domenica 29 luglio 2018

QUANDO LE DONNE PIANTANO IL CHIODO

"La donna è mobile" canta il duca di Mantova nel terzo atto dell’Opera Rigoletto di G: Verdi(1851). Un’aria popolare a tutti nota. Però non si confondano arte, musica, fantasia con la realtà. Oggi forse il costume sta cambiando. Tutto è mobile, non soltanto la donna. Ma altro è riconoscere parità di diritti e di uguaglianza uomo-donna, altro è la pretesa di livellare i due mondi, sino ad annullarne le differenze. Per quanto la natura, quella umana compresa, sia evolutiva, non si può ipotizzare che ciò avvengano un prossimo futuro. Al di là dell’aria popolare di G. Verdi, non vanno sottovalutate le caratteristiche profonde dei due sessi. L’uomo è portato più alla produzione, al mondo esteriore, all’organizzazione, alle cose. La donna di più all’assistenza, al mondo interiore, alla spiritualità, alla formazione, alle persone. Intuitiva, costante nelle decisioni, insistente, si identifica con i suoi progetti, non dimentica, riemerge a onda lunga. Non molla mai l’osso. Questo modello viene alla mente anche in questioni attuali, ad esempio in riferimento al ruolo della donna nella chiesa, sacerdozio femminile incluso. Papa Wojtyla aveva a suo tempo bloccato il discorso senza discussione e di autorità. Che la donna non faccia il prete è volontà di Dio. Argomento archiviato? Per i maschi sì, ma per le donne no. Anzi si amplia a macchia d’olio in molti altri aspetti e in ogni occasione. Ne fa fede il recente libro di Jaqueline. Straub: ”Perché voglio diventare prete”. Si chiede perché dobbiamo restare bloccati da reliquie di una prassi bimillenaria e che alle parole roboanti rivolte alle donne dagli alti palazzi, in cui le si esaltano come coraggiose, intelligenti, perfino geniali non sia mai seguita alcuna concessione sul piano delle responsabilità e del potere. Escluse da ogni ambito della direzione e ministerialistà della chiesa. In tutti i parlamenti del mondo le donne siedono con competenza e professionalità, solo in vaticano le donne sono ridotte a portaborse, o poco più, non accettate a capo di dicasteri, come quello della famiglia, dell’educazione, della canonizzazione dei santi, occupati con i denti mascellari e accuratamente da cardinali maschi. Si inventano ostacoli pseudo teologici, ma la questione è sempre la stessa, ”destino fisiologico e biologico.” Le donne devono sempre fare la voce grossa per ottenere un cambiamento. In questo contesto significativa è la presa di posizione della Conferenza Americana Femminista, già attiva dal 1975 che ha divulgato di recente un questionario: ”Dopo 5 anni di pontificato di Bergoglio che cosa è cambiato nel binomio chiesa-donna”. Già qui si nota un bel coraggio. Agli uomini non interessa, siamo ancora alla calzetta, ma le donne rilanciano. Senza mettere in discussione la validità globale e profetica di papa Francesco nel suo complesso, però nel dettaglio esprimono le loro riserve in riferimento all’ultima esortazione ”Gaudete ed Exultate “ del 19.3.2018. Dichiarano che tale documento non ha suscitato in loro interesse come le precedenti esortazioni, specie sul significato della santità, in cui vengono coinvolte di ambiguità. Esprimono inquietudine per questo ulteriore esempio di romanticismo popolare in cui le donne si trovano posizionate quali proiezioni di ideali teologici maschili con scarsa consapevolezza delle realtà da loro vissute. Non accettano di venire considerate nella chiesa come il “genere altro”, demonizzato nel passato dagli insegnamenti cattolici ufficiali, romanticizzato e patrocinato oggigiorno, quasi richiesta di scusa. Un senso di enfasi e di euforia, più di convenzione che di convinzione. E qui ti fanno suonare un campanello di allarme al nr.12 di “Gaudete…”, in cui si dice che il genio femminile si manifesta in stili femminili di santità. Il termine “genio della donna” lo trovano di una banalità vacua, quasi ironica. Tanto è incluso che il nostro corpo femminile, continuano le donne, ci impedisce di rappresentare Cristo sull’altare, estranee alle istituzioni della leadership educativa nella chiesa. E poi passano al nr.118 della stessa esortazione, dove rilevano un conflitto sempre legato alla questione del genere, in cui Papa Francesco affronta la relazione fra umiltà e umiliazione. Nodo scoperto per le donne, che ovviamente risentono nel loro DNA le umiliazioni inferte loro dalla storia patriarcale del passato. L’umiltà secondo Bergoglio, può radicarsi nel cuore soltanto attraverso le umiliazioni, senza di esse non c’è né umiltà, né santità. L’umiliazione porta ad assomigliare a Gesù. Le donne considerano inappropriato questo approccio alla santità che contraddice alla passione di Papa Francesco per i poveri, i discriminati, gli umiliati. Non è vero che un rifugiato, un torturato, una vittima di abusi, una donna intrappolata in un matrimonio violento stiano imparando una lezione di umiltà. L’umiliazione degli impotenti non è un cammino verso la santità e verso l‘umiltà né per l’autore, né per le vittime. L’umiltà è segno di maturità e di autoconsapevolezza dei propri limiti, ma l’umiliazione non andrebbe mai accettata e tanto meno santificata. Non è questa una reazione insubordinata nei confronti del Papa, ma un’osservazione riferita al maschilismo innato ed occulto in ciascun uomo di chiesa, forse rimasuglio del grande e troppo esaltato Concilio Vaticano II, (1962-65) il quale sotto il Cupolone ha raccolto in assise ben 2500 partecipanti, di cui però solo 16 donne (9 nubili e due vedove di guerra). Proprio per questo Bergoglio vede di buon grado la proposta del viennese Card. Schönbrunn di organizzare un nuovo concilio ecumenico a favore del sacerdozio femminile. Un bel risultato. Importante oggi è seminare: a suo tempo si potrà anche raccogliere.

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Albino Michelin
25.07.2018 

sabato 28 luglio 2018

PER UN DIALOGO RELIGIOSO FRA CRISTIANI E ISLAMICI

Ci mancava solo questa, una giornata annuale dedicata al dialogo ecumenico fra cristiani e islamici. Si, è vero e cade il 27 ottobre. E siamo giunti già alla diciassettesima edizione, essendo stata istituita nel 2001 in seguito alla islamofobia cresciuta dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York. Programma e coordinamento sono un impegno della rivista “Dialoghi di Monteforte Irpino” che nel mese scorso ha inviato una lettera di augurio e di sostegno di “Buon Ramadan” celebratosi dal 14 maggio al 16 giugno, nono mese lunare del calendario Islamico. Un periodo di preghiera e di digiuno come prassi di tutte le più importanti religioni allo scopo di intrattenersi per un certo periodo con la propria fede. Ad esempio per i cristiani i 40 giorni di quaresima. In Italia con 2,6 milioni di Musulmani il Ramadan è visto come una stranezza e giudicato con ironia. L’anno scorso la giornata ha avuto come di consueto una valenza formativa, con partecipazione di diverse comunità cristiane ed islamiche a Roma, Parma ed altre città ponendo come argomento di riflessione: ”Il ruolo della donna nel dialogo interreligioso e interculturale.” La nostra società occidentale è percorsa da una sempre più feroce islamofobia. Un razzismo su base religiosa per nulla nuovo nella storia dell’umanità, variante di quell’antisemitismo che ha caratterizzato la prima metà del secolo scorso, con conseguenze mostruose per tutta l’umanità. L’islamofobia, si voglia o meno, è proprio una variante dell’antisemitismo, cioè dell’odio contro gli ebrei. Gli stessi contenuti, le stesse rivendicazioni e parole d’ordine, gli stessi gruppi politici variamente mascherati che hanno sostenuto l’antisemitismo nella prima metà del 900 caratterizzano l’islamofobia attuale. E anche oggi le norme restrittive alla libertà religiosa che si vorrebbero imporre e che già operano in alcune regioni del nord d’Italia e altrove, e che il nuovo governo si appresta a estendere a livello nazionale, vengono spacciate come norme a difesa della democrazia. E quelli che alimentano l’islamofobia sono gli stessi che continuano a fomentare il mai morto antisemitismo, che però oggi si cerca di addebitare agli arabi e musulmani in genere, tentando di falsificare la storia perché, diciamocelo chiaro, l’antisemitismo è una malattia tipicamente cristiana, che nasce agli albori del Cristianesimo, Europa dalle radici cristiane, fin dal terzo secolo d.C., quando l’originario movimento dei seguaci di Gesù di Nazareth si trasformò in religione dell’impero romano, che doveva differenziarsi dalle altre religioni esistenti e rivendicando potere e superiorità su di loro. E dobbiamo confessare che l’antisemitismo è un nervo ancora scoperto delle chiese cristiane che tendono a negare le proprie responsabilità alle violenze in questo settore compiute lungo i secoli. L’islamofobia oggi si scarica soprattutto sulle donne musulmane vittime principali, sistematicamente offese e aggredite per il loro modo di vestire che offenderebbe, secondo gli aggressori, la libertà delle donne occidentali. Negato loro l’accesso ai lavori che comportano un rapporto con il pubblico perché portano il velo. Con questo non intendiamo il burka che copre totalmente il viso. Una vera velofobia irrazionale che denota gravi problemi psichiatrici per i maschi occidentali che della battaglia contro il velo hanno fatto la loro ragione di vita. Sono gli stessi non a caso che sostengono la legalizzazione della prostituzione. Vogliono le donne prigioniere di un modello culturale utile a fini pubblicitari in quanto è dimostrato che la sessualità è un potente stimolo per gli acquisti. Modello culturale sostenuto dalle Tv fognatura, che produce i continui femminicidi e le sempre crescenti molestie sessuali, cui sono sottoposte milioni di donne italiane e non. Donne cristiane e donne musulmane possono dunque insieme opporsi ad una modello di società che le schiavizza sotto forme diverse. Al momento il dialogo è difficile, come lo era cinquant’anni fa quello fra cattolici e protestanti. Difficile ma ineludibile e non differibile. Le comunità musulmane sono attaccate nel loro diritto di esistere attraverso una campagna forsennata di chiusura dei loro luoghi di culto, tipo moschee, che con motivazioni fra le più aberranti cerca in ogni modo di identificare l’islam con terrorismo. Le comunità cristiane d’altra parte che tentano anch’esse il dialogo sono accerchiate perché praticano l’accoglienza ai migranti. Vengono spesso aggredite e minacciate da forze politiche che si ergono addirittura a custodi della dottrina cattolica. Si pensi alle violenze non solo verbali contro il parroco di Vicofaro (Pistoia) che accoglie nelle strutture parrocchiali una novantina fra senza tetto italiani e profughi africani, e che l’estate scorsa condusse in piscina una gruppo di questi ultimi, premio per aver aiutato come cuochi e camerieri nella festa “Amici di Francesco”. Dileggiato il prete, bucate le gomme delle bici dei sistemati nella struttura. Penoso che all’interno della stessa chiesa vi siano gruppi religiosi fondamentalisti addestrati alla battaglia contro l’Islam e contro tutto ciò che vi ha attinenza. Inaccettabili mercenari quei mercanti nel tempio che giurano pubblicamente su Vangelo e rosario per reclutare militanti alla bisogna. Una componente importante del mondo cristiano fa parte di questa crociata, più interessato allo stato quo, alle devozioni, ai ritualismi senza slancio evangelico e missionario verso le periferie. Non occorre fare demagogia gridando ”siamo tutti musulmani”, ma convincersi che qualsiasi arbitrio fatto contro i musulmani è un arbitrio nei confronti degli appartenenti a qualsiasi religione e a tutti i cittadini. Come anni or sono nelle parrocchie si è iniziata la giornata dell’amicizia per aggregare gli abitanti del luogo e nuovi arrivati così lodevole sarebbe già da subito l’iniziativa di organizzare ogni anno, e non solo il 27 ottobre, la giornata dell’incontro e della festa ecumenica cristiani-islamici con iniziative garantite da entrambe le parti. Con l’esposizione e spiegazione pure dei simboli islamici. Purtroppo nessuno sa che la mezzaluna è un’icona dal significato religioso e di rendimento di grazie. Una buona strada per la futura convivenza.

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Albino Michelin
16.07.2018

giovedì 26 luglio 2018

EQUIVOCI FRA LAICI E CATTOLICI

Oggi circolano delle espressioni abbastanza confuse in materia. Basta riferirci per esempio a “laico, laicità, laicista, laicismo, religione, religioso, fede, fedele, spiritualità, spiritualista…”Indicano realtà molto diverse, talvolta opposte. Se ci poniamo dal pulpito della religione, nel nostro caso della chiesa cattolica, la laicità è un nemico da combattere, è un tarlo che può corroderla e distruggerla dall’interno. Vale la pena intenderci sulle parole e sulla evoluzione delle rispettive ideologie che vi sottostanno e che attraverso i secoli non hanno sempre mantenuto il loro significato specifico. Nei primi periodi del Cristianesimo: laico, dal greco “laos” veniva contrapposto a chierico, clericale. Quasi due fazioni o partiti: il primo popolare, incolto, illetterato, ignorante. Il secondo elitario, selezionato, colto, con il compito autoreferenziale di istruire, giudicare, colpevolizzare, esigere sudditanza, condannare, scomunicare, mandare all’inferno. Significativo il caso di Canossa, (Reggio Emilia), una diatriba fra impero e papato, in cui Gregorio VII convocò allo storico castello Enrico IV, che si era permesso un colpo di testa insediando a Milano certo Tebaldo. Però lo fece attendere tre giorni al freddo e al gelo senza cibo nel rigore dell’inverno 1077 prima di togliergli la scomunica. Per cui già nel 1300 Marsilio da Padova iniziò con norme giuridiche a rivendicare l’indipendenza dell’impero dal papato. Per tali premesse ovvio che con il tempo si scivolò verso l’anticlericalismo contro l’invadenza del clero. Fenomeno che assunse forma più marcata dopo il Rinascimento con l’illuminismo, corrente che riteneva prioritario credere al lume della propria ragione prima che all’autorità della chiesa. Anticlericalismo che diventò polemico e mangiapreti da Pio IX quando avversò l’Unità d’Italia nel 1860 e poco dopo condannò con il “Sillabo” le nuove scienze e la libertà di coscienza. Ne fa fede a cavallo del 1800-900 la rivista “L’ Asino”, un vero zibaldone di cotte e di crude contro il clero. Sentimento che non diminuì con Mussolini per il concordato Stato-Chiesa(1929), con Papa Pacelli per la scomunica dei comunisti (1948). E siamo arrivati all’oggi in cui almeno ci si è fatto chiarezza sui termini. Per laicità si intende indipendenza della stato dalla chiesa, sia pure nel rispetto e talora sostegno giustificato. Mentre laicismo vorrebbe significare opposizione contro l’interferenza e i diktat della religione nella vita politica. E nell’attuale società si intuisce la scomparsa o una rilevante diminuzione dell’anticlericalismo a vantaggio di una tolleranza delle diversità. Non esiste più una marcata differenziazione fra il laico, il religioso, lo spiritualista. Cioè possiamo incontrare gente che si definisce nello stesso tempo laica (fede nell’uomo e i valori umani), religiosa (praticante saltuario ma credente in un essere superiore), spirituale (autocosciente, responsabile nei confronti del sacro personale e trascendente) Senza polemiche, scandali, scomuniche. Il che non ha niente a che vedere con il relativismo, o la liquidazione dei principi, ma solo non una doverosa chiarifica delle proprie scelte. Se passiamo però da questa impostazione teorica al rapporto della chiesa e della cattolicità verso lo Stato si notano delle resistenze: la tentazione del cesaropapismo. Cioè Papa-re, chiesa referente e interferente politico. E di qui atei e agnostici che improvvisamente si spacciano per apostoli folgorati sulle via di Damasco e che astutamente ti strumentalizzano chiesa, dogmi, Bibbia, devozioni a scopo dei loro interessi e soprattutto del loro successo politico. Nel cinquecento si diceva “cuius regio eius et religio”. Che fa la religione e l’appartenenza politica di un popolo e di una regione è il duca di turno. E i nostri politici (non entriamo nella bontà o meno del loro partito, qui non c’interessa) con scaltrezza al momento opportuno ti mettono sul mercato radici cristiane, Vangelo, santi, madonne, culto del santo chiodo, delle reliquie, feste patronali, tutto fa brodo a scopo elettorale. Non mancano le conferme. Alla fine della campagna elettorale (marzo 18) Salvini in piazza duomo di Milano agita il crocefisso e giura sul vangelo di difendere i valori della tradizione cattolica (cha fra l’altro inculca l’unità della famiglia, ma la sua l’ha sfasciata) e astutamente censura la parola di Gesù che suona: ”ero forestiero e mi avete accolto (Mt.25,35) Amatevi come io vi amato…Gli ultimi siete tutti fratelli figli dello stesso padre…” Che questa sia prostituzione del sacro al popolo non interessa. A Napoli Di Maio si mette in processione, secondo un antico cliché alla guisa dei suoi predecessori, e nell’ostensione del sangue di S. Gennaro va a baciare la reliquia, incurante dell’igiene e pericolo dei batteri. Il popolo in delirio lo voterà in massa. A Brugine in provincia di Padova nei giorni precedenti la pasqua il sindaco Giraldo fa costruire 17 crocefissi da appendere nelle aule scolastiche che ne erano prive. L’ossessione del crocefisso in quelle terre paga a suon di voti. I nuovi politici sono vecchi dentro per ingraziarsi chiesa e devoti suoi. Ma non mettiamo sulla graticola solo gli italiani, tutto il mondo è paese. In Baviera il leader M. Söder impone il crocefisso all’ingresso di tutti gli edifici pubblici. Per non parlare dell’ipocrisia dei nostri quando siedono in parlamento: fucile spianato contro l’aborto, testamento biologico, eutanasia, omosessualità, jus soli, diritto di cittadinanza… e poi nel loro comportamento chi se ne frega. Con lauti guadagni degli elettori se ne vanno ai confini del mondo per esaudire i loro sfizi. A tirar le somme: meglio un sano ateismo e laicismo che un falso e bolso cattolico clericalismo

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Albino Michelin
12.07.2018

domenica 15 luglio 2018

CATTOLICI IN CONFUSIONE PER TANTO POCO

Non vale la pena qui perdersi in diatribe fra cattolici conservatori e progressisti, perché per tutti il termine di riferimento dovrebbe essere il vangelo. Le correnti o le religioni e relative interpretazione qui non entrano in linea di conto. Nemmeno interessa la distinzione fra dogmi fissi ed immutabili della chiesa da una parte e costituzioni, encicliche, leggi ad tempus dall’altra. I cattolici comuni non fanno queste distinzioni, invece si chiedono come mai nel passato, non importa se fino a 20 o a 70, anni erano tenuti ad obbligazioni addirittura sotto pena di peccato, ed oggi di peccato non si parla quasi più. Quasi storditi si chiedono: ma cambia anche la religione? Per certa gente la domanda è seria. Soltanto che le risposte la chiesa non si è mai o si è poco preoccupata di darle, ripiegando sul solito “proibito capire obbligati a obbedire”, oppure è arrivata in ritardo, o addirittura aspetta che la gente divenga più ”matura”. E intanto i buoi sono già scappati dalla stalla. Il discorso non vale ovviamente per tutti i cattolici, i quali si potrebbero distinguere in due categorie, anche se con espressioni inadeguate e non se ne offendano: cioè i sedentari stanziali e i ricercatori critici. I primi sarebbero i fondamentalisti, saldi nelle verità certe e sicure, e anche coloro che preferiscono una religione ed un catechismo ripetitivo, senza preoccuparsi dei perché, un po’ pigri, seduti comodi in poltrona, paghi delle loro certezze. In genere gli anziani, non quelli anagrafici, ma quelli nati vecchi pure ventenni e allergici al pensare. Dall’altra parte vi sono invece i ricercatori critici o che desiderano motivare la propria fede, e dei cambiamenti farsi una ragione. L’esigenza che la chiesa dia risposte secondo le mutate esigenze dei tempi in continua evoluzione. Se ad esempio quelli della prima categoria vanno ad una messa in cui il prete parla all’antica, ripete le solite cose sia pure edificanti, magari con linguaggio altisonante e minaccioso allora si trovano a loro agio. E ti ripetono che loro vanno in chiesa per Dio, non per il prete. Ma se ti capitano da un prete che traduce il vangelo in discorsi di attualità e fa riflettere, lo tacciano di contestatore, dissenziente, fuori di testa, lo disertano ed emigrano altrove. I secondi, spiriti critici, invece se nelle funzioni religiose s’incontrano con un tipo del genere se ne vanno perché ti addormenta, non è comunicativo, resta in bigoncia, per niente accogliente, ti racconta la storia dell’orso, e non li vedi più. E ti ripetono che loro non vanno in chiesa per Dio, ma per il prete se glielo rende interessante. Non è certo questa l’unica spiegazione del calo a picco delle messe festive, ma non l’ultima. La legittima preoccupazione da parte del clero di tenere al sicuro le pecorelle nell’ovile e quindi non destabilizzarle sarà una preoccupazione legittima, ma forse è preferibile oggi la fedeltà alla verità e di conseguenza che ciascuno tiri le somme delle proprie scelte. Qualche esempio delle ”confusioni”, dalle più insignificanti alle più complesse. Nella messa fino a poco tempo fa era proibito prendere l’ostia in mano e masticarla. Oggi invece è cambiato tutto. Si prende e si mangia. Una volta era proibito fare la comunione se non si era digiuni dalla mezzanotte, oggi la si fa anche poco dopo aver consumato un lauto banchetto. Una volta era proibito leggere la bibbia, persino con scomunica dei papi e recentemente aberrazione dei testimoni di Geova, oggi invece si inducono tutti a studiarla e meditarla. Una volta era obbligatorio il digiuno e l’astinenza dalle carni al venerdì, oggi invece ci si abbuffa tutti i giorni eccetto qualche rara occasione, come il venerdì santo. Un tempo i cattolici che si permettevano di diffondere le loro idee contrarie alla tradizione venivano condannati quali eretici al rogo, vedi Savonarola, Giordano Bruno, ecc. Oggi invece corre il libero pensiero, scomparsa la pena di morte. Una volta era proibita la comunicazione con gli ebrei, rei della crocefissione di Gesù, i rapporti con Lutero anticristo e i protestanti, oggi invece si deve dialogare, e magari anche imparare da loro. Una volta si dichiaravano guerre sante a liberare il santo sepolcro e contro i musulmani, oggi invece si dice che Dio non è cattolico, è di tutti e bisogna fare testimonianza e non proselitismo. Un tempo la devozione ai santi era radicata nel popolo, oggi ti vengono a dire con la riforma di Paolo VI del 1966 che S. Marina, S. Sabina, S. Giorgio, Santa Filomena e tanti altri sono leggendari, per niente storici e mai esistiti. Ai tempi di Gesù gli apostoli si sposavano e avevano la libertà di scelta, oggi invece un prete sposato viene esonerato dall’incarico. Fino a qualche tempo fa i fidanzati che convivevano prima del matrimonio erano allontanati come concubini ed eventualmente sposati per penitenza alle prime luci dell’alba, oggi invece conviventi, separati, sposati in civile vengono contattati e pressati per fare il sacramento ecclesiastico. Ieri i divorziati venivano esclusi dalla comunione oggi si concede loro il diritto al discernimento secondo coscienza e se la possono fare. E avanti con una infinità di casi. E la gente, quella in genere dei cattolici tradizionalisti e conservatori, a chiedersi “ma chi ne capisce più qualcosa”? E con un certo ammutinamento ti dicono di perdere la fede. La risposta potrebbe essere scontata: basterebbe che preti, catechisti, insegnanti si prendessero cura di spiegare la logica dell’evoluzione nella natura, nell’ambiente, nella cultura, nella storia, nella tradizione, nella psicologia, nella formulazione religiosa, nel magistero, distinguendo il tronco dalle foglie, l’essenziale dall’effimero. Diversamente per delle piccolezze si finisce nel caos cattolico. Certo è ad ogni modo opportuno che un prete o chi per lui allorché parla ufficialmente distingua con esattezza ciò che la chiesa ritiene per definitivo, ciò che ritiene per riformabile, ciò che ritiene in fase di studio. E’ per questo motivo che il sottoscritto modestamente dopo di aver pubblicato nel 2017 il volume “Interrogativi sulla esistenza umana” si sente in dovere di dare prossimamente alle stampe un secondo dal titolo ”La costante e le variabili della fede e della morale nel nostro tempo”.

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Albino Michelin
09.07.2018

sabato 14 luglio 2018

AIUTARLI A CASA LORO: MA QUALE CASA!

La solita domanda che circola talvolta con troppo cinismo:” come mai spendiamo 35 euro al giorno per ospitare un migrante se con 6 dollari al giorno potremmo renderlo felice a casa sua”? Intanto i 35 euro non provengono dalle tasche degli italiani, ma di tutti gli europei. Inoltre non si dimentichi che l’Unione europea ha stabilito di triplicare il fondo assistenza emigrati dai 13 miliardi nel quinquennio 2014-2021 ai 35 miliardi nel quinquennio 2021-2026. E’ vero che i soldi degli europei sono pure in parte anche degli italiani, ma praticamente a pensarci bene sborsiamo si e no l’equivalente di un caffè al giorno, che vanno nelle tasche dei gestori dell’accoglienza, di cui due-tre euro a questi poveracci per qualche svago. Siccome nell’articolo vanno utilizzate statistiche e numeri può darsi si incorra involontariamente in qualche errore arrotondato verso l’alto o verso il basso, però i fatti e i sentimenti che vi soggiacciono sono reali e fuori discussione. “Aiutiamoli a casa loro”. Piano con le parole perché la loro casa è in vendita e sta diventando la nostra casa europea o globale. Una breve rassegna. La Corea del sud ha acquistato metà dei terreni del Madagascar. Gli Emiri arabi 400 mila ettari dalla Tanzania. La Cina in leasing 3 milioni di ettari dall’Ucraina (che non è l’Africa, ma cade sotto la stessa logica) per il suo grano. Una società inglese (N.F.C.) commercia legname in Uganda dove 22 mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni causa l’agromania degli invasori. Il Qatar si è preso in Kenya 40 mila ettari di terreno con 150 pastori e pescatori per costruire un porto sul mare. Extra africani hanno acquistato 30 milioni di ettari nell’Africa subsahariana per un periodo da 20 a 100 anni, con l’accordo dei dittatori. Popolazioni silenti, pena rischio della vita. Si vende tutto con dentro case, villaggi, pascoli, acqua. Il conto? Da due a 10 dollari per ettaro, quanto un chilo di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Si regala. Vedi lo sfruttamento dei neri da parte del caporalato per le fragole della Calabria e pomodori della Puglia. Il fenomeno si chiama “land grabbing”, cioè accaparramento delle terre. Il gruppo italiano Tozzi possiede 50 mila ettari e altrettanti la Nuova Iniziativa industriale (NII). In Etiopia, i cui mazzetti di rose arrivano sui nostri tavoli a delizia degli innamorati, i cui raccoglitori vengono pagati 60 centesimi al giorno, dove il 46% della popolazione è a rischio di fame, capitali stranieri hanno costretto duecentomila indigeni ad evacuare la valle dell’Omo a scopo sfruttamento intensivo. E di questi capitali stranieri 200 milioni di euro sono italiani. Sviluppo a chi e per chi? I ricchi del Qatar, Arabia Saudita, Cina, Giappone, Corea del Sud, India con una mancia svaligiano tutto e nemmeno si pongono il dubbio di lasciare le cose in ordine, del “chi rompe paga”. E lo scempio del Congo, il paese più ricco del mondo e più povero, disorganizzato e turbolento. Dove ti piombano le multinazionali, saccheggiano il coltan, materiale prezioso per strumenti di elettronica, estratto perfino dai bambini nell’inferno delle miniere, e scompaiono. Quante vite costano i nostri telefonini. E noi ad infierire sui profughi, provvisti di cellulare: è proprietà loro, piuttosto noi ne siamo gli usurpatori. Per di più l’occidente lontano dagli occhi indiscreti, versa in qui territori rifiuti tossici che esso non vuole smaltire: la puzza a chi puzza. Basta sulla rassegna, ognuno può aggiungere del suo. Ma lo scandalo più grave è la vendita di armi. Lasciamo stare gli Usa, primo paese di esportazione di ordigni bellici in Africa. Usa, Francia, Corea del Nord vendono armi all’Etiopia. Gli stati europei vendono all’Africa armi per 18 miliardi all’anno. l’Italia è il secondo paese esportatore di armi in Africa. Negli ultimi 5 anni ne abbiamo venduto per l’ammontare di 17 miliardi di euro, di cui 5 nell’Africa settentrionale. Bravi, bene, così obblighiamo le forze migliori, i giovani e bambini a scappare causa le guerre tribali, li costringiamo a fuggire da noi, a destabilizzare anche i nostri ordinamenti. Ma abbiamo pronta l’obbiezione. Anche i nostri paesi occidentali nei secoli passati furono vittima di invasione e colonialismi, però si sono ribellati e hanno costruito un futuro di benessere. D’accordo, però per reagire bisogna avere gli strumenti. Le armi da noi vendute sono in mano ai dittatori e ai tribali. L’Etiopia dal 1991 ha sì raggiunto una parvenza di democrazia, il Ghana cerca di farsi strada, ma gli altri? Aiutiamoli a casa loro, ma onestamente loro a casa nostra che cosa portano? I lavoratori immigrati versano 11 miliardi all’anno per contributi previdenziali con saldo positivo per l’INPS. Essendo più giovani (un settantacinquenne ogni dieci italiani, un settantacinquenne ogni cento stranieri), godono meno del sistema pensionistico e lo foraggiano di più 620 mila italiani ricevono la pensione grazie al loro lavoro. Nel 2016 i lavoratori stranieri hanno dichiarato al fisco 45 miliardi, versando Irpef per 7 miliardi. Gli italiani pare abbiano evaso per 100 ed oltre miliardi. E non ripetiamo le stese cose, quale sarebbe il costo dell’assistenza domiciliare senza colf e badanti, o quante imprese sarebbero fallite senza un sottocosto degli immigrati. Sembra 200 mila secondo le stime. L’Africa è formata da 53 stati e conta 1.1 miliardi di abitanti che nel 2050 arriveranno a 2,4 e nel 2100 a 4 miliardi, mentre l’Europa con i suoi attuali 740 milioni e calo demografico deve ripensarsi se vuole evitare incubi notturni. D’accordo con gli italiani per una solidarietà sostenibile, compartecipata e suddivisa, ma non è sbattendo le porte in faccia e bloccando i porti che si risolve la “pacchia e le crociere”, problema gigantesco e planetario. Queste riflessioni cercano di dare la misura esatta della vergognosa mistificazione che si sta realizzando ad opera de nostri politici, l’informazione manipolata, la radice intima del razzismo di massa, che si nutre di bugie per nascondere la realtà. Ai politici basta solo la parola e la propaganda, pietanza gustosa per molti italiani e cattolici che giurando sul vangelo e sventolando il rosario vengono istigati al cinismo e all’odio verso l’immigrato” africano”. Grazie al vicentino Beppi De Marzi, compositore di fama mondiale e fondatore del coro “I Crodaioli” per la sua ultima canzone:” I bambini del mare hanno gli occhi color conchiglia”

Autore
Albino Michelin
06.07.2018