mercoledì 13 gennaio 2016

IN ITALIA RICCA LA CHIESA POVERO LO STATO

Molti si chiedono in questo periodo a quale complicità mai si debba assistere nei rapporti tra vaticano e chiesa da una parte, politica e governo dall’altra.  Si meravigliano perché ad esempio in Svizzera abbiamo sì una chiesa istituzionale e gerarchia come in tutte le parti del mondo, però più silente, propositiva, comprensiva. Quanto sta avvenendo questi giorni in Italia, aprile 2007, è vera guerra di religione con una paese spaccato in due. Scritte a vernice multicolori sulle facciate delle chiese di Torino, Milano, Genova, Bologna, Napoli che non si vedevano nemmeno ai tempi del 1948 quando per le strade si cantava Bandiera rossa e si voleva tagliare la testa ai preti e a lor signori. Il tenore degli attacchi murali da un mese a questa parte li conosciamo tutti: ”Bagnasco (presidente dei vescovi italiani, dotato pure di una scorta a carico dello Stato italiano, cioè del nostro popolo contribuente) vergogna, Bagnasco a morte, Bagnasco attento ancora, ...fischia il vento, Ruini-Bagnasco-Ratzinger assassini, Ruini trans, preti, vescovi, cardinali i veri pedofili”. Per non menzionare il volantinaggio in una chiesa di Genova la notte i Pasqua con la distribuzione di immaginette non di P.Pio, ma porno con la Madonna bisex. Ovvio che tutte le persone con un po’ di sale in testa condannino simili volgarità, questa escalation anticlericale. Però una domanda si impone: da dove trae origine tutta sta virulenza? Dall’odio contro Dio e contro Gesù Cristo di cui il Cardinale e curia vaticana sarebbero messaggeri? Purtroppo qui Dio e Gesù Cristo c’entrano poco, anzi niente. Tentiamo una risposta abbastanza semplice: dal fatto che la chiesa italiana a differenza di tutte le altre chiese del mondo si è gettata a pesce nella politica, specie nella legge in discussione riguardante le coppie di fatto e omosessuali. Il botto finale è stata la recente affermazione di Bagnasco che cioè gli omosessuali sono simili agli incestuosi e ai pedofili. Salvo poi a modificare il tiro, sullo stile di Berlusconi (qui te lo dico e qui te lo nego) lamentandosi di esser stato frainteso. Nella circostanza non giova ripetere quanto già a tutti noto. La chiesa cattolica come tutte le altre ha il diritto di predicare il suo vangelo e tale diritto nessuno glielo può impedire, ma non ha il diritto di rompere l’anima a mezza Italia come sta facendo. Questa pesante ingerenza nei processi legislativi è fuori luogo, soprattutto ordinando ai politici cattolici di votare in parlamento contro determinate leggi. Se no siamo dalla parte dei talebani e degli islamici fondamentalisti che difendono con la spada i dogmi delle loro dottrine. E allorché la chiesa si mette in politica deve accettare anche le conseguenze, fischi e fiaschi compresi. Ma alla domanda posta è opportuno andare oltre. D’onde nasce questo interventismo della Chiesa a gamba tesa nei confronti dello stato italiano? Risposta lampo: dai soldi. I soldi provenienti dal Concordato e dal potere che da essi ne deriva. Sì, perché questa è la logica dei soldi: i soldi fanno potere, il potere fa soldi ed entrambi fondano il diritto o meglio l’illusione di essere padroni anche in casa altrui. In un’analisi di questo tipo va fatta una debita distinzione: noi credenti ci identifichiamo con la chiesa popolo di Dio, fondata da Gesù di Nazareth, nella quale gerarchia e istituzione sono necessarie per un servizio di animazione e di testimonianza evangelica e nella quale noi pure ci sentiamo dentro e dentro ci vogliamo stare. Ma dissentiamo da quella istituzionale (sia essa italo-gerarchica o vaticana) allorché con l’anacronistico “animus pugnandi” (furore agonistico) vuole fare di tutto e di tutti una repubblica cattolica, sotto una specie di redivivo stato pontificio.
                         Dal Concordato Stato-Chiesa alla nuova Costituzione italiana.
Ho citato il Concordato e giova una dilucidazione in quanto qui risiede la fonte dei possibili sconfinamenti. I cattolici italiani sono digiuni di questo trattato e pochi preti si danno la briga di una indispensabile informazione, dibattito, cultura. È scomodo. Stipulato fra il governo Mussolini e il Papa Pio XI l’11 febbraio del 1929 inizia nel nome della Santissima Trinità, ma poi sviluppa tutto un discorso di carattere finanziario. Si prende atto della nascita della città del Vaticano, con sua autonomia territoriale e giuridica. Ad esso regalie in beni immobili, in esenzione dalle tasse, in privilegi di varia natura. Ad esempio il Papa gode di immunità quale Sovrano Re, i cardinali quella dei principi. Il Concordato chiude le tribolazioni e le vicissitudini sorte nel 1860 con l’unità d’Italia e nel 1970 con la presa di Roma, dopo di che il pontefice venne liberato e spogliato dello Stato Pontificio, con regioni come Marche ed Umbria, cui seguirono scomuniche a grappoli e a raffica contro i nostri avi sequestratori. Si risolse quel contenzioso con la legge delle Guarentigie o garanzie del 13.5.1871 cioè con un atto unilaterale dell’Italia che riconobbe al Papa un risarcimento annuo pari agli odierni 12 milioni di euro. Che se poi si volesse andare indietro nel tempo il discorso si farebbe lungo. Basta dire che verso il 320 Costantino fece al Papa Silvestro la famosa donazione del suo impero (verificatosi poi documento falso) a dimostrazione fra l’altro che molta chiesa più che a Gesù Cristo si convertì all’imperatore e ai suoi patrimoni. Aggiungiamo che nel 754 Pipino il Breve fece a Papa Zaccaria concessione di larghi territori quale ringraziamento allo stesso pontefice per aver preferito i Franchi ai Longobardi. Questo solo a dimostrazione che il rapporto con il denaro è DNA, sangue nelle vene della chiesa cattolica. Contestazioni non mancarono: i valdesi con il sacco dei penitenti reagirono a tanto fasto ma furono dichiarati eretici(1187) e San Francesco tentò con i suoi di vestire il saio dei contadini. Certo una chiesa viva, quella della gente comune, quella del popolo esiste, ma ciò non toglie che l’attuale chiesa italiana risenta del brodo culturale-economico di una lunga storia. Per cui anche il Concordato del 1929, come poi la sua revisione del 1984, ci presenta due contraenti, ma non sullo stesso piano. Un primo (la chiesa) in posizione di superiorità e che prende tutto, un secondo (L’Italia) in posizione di svantaggio e che cede tutto. La nostra Costituzione(17.12.1947) dirà che Stato e Chiesa sono ciascuno nel proprio ordine sovrani e indipendenti (art.7) però di fatto se non vi è l’approvazione vaticana, i Patti Lateranensi inclusi nel Concordato non si possono cambiare. Solo nel caso quindi che sia d’interesse alla santa Sede. Di qui la soggezione permanente dei nostri governanti al papa, ai cardinal di stato, ai vescovi, al clero. È potenza economica che dal denaro si sente tentata o legittimata a sconfinare nella politica e a gestirla essa stessa in prima persona. Lo dimostra l’invasione clericale in TV e nei media. Ma come sopra detto, con i rischi e reazioni del caso: anticlericalismo e ipocrisia ossequiente.
                               L’otto per mille, una valanga di soldi alla chiesa cattolica.
Con questa storia plurisecolare alle spalle arriviamo alla legge del 20.5.1984 in cui viene istituito il meccanismo dell’8 per mille, entrato in vigore il primo gennaio 1990. In questa convenzione la borsa dell’Italia verso la chiesa si è allargata ulteriormente. Firmato da Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio e dal Cardinale Casaroli per la santa Sede, ecco il testo: "Una quota pari all’8 per mille sul reddito annuo delle persone fisiche è destinato in parte a interessi umanitari gestiti dallo Stato, in parte a scopi di carattere religioso a diretta gestione della chiesa cattolica”. Un finanziamento che giunge ogni anno a quote elevate, circa un miliardo di euro. Creando fra l’altro a causa di un particolare meccanismo disparità con le altre confessioni religiose. Esempio degli ultimi dati: soltanto il 30% degli italiani si è espresso nella dichiarazione scritta a favore della chiesa, ma in pratica essa ha usufruito dell’87% di tutte le entrate. Di cui il 47% alle esigenze di culto, il 34% al mensile stipendio per 38 mila sacerdoti, il 18% per opere di carità e terzomondismo. Tale ammontare non è sotto controllo alcuno, allo stato si invia un resoconto annuale approssimativo. Il tutto è centralizzato a Roma e la gestione non molto assembleare potrebbe avere investimenti discutibili, anche a scopo politico, come l’invasione di manifesti e volantini pubblicitari per il referendum sulla procreazione assistita del 2005. Inoltre agevolazioni come l’esenzione dell’ICI, dalle tasse sulle aziende commerciali gestite dalla chiesa e dalle parrocchie, stipendio statale garantito agli insegnanti di religione, la cui nomina però dipende dal solo vescovo. Per non parlare poi delle scuole private, tenute in maggioranza da ecclesiastici, a cui lo Stato garantisce sensibili sostegni finanziari non ostante ciò venga escluso dalla costituzione (art.33). Ed altri innumerevoli contributi come il finanziamento delle acque vaticane e 30 milioni di euro nel 2004 per l’impianto d’acque autonomo. A tutto ciò si aggiunga che il vaticano possiede ben tre istituzioni finanziarie: la Banca centrale, il ministero dell’economia, e lor (Istituto opere di religione) in cui è lecito dubitare della trasparenza dei conti in quanto il bilancio non è accessibile al pubblico. Una conseguenza, se non altro come dubbio legittimo: che la chiesa italiana intervenga così di rado contro la corruzione sia dello Stato come dei privati cittadini, contro l’illegalità, contro tangenti ed evasioni fiscali potrebbe trovare spiegazione che essa stessa è un po’ troppo impegolata in queste pastoie,  preferisce quindi puntare tutte le sue batterie sul sesso, contro le coppie di fatto, gli omosessuali, i divorzi, ecc. limitandosi  ad una sfera abbastanza secondaria nei confronti  invece del messaggio principale: amare il prossimo, non giocarlo, non deluderlo, non sfruttarlo sull’uso della roba.
                                       Ritornare ad essere una chiesa missionaria.
Vi sarebbe una soluzione a tutto questo grigiore? Senz’altro. Basterebbe riferirsi al Documento del Concilio Ecumenico ”Gaudio e Speranza” nr.76: ”L a chiesa non basa la propria missione sui privilegi offerti dall’autorità civile e s’impegna a rinunciare all’esercizio dei diritti legittimamente acquisiti quando il loro uso possa far dubitare della sincerità della sua testimonianza (7.12.1965). Certo ingenuo sarebbe sostenere che la chiesa deve mantenersi a pane ed acqua e rinunciare al denaro, utile senz’altro per mantenere l’istituzione come laboratorio di idee evangeliche e soprattutto a favore dei bisogni mondiali e dei poveri. Ma usarlo con altre modalità: trasparenza, gestione laicale, controllo. Nonché più modestia: rinuncia all’abbigliamento imperiale dei suoi prelati, al camauro e alla mantella d’ermellino papale, alle tube e alle tuniche dorate dei suoi cardinali e monsignori. Tutto questo sa di partito borghese e la chiesa partito non è. Si confronti con la chiesa svizzera: si potrà giudicare quest’ultima di essere abbiente e forse troppo taccagna. Ma bisogna darle atto che è trasparente, che i soldi delle tasse di culto (una specie dell’8 per mille) non vanno in mano né i vescovi, né ai preti, ma gestiti dalla comunità cristiana con precisione e controllo da una commissione revisori dei conti. Da cui vescovi, preti, missionari, addetti al ministero ricevono lo stipendio, ma guai poi ad intascare tangenti. In Italia si smetterà di fare politica smaccata, si acquisterà una credibilità di chiesa che al momento è in costante calo.

Autore:
Albino Michelin
19.04.2007

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