mercoledì 30 ottobre 2019

IL LIBRO: LA FORZA TERAPEUTICA DELLA LETTURA

Il libro in Italia non gode di molta simpatia. Pare che il 40% o poco più siano gli italiani che leggono un libro all’anno. Nel sud molto meno, in Calabria il 17%. I giovani in età scolastica ovviamente di più, ma poi c’è il calo degli anziani che vedono un libro all’anno per un 29%: una candela che si spegne. Il resto è tabula rasa. Si preferisce stampa di evasione, quotidiani con aneddoti o cronaca nera, o necrologi per contare i morti, oppure settimanali e riviste gossip, avventure amorose, pettegolezzi mondani, divismo, grande fratello. Anche se può nuocere al nostro orgoglio patrio va detto che noi siamo il popolo fra coloro che leggono di meno nel mondo. In Norvegia il 90% legge un libro e più all’anno, in Gran Bretagna l’86%, in Francia l’84%, in Usa e in Austria il 73% e giù a scendere. In Spagna, regione Catalogna, si è capito questo deficit e si è corsi ai ripari istituendo dal 1996 ogni anno la giornata mondiale del libro il 23 aprile, occasione per quella nazione di potenziare editori, librerie, biblioteche. Con l’intendimento a lungo termine di creare nuovo interesse: che il leggere unisce, allarga gli orizzonti, fa scoprire mondi nuovi, superare confini geografici e mentali verso libertà di pensiero e di opinione. Abitua a guardare il mondo con cento occhi anziché con due, a ospitare nella propria testa cento pensieri anziché uno soltanto, diventando così più consapevoli di se stessi e degli altri. Ogni lettura è un reinventarsi nuovi mondi, con la conseguenza che chi non legge si chiude nella grettezza, impigrisce l’intelligenza, e si penalizza per scarsa apertura mentale. Attraverso la lettura si impara a leggersi dentro, a capirsi a livello emotivo, a lavorare il proprio inconscio, a recepire la nostra profonda risonanza magnetica. Fare l’elogio del libro per molti resta solo una data decorativa nel calendario e nulla più. Quando addirittura non ci si esalta dell’orgoglio analfabetico. Come nel caso della on. Lucia Bergonzoni, sottosegretaria leghista alla cultura che si vantò in una radio intervista di non aver letto nemmeno un libro negli ultimi tre anni. Perfino il pudore culturale qui ci fa difetto. E’ per questo che abbiamo molti politici concionari che sciorinano soltanto paroloni, verbose logorree, invettive. Arenati fra le solite schermaglie delle Commissioni Cultura e Bilancio, i nostri accusano una penosa carenza culturale di base. Un vero peccato perché leggere fa bene alla salute fisica e mentale, la lettura di un libro è un’ottima terapia. A prescrivere libri come cura per i malesseri psicologici hanno cominciato ancora gli antichi greci, a dimostrazione che non si può costruire il futuro ignorando il passato. Non a caso all’entrata della biblioteca di Alessandria d’Egitto, una delle più grandi riserve letterarie del mondo, gli archeologi hanno trovato la scritta” ospedale dell’anima”. Anche il filosofo greco Aristotele era convinto che leggere fosse un modo per capire le emozioni e superare le situazioni negative senza bisogno di altre medicine. Dall’antichità ad oggi l’idea del libro come farmaco non è sparita e anzi i benefici della lettura sono stati riscontrati in diversi ambiti. Nell’800 per esempio gli ospedali psichiatrici americani scoprirono che distribuire romanzi ai pazienti migliorava le loro condizioni. Dopo la prima guerra mondiale invece la lettura venne usata come cura per i soldati traumatizzati dalla violenza del conflitto. Oggi la biblioterapia o libro terapia è diventata uno strumento usato per curare i problemi gravi come ansie e depressioni. Gli psicologi che utilizzano questa tecnica fanno una ricetta su cui scrivono il titolo più adatto alla storia clinica del paziente. Esistono gruppi che leggono insieme poesie, romanzi oppure lettere con l’obiettivo di superare situazioni particolarmente difficili. E accanto a ciò in alcuni casi si consiglia di scrivere un tema, o un diario, o una propria esperienza con la quale mettere nero su bianco le proprie emozioni. Qualche tentativo esistente pure in Italia va preso in considerazione e proposto all’opinione pubblica. Ad esempio a Firenze esiste un centro chiamato ”Piccola farmacia letteraria”. Una libreria con saggi e romanzi dove si curano i mali dello spirito, turbamenti e malesseri fisici, insonnie, stress, amore mal corrisposto, bassa autostima. Libri che si consiglia di leggere tutti d’un fiato e libri da assaporare lentamente. Ogni caso ha la sua medicina, ogni stato d’animo il suo libro. Ma siamo ancora nei tentativi, casi sporadici. Poiché soprattutto nel nord Italia nelle zone industriali, chi manifesta la passione di qualche libro si sente apostrofare:” buontemponi andate a lavorare”. E senza offesa, le nostre regioni più laboriose, industriali sono culturalmente le più arretrate. Dimenticando che una buona cultura rende di più e meglio anche sul piano della produzione e della qualità del profitto. Facciamoci pure uno sconto: sarà che per la lettura è richiesto tempo, e il tempo a disposizione in una civiltà così velocizzata è difficile trovarlo. Senz’altro vi sono attenuanti pure di carattere familiare, economico, tempo libero. Ma in genere è la passione che manca. E per creare questa bisognerebbe incominciare già dall’infanzia. Quante storie per andare a nanna. Per fortuna sta crescendo il numero dei bambini che prima di dormire si fanno leggere un libro da mamma e papà. Sembrerà una cosa vecchia in tempi di smartphone mania in un paese dove un 50% di bambini dai 2 ai 6 anni già si diletta a cliccare. Alla sera nella propria cameretta, a luce spenta quanto è bello iniziare con “C’era una volta…” e di lì escono animali alati, dinosauri, astronauti, eroine. Incontrarli, sognarli di notte, condividere le avventure con i compagni il giorno dopo a scuola, imitarne il coraggio, la forza, la generosità. Una bella iniziativa” nati per leggere” questa campagna di promozione di lettura in età prescolare. La lettura ad alta voce facilita l’acquisizione del linguaggio, stimola l’immaginazione, arricchisce il rapporto bambino-adulto. Potere del libro, quello di contagiare non solo chi ascolta, rendere più profondo e attento lo sguardo sulla realtà attraverso l’immaginazione. I bambini sono ricettivi, ma leggere fa bene anche ai genitori appiattiti spesso sullo schermo del telefonino, pc, tablet. I libri chiamano libri e diventano una buona abitudine anche da grandi. Senza dimenticare che un libro può addirittura cambiare la vita nel male e nel bene. Lo ricorda pure Dante:” Galeotto fu il libro e chi lo scrisse” riferendosi a Francesca e Paolo cacciati nell’inferno perché adulteri perdutamente innamorati. Successe anche a S. Agostino convertitosi a 33 anni dopo una vita da dimenticare allorché sentì la voce interiore:” prendi e leggi” imbattendosi in una lettera di Paolo apostolo che gli cambiò la rotta dell’esistenza. E forse anche la lettura di alcuni brani religiosi, come quelli del Veda indù, del Corano, del Canone di Confucio, dell’animismo africano e certamente molti brani di Gesù, compassionevole guaritore, potrebbero ridare un senso di vita a chi l’avesse perduto.

Autore
Albino Michelin
10.09.2019

lunedì 28 ottobre 2019

NADIA TOFFA: QUANDO LA TV PUÒ DIVENTARE UN PULPITO


Nadia Toffa deceduta per tumore al cervello il 13 agosto u.s. definita la guerriera e insignita quale cittadina onoraria di Brescia, Leonessa d'Italia sua città natale, benché quarantenne la si poteva definire ancora una ragazza, tanto era profondamente legata alla sua professione, alla passione con cui la esercitava, alla propria vita, da lei considerata una risorsa per gli altri. Faceva parte dello staff televisivo le "Jene" come reporter e conduttrice. Servizio iniziato nel 1997, ne aveva fatto parte per metà della sua vita, per cui veniva chiamata anche la ragazza dal microfono in mano. Le Jene, un programma televisivo, se pure condotto talvolta con intelligente ironia, voleva evidenziare e scoraggiare la corruzione, la malavita fatta di truffe, di menzogne, illegalità, mafie. Al limite fa una certa impressione che dalla Televisione, considerata spesso un assemblaggio di persone fanatiche di visibilità, affamate di carriera, facili al gossip e al grande fratello, bramose di consenso e di pubblico applauso possa emergere qualche voce profetica, cioè controcorrente, altruista, che impegna la propria vita in favore degli altri. Non ci sembra il pulpito adatto, tanto siamo abituati ad uno strumento di facile imbonimento e di evasione culturale. Eppure in Nadia Toffa abbiamo avuto un testimone credibile della passione in favore degli ultimi. Ha messo l'Italia sottosopra amata dal nord e dal sud perché autentica, cocciuta, perseverante, tosta. Nota per esempio la sua inchiesta sull'llva di Taranto, di cui era diventata cittadina onoraria, per la sua difesa dei bimbi minacciati dall'inquinamento del polo siderurgico locale, dove ha lanciato un progetto e raccolto 700 mila euro per un reparto oncologia pro infanzia. La storia delle mamme orfane sconvolse la giovane giornalista.  Si percepiva che la sua sete di giustizia era autentica. In effetti al suo funerale del 16 agosto, attorno alla bara posta al centro della cattedrale, sormontata da ghirlande di fiori e dalla inconfondibile cravatta nera, stava allineata una delegazione del bar Ta mburri di Taranto con lo striscione: "Je esce pacce per te … io esco pazzo per te.". Altro caso in cui essa dimostra la sua passione convinta ed altruista è quello della Terra dei Fuochi, territorio malsano fra Napoli e Caserta, dove il suolo è inquinato dai rifiuti tossici del nord e del sud con la complicità della camorra e le campagne sono invase dai rifiuti delle aziende che lavorano in regime di evasione fiscale; là sono pure arrivate le sue inchieste per dare voce alla gente bistrattata e maltrattata. Un lavoro che essa ha compiuto anche con il sostegno e l'apporto del parroco del luogo Patricelli, uno dei preti coraggiosi in un ambiente ormai invivibile. Fra i due è sorta una profonda collaborazione e amicizia tanto che Nadia gli confidò più tardi che l'avrebbe desiderata ad officiare il suo funerale. Per questa causa e professione essa ha voluto amplificare la sua voce. Non meno significativi sono i apporti che la Toffa ha avuto con la sua malattia, il tumore al cervello. Da quando in un albergo di Trieste nel dicembre 2017 fu colta da malore improvviso nessuno sospettava una fine così celere. Si ha sempre speranza contro ogni speranza che il progresso della medicina possa evitare l'inevitabile. Attraverso i media si vedeva che Nadia nel corso dei mesi sfioriva, ma la luce sincera e spavalda è rimasta integra nei suoi occhi di giovane donna. Vi sono tanti modi oggi di porsi di fronte alle malattie in modo particolare a questa che viene considerata ancora a rischio. Lei l'ha affrontata senza drammi e senza traumi. Anziché trincerarsi dietro ad un silenzio astioso verso il destino e di marginalità pudica verso la società, la famiglia, gli amici ebbe il coraggio di rivelare a tutti ciò che le stava accadendo. Era un personaggio pubblico e sapeva che i suoi ammiratori e ammiratrici si chiedevano cosa mai fosse successo a Trieste quella notte e ha ritenuto opportuno informarli. Ha avuto il coraggio di chiamare cancro tumore con il suo nome. "Questa è una parrucca" disse in una trasmissione toccandosi i capelli" e io non me ne vergogno. Non c'è niente che fa soffrire un ammalato del vivere con vergogna la sua patologia come se fosse un vizio. Più terribile della malattia c'è solo la vergogna di essere malati. Nascono i soliti sbigottimenti, scattano i soliti interrogativi che ci prendono di fronte all'esercizio del destino. Perché a me, entro quale destino si colloca la mia malattia. La risposta non ci appartiene, la vita è un arazzo alla rovescia, solo dopo la morte se ne capirà il disegno. Il Signore mi ha dato una sfida che potrò vincere, importante è mettercela tutta e combattere sempre. La vita è sempre vita anche quando pesa. Pensieri di Nadia che però con il persistere della malattia vengono seguiti da altri. Come quello su Dio: il Signore non è crudele, Dio è buono e il male non gli appartiene. La preghiera è un abbraccio E qui la Jena diventa una colomba. L'unico suo rimpianto espresso poco prima della morte: mi dispiace per mia mamma che dovrà restare sola senza di me. l funerali di Nadia furono conseguenti alla sua vita. Celebrati dal parroco Petruccelli come da lei desiderato, che fedele alla vita di lei, sviluppò la massima di Gesù: "beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati". Cui faceva da testimone un 'altra corona di fiori dei detenuti del carcere di Caserta " A te Nadia che sei sempre stata paladina di giustizia". In un'epoca come la nostra piena di odio, di rivalse, di cattiverie, di rabbia, di tutti contro tutti una giovane conduttrice ha saputo coinvolgere nobili sentimenti in una efficace azione giornalistica e televisiva. Gli indifferenti, cattolici o meno vengono scossi da questa teologia di vita espressa e testimoniata da Nadia Toffa. Appunto quando la TV può diventar e un pulpito.

Autore:
Albino Michelin
02.09.2019