, in una società ove da anni i genitori sono obbligati a delegare la televisione ed estranei per l’educazione dei figli che non possono scendere in strada, perché ad ogni angolo c'è il peccato capitale. Per cui una risposta avrebbe potuto trovarla tra le oscenità trasmesse dalle reti pubbliche e private. Ma soprattutto ciò che mi è difficile comprendere è il fatto che egli non si sia posto il problema che la dodicenne, ossia che la bambina è imputabile perché dalla legge è ritenuta incapace di intendere e di volere. Infatti l'art. 85 del Codice Penale dice: «Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso non era imputabile. E' imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere». Mentre l'art. 97 dice: «Non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso il fatto non aveva compiuto i quattordici anni». Significando che l'incapacità di intendere e volere è la ragione per la quale la bambina s'è inventata lo stupro. Ma perché incolpare un marocchino? Semplice, perché le reti televisive in quei giorni mandarono in onda notizie relative a stupri commessi da extracomunitari «marocchini». Motivo per il quale è ingiusto ch'egli abbia criminalizzato e deriso la stragrande maggioranza del Popolo d'Italia, reo d’inscenare fiaccolate dopo violenze sessuali, vere o presunte, quando il sospettato è un marocchino. Quel signore non ha compreso che  la  gente  da  molti  anni  percepisce una  connessione  tra  la propria  insicurezza e l'immigrazione, anche marocchina; che in certi quartieri gli stranieri sono gli italiani, che nei quartieri  periferici  o direzionali al calar della  sera la gente ha paura ad uscire di casa; che i rappresentanti dell'ordine non si  arrischiano  a perlustrare quei quartieri dove delinquenti e criminali importanti li hanno trasformati in  rifugi inviolabili; che oltre il 50% dei furti consumati in Italia è opera di extracomunitari; che  anche nelle rapine improprie ossia quando la violenza viene esercitata dopo che il bene è  stato sottratto, per  esempio l'impedimento di essere fermato è di oltre il 50% ad  opera  di  stranieri; che solo qualche anno fa a Bologna oltre il 70% dei detenuti per droga erano stranieri; che a Torino e Milano era il 70%; che il 60% dei detenuti minori rinchiusi nelle nostre carceri sono extracomunitari, che tre marocchini furono arrestati perché con le rapine terrorizzavano le farmacie. Che dal Corriere della Sera ho appreso che un marocchino tenta di violentare la sua ex fidanzata. La ragazza lo denuncia e lo fa arrestare. Il marocchino le dice: «quando esco ti ammazzerò»; che un marocchino clandestino e senza documenti ha violentato un bambino di 10 anni; che un algerino ospite d'una comunità (somigliante ad un marocchino) aggredisce una bambina a passeggio con la mamma per le vie del centro, la bacia sulla bocca e fugge, viene arrestato con l'accusa di violenza sessuale. Che umiliati trattati come bestie, costretti a stare in fila indiana con le ginocchia per terra, al buio e senza fumare. Tutto per una dose. Così i buoni «marocchini» clandestini e spacciatori di morte trattavano i tossicodipendenti. L'elenco di gravi reati, comprendente i più efferati delitti commessi dai marocchini richiederebbe molto tempo. Tuttavia non posso non ricordare il dolore della mamma che la sera del 31 dicembre del 2001, un minorenne marocchino con un coccio di bottiglia gli ha ucciso il giovane figlio.
Caro direttore, riferisca al signor Michelin di non indignarsi che un giovane marocchino sia stato denunciato ingiustamente da una bambina. Semmai lo faccia per il peccato capitale che marocchini e non hanno piantato agli angoli delle strade di un’Italia governata da gente sempre più cieca e sorda verso i suoi figli. In questi giorni leggo l'Eneide e sono rimasto colpito da queste parole: «Eolo, a te il padre dei Numi e sovrano degli uomini concede di placare i flutti marini e turbarli col vento; or naviga il mare Tirreno, una gente a me avversa a porta in Italia i vinti Penati; imprimi ai venti vigore, schianta immergi le navi, sperdili, e scagliane i corpi in mare!
(Franco Blumetti-Berna).

Risposta dell’autore

“Cominciamo a bonificare il nostro ambiente, cominciamo da noi”
L'intervento del Signor Blumetti merita una risposta attraverso una pacata analisi, allo scopo di evitare polemiche poco costruttive. Il dibattito culturale può elevare il livello di un giornale o settimanale, la polemica invece lo abbassa. Peccato che il lettore non abbia sotto gli occhi il mio testo originale: «Dodicenne stuprata dal marocchino» pubblicato su Rinascita il 27.10.2006. Il Blumetti giudica inqualificabili insinuazioni le mie nei confronti delle donne. Ad una attenta lettura si converrà che io mi pongo solo degli interrogativi sul fatto, sul movente, sulla famiglia, sui media, sulla TV, sul retroterra culturale della ragazzina che si è inventata uno stupro. Orbene, oggi che siamo in crisi di pensiero e di interiorità, interrogarsi potrebbe essere segno di onestà intellettuale, di rispetto verso se stessi, di ricerca della verità, supposto sempre che una verità possa esistere. Altri atteggiamenti potrebbero essere segno di superficialità e arroganza.
Primo punto: che il Corano mi dica che «la donna è un campo da arare a piacimento del contadino di turno» non mi sembra molto rispettoso della donna. Espressione che manifesta l'insolenza maschilista perpetrata lungo i secoli, e alla quale oggi le donne si sono ribellate. Con un'accelerazione affrettata anziché con una maturazione richiesta dalla gradualità. E per di più con una certa aria di trionfo. Come la Lory del Santo che in TV il 2.11.06 raccontava baldanzosa di uno stupro subito a Londra anni or sono, quasi fosse un trofeo conquistato al treno dei desideri. D'altronde a quel tempo o nel periodo della formazione del Corano, anche presso i cristiani esisteva un linguaggio insolente nei confronti delle donne. Persino qualche santo si peritava di affermare che la donna è un sacco di sterco e che le donne non hanno l'anima e che le donne vanno poste al tredicesimo rango nella scala dei viventi, subito dopo i pesci. E con ciò? Se questo avvenne non fu certo in nome di Gesù Cristo o di Allah ma nonostante i loro sublimi messaggi.
Secondo Punto: «La dodicenne non è imputabile di reato anche se ha inventato uno stupro perché minorenne» quindi incapace di intendere e volere. Nulla da eccepire su questo comma della legge. Però anzitutto a me interessa distinguere il fatto legale da quello morale. Cioè non perché un gesto, un atto è protetto dalla legge allora anche automaticamente diventa morale, onesto. E qui il discorso si potrebbe ampliare sui contenuti di tutte le costituzioni di questo mondo, sui codici e codicilli, che rendono in nome di una certa legge legale ogni illegalità e tutti i crimini più mostruosi del mondo. Nel caso della dodicenne invece io mi pongo dal puro punto di vista morale, cioè dell'educazione alla coscienza, alla lealtà. In effetti non è leale condannare una persona (marocchino o meno) come mio aggressore se in realtà non lo è stato. E qui ovviamente si chiamano in causa i genitori, coloro che hanno ricevuto come dono dalla vita (o da Dio, veda Lei) una creatura che per la sua innata fragilità abbisogna di accompagnamento, di esempio, di motivazioni, e anche di un minimo di controllo. Piuttosto che delegare i figli a terze persone o alla Tv, caro Blumetti, i figli lasciamoli dove sono, non mettiamoli al mondo. Avremo meno gatte da pelare, o meno grattacapi. Può darsi che Lei consideri i figli una benedizione di Dio, come può darsi che li consideri frutto dell'impulso umano per l'istinto di una permanenza e di una sopravvivenza del proprio io sulla terra. In questo caso, faccia come me, non metta al mondo dei figli. Ci sono altri modi per sentirsi importanti e utili in questo mondo.
Terzo punto. «Il marocchino». E dagli con questi marocchini. La lista di delinquenza a carico degli extracomunitari da Lei citata risponde a verità, nulla da eccepire sul dato quantitativo. Né io sono così facilone e pacioso da lasciare aperte le porte a tutti i vandali, e che se uno ti percuote una guancia offrirgli anche l'altra. La Legislazione in merito all'immigrazione deve essere severa, e va fatta rispettare. Però poi il discorso va umanizzato. Ad esempio io ho avuto la fortuna di passare la mia vita sempre a servizio degli immigrati. Sono in Svizzera, quindi per gli immigrati italiani, e appartengo all'Ordine Scalabrini, un gruppo di missionari che in tutto il mondo seguono la realtà immigratoria, prima quella italiana oggi quella multietnica. Persino al centro del Brasile. È ovvio che con questo tipo di formazione il mio approccio è sempre di comprensione verso lo straniero, ieri l'italiano oggi un chicchessia. E mi ricordo ancora quando in Svizzera i marocchini e gli albanesi eravamo noi. Certo, date le leggi qui esistenti, non si compivano atti di macrocriminalità, però delle intemperanze, illegalità ed altro sì. In maggioranza frutto del disagio sociale. E appena alla Migros scompariva una cassetta di birra si gridava subito: «sono stati i cincali»! Eravamo i capri espiatori. Nel mio articolo in discussione volevo sottolineare che sarebbe anche opportuno valorizzare quei pochi o consistenti gesti di altruismo e di onestà compiuti dagli extracomunitari e perché no anche dei marocchini. E' la piccola semente che fa crescere la pianta, il male si vince con il bene non viceversa. Con il suo intervento non so dove l'interlocutore mi vuole collocare. Glielo anticipo: amo fare l’opinionista, cioè descrivere un fatto, analizzare le conseguenze prodotte nella società, esporne gli aspetti positivi-negativi, dare una mia opinione al più possibile motivata e fondata con argomentazioni ragionate. Comunque se il Signor Blumetti mi ha letto qualche volta (collaboro da diversi anni su Rinascita) si accorgerà che non sono un tipo allineato, né salto sul carro del vincitore di turno, ma sufficientemente appassionato per cogliere in tutte le vicende umane l'essenziale, il prioritario, e se possibile porre anche un po' di Vangelo che non sia l'oppio dei popoli, come ieri, né un pretesto elettorale dei politici come oggi. E se mi permette, caro Signor Blumetti, oltre che battere in testa ai soliti marocchini, guardiamoci anche noi italiani. In questi giorni Napoli è un Afghanistan, un Iraq fratricida, non fra sanniti e sciiti, ma tra i figli dello stesso sole mio. Sono i fondamentalisti devoti di S. Gennaro non di Allah, portano impresso il tatuaggio di P. Pio sul loro petto, non di Maometto. Eppure si ammazzano, violentano, stuprano, si fanno giustizia sommaria fino alla terza e quarta generazione. Non sono marocchini, sono napoletani siamo italiani. Cominciamo a bonificare il nostro ambiente, cominciamo da noi.

Autore:
Albino Michelin
17.11.2006

LA DODICENNE STUPRATA DAL MAROCCHINO

Giovedì 21 settrembre 06 ad Angola, paesino a 15 km da Bologna. L'anno scorso era già successo in città, con una quindicenne violentata in un parco da due marocchini. Poi a novembre con una trentenne aggredita alla fermata dell'autobus, un solo sospettato, un magrebino. Poi nel luglio di quest'anno con una minorenne di 17 anni, anche qui un presunto marocchino responsabile. La penultima all'inizio di settembre con una donna di 33 anni sfuggita all'agguato del violentatore. Il caso ultimo, questo ad Angola, cambia la vittima ma non lo scenario. Verso le ore I7 del 21 settembre la ragazza torna a casa sconvolta, non riesce nemmeno a parlare, paralizata dalla paura e dallo choc. Ansimando biascica quattro parole: «...oh mammi ... mammi ... dopo la scuola ho attraversato il parco pubblico ... da retro un cespuglio sono usciti 4-5 marocchini… oh mammi, mi hanno acccerchiata, presa per la le braccia, gettata a terra, abbassato i   pantaloni,  mi tenevano incatenata. . . oh mammi, da dietro la pianta esce un altro maroc- · chino con una lametta in mano, che strazio, mi hanno rasato il pube e tutti mi hanno stuprata ... oh  mammi che dolore,  voglio morire, voglio uccidermi ... sono  rinvenuta in mezzo all'erba e tutti  erano  fuggiti...». La mamma ovviamente va fuori di senno, urla, diventa una lupa, una jena, si attacca al telefono, chiama la polizia, il pronto soccorso, la stampa, la televisione. Grida attorno allo stabile: «Ancora questi marocchini, mi hanno rovinato la figlia, violentata, povera bambina, mandiamoli tutti a casa, tutti in galera . . .». Ovvio, si mobilita tutto il circondario, arrivano squadre mobili, giornalisti, cineprese, telereporter. La bimba riesce a dare tra i singulti qualche connotato: «è un marocchino, sui 20 anni, con una maglietta Dolce e Gabbana». Scattano le operazioni: la traumatizzata viene condotta all 'ospedale Maggiore di Bologna. La polizia qualche ora più tardi rintraccia il marocchino Dolce Gabbana in piazza del paese, e lo traduce in questura. Il mondo dei media e stampa sbatte il mostro in prima pagina su tutti i giornali: «Nel Bolognese, ancora un marocchino stupra una dodicenne». Le notizie televisive serali sono tutte sul fattaccio, il popolo italiano reclama giustizia contro l'osceno figuro e contro tutti gli extra comunitari. Il giovane incriminato, all'anagrafe Mehdi, anni 21, sostiene tutta la notte fino all'alba che lui non c'entra, non era al parco, a quell'ora si trovava a fare il pizzaiolo. E si chiedeva: «Ma perché io?». Dall'altro lato della città la bambina ricoverata in stato confusionale, ma da tutti gli accertamenti non le riscontrano lesioni gravi né gli effetti di un rapporto sessuale consumato. Al test psicologico qualcosa comincia a non tornare più, la versione della fanciulla incespica, poi crolla. La dodicenne ha inventato tutto. E' stata vista in quel pomeriggio nel parco da un gruppo di amiche mentre si abbandonava a procaci effusioni con l'amichetto quindicenne. Il timore che esse lo andassero a raccontare alla mamma, con la previsione di passare dei brutti guai. Il giorno seguente sabato 23 settembre stampa e TV, il battage pubblicitario a smentire: non c'era nulla di vero, la ragazzina s'è inventata lo stupro, era uno scoop. Alla fine della telenovela restano dei seri interrogativi. Come mai una bambina a quest'età si può inventare la mitomania dello stupro?  Che razza di genitori e di madre ci stanno dietro? Sappiamo che molte donne vengono violentate da bruti e in modo brutale, ma l'astuzia femminile non ha anche dei limiti?  Spesso in effetti molte che si piangono come vittime risultano poi le vere impuntate. E' giusto che nel reato di violenza sessuale si sia "invertito " l’onere della prova? Cioè l'accusato debba essere lui a dimostrare la sua innocenza e non l 'accusatrice a dimostrare la di lui colpevolezza? E come mai si ricorre sempre al capro espiatorio, cioè al marocchino? Certo una bella fiaccolata di protesta contro gli stranieri stupratori (anche quando il porco è lo zio Ciccio) è sempre un bel vedere. Viene di certo la Tv e il telegiornale!
                                    Non dimenticare tutta una cronaca bianca
Marocchini ed extracomunitari che muoiono negli incidenti sul lavoro, o per salvare qualche italiano che diversamente avrebbe perso la vita. Chi mai ricorda o ha interesse di ricordare quel senegalese, Chiekh Sarr, morto a Grosseto il 14.8.04 per trarre in salvo un bagnante, sparito subito dopo il salvataggio senza nemmeno ringraziarlo, lasciando in Africa la giovane moglie e una bambina di 10 mesi. E come dimenticare quella ragazza di 27 anni, Iris Palacios Cruz, che sabato 26 agosto ‘06 non ci ha pensato due volte a gettarsi in acqua sulle spiagge di Livorno per salvare la nina Letizia Fiaschi di 9 anni? Aveva interrotto l'università, lasciato il suo paese per l'Italia e guadagnare qualcosa per la sua famiglia poverissima, ancora clandestina in attesa del permesso di lavoro, una delle tante badanti che si portano la morte nel cuore! Gesti di immenso eroismo, abnegazione, sacrificio. Non si meritano tanto una medaglia d'oro al valore civile, che forse l'avranno anche ricevuta. Costoro ed innumerevoli altri chiedono un'inversione di tendenza nella nostra mentalità. Sarebbe ora cioè anziché vedere in ogni persona un cittadino o uno straniero, apprezzare invece un essere umano, al di là della sua carta d'identità. E giudicare un essere umano non per la nascita o l'origine, ma per i comportamenti, Perché Tv, stampa, persino il «Corriere della Sera» nazionale sguazzano solo in queste fogne di dodicenni stuprate per smentire tutto un'ora dopo? Sono a servizio dell'informazione, della formazione o della sensazione? Il marocchino Mehdi, bravo ragazzo di 21 anni, onesto pizzaiolo in quel di Bologna disse: «ora pretendo le scuse, da questa ragazza, dai suo genitori e da tutti quelli che hanno inscenato questa diffamazione, e poi io islamico marocchino me ne andrò da questa Italia cattolica e razzista. Sì purtroppo Mehdi è ritornato per sempre in Marocco, lasciando a noi in eredità degli interrogativi pesanti.

Autore:
Albino Michelin
27.10.2006

PAPA RATZINGER NELLA POLVERIERA ISLAMICA

Martedì 12 settembre 2006 per Benedetto XVI ritornato in Germania e all'Università di Ratisbona dove ha insegnato dal 1969 al ‘77 deve essere stata la giornata più nera della vita. Se non altro per le conseguenze innescate dopo la conferenza. Non dimentico della sua professione di teologo tenne una magistrale lezione sul tema: «Fede, Ragione, Università».  In sintesi afferma che è secondo la fede usare la ragione dell'agire umano, e che è secondo ragione professare la propria fede in Dio. Più semplicemente: è contro la ragione usare violenza per costringere alla propria fede (discorso rivolto all'Islam), come è contro la ragione eliminare Dio per vivere nel relativismo e nell’indifferenza (discorso rivolto all’Occidente). Fin qui il messaggio fila liscio, nulla da eccepire.  L'occasione o la miccia per la rivolta mondiale, perché così si è rivelata, sta nel primo dei 4 capitoli (nostra articolazione funzionale), quello introduttivo che l'illustre referente avrebbe anche potuto tralasciare senza perdere nulla della sostanza.  Egli cita un passo dell’imperatore cristiano Bizantino, Manuele iI Paleologo, che “in illo tempore” (1391) conversando con un discepolo così si espresse: «Maometto ha portato solo cose cattive e disumane con la sua direttiva di diffondere per il mezzo della spada la fede che egli predicava». Tutto qui, non una riga in più, non una riga in meno, in un discorso di circa mezz'ora. Però ad un'attenta e ripetuta lettura di tutto il testo, al di là dei nostri schieramenti di parte, si constata che Ratzinger non prende le distanze da questa citazione, la espone semplicemente, come in vetrina. Sarebbe come se uno dalla nostra sponda opposta ci gettasse sul tavolo il brano di Matteo quando nel Vangelo Gesù dice: «non crediate che io sia venuto a portare la pace, ma la spada». Ovvio che se noi non la inseriamo la frase nel suo contesto ci viene da concludere che in quanto a fede-ragione, spada-guerra santa Gesù e Maometto sono due fratelli siamesi. Altra considerazione in merito. Forse tutto questo baccano si sarebbe potuto evitare se pensiamo che nel 1391 le otto-nove crociate dei cattolici, indette dai papi contro l'Islam, erano appena terminate e non c'era stata da parte dei musulmani nessuna guerra santa contro l'occidente. Aver riaperto la piaga è risultato anche per gli storici inopportuno. I rapporti fra i due avevano avuto pure tempi di comune collaborazione e di splendore nell’arte e nel pensiero.  In effetti filosofia e teologia cattolica devono ringraziare gli arabi Averroè e Avicenna se ci hanno tradotto la logica dei greci antichi, quella che fece da supporto all’impianto della nostra dottrina da S. Tommaso (1200) a oggi.
                                                       Il testo della discordia 
Il battere in testa solo Maometto ha lasciato il dubbio di una certa parzialità. Perché anche S. Bernardo (1090-1153) era stato in qualche modo sulla stessa linea. Questo grande dottore.  Della chiesa, fondatore di abbazie e riformatore della vita monastica, difese egli pure la santità della guerra (=guerra santa) condotta in nome di Cristo: «chi uccide un infedele (=islamico) è strumento nelle mani di Cristo per punire un malvagio, è un difensore dei cristiani. Se invece è lui ad essere ucciso, si deve affermare che non è morto, ma ha raggiunto lo scopo della sua vita». Strano, ma qui S. Bernardo anticipa i kamikaze. Se Papa Ratzinger avesse abbinato con la citazione su Maometto anche quella su S. Bernardo avrebbe completato il quadro; equilibrato gli opposti. Cioè a quel tempo, nessuno, né cattolici, né islamici usavano della ragione per propagandare la loro fede, ma la violenza. E quindi l’invito a tutti per convertirci superando la nostra storia fatta di troppo sangue in nome del proprio Dio. Che se alla fine vogliamo spingere il discorso all'estremo sostenendo che noi cattolici oggi siamo diventati civili, ma loro sono rimasti barbari, allora dobbiamo concludere di dare tempo al tempo, di aver pazienza (attiva!), che gli islamici sono oggi quello che eravamo noi ieri. E lasciamo stare i mea culpa. Se non ci fosse stata la contestazione interna dei protestanti nel 1500, il martirio del Savonarola e Giordano Bruno voluto dalla Santa inquisizione, Cartesio con l'avvento delle scienze moderne, l'illuminismo, il Razionalismo, la Rivoluzione Francese del 1790, la teoria marxista e del profitto, l'origine della democrazia e dei diritti dell'uomo, (tutte cose condannate pure dai papi del tempo fino al modernismo) noi non saremmo arrivati qui.  Grazie alla chiesa o nonostante la chiesa? L'interrogativo resta aperto, ma una cosa è certa. Che lo Spirito del Signore è riuscito a scrivere diritto attraverso le nostre righe storte, e ci ha condotto in più spirabile aere. Non potrebbe avvenire così anche per gli islamici, i quali finora non hanno avuto nessuna contestazione interna e nessun laicismo incalzante dall'esterno? 
                                        Il Vaticano mette mano agli estintori
«Voce dal sen fuggita più richiamar non vale», dice il poeta. La citazione di Ratzinger ha fatto in un lampo il giro del mondo, un big-bang, l’effetto di un detonatore. Il mondo   musulmano, il mondo della gerarchia ecclesiastica, il mondo dei tecno, cioè dei cattolici conservatori. L'integralismo islamico forse non attendeva altro che questa occasione, quale pretesto per ricominciare. Immagini del Papa bruciate sulle piazze, effigie del pontefice con la tiara in testa recante la svastica di Hitler, la bocca eruttante sangue, con la scritta «sgozzatelo». Gli addetti al Vaticano e alle congregazioni di curia allertano subito i vari nunzi di dialogare con i governi musulmani, tentano di ricucire lo strappo. Ma molti maomettani chiedono dal Papa pubblica ammenda e ritrattazione. Altri bruciano le chiese cristiane, altri uccidono come in Somalia Suor Leonella. Pur sapendo che la maggioranza degli islamici è moderata, che un terzo è già laico come gli adepti marocchini che passano al divorzio, donne senza velo, figli col contagocce, o come gli adepti nei Balcani che hanno reinterpretato il ramadan e le leggi sul cibo, però in questa circostanza del libello papale hanno fatto quadrato con gli integralisti, moderati e laici. E' il risveglio dell'identità di razza, non gettare il sasso nel vespaio. L'Episcopato italiano arruolato dal presidente Card. Ruini, si dichiara sorpreso e addolorato, chiede preghiere e sostegno in tutte le chiese a pro del Pontefice, frainteso e calunniato. Sul carro saltano anche i nostri politici che definiscono ignobile la reazione islamica, sollecitano anche i comuni per emanare dispacci di solidarietà a Ratzinger. La proposta del comune di Bergamo è stata dalla maggioranza di centro sinistra bocciata, in provincia e in diocesi si è mobilitata tutta una confraternita di flagellanti. Prodi, capo del Governo italiano, è stato assalito in Parlamento perché non lasciasse il Papa solo nel suo dolore. Al che con ironia (che si sarebbe potuta risparmiare) rispose che il Papa ha le sue guardie e può farsi difendere da loro. Al di là dell'ironia, meglio sarebbe stato rispondere: «Il Pontefice sa già quello che dice e che deve dire. Non ci insegnate voi che egli è infallibile, assistito dallo Spirito santo? Non ha bisogno dunque di avvocati difensori». 
                                        E se l’avesse fatto intenzionalmente?
C'è chi, specie fra i cattolici conservatori e falangisti, scarta l'ipotesi di una gaffe, di una svista, di una mala interpretazione e sostiene che Ratzinger va preso alla lettera, l’ha fatto intenzionalmente e bene fece, pane al pane e vino al vino, ora sappiamo chi sta di qua e chi sta di là. Potrebbero avere ragione costoro. In effetti chi conosce bene il carattere e fa cultura di questo Papa sa che egli è un identitario, cioè sente molto e difende alacremente l'identità cristiana. Peccato che tutti i nostri reporter, giornalisti e pure vaticanisti abbiano dimenticato il documento che egli scrisse quando era prefetto della dottrina della Fede «Dominus Jesus» (Signore Gesù) del 5.9.2000. In esso egli sostiene che solo Gesù Cristo è l'unico Salvatore del mondo, che la vera religione è quella cattolica, le altre come l'induismo e il buddismo, ecc.: sono filosofie e che il protestantesimo e gli ortodossi non sono la chiesa doc, ma gruppi religiosi, chiesuole. Anche allora creò scompiglio, ancorché il contenuto fosse più leggero e discorsivo. Dei cardinali come Cassidi e Martini parlarono di un documento inopportuno e che la salvezza è possibile anche per chi non crede in Gesù Cristo. La domenica seguente pure Papa Wojtyla si scomodò all'Angelus per metterci una pezza. Ora dell'intervento di Ratisbona non ci si deve meravigliare. Questo è il pensiero di Ratzinger, coerente con se stesso, egli ha voluto ripeterlo. Forse non si aspettava tanto clamore. Si spiegò la domenica 17 settembre 2006 ma non si piegò, si rammaricò per il trambusto non previsto ma non si scusò, né ritrattò. Onore al merito per aver ripreso l'osservazione, senza scomunicare nessuno e senza darsi l'aria di vittima incompresa. Benedetto XVI però ci permetterà un'osservazione. Abbiamo tutti il diritto alla verità, ma anche la verità ha i suoi diritti, nel modo, nel dove, nel quando. In un mondo oggi così carico di tensioni, dove le tre grandi religioni si sono tutte arroccate per gestire la loro identità fino all'intolleranza (Cristianesimo, Islamismo, Ebraismo), anche una piccola, breve, ma pesante citazione del genere può scatenare una polveriera. Una goccia di arsenico può avvelenare tutto l’ambiente. Anni fa la conseguenza del documento «Dominus Jesus» fu che il dialogo con i protestanti si bloccò. Oggi si blocca quello con l'Islamismo, nonostante le operazioni di restauro cui si tenta di ricorrere. Va soprattutto presso quest’ultimo emergendo la sensazione che noi si usa il dialogo come proselitismo, cioè per convertirlo alla lunga alla nostra causa. Un grosso equivoco. A noi la scelta

Autore:
Albino Michelin
13.10.2006