venerdì 18 settembre 2015

BAGARRE ISTITUZIONALE PER LA PREGHIERA DELL'ALPINO

L’episodio insolito è successo nella Festa dell’Assunta 15 agosto u.s. al Passo S. Boldo, un valico che congiunge le province di Treviso-Belluno, durante la messa celebrata nella omonima chiesetta costruita dagli alpini. Va detto subito che il contrasto non aveva per oggetto il Corpo degli Alpini in genere e in quanto tale, ma a causa di due espressioni contenute nella preghiera dell’alpino. Prima di entrare nel diverbio va premesso il grande apprezzamento che si meritano gli alpini per la loro solidarietà nelle necessità di ogni tipo dimostrata costantemente dalla fondazione ad oggi. Un proverbio popolare dice: “Alpin scarpe grosse, cervello fin. “Da aggiungere: cuore grande. Conoscere un po’ la loro storia è una premessa d’obbligo. Nell’immaginario collettivo l’alpino è associato soprattutto al suo cappello rappresentativo con penna nera per la truppa, penna marrone per i sottufficiali, penna oca bianca per i maggiori e i generali. Storicamente deriva dal cappello di Ernani, indossato dal protagonista dell’omonima opera lirica di Verdi nel 1844. E poi il binomio inscindibile con il mulo che per 130 anni fino a dopo la seconda guerra mondiale fece dei grandi servigi per il trasporto delle armi e i rifornimenti logistici, sostituito infine dalla motorizzazione. Il Corpo alpini fu istituito il 10 ottobre 1872 da Vittorio Emanuele II, inizialmente per proteggere i confini montani dell’Italia Settentrionale, baluardo patrio “di qui non si passa “, con precise caratteristiche: senso del dovere, attaccamento alle tradizioni, orgoglio degli emblemi, spirito di corpo, solidarietà fra i commilitoni e continuità di questi valori anche una volta in congedo. Il loro battesimo di fuoco avvenne nella guerra di Abissinia nel 1887 e poi via via in tutti gli altri conflitti, prima e seconda guerra mondiale, memorabile l’inverno russo sul Don in Ucraina dove il 12-26 gennaio 1943 l’Italia conobbe la disfatta della Divisione Julia con 40 mila morti fra amici e nemici rimasti sotto la neve. Ma la specificità degli alpini più che in attività militari si distinse e continua a distinguersi per solidarietà civile e volontariato. Dal terremoto di Messina nel 1908, a tutti gli altri come al disastro del Vajont 1963, al terremoto del Friuli 1976, a quello dell’Irpinia, a quelli recenti di L’Aquila e dell’Emilia, alle varie inondazioni e disastri naturali il Corpo degli Alpini fu sempre in prima fila con sacrifici e abnegazioni. Ed anche nella missioni all’estero: Albania, Balcani, Mozambico, Bosnia, Kosovo, Afghanistan …. Attorno a loro si è creato pure tutto un repertorio musicale che la maggioranza del popolo italiano conosce ed apprezza nei numerosi concerti: La Montanara, La penna dell’Alpino, Montegrappa, Di qua di là del Piave, Valsugana, Era una notte, Sul ponte di Bassano bandiera nera, sul Ponte di Perati, Tapum, Sul cappello, il Silenzio, Il testamento del capitano, Quel mazzolin di fiori, Monte Cauriol, Da Udin siam partiti, Monte Pasubio, Signore delle cime, Nikolajewka (di B. De Marzi dedicato ai morti della campagna in Russia) ed infinite altre. Ed arriviamo alla preghiera dell’Alpino, composta nel 1935 dal colonnello Gennaro Sora e che nel frattempo ha conosciuto qualche piccola variante. Una frase recita anche cosi‘: “Dio, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana… E tu Madre, benedici i nostri battaglioni “. Il sacerdote incaricato per la messa prima della lettura pose la condizione di sostituire „armi contro“ con „anime di fronte“. Per cui tutta la frase corretta sarebbe suonata cosi‘: “Dio, rendi forti le nostre anime di fronte chiunque minaccia la nostra patria, ecc. “. Male ne incolse, il presidente dell‘ Ana (Associazione nazionale alpini) invitò i fedeli ad uscire di chiesa dove all‘esterno fece recitare la preghiera senza censure. Una bagarre all’italiana cui ovviamente si associarono i politici. E che c’entrano? Tutti leghisti che parlano alla pancia della gente? Maroni: “pura idiozia voler cambiare il testo “. Salvini, quello delle ruspe contro gli stranieri che doveva rifarsi dell’espressione di Galantino, segretario dei vescovi italiani, il quale lo aveva stigmatizzato con „sono quattro piazzisti che a scopo elettorale dicono fanfaronate e frasi insulse. “Al che il segretario Lega si sente in dovere di replicare“ sono sempre più sconcertato di certi vescovi. W. gli alpini. “Luca Zaia Governatore del Veneto, quello che dopo aver paventato la minaccia africanizzazione della regione aveva sentenziato: “i vescovi danneggiano il mio Veneto cattolico“ Il mio? E che siamo ai tempi degli imperatori stile Barbarossa? Fino a prova contraria il cattolico come qualsiasi credente in una religione appartiene a Dio. Ma qui ci interessa il suo intervento sulla preghiera alpini: “Abolire quelle parole è come vietare l’Ave Maria in chiesa, come togliere agli alpini la penna sul cappello“. Si può rispondere che l’Ave Maria è un canto amoroso, la preghiera dell’alpino un po‘ meno, in quelle due parole c‘è tutto l’opposto. Chiaro che dal punto di vista personale ogni alpino puo‘ appartenere al partito di sua scelta, ma il Corpo Alpini in quanto tale dovrebbe agire per solidarietà e la solidarietà non conosce colore politico. Insomma da una quisquiglia si è passati ad uno scontro politico-istituzionale.  Ma tentiamo di fare il punto: la preghiera è stata composta 80 anni fa, contesti storici molto diversi. Ovvio che oggi vicino alle frontiere libico-africane con centinaia di morti anche quel prete della messa si sia sentito alquanto imbarazzato a permettere in chiesa una preghiera contro i „ nemici invasori delle nostre frontiere“. Inoltre anche gli alpini dovranno concedere che, pure salvaguardando le tradizioni come da loro statuto, il mondo va cambiando e anche la religione deve dare interpretazioni attuali. E su questo sarebbero d’accordo pure i grandi alpini scomparsi della Seconda Guerra mondiale: don Gnocchi, G.Bedeschi, M. Rigoni Stern, N. Revelli, ecc. Poco tempo fa nel santo della Messa si recitava „Dio degli eserciti“, oggi lo si è cambiato in „Dio dell’universo“. Se noi dovessimo leggere in chiesa le preghiere esistenti nella Bibbia Antico Testamento e nel Corano, saremmo in stato di guerra permanente. Ne vogliamo citare una fra le tante cattoliche? „O Dio distruggi l’avversario e annienta il nemico“ (Siracide 36,6). Indubbio che gli scrittori del tempo mettevano in bocca a Dio i loro sentimenti di avversione e di odio contro i nemici e lo tiravano dalla loro parte. Bisogna interpretare, superare, attualizzare. Stiamo tentando di evitare guerre fra religioni e arrischiamo delle nuove all’interno della nostra. Ovvio che al di fuori dei momenti ufficiali religiosi ognuno può inventarsi le preghiere che vuole. Per decenni, in parte a ragione, abbiamo accusato la Chiesa di benedire guerre e armi, ed ora che un pretino od altri o dei prelati tentano di mettere un limite al catto-militarismo ne dovremmo essere grati.

Autore:
Albino Michelin
30.08.2015

INGRESSO IN CHIESA VIETATO AI RAZZISTI

Mercoledì 15 luglio 2015 su ordine del prefetto di Treviso vengono trasferiti nel Comune di Quinto, paese limitrofo di circa 11 mila abitanti 101 profughi, un gruppo fra i tanti scampati dalle tragedie del mare. Vera emergenza se pensiamo a genitori che hanno perso i figli e minorenni rimasti orfani. Vengono alloggiati in una palazzina di 28 appartamenti, di cui una decina occupati da residenti. Subito si scatena una violenta protesta da parte dei paesani. Nella notte fra il 15-16 costoro penetrano negli alloggi, confiscano tutto, asportano mobili, materassi, TV, elettrodomestici, buttano in strada, appiccano il fuoco, nel rogo tutto incendiano tra una folla plaudente. È bottino di guerra. Una rivolta, uno scontro sobillato da gruppi della Lega, dell'estrema destra e casa Pound. Il giorno seguente all'ora dei pasti quando gli operatori addetti distribuiscono il pranzo vengono bloccati, rapinati del cibo, del pane fatto volare sui marciapiedi e sul prato. Al grido: negri tornate a casa, qui siamo noi, questa è terra nostra, Italia e non Africa, abbiamo costruito noi, noi paghiamo il mutuo e voi ci sfruttate. Il Ministro degli Interni ci mette una toppa peggiore dello sbrego ed esonera il prefetto per insufficienza di coordinamento. Si precipita Zaia governatore della Regione lanciando il messaggio: "non vogliamo l'africanizzazione del Veneto", cui segue la visita pastorale di Salvini, segretario della Lega Nord, per benedire con i suoi paramenti la guerra santa. Quinto non è certo un paese da fame e sull'orlo della miseria, ma è destino che in questi territori del Veneto e specie del trevisano, dove un certo sindaco Gentilin a suo tempo aveva proibito agli stranieri di sedersi sulle panchine dei giardini pubblici e aveva intimato: "quelli là, li vestiamo da leprotti e poi pim pum pam “, il rigetto dello straniero abbia fatto scuola più che altrove. Non ostante da oltre un secolo e mezzo i veneti siano stati accolti in giro per il mondo, abbiano fatto fortuna, raggiunto benessere. E mai si sono sentiti rinfacciare: non vogliamo la venetizzazione dell’Argentina, del Brasile, dell’Australia, della Svizzera ... Ma al tempo eravamo poveri, cioè più umani. Vi è contraddizione soprattutto se pensiamo, a detta pure di alcuni profughi:” in Sicilia siamo stati accolti a braccia aperte e qui ci cacciano via". Ma qui magari rispondono che al Sud la gente riceve soldi a pioggia passati sottobanco dalla mafia. Insomma in questo mondo non si riesce più a credere se ci sia ancora qualcosa di pulito. A tale episodio va contrapposto contemporaneamente un altro. Questo sì nuovo ed inusitato. Parte da un prete, certo don Gianfranco Formenton, pure veneto di Bassano del Grappa, parroco in Umbria nella chiesa di S. Angelo in Mercole Spoleto, una contro provocazione a quella precedente. Non dimentica le sue origini e vuole dare una risposta agli incidenti di Treviso. Affigge in bella mostra un gran cartello alle porte della chiesa. "ln questa chiesa vietato l'ingresso ai razzisti. Tornate a casa vostra." Allude ovviamente al ritornello dei suoi corregionali:" africani, tornate a casa vostra." Vi aggiunge anche un'espressione del Vangelo pronunciata di Gesu': "ero straniero e non mi avete accolto, andate maledetti al fuoco eterno" (Mt.25,18). 0vvio che l'iniziativa abbia avuto effetto virulento in tutta la penisola, con minacce di morte da una parte, e consensi dall’altra. A chi lo interpella l'interessato rincara la dose:" sono stato perfino gentile, Gesù è ancora più duro". Senza peli sulla lingua auspica che la Chiesa di Treviso prenda posizione, e ringrazia la chiesa di Francesco che finalmente ha cominciato a sottolineare le vere esigenze evangeliche. C'è una violenza inaudita sul tema profughi, continua Formenton, l'emergenza delle peggiori pulsioni esistenti nella specie umana, coltivata da politici che non hanno memoria storica e fomentano l'odio individuando i nemici di turno negli stranieri per raccogliere consensi politici. Fra le adesioni non mancano quelle di alcuni preti milanesi: “Gianfranco siamo con te, tieni duro, non cedere, non togliere il cartello, butta fuori dalla chiesa leghisti e razzisti del genere. Nella diocesi di Milano i preti non hanno il coraggio di fare ciò che fai tu. Si fanno circondare anche nei consigli pastorali da questi pezzi di egoismo, factotum nelle organizzazioni delle feste delle salamelle, l'unico motore cattolico delle loro parrocchie. Dissacratori dei diritti umani, questi non hanno l'anima." Dei due episodi, il primo non vale la pena affrontare perché e di una quotidianità irritante, il secondo forse si. Se pure con qualche riserva. Dal punto di vista psicologico ovvio e che Formenton si sia sentito offeso e umiliato, e per identità etnica si sia anche un po' vergognato di essere veneto. Dal punto di vista religioso ammesso pure che fra molti italiani gran devoti, visionari, veggenti, pellegrini mariani ci siano anche falsi cattolici, ammesso pure che per accedere ad un'assemblea qualsiasi, sia essa sociale, sportiva, culturale bisogna condividere dei principi base (e nel caso in questioni l'amore e la tolleranza del prossimo, cardine del vangelo) però ad essere conseguenti allora bisognerebbe cacciare fuori dalla chiesa tutti quanti. Nessuno di noi potrebbe più entrarci, perché nessuno di noi è senza peccato. Anche il nostro don Gianfranco un po' razzista contro i razzisti lo è. Comunque di fronte a questi episodi che stanno diventando sempre più frequenti bisogna prepararsi ad una nuova gestione abbastanza radicale per il futuro. Per un futuro prossimo: causa l’accorpamento delle parrocchie in Unità pastorali tante canoniche, sono rimaste vuote e disabitate. Basta risistemarle e già possono diventare case di accoglienza.
Per un futuro più remoto ma già alle porte: ci si lamenta che l’Italia rischia di svuotarsi. Abbiamo più decessi annui che nascite. Nel 2050 le proiezioni danno che in Europa risiederà il 7% della popolazione mondiale con andamento anagrafico in continuo declino. I nostri paesi italiani di montagna sono disabitati, in via di spopolamento e degrado. Perché non rioccupare anche là edifici pubblici abbandonati per approntare stanziamenti di immigrati dando loro una concreta speranza di reinserimento? Potrebbero rendersi utili nel migliorare l’ambiente, per esempio per la manutenzione del bosco e del sottobosco cui non provvede più nessuno. Così vi sarà anche un recupero del territorio e dell’ecoambiente. Le autorità statali, regionali, provinciali competenti a controllare l’inserimento ci sono, così come gli organi per l’addestramento. Tutti alla fine se ne guadagnerebbe. Con buona pace dei nostri razzisti (pardon nazionalisti) che lottano contro i mulini a vento. Anche fra di noi si è già iniziato in questo senso con buone prospettive.  Perché il futuro dell’Italia non sarà l’Italia, il futuro dell’Europa non sarà l’Europa, ma il mondo. L’Africa, che sta a due passi supererà il miliardo di abitanti, aggiungi gli altri due giganti, la Cina e l’India. E questo non è utopia. Una vera politica europea nel senso alto del termine dovrebbe occuparsi di questo: studiare e proporre rimedi senza essere troppo accecata dagli egoismi paesani, regionali, nazionali. Fenomeni che finirebbero solo per logorarci.

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Albino Michelin
25.08.2015

giovedì 17 settembre 2015

DIRITTI UMANI PER TUTTI, ANCHE PER CANI E GATTI.

L'arbitro internazionale Luis Lopez è stato diffidato dalla Federazione calcio spagnola per aver messo in ridicolo non la categoria non degli arbitri, ma quella dei cani. In effetti in una domenica di qualche tempo fa a Salamanca durante la partita ha estratto pomposamente il cartellino rosso verso un cane intrufolatosi in campo fra le risa di 15.000 spettatori. La domenica seguente in un paese viciniore un cane, non bello a vedersi, dal muso a ruspa, probabilmente un bull-dog, lasciato sciolto dalla proprietaria perché bravo, intelligente scolarizzato si infilò in un branco di pecore, tre ne stracciò ed una se la mangiò. Questa carneficina fece scalpore e la notizia si sparse in tutta la zona. Ci fu chi permise di pronunciarsi "I cani? Li chiamo fido, ma non fidarti mai. I cani sono peggio dei cristiani". La maggioranza dell'opinione pubblica prese fa difesa della categoria canina s'intende. La bestiola (non bestiaccia) avrà avuto un tiro da matto, un raptus, un ictus. Rara eventualità da non mettere certo alla pari con le criminalità e immondezze quotidiane compiute dagli uomini. Oggi bisogna misurare le parole e censurare le espressioni come "Mondo cane, vita da cani, sei peggio di un cane, figlio di un cane, nemmeno un cane si comporterebbe così...". Si potrebbe finire in galera per diffamazione della categoria, sempre canina, s'intende. Si dovrebbe anche incominciare a riflettere su alcuni comportamenti discriminatori nei loro confronti, come quando si osa esporre dei cartelli all'ingresso dei negozi e dei cimiteri con l'emblema del cane accucciato, depresso, all'orecchio in giù, cui viene strappato di bocca la dichiarazione: "lo non posso entrare". La chiesa? Evviva la chiesa, è molto umana con gli animali. Difatti a Roma, nella parrocchia accanto ai fori imperiali, ogni anno la prima domenica di marzo viene celebrata una messa per soli cani e gatti, quale segno di buon auspicio e di benedizione per la primavera, allorché in tutti i quadrupedi si manifestano i calori della stagione, il risveglio degli affetti, la concupiscenza della carne, la sagra degli accoppiamenti. Si dice che oggi il mondo, almeno un terzo patisce la fame, e che ogni giorno circa 30-40 mila bambini muoiono di fame. Da noi invece cani e gatti sono ben pasciuti e con prelibati menu. Anche nei supermercati si trovano scatole per le loro leccornie spesso confondibili con le cibarie destinate agli uomini. In effetti io pure un giorno fui ingannato da questo rito di omologazione. E alla Migros acquistai una scatola convinto che fosse di tonno (ne aveva tutte le sembianze) e invece, sedutomi a tavola e preparato il mio piatto, mi accorsi dallo strano sapore, trattarsi di Wiskas, bocconi per il gatto. Fra le tante meravigliose favole a cartoni animati di Walt Disney una si intitola ''Gli Aristogatti" e ruota attorno ad una eredità lasciata ad una famigliola di gatti. E qui entriamo nel vivo del discorso con il diritto civile e penale. In Svizzera furono presentate nel 93-94 due iniziative parlamentari con progetto di modifica di alcune leggi per una migliore protezione giuridica degli animali, amici dell'uomo. La revisione intendeva dare voce ad una mutata sensibilità della popolazione. Il diritto romano considerava l'animale come una cosa, ma molte persone, è scritto in un comunicato del Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia, ritengono questo approccio superato. Finora nominare nel testamento un animale quale proprio erede veniva considerato nullo, in quanto un animale non possiede capacità giuridica. Un nuovo capoverso del Codice civile prevedeva che in questo caso la persona erede o legataria si occupasse in modo adeguato dell'animale citato nel testamento. I Cantoni devono istituire un ufficio per gli animali smarriti, e chi ne trova uno deve consegnarlo alla Polizia. Nuove norme disciplinano anche l'assegnazione di animali in caso di comunità giuridica o di divorzio. Certo fa simpatia incontrare per strada tutti questi bei cagnolini, barboncini, pechinesi, maltesi, bischon, chihuhaus e altrettanto graziosi gattini o gattoni, chi a coda normale come l'angora, il bambiense, il cinese o a coda corta come il siamese e il maltese, o senza coda come il di man, in bella parure e frisure, con gioiellerie, campanelli e ninnoli tintinnanti intorno al collo, magari con tanto di tailleur, frak e paltoncini multicolori a seconda delle stagioni. Tutto ciò ingentilisce l'animo umano, è una scuola di sensibilità. Chi non sa essere gentile con un animale, potrebbe anche non esserlo con gli uomini.
Ma attenzione pure all'ambivalenza, perché accanto a questo aspetto positivo se ne può nascondere uno negativo, cioè l'amore sostitutivo. L'essere umano è fatto per amare; può succedere che tenda ad investire verso gli animali quell'amore che non riesce o non vuole investire verso i propri simili. Con il rischio di fare di questa terra un bel canile anziché un mondo a misura d'uomo.

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Albino Michelin
28.03.1998

DIRITTI UMANI PER TUTTI ANCHE PER GLI EX PRETI

Ricevo e trascrivo:” Ecco un sconcertante e scandaloso paradosso: i diritti umani riconosciuti a tutti nel mondo dal papa attuale Wojtyla, ma sistematicamente negati a molte categorie di persone all'interno della Chiesa Cattolica. Come è possibile questa strabica dicotomia? Don Albino Michelin, missionario di Affoltern, descrive con precisa conoscenza dei fatti e con profonda partecipazione personale l'emarginazione e la disperazione dei sacerdoti che sono stati costretti ad abbandonare il ministero sacerdotale e l'umiliazione, l'amarezza e la rabbia delle loro compagne. È opportuno precisare che il "tassello;" di cui parla il missionario nel suo intervento non è solo un piccolo neo, ma una serie cospicua di "buchi neri" dentro la stessa Chiesa. Infatti, non solo gli ex sacerdoti, ma anche i divorziati risposati, gli omosessuali, le lesbiche, i giovani fidanzati conviventi, i teologi scomodi, le comunità di base, ecc. sono continuamente rimproverati, perseguitati, isolati o allontanati. Non c'è posto nella Chiesa per chi non condivide con lo parole e con i comportamenti, la linea ufficiale, non solo dettata ma imposta da papa Wojtyla. Certamente un uomo straordinario, dalle energie inesauribili e dalla fede incrollabile, esempio di coraggioso di dedizione e di coerenza assolute. Ma che appare anche autoritario, intransigente, refrattario a un vero dialogo col mondo laico, arroccato dentro una visione unilaterale del Vangelo e della Chiesa. Peccato.” (Mario Brunelli).
E’ fuori discussione che Wojtyla passerà alla storia come il papa dei diritti umani. In effetti la sua condanna si alza sempre più decisa e precisa contro ogni tipo di ingiustizia a favore degli oppressi. Si tratti delle vittime dei massacri come in Algeria, dei sequestri di persone come Soffiantini, degli stupri come nella Ex Jugoslavia, del mercato dei bambini come in Tailandia, della sedia elettrica come negli Usa. Inoltre attraverso una serie ininterrotta di "mea culpa" questo Papa, quale compensazione retroattiva, vuole restituire i diritti umani anche ai tartassati dalla chiesa nei secoli passati: vedi la richiesta di scuse per gli eretici al rogo, la riabilitazione totale o parziale dei vari Lutero, Savonarola, Giordano Bruno, e la riappacificazione con gli scienziati come Copernico, Galileo, Darwin. È un'ondata di sentimenti umani che tenta di rappacificare risentimenti.
Affascinante, evangelico! In questo mosaico di splendore si nota tuttavia un tassello nero. Cioè ad una rivendicazione dei diritti umani al di fuori della chiesa, non sempre ne corrisponde altrettanta al suo interno. Ci riferiamo ad un caso specifico, molto limitato, ma eloquente: il trattamento dei sacerdoti che, lasciato il proprio ministero si sono sposati. E' un banco di prova che può rendere credibile o  meno gli atteggiamenti positivi sopra elencati. Solo per restare in Italia è noto che i preti si aggirano sui 60 mila circa, di cui 38 mila diocesani e 19 mila religiosi! Negli ultimi 30 anni si sono ritirati circa 10 mila (16%), la maggioranza per sposarsi. Percentuale approssimativamente identica anche nelle altre nazioni europee. Una circolare vaticana emanata dalla Congregazione per il Culto Divino del 6.6.1997 pone delle condizioni ben precise per concedere a questi ex (l'appellativo è improprio) la dispensa dal celibato, il diritto a sposarsi, cioè a sentirsi pienamente uomini e cristiani. La prima procedura in materia risale ancora agli anni 70 al tempo di Paolo VI, molto rispettoso e comprensivo delle scelte di chi, cammin facendo, si dichiara stanco. Disposizioni invece diventate molto più rigide sotto papa Wojtyla, fino al punto che molti interessati in prima persona parlano di dietrologia e di progresso del gambero. Ecco la casistica. Se un prete è al di sotto dei 40 anni deve accertare l'esistenza di situazioni prima dell’ordinazione in grado di invalidare la scelta: in pratica farsi passare un po' per handicappato mentale. Se un prete, uscito dal ministero, si sposa civilmente senza la dispensa papale, in caso di pentimento la può richiedere in punto di morte anche via fax(?'). La situazione economica, morale, religiosa dei preti usciti e sposati è oggi specialmente in Italia fra le più umilianti, bubboni pestiferi gettati nella spazzatura comunale. Le loro mogli trattate come una di "quelle" e sottoposte al linciaggio morale. Poco tempo fa un cattolico arrabbiato mi sbraitò: "Bell'esempio, preti che si sposano. Sporcaccioni traditori e poi vengono ad insegnare a noi la fedeltà nel matrimonio". Rispondo, adagio Biagio. Questa espressione tradisce tanta cattiveria oltre che una settaria disinformazione. La fedeltà dell'uomo verso la donna nel matrimonio e viceversa non va posta sullo stesso piano della fedeltà del prete al proprio celibato: per Gesù la prima è vincolante, la seconda no. Nel senso che il rapporto uomo-donna è un diritto di natura, il celibato no. Difatti mentre propone la fedeltà indissolubile nel matrimonio non esige dai suoi apostoli, presbiteri, preti il celibato, ma li lascia liberi di esercitare scegliendo l'una o l'altra forma di vita. La chiesa ha tutta la libertà (discutibile o meno, qui non è il caso) di porre le sue leggi e di escludere dal ministero preti sposati, ma una volta che questi presentano ufficiali dimissioni dall'incarico vanno rispettati. Mandarli al diavolo o all'inferno, negare loro la misericordia di Dio con tutte le eventuali conseguenze sull'occhio sociale, esigere un fax di pentimento in punto di morte, diciamolo chiaro: al di là delle buone Intenzioni del potere religioso questo non è un gran rispetto dei diritti umani. In tutta Europa si sono costituiti dei gruppi di ex preti per vivere la loro fede come sposati o per rivendicare le loro scelte senza ostracismi. In Italia ne abbiamo uno dal nome "Vocatio" con una propria rivista "Sulla strada" ... In Svizzera due gruppi a Ginevra e a Berna, portati avanti dalle spose degli ex preti. Opportuno sarebbe che anche i vari consigli di Missione e i liberi credenti venissero informati sull'argomento. Significativo pure un legame fra gruppi e persone interessate per raccogliere una petizione da presentare al Papa al Giubileo del 2000 onde ottenere l'abolizione di questa procedura. Il Cardinale Ratzinger preposto alla Dottrina della Fede, conosciuto come il "presidente di ferro", il 25 settembre '97 al Congresso di Bologna annunciò: "La Chiesa non deve più fare dei martiri". Logiche le conseguenze: riconoscimento dei diritti umani a tutti, ex preti compresi.

Autore:
Albino Michelin
04.03.1998

IL NUOVO VESCOVO DI COIRA-ZURIGO NELLE MANI DELLO SPIRITO SANTO

Non è una espressione irriverente, né provocatoria, ma una possibile tentazione di rilassamento e di appagamento dopo la destituzione dalla diocesi di Coira del Vescovo W. Haas, causata da una gestione pastorale autoritaria, verticistica, priva di dialogo costruttivo. Né vale la pena ritornarci sopra, acqua passata non macina più ... Tutti i coinvolti nella vicenda tirano ora un sospiro di sollievo, magari un po' egoista ed incurante della nuova destinazione nell'orticello del Liechtenstein, elevato ad hoc agli onori di arcivescovado, con un implicito messaggio ai cattolici di quel territorio: "mors tua, vita mea". Dunque cattolici zurighesi meno stressati e più distesi, convinti in ogni caso che peggio di prima non potrà più andare e che tutto sarà nelle mani dello Spirito Santo. Orbene che lo Spirito di Dio accompagni la comunità dei credenti, sia quelli che stanno in alto come quelli che vivono alla base, nessuno ne dubita. La realtà però è che tale Spirito passa e agisce attraverso la testa della gente. Al limite anche il Vescovo Haas era stato scelto e possedeva la pienezza dello Spirito Santo: allora come mai tutto (o tanto) è andato a rotoli, come mai tanto strazio? La conclusione sta in una espressione di Gesù. "Siate sempre vigilanti..." che per l'uomo della strada potrebbe tradursi in "boia chi molla!" o in una parafrasi del nostro inno patriottico: "Fratelli di Coira-Zurigo, la nostra diocesi s'è desta! "Lo Spirito Santo bisogna anche saperselo meritare non solo con la preghiera, ma anche con l'azione. Discorso un po' inusitato per i nostri cattolici italiani, abituati come sono "all'obbedienza" di chiesa e alla delega alle autorità romane, mentre domestico fra i cattolici svizzeri più formati ad una corresponsabilità di chiesa. In base a questi principi nel territorio della Missione cattolica italiana di Affoltern a. A. si sono organizzate cinque serate nei cinque diversi gruppi di paese affrontando l'argomento, con l'esigenza di stendere un documento unitario da inviare al Nunzio vaticano di Berna Mons. O. Quilici e per conoscenza, ovviamente alla stampa di emigrazione. Ecco il testo steso con il Consiglio Pastorale:
 “La Missione cattolica italiana di Affoltem (Zurigo) pure essa porzione del popolo di Dio corresponsabile nella scelta del proprio Vescovo, in occasione della sua assemblea annuale a votazione unanime si permette di esprimere alcuni desideri circa le sensibilità pastorali alle quali il successore di Mons. W. Haas è gentilmente invitato a porre attenzione.
1) Operatore di pace e capacità di mediazione fra le troppe divisioni emerse nell'ultimo periodo in seno alla nostra diocesi e alle nostre parrocchie
2) Sensibilità ecumenica fra cattolici ed altre confessioni religiose per l'avvento di un unico ovile sotto un solo pastore, Gesù Signore.
3) Promozione del laicato per un servizio pastorale di emergenza e quale diritto-dovere proveniente dallo stesso battesimo e dal sacerdozio universale dei fedeli.
4) Promozione della donna nei vari ministeri ecclesiali e negli incarichi pastorali.
5) Verso la famiglia e soprattutto verso i divorziati una normativa ecclesiastica meno punitiva e discriminatoria.
6) Impegno per la fondazione e l'affermazione di una Conferenza Episcopale Svizzera con diritto di autodeterminazione in tutte quelle iniziative concernenti la chiesa locale che non ledano i fondamenti essenziali della cattolicità chiaramente espressi dal suo Fondatore.
7) Collaborazione con le minoranze etniche e straniere, che in alta percentuale compongono la comunità diocesana indigena per una integrazione reciproca im modo particolare a favore delle nuove generazioni.
La ringraziamo per l'attenzione che potrà dare che ai nostri desideri e inviamo i più distinti saluti.”

Autore:
Albino Michelin
11.02.1998

CLERICALISMO DI RIT0RNO

Anche se i cattolici italiani residenti in Svizzera per la stragrande maggioranza non sono molto interessati ai Documenti vaticani concernenti la conduzione e l'animazione della propria chiesa locale, ad alcuni però non sarà sfuggita l’Istruzione del 15.8.97 avente per oggetto "La collaborazione dei laici al ministero dei sacerdoti".
Anche se per noi tale argomento sarà di impellente attualità soltanto in un prossimo futuro, esso è da tempo prassi comune nelle parrocchie svizzere, nelle quali noi pure lentamente stiamo integrandoci...
In effetti accanto ai preti, in fase costantemente calante, esercitano, in fase piuttosto crescente laici, operatori pastorali, animatori, teologi di ambo i sessi, celibi o sposati. . Preparazione professionale adeguata al tempo, comunicazione immediata, esperienza spesso dei figli, della famiglia e della vita vissuta, rifiuto di costituire uno stato sociale e sacrale a parte: tutto ciò li rende strumenti indispensabili nella pastorale apprezzati a tutti i livelli. Pure aprendosi l'Istruzione papale con un'ottima teorizzazione sull'importanza dei laici e nel futuro della evangelizzazione va poi chiudendosi alzando un muro di separazione con undici chiare ed inequivocabili prescrizioni. Ne cito solo alcune, quelle che possono toccare da subito anche le missioni cattoliche italiane .
*Ai laici non è consentito la direzione ed il governo di una parrocchia.
*Ai laici non è consentito fungere da presidenti nei Consigli Pastorali.
*Ai laici non è consentito celebrare la liturgia della parola domenicale, se non dietro mandato speciale del Vescovo. Questa però non sostituisce l'obbligo del precetto festivo, cioè la messa del sacerdote.
*Ai laici non è consentito comunicarsi da soli, né distribuire la comunione se non in caso di necessità e su mandato del Vescovo.
*Ai laici non è consentito impartire l'unzione degli infermi.
I settimanali cattolici locali con allucinanti titoli "Laici e preti, ruoli distinti" si dimostrano subito preoccupati di far risaltare ciò che li divide anziché ciò che li unisce, quasi soddisfatti di potersi togliere dai piedi dei doppioni alternativi e dei concorrenti. Di ben altro tenore invece l'intervento sul "Forum", organo delle parrocchie svizzere, del 14.12.1997, che si dichiara perplesso e preoccupato per le conseguenze pastorali derivanti dall'applicazione del documento vaticano e riferisce come una trentina di operatori pastorali, laici e sacerdoti, si siano presentati lunedì 1. dicembre a Morges in occasione dell'assemblea dell'Episcopato svizzero, abbiano chiesto lumi sulla loro "illegalità" e pregato di rinviare a Roma l'opuscolo per una revisione. Ci sia lecita un'opinione in merito, riferendoci anche all'Enciclica di Papa Wojtyla "Ut sint unum" ("affinché siano una sola cosa") del 25.5.95, in cui egli stesso dichiara:" ... ascoltando la domanda di favorire una forma dell'esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova (Nr. 95).” La seguente opinione dunque può completare in tal senso la domanda a lui rivolta. Già ad una superficiale lettura di questa "Istruzione" di 35 pagine si prova un enorme disagio per l'accumulo di ammonimenti e critiche su una delle materie di più ampio interesse e generosa sperimentazione nelle nostre chiese locali. L'osservazione è di L. Prezzi, Direttore de "Il Regno", una delle riviste cattoliche fra le più serie in Italia. Solo a nr. 4 dei principi teologici si sottolinea:” i fedeli non ordinati preti non detengono un diritto ... evitare deviazioni pastorali ... abusi e prassi trasgressive .... abusi segnalati ... non allargare  abusivamente il termine "eccezione" ... impedire tempestivamente ... evitare che venga danneggiato ... intervenga responsabilmente l'autorità ... " Una tonalità di burocratico controllo da cui non si esce sino alla fine del documento. Anche se in genere “Istruzione" non è documento   eccessivamente impegnativo fra le modalità d'intervento vaticane, il fatto che esso porti la firma degli otto principali dicasteri romani, sottolinea uno scopo preciso: limitare l'escalation dei laici. Un enorme disagio!  Un esempio lo si prova nel dover rapportare la proibizione di distribuire in via ordinaria la comunione da parte di un laico con la motivazione conclusiva del documento: "Tali prescrizioni non nascono dalla preoccupazione di difendere dei diritti clericali, ma dalla necessità di obbedire alla volontà di Cristo, rispettando la forma costitutiva che egli ha indelebilmente immesso alla sua chiesa". Qui ci sia consentita un'osservazione storica. Fino all' 800 d.C., periodo carolingio, i cristiani frequentavano la messa, detta "lo spezzare del pane" ovviamente prendendo con le proprie mani la piccola porzione. Dopo Carlo Magno due motivi hanno interrotto questa prassi iniziata con Gesù. Uno di ordine igienico: la gente non si lavava le mani e stropicciava sul pane. Di qui la prescrizione di riservare la distribuzione al prete soltanto. Il secondo di ordine morale: a causa della pesante tabuizzazione sessuale e conseguente deprezzamento del matrimonio, i laici che avessero compiuto un rapporto amoroso (lecito solo allo scopo procreazione) non potevano accostarsi alla comunione. Considerati impuri non era loro consentito di toccare il pane o corpo di Cristo. Ma dalla Cena di Gesù per ben otto lunghi secoli la norma non era stata questa, in effetti Gesù non aveva posto nessun tabù, "prendete e mangiate e distribuitevi il calice a vicenda” (Luca 22,17). Non ha ingiunto: "prego, legatevi le mani in croce sul petto o dietro la schiena, aprite la bocca, e il ministro di Dio vi ciberà!" Disagio dunque veder motivare questo divieto con la volontà di Gesù. Solo un esempio, perché lungo (ancorché necessario) sarebbe analizzare tutte le altre proibizioni.
Sia detto pure, e per inciso, che da qui trae origine il baciamano e il culto delle mani consacrate del prete e la separazione dello stato clericale (superiore) da quello laicale (inferiore). Sacrale il primo, profano il secondo, che tanto peserà sulla chiesa "popolo di Dio" e sistemerà i laici ad una posizione subalterna. Disagio, perché francamente sembra di tornare alla Bolla del 1296 di Bonifacio VIII "Clericis laicos infestos" (è dall'antichità notorio che i laici sono funesti al clero).  Scompare nel documento tutta l'elaborazione della teologia pastorale sulle nuove figure di laici pastori. Si nota resistenza al riconoscimento dei loro specifici servizi, presente nei documenti successivi al Concilio Vaticano II (1965) e in circolazione da allora ad oggi. Come quando per esempio ("vedi Istruzioni" art., par 2) si insiste sulla opportunità di usare sacerdoti ultrasettantacinquenni quali responsabili di parrocchie al posto di giovani ed efficienti operatori pastorali laici: involontaria ed amara ironia.
Il Card. Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ammette: "gli operatori pastorali laici hanno qui l'impressione che la loro collaborazione viene sopportata fino a quando vi sarà penuria di preti''. L'insieme del documento sembra proprio reggersi sulla paura che venga meno l'importanza del prete provocando una diminuzione di candidati al sacerdozio. Infine non si dimentichi che malconce la loro parte ne escono le chiese locali, la figura del Vescovo e le conferenze episcopali delle varie nazioni cui dovrebbe in primis competere questo tipo di interventi con relative applicazioni, senza vedersi fioccare dall'alto della Curia romana tutto questo barocchismo normativo.  Qui l'espressione è di Arturo Paoli, 85 anni, con un passato di scrittore e attualmente missionario nelle favelas del Brasile, aggiungendo che la semplicità di Dio è un aspetto della sua serenità.
Moltiplicare le "grida" potrebbe essere segno di debolezza, e raggiungere lo stesso risultato delle "grida" spagnole descritte dal Manzoni: la perdita di credibilità. Un rischio comunque aleggia ed incombe su questa "Istruzione" nella quale si nota che i laici contano sempre meno: quella di una accettazione irritata da parte di pochi e di un rifiuto silenzioso da parte di molti.

Autore:
Albino Michelin
14.01.1998

PRELATI, PORPORATI E BABBO NATALE

Il cardinale Cushing di Boston USA (1944-70) diceva che si vestiva di rosso solo per i carcerati e per i bambini. I primi perché si sentivano importanti e i secondi perché si divertivano come quando arrivava babbo natale. L'espressione mi riporta ad un articolo apparso il 23 luglio 1997 in un Giornale di Emigrazione, autore Antonino Alessandra indirizzo imprecisato, che si firma al femminile, ma scrive al maschile. A colpi di clava si abbatte contro un mio precedente intervento su "Giubileo del 2000" chiedendosi se mi si addica il titolo di reverendo o don e spaparanzando ai quattro venti che la Chiesa preti come il sottoscritto non li dovrebbe assolutamente produrre. Mi sia consentito quindi di affrontare serenamente l'argomento. Il fondatore della chiesa, cioè Gesù è stato molto semplice ed essenziale in materia. "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire ... e voi non fatevi chiamare Maestri perché uno solo è il Vostro Maestro. Guai a voi che andate in giro per le piazze ornati di filatterie per farvi riverire dagli uomini: avete già ricevuto la vostra ricompensa.” Di qui si capisce molto bene che Gesù vestiva come tutti, la sua carta d'identità lo connotava come figlio del falegname. E per gli apostoli lo stesso discorso: né rosso zucchetto, né rocchetto, né mozzetta né bianca papalina. Non risulta dai Vangeli che Gesù avesse istituito un particolare atelier e sartoria di abbigliamento per i suoi più intimi. Lo stesso avvenne con vescovi e presbiteri nei primi tre secoli della chiesa: tunica romana in uso fra le classi medio-basse.
Dal quarto secolo in poi dopo Costantino titoli nobiliari e vesti di gran pompa in uso presso gli imperatori passarono pari pari alle gerarchie ecclesiastiche. (Per i preti ultimo rango della categoria, si poteva anche giustificare la lunga tunica per via della decenza, dal momento che i barbari calati dal nord indossavano corte vesti senza mutande). Ed ecco così che il Papa si fece chiamare "Sua Santità". Versione sacrale e festiva dell'appellativo "Servo dei servi di Dio" e con Paolo II (1470) si appropriò della tunica di color bianco con baciamano dell'anello e della pantofola, tipico gesto dell'imperatore nei confronti degli schiavi. Si fece chiamare pure Vicario di Cristo, titolo riservato a Costanzo II imperatore d’Oriente (340 d.C.) preteso poi dal Vescovo di Roma. Che si fece chiamare pure Sommo Pontefice, titolo in precedenza riservato solo agli imperatori romani pagani e abolito da Graziano imperatore d’Occidente (380 d.C.) e quindi anche in questo caso rivendicato dal Vescovo di Roma. E i cardinali romani si fecero chiamare "Sua Eminenza" rubando un titolo che nel Medioevo veniva riservato al Re di Francia, loro attribuito definitivamente con decreto di Urbano VIII (1630). E qui tunica pure, ma di color rosso, già prescritto dal su citato Paolo II. E i vescovi si fecero chiamare "Sua Eccellenza" titolo riservato al sovrano ancora dall'età dei Longobardi e Franchi (500 d. C). Nel Regno d'Italia venne esteso anche ai "grandi ufficiali", ma poi per amore di giusta democrazia e uguaglianza fu abolito (1945). Legittimato invece nella chiesa nuovamente con decreto di Pio XI (1930), anzi distribuito anche ai patriarchi, prelati a flocculis (dal fiocchetto), ai nunzi. Ma qui con tunica di color violaceo, sempre secondo i dettami di Paolo lI. E i prelati si fecero chiamare "Monsignori", dal francese "Mio signore", titolo riservato ai Re e adottato per gli ecclesiastici benemeriti dai Papi di Avignone (1315-76). E I preti di prima categoria si fecero chiamare "Reverendi", titolo rivendicato già nel Codice di Teodosio (438), riservato ai cittadini eccellenti. Ripreso anche da Dante che nel Paradiso (Capo XIX, 102) chiamò reverendi persino i romani tutti, usurpazione che gli ecclesiastici subito contestarono. Ed anche per loro un distintivo, tunica lunga, ma di color nero, obbligatoria dal Concilio di Trento (1560), dal 1964 sostituibile in caso di necessità con il clergyman, completo di giacca e pantaloni neri, colletto bianco. Come si vede tanti titoli e colori diversi secondo dignità. E i preti di seconda categoria si fecero chiamare "Don" dal latino "Dominus", signore, per notificare a tutti da che parte stavano: dei Borboni spagnoli e siciliani. E i preti di terza categoria si fecero chiamare "Padre", appellativo comunque già vicino alla realtà, potendo rivestire una funzione di guida spirituale.
E gli ecclesiastici di ultima categoria si fecero chiamare "Frati", proprio per questo ritenuti i più popolari. In effetti l'appellativo si riferisce a San Francesco (1200) che chiamò i suoi seguaci "fratelli " e li vestì con l'abito dei servi della gleba. L'abbigliamento ecclesiastico fino a qualche anno fa comportava privilegi eccellenti come quello del "canone" (scomunicato chi osava picchiare un religioso) e quello del "foro" (un religioso sia pur truffaldino non poteva essere citato e tanto meno trascinato in tribunale).
Il Concilio di Aix la Chapelle (816) dichiarò che "l'umiltà del cuore propria degli ecclesiastici va dimostrata anche con l'umiltà del vestito" E Papa Celestino I (430) ebbe a scrivere: "Il Clero si dovrebbe distinguere dal popolo per la cultura e non per il vestito, per fa condotta di vita e non per l'abito, per l'onestà e non per la divisa" Messaggio da rivalutare anche nel nostro tempo. Libertà dei figli di Dio dunque agli ecclesiastici che desiderano esibire titoli ed infule colorate per dar gloria all'Altissimo, alla sua santa chiesa, per l'edificazione del popolo che così si sente rapito a pensieri di cielo. Ma libertà anche per gli ecclesiastici che preferiscono vestire semplice, farsi chiamare con nome e cognome per sentirsi uomini fra gli uomini senza distinzione di classi e di privilegi.

Autore:
Albino Michelin
10.12.1997

TUTTI A BERNA IL 23 NOVEMBRE 1997 PER L'UNITA' D'ITALIA

Ma giù le mani dalla Missione Cattolica Italiana. Manifestazione organizzata dal Gruppo Giovani del Comitato Tricolore per l'Italia che ha da restare una, indivisa, indivisibile, indissolubile. In pratica si tratta di dare una risposta massiccia alla volontà o velleità secessionista di Bossi. Nulla da eccepire, anzi da elogiare tutti quei gruppi di emigrazione che cercano di impegnarsi nel sociale e nel politico. Quello però che meraviglia e stride in tutta questa vicenda è che la manifestazione venga organizzata nei locali della Missione Cattolica Italiana. Onestà vuole che si chiamino le cose con il loro nome: questa è una iniziativa chiaramente politica, di un partito contro altri, la Missione invece è l'incontro della comunità dei credenti, indipendentemente dal partito di appartenenza. La Missione come qualunque parrocchia dovrebbe evitare ogni ambiguità in questo settore. Si specifica: "in questo settore". Ancora nel lontano 13.11.1985 nella stampa di emigrazione vi furono reclamazioni contro un'altra iniziativa del genere, allorché i dirigenti della ex DC in Svizzera invitarono laici, preti e suore ad un'assemblea, ovviamente nei locali della Missione di Berna. Le vicende del '93 (la DC franò impietosamente sotto i colpi di tangentopoli) dettero ragione, ma nell'85 gli autori di simili articoli arrischiarono il posto e la pagnotta. Sono cambiati nel frattempo dirigenti e suonatori, ma la musica non cambia come i fatti attuali stanno a dimostrare. Ciò non fa certamente onore al Gruppo Giovani del Tricolore, perché tenta di consolidare i suoi successi con l'aiuto della sagrestia e all'ombra del campanile. Qualcosa in merito dopo tanti anni di emigrazione lo si dovrebbe imparare dalle chiese svizzere. Nessuna e per nessun motivo concede locali ai partiti politici, nemmeno a quello democristiano. La Chiesa italiana e noi ne siamo figli, ha sempre avuto la tentazione dell'ingerenza e di ogni matrimonio politico. Sappiamo che non ogni rabbuffo, lamento o sospiro del papa è dogma di fede: potrebbe anche essere intervento opinabile e sottoposto a discussione. In effetti, molti hanno considerato ingerenza politica alcuni interventi papali dell'ultimo periodo. Come quello del '94 (preghiera per l'Italia), del '95 (l'Italia superi il particolarismo), quello del '96 a Como (per il bene comune della nazione), quello del '97 (appello accorato alla Conferenza dei Vescovi italiani:" mi preoccupa l'unità d'Italia"). Se tali preghiere e raccomandazioni fossero state fatte nel 1870 da Papa Pio IX al posto della scomunica (non expedit) contro chi collaborava all'Unità d'Italia con il voto politico, tutti l'avrebbero considerato grido profetico. Farlo ora, in risposta a determinati partiti, in precise circostanze, da molti potrebbe venir considerata ingerenza politica: cioè è questione anche di opportunità ed opportunismo. L'Unità d'Italia ogni Missione Cattolica Italiana dovrebbe esprimerla in altri modi: come sede testimonianza di liturgia, di evangelizzazione di formazione delle famiglie e dei giovani. Come egregiamente nel caso sta facendo la stessa missione di Berna con il Centro familiare. Ma lasci perdere il resto, non vada ad impantanarsi con gli onorevoli e le parate politiche. Ne guadagnerà in trasparenza. Come ne guadagnerà in sana laicità ed autonomia il Gruppo Giovani Tricolore. In quanto all'on. Bossi tutti lo riconoscono  un rozzo,  un ignorante,  un cavernicolo .  Al di là dei modi anche un po' di sostanza però: cioè ha avuto il merito di far saltare partiti e partitocrazia consolidati nella loro pluridecennale corruzione. "Non la secessione, alla quale forse nemmeno lui crede, ma il malgoverno del passato e l'attuale Governo del "ni", il vero pericolo dell'Italia.” Bossi lo si combatte con le riforme, non solo con le manifestazioni di piazza. Prima fra tutte una robusta autonomia regionale come quella esistente in tanti Stati occidentali. Parola di Montanelli, che l'antileghismo ce l'ha nel sangue. Tutti quindi a Berna il 23 novembre prossimo per l'Unità d'Italia. Meglio al Kursaal o alla Piazza Federale, ma giù le mani dalla Missione Cattolica Italiana.

Autore:
Albino Michelin
12.11.1997 

NON UCCIDERE CAINO!

Questo comando di Dio che noi leggiamo nella Bibbia (Genesi 4, I 5) ci riporta ovviamente ad uno dei tanti casi clamorosi avvenuto negli Stati Uniti: ad esempio l'esecuzione di O'Dell mediante Iniezione letale Il 25.7.1997, e quindi ad una riflessione sulla pena di morte. Nella canea vociferante di milioni di persone sulla terra, né gli interventi del Papa e di Madre Teresa di Calcutta hanno spostato di un pelo le decisioni di Allen, governatore della Virginia. "O'Dell, brucia in pace", gridavano gli americani davanti alla camera della morte, e al mondo Intero: "noi ci siamo fatti i fatti nostri e voi fatevi i vostri.” Ora altri 3000 attendono la morte là, In un continente "cristiano", che ritiene somma giustizia il farsi vendetta. Le ceneri di O'Dell ora riposano nel cimitero di Palermo, cosi ha deciso Il sindaco Orlando. E forse non a torto, perché O'Dell non è un eroe ma un simbolo. Non Importa se fosse innocente o colpevole, quando si uccide si commette sempre un crimine. È come Il monumento del Milite Ignoto a Roma. Non importa a chi sia dedicato, ma è li monumento contro la follia della guerra, di tutte le guerre. La tomba di Palermo è la condanna contro ogni società convinta che uccidere sia l'unica reazione possibile contro chi uccide. Al tempo di Elisabetta la Grande (1570) in Inghilterra era consuetudine che gli assassini venissero portati In piazza, dove Il boia, fra I cachinni della plebaglia, strappava loro Il cuore dal petto vivo, per mostrarlo trionfante alla regina. Morbosa, sadica, arcaica barbarie. Oggi sono cambiate le tecniche del patibolo, l'ago, Il cianuro, la "poltrona" elettrica, ma non la logica del cuore che suona tale e quale: "chi uccide deve essere ucciso". Assurdo contrastare un omicidio compiendone uno ancor più grave. A mente fredda, con lucido calcolo. Come avvenuto per Norlo Nagoyama, detenuto In carcere per trent'anni e alla fine giustiziato nel progredito Giappone (31.8.97), un mese dopo O'Dell, senza che nessuno della pubblica opinione muovesse un dito. Si vede che anche il buonismo delle masse si era presto sgonfiato. Si sa che alcuni invocano la pena di morte quale deterrente contro delinquenza e delinquenti. Ma è solo spaventapasseri, accertato che essa non diminuisce i casi di malavita e criminalità. Sappiamo anche dell'argomento di qualche cattolico "arrabbiato" appellantesi alla tradizione della chiesa, dimostratasi assai prodiga nella pena di morte, sino ad abolirla in Vaticano nel 1976, Cardinale Casaroli e Paolo VI. Uno degli ultimi Stati, persino dopo l'Italia (1941). Per via dello slogan che la chiesa è sempre all'avanguardia, asserto ovviamente riferito al cattolici di cui sopra. Orbene, le scelte sbagliate di allora non sono una giustificazione per ripeterle oggi. La giustizia moderna, che senza tanto scalpore si identifica con il Vangelo, tende oggi ad educare ed a redimere. Chi nega la vita nega e sopprime ogni possibilità di redenzione. Questo è il frutto del nostro penalista Cesare Beccarla (1738·94) con il suo libro "Dei delitti e delle pene", che la chiesa del tempo mise all'Indice, come si dice "scomunicò", in quanto essa stessa in quel tempo alimentava santi roghi, sante forche e sante mannaie.
È di questi giorni la stesura ultima e definitiva del Catechismo della Chiesa Cattolica. Strano: la pena di morte viene ancora ammessa, sia pure come estremo rimedio al bene pubblico. Paura di rompere con una certa tradizione o compromesso (politico) con i vescovi USA, suggestionati dall'amore che il loro gregge nutre per la sedia elettrica? Si sa che questo catechismo l'hanno compilato i teologi e non il Papa in persona. Immerso nel suoi viaggi planetari non si può pretendere che trovi il tempo per concentrarsi su una enciclopedia di 800 pagine ad esaminare punti e virgole. Speriamo che gli vengano però a fischiare sulle orecchie questi cedimenti e queste ambiguità. E ci auguriamo che dal balcone di San Pietro, oltre a chiedere perdono per le vittime dei vecchi carnefici vaticani, consigli o ordini come suo stile a tutti i cattolici di finirla con questa pena di morte. Un Papa così forte nelle sue sfide, cosi terribile nelle sue Invettive, così guerriero nel difendere l'embrione umano sin dal seno materno, a lanciare tale dichiarazione non farebbe altro che un atto di coerenza. Dio rispettò la vita di Caino, gli diede una chance: lo condannò in giro per li mondo e per tutta la vita al lavori forzati. Cosi Caino da animale diventò ancora un uomo.

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Albino Michelin
22.10.1997

UN GIUBILEO DEL 2000 ANCHE PER I MISSIONARI IN SVIZZERA

La vigilia del grande trapasso epocale viene vissuta a livelli diversi con prospettive che nella maggior parte dei casi non ha nulla o poco a che vedere con lo spirito della promulgazione dell'anno santo cosi come lo riscontriamo nella formulazione delle sue origini (Bibbia, Levitico 25, 8-10). Ce n'è per tutti, anche per quelli del "Mille non più mille", e quindi grande battage in vista per maghi, cartomanti, veggenti, visionari, sensitivi, giocatori dei tarocchi.
Di giubilei o anni santi lungo la storia dal primo di Papa Bonifacio VIII nel 1300 a quello prossimo ne contiamo 28, ma nessuno come questo arrischia di finire nell’equivoco, in un grande boom economico per manager di mercato, in una grande operazione pubblicitaria di faccia a e di potenza per alcuni vertici di chiesa. Come credenti vale la pena aprire gli occhi, interrogarsi e interrogare. Anzitutto, come noto, il vocabolo giubileo deriva dall’ebraico “Yobel”. Era il montone che guidava il gregge. Poi passò a significare il corno del montone, quindi il suono che usciva dal corno, infine strumento musicale ad uso liturgico. Issato sul muro più alto del tempio di Gerusalemme il trombettiere con lo yobel dava l’annuncio della grande felicità e dei tempi particolari destinati al giubileo universale. Il significato poi religioso e sociale del vocabolo va preso dal testo su citato:” dichiarerete santo il cinquantesimo anno, proclamerete la liberazione del paese per tutti i suoi abitanti.” Un anno quindi caratterizzato dal riposo della terra, dall’affrancamento dei poveri e degli schiavi, dalla promozione di una maggiore giustizia sociale. Per non cadere nei soliti discorsi devozionali e piistici si faccia attenzione al messaggio che è fondamentalmente di giustizia sociale, prima che di promulgazioni di indulgenze plenarie atte a diminuire gli anni del nostro purgatorio dopo al morte, anche se secondo gli esperti in materia, pare tale pericolo questa volta non sia incombente. Si sa che nel 1995 l’allora capo del governo Berlusconi assecondò volentieri una richiesta degli organismi della chiesa romana concedendo l’esenzione tasse a tutti gli istituti religiosi che nel 2000 prevedono ospitare pellegrini. Se è già una forzatura pellegrinare a Roma anziché in Palestina (la terra di Gesù e di ogni messaggio di salvezza, giubileo compreso) è però chiaramente partire con il piede sbagliato pretendere come chiesa l’esonero dal fisco.
È un privilegio per i più ricchi che va sempre a scapito dei più poveri. Nessuno dubita che gli istituti religiosi operino a fine di lucro, ma le regole sono regole per tutti. Dal gioco della briscola a quelle socioeconomiche. Diversamente si usa un'occasione di giustizia per incrementare l'ingiustizia. Cominciamo innanzitutto nel dare l'esempio di risanamento della questione morale. Dopo gli scandali d'oro degli anni '80, (c'erano le lenzuola d'oro, le cliniche d'oro, le prigioni d'oro, gli affitti d'oro, e così via) per carità non si arrivi al giubileo d'oro. Una comunità Cristiana dovrebbe: nel caso educare il credente ed il pellegrino a pagare le tasse, perché la giustizia sociale a questo mondo (obiettivo primo dell'anno santo) si raggiunge con il contributo e con il sacrificio di tutti, non con le furbate dei soliti ignoti. Ciò premesso, sia concesso fare un discorso a me missionario, agli altri missionari.
In Svizzera gli addetti al culto di qualsiasi confessione sono stipendiati dalle tasse del culto che i membri di tale confessione annualmente versano. Nel caso non c’entrano né il vaticano né il Vescovi, ma i fedeli. Noi che operiamo nei cantoni tedeschi viaggiamo con un mensile di circa 5.000 franchi. Tanti. Mentre quelli che operano nei cantoni francesi arrivano ai 2.500 franchi. Troppo pochi. Ovviamente i motivi sono noti a tutti. Nei primi i membri di ogni confessione religiosa sono obbligati per referendum cantonale a versare le tasse di culto, nei secondi invece no, cioè il Cantone non ha effettuato in merito nessun referendum. E quindi abbiamo ovviamente una sperequazione, una discriminazione sociale all'interno dello stesso corpo professionale.
La soluzione non andrebbe ricercata nelle varie amministrazioni locali di chiesa esigendo un aumento di stipendio per quei poveri derelitti dell'occidente elvetico, ma va iniziata alla base, cioè con la rinuncia di 1.000 franchi mensili da parte dei missionari della Svizzera tedesca e con il passaggio a quelli della Svizzera Romanda: Cosi tutti si viaggerebbe sui 3.500-4.000 franchi, che nel nostro territorio rappresenta uno stipendio medio e dignitoso. Questo potrebbe essere un segno forte per l'anno santo del 2.000. Diversamente finisce tutto in una bella predichetta esortativa alla confessione privata, quindi alla solita gita sfacchinata a Roma, più turistica che penitenziale, trasformando la capitale in un megamercatone, in un traffico delirante. Con l'immancabile abbuffata di fettuccine, tordi e bianco Frascati ai Castelli romani. Quanto detto è solo opzione di un privato credente, ancorché di professione Missionario italiano, ma con il vantaggio di offrire tutti insieme una significativa testimonianza cristiana a livello comunitario.

Autore:
Albino Michelin
09.07.1997

LE SCUOLE DEI PRETI E DELLE SUORE

"Attenti bambini, arriva Gesù" così la maestra presentò il Vescovo ai ragazzini durante un'ora di scuola in occasione della visita pastorale in una parrocchia del Bresciano. In Italia la scuola di Stato è laica in teoria, di fatto resta ancora privata e confessionale. In un paese delle Marche diverse ore scolastiche nel dicembre 1996 sono state impiegate a costruire il presepio. A Bitonto (Bari) è stato fatto obbligo ai bambini della scuola di partecipare "in quanto scolari" alla processione del patrono e distribuire santini dell'Addolorata come espressione della cultura e della religiosità popolare. Nella Missione cittadina dello stesso periodo a Roma i docenti sono stati "caldamente" invitati a proporsi come teste di ponte fra il quartiere e la parrocchia. A Lipari (Messina) il prete insegnante di religione nelle scuole diede questo tema: "I testimoni di Geova: falsari di Dio". Prima di Pasqua in una parrocchia del comasco i bambini durante l'orario scolastico si muovevano intruppati e condotti a fare l'ora di adorazione al Santo Sepolcro. Per la maggioranza è stara un'ora di sport e di boccacce. Tutti questi episodi sono successi negli ultimi mesi del 96, a fondamento di una mentalità che continuerà, quando in Italia infuriava la polemica sulle scuole private e pubbliche, sul diritto di costituire scuole cattoliche, parificate e sovvenzionate dello Stato. Il 25 aprile 1997 i Vescovi della Sicilia hanno inviato al Ministero della Pubblica Istruzione una lettera aperta sottoscritta da docenti, universitari, presidi, insegnanti e da 20.000 genitori, insomma da tanti i siciliani. In essa si sostiene che "la libertà di educare è un diritto ed una responsabilità naturale delle persone e delle famiglie singole o associate. Non è la concessione fatta da uno Stato che si considera unico gestore della formazione dei giovani". Nessuno ovviamente contesta ai cattolici il diritto di costruirsi e gestire la loro scuole private, come ai valdesi, agli evangelici, ai testimoni di Geova, ai marxisti. D'accordo, il diritto alla libertà deve essere esteso a tutti, senza pretesa di egemonie culturali o di bottega. D'altra parte lo Stato laico deve rispettare queste libertà e non deve imporre a tutti la sua laicità abolendo le scuole private, di qualsiasi estrazione e tendenza esse siano. Il problema però delle scuole private, in primis della scuola cattolica, è la rivendicazione ad essere in toto equiparate alle scuole di Stato e debitamente finanziate, fino alle tegole del tetto. Alla faccia dell’art.33 della Costituzione Qui il discorso cambia. Mentre da una parte la gerarchia ecclesiastica in questa fattispecie è monolitica ed univoca nel senso di esigere totale sostegno finanziario, la comunità ecclesiale italiana invece, cioè il popolo cattolico-credente non è più dello stesso avviso, ma possibilista su diverse opzioni. Per quest'ultimo infatti importante è che lo Stato conceda la parificazione (esempio il riconoscimento degli esami di maturità) e un contributo finanziario. Contributo è diverso da copertura. Il rispetto verso la laicità dello Stato esige che il singolo non accolli a lui la spesa delle corone del Rosario, dei bollettini parrocchiali di devozione varia, dei settimanali esoterici indù, delle varie sure o commenti del Corano, dei midrash o racconti ebraici. Tutte iniziative ottime che possono servire anche allo Stato in quanto gli garantiscono più galantuomini e meno criminali e gli fanno risparmiare polizia, processi e galere. Però siano i credenti stessi delle varie fedi religiose e scuole private ad assumersi l'iniziativa e anche gli oneri di fondo. In effetti il timore di molti cattolici italiani, di quelli adulti e maturi nella fede, è di ritrovarsi di fronte ad una scuola privata fondamentalista, intollerante con gli spazi tutti e solo a sua disposizione.  Con la recondita intenzione di trasformare lo stato laico in una repubblica cristiana e di ritornare alla teocrazia di Gregorio VII. Il pericolo che una scuola cattolica privata sovvenzionata dallo Stato divenga dogmatismo, censura, chiusura, anziché dialogo e rispetto del pluralismo. Che si possa servire dello Stato (i fantasmi del mezzo secolo non sono del tutti scomparsi) per i suoi interessi. D’accordo per uno Stato che contribuisca finanziariamente alle scuole dei preti e delle suore a patto però che queste poi rispettino anche certi requisiti. E soprattutto si diano una regolatina sulle modalità interne di gestire cultura e religione, vedi gli esempi citati all'inizio. In effetti esiste un sacco di persone in emigrazione, con messa tutte le mattine e confessioni settimanali nel periodo dell’infanzia, uscite poi con le tasche talmente piene da piantare li tutto: chiesa, preti, frati, papa e messa domenicale. Professarsi anticlericali, addirittura cambiare religione. In effetti un po' dovunque i migliori e più attivi animatori dì movimenti religiosi contro la chiesa cattolica, sono spesso proprio quelli usciti dalle scuole dei preti e delle suore. Dopo tante frenetiche sciroppate di devozioni, di paure del peccato e dell'inferno chi avrebbe il coraggio di darci torto?

Autore:
Albino Michelin
31.05.1997

domenica 13 settembre 2015

MORIRE SENZA PRETE

Ognuno di noi ha il diritto di morire come crede, cioè secondo la sua fede o secondo le sue convinzioni laiche e quindi con relativo funerale religioso o civile. Si sa che oggi la nostra morte personale viene rimossa e tabuizzata. Ci incuriosisce però la morte degli altri, assunta a spettacolo, come quella di chi si getta dalla finestra, di chi viene giustiziato alla sedia elettrica, di chi finisce impiccato penzoloni ad una trave. Il tutto ovviamente con il supporto leggenda dei Mass Media e della TV. Un tempo la morte propria veniva sentita come un fatto profondamente personale e sociale. In effetti il moribondo faceva chiamare il prete del paese che gli portava l'estrema unzione e il viatico (cioè la comunione considerata pezzo di pane per il viaggio), al suono della campana maggiore, in corteo sotto il baldacchino, accompagnato dai chierichetti che attiravano l'attenzione dei paesani al suono di un campanello di chiesa. Il malato poi procedeva a raccogliere attorno al suo letto tutti i familiari e passare loro le ultime consegne. Così io ho visto da bambino morire mia nonna a casa mia ed è un'impressione che non mi disturba ricordare. Più tardi nella mia professione mi sono trovato più volte, in genere negli ospedali, di fronte a pazienti irrecuperabili. Ho sempre preferito presentarmi in abito civile per non mettere il malato in stato di ansia per l'imminenza di fare i bagagli, destinazione l'Altro Mondo. Una visita di cortesia ed eventualmente di disponibilità: se il malato finiva tutto con un saluto, oppure desiderava un ulteriore visita, recitare insieme una preghiera o ripassare a portargli comunione ed unzione degli infermi, io accondiscendevo. Se notavo che la mia visita invece costituiva un disagio non ritornavo più. Non ha senso volergli dare la comunione o l'olio santo come si trattasse di cacciargli nello stomaco l'olio di ricino. L'amore di Dio per l'uomo, sia esso religioso, indifferente o a lui ostile, è più grande di tutti i nostri strumenti del mestiere, benedizione comprese. C'è comunque un aspetto che in questo ambito fa riflettere ed è il comportamento (non tanto del malato quanto) di certi familiari.
Si ha quasi la sensazione di un complotto: istituiscono un cordone poliziesco attorno al sofferente, mettono il paziente in stato di ibernazione, il prete non deve nemmeno salutarlo, diversamente lo spaventa. Magari poi la situazione si prolunga per qualche anno. Ad un certo punto arriva la disgrazia, il poverino muore. Allora ecco i familiari eccitati fino al parossismo, dar di piglio al telefono e cercare preti a qualsiasi ora e in ogni dove. Se per caso nessuno fosse reperibile, allora è tutta una geremiade contro clero che lascia morire la gente come cani. Ma qui forse si nasconde un'altra intenzione: l'epigrafe murale ai paesani in cui si deve comunicare che il nostro caro è passato a miglior vita "munito dei conforti della fede". I soliti slalom. Certo è umano che il prete accorra anche dopo il decesso di un familiare, eventualmente per creare un momento di solidarietà attorno allo scomparso. Però al morto questo tipo di presenza non serve proprio a nulla, perché un cadavere non è più capace né di ripensamento, né di assoluzione, né di risurrezione spirituale. Come si dice in gergo, incapace di volere e di intendere. Opportuno invece sarebbe che i cristiani o ciascuno di noi a seconda della sua religione avesse un rapporto diverso con la sua morte e con l'approccio ad essa. Si parla ovviamente a credenti: la morte bisogna anche prepararsela. Ricevendo l'estrema unzione? Anche qui va fatta una precisazione. Oggi non viene più chiamata così: ti dà il senso di una liquidazione, di ultimo viaggio senza ritorno. Si preferisce chiamarla Unzione degli infermi e la si fa con l'olio a segnare la fronte. Perché da sempre in tutte le civiltà l'olio viene considerato medicina, dignità, gioia. Pensiamo solo alla parola "Messia"' in ebraico all’equivalente "Cristo" in greco: significano "unto con l'olio della dignità e della speranza".
L'evangelista Marco (6, 13) riporta che gli apostoli ungevano con l'olio molti infermi e li guarivano. E Giacomo consiglia: "chi è malato si faccia ungere con l'olio ... e verrà perdonato dai peccati" (5, 14). Oggi è invalsa una forma più tranquilla e rasserenante. In molte parrocchie alcune volte all'anno vengono organizzate delle liturgie non solo con l'unzione agli infermi, ma anche agli anziani, ai pensionati. E un modo efficace per riconciliarsi con la morte evitando all'ultimo momento di creare parapiglia attorno al letto del malato e spallate fra medici, primari, infermieri e preti. E allorquando la situazione psicologica del paziente è molto fragile forse non vale la pena nemmeno chiamare il prete. Importante che egli si senta dal suo prossimo assistito e accompagnato. Così anch'egli potrà venire dolcemente consegnato dalle mani della sua famiglia o della sua comunità nelle mani di Dio.

Autore:
Albino Michelin
29.03.1997

LA PSICOLOGIA E LA PAURA DELLO PSICOLOGO

La parola psicologia, alla lettera, significa: discorso, scienza che ha per oggetto la psiche, cioè l'anima, la mente umana. La psicologia si occupa della mente, di ciò che contiene, emozioni, impulsi, fantasie, affetti, sentimenti, idee, pensieri che nascono nell'uomo e delle loro vicende, della salute, del benessere mentale, di ciò che lo favorisce, lo condiziona e di ciò che lo compromette. Si occupa perciò anche dei disturbi, delle sofferenze, delle malattie della mente. Alcuni studiosi di psicologia dicono che unico oggetto di questa scienza dovrebbero essere i comportamenti, cioè l'agire visibile, sperimentabile dell'uomo e le tecniche per modificarli dall'esterno. Questa visione appare a molti troppo povera perché sembra escluda la meravigliosa realtà sconfinata dell'interiorità dell'uomo e lo riduca ad una specie di robot o, nel migliore dei casi, ad un animale ammaestrabile. Ci sono scuole psicologiche che si interessano a come la mente umana arriva a formulare pensieri, idee fondate sulla realtà, creative, capaci di trasformare la realtà stessa, il mondo delle cose nel quale viviamo in un mondo più ordinato, più sano, meno faticoso. Ci sono altri psicologi e scuole psicologiche molto interessati al rapporto fra la mente e il sistema nervoso, a come lavorano insieme. Alcuni pensano che la mente sia solo una parola che sta per cervello e basta; altri, invece, sono convinti che il cervello sia uno strumento necessario da non identificare e confondere con la mente. Certo è che gli affetti, le emozioni, i sentimenti che occupano ed animano la mente sono strettamente legati, oltre che alle condizioni generali di salute fisica della persona, anche alle relazioni che la persona ha stabilito con le figure importanti della sua vita e all'ambiente culturale, sociale, economico nel quale è vissuta e vive. Allo psicologo, quindi, interessa capire come è fatta e come funziona la mente, che cosa contiene: come si formano le idee, i pensieri, come nascono, in che cosa consistono, come si esprimono o si mascherano le emozioni, gli impulsi, i sentimenti, cos'è l'attenzione, come funziona la memoria, ecc. Lo psicologo "clinico" è particolarmente interessato alla salute mentale e si preoccupa di sapere come si fa a mantenere sana la mente, perché una persona si ammala a livello mentale, quali forme di sofferenza possono disturbare la mente, come si riconoscono, si curano e si possono guarire. Lo psicologo non è un mago; sa e conosce solo ciò che le persone gli dicono e gli mostrano di loro stesse. Tanto più sarà bravo quanto più permetterà alle persone di manifestare, di ricordare, di sperimentare di sé, di prendere consapevolezza dei propri sentimenti, affetti, emozioni e pensieri. Lo psicologo deve essere capace di rendere più ordinate e più chiare le realtà che le persone vivono in maniera confusa ed inconsapevole. Non è suo mestiere né assolvere, né condannare, né giudicare . Egli impara questo anche con gli studi cui si dedica e sotto la guida di una persona più sperimentata di lui che lo aiuta a conoscere il proprio mondo mentale profondo. Ma se è vero che il compito più importante dell'uomo è quello di conoscere sé stesso, soprattutto se vuol conoscere il suo prossimo, e che nessuno riesce a conoscersi sul serio da solo, allora è chiaro che l'uomo impara a conoscersi solo nella relazione con un altro. Psicologo compreso e talvolta in primis. Soprattutto in passato la società affidava a psichiatri (veri e propri medici della psiche), psicologi, infermieri e poliziotti la custodia delle persone che manifestavano comportamenti strani rispetto alla maggioranza. Tale custodia avveniva in luoghi chiusi simili a prigioni (manicomi, ospedali psichiatrici) e cessava magari con la morte dell'internato. Il paziente guariva raramente; nella migliore delle ipotesi attraverso delle tecniche ritenute a torto curative veniva ridotto ad una larva umana, senza interessi né volontà, né passioni, né gusto per la vita. Le cose, in Italia ed in altri paesi civili, sono cambiate in meglio in questi ultimi tempi, anche se non mancano le lentezze e i disagi. La legislazione italiana prevede la cura dei pazienti all'interno del loro ambiente naturale di vita e di affetti. Le persone disturbate mentalmente, che in talune civiltà venivano temute e rispettate come oracoli della divinità e in talaltre tormentate e bandite perché ritenute abitate da spiriti cattivi, possono sperare oggi di trovare un sollievo alle loro ineguagliabili ed indicibili sofferenze.

Autore:
Albino Michelin
09.09.1995

giovedì 10 settembre 2015

AMORE E ISTERIA VERSO LA NATURA

Quando si parla di natura, istintivamente corriamo con il pensiero all'ambiente, al regno vegetale (piante, fiori, erbe), e regno animale. Certo, la natura è tutto questo, va amata e rispettata perché habitat dell'uomo. Attualmente però stiamo vivendo questo rapporto con una serie di contraddizioni. Di recente, nel mantovano, una ragazza di nome Elisabetta incontrò per fa strada un gattino abbandonato. Sensibile animalista come ama definirsi, lo caricò in macchina, sospese ogni sua attività per soccorrerlo. Chiese latte, un panno per riscaldarlo. Lo condusse dal veterinario per stabilire il suo stato di salute e il pericolo di infezioni. Arrivò telefonicamente un devoto pellegrinaggio a sostegno di quel gesto eroico. Il gatto sopravvisse a spese considerevoli. Forse con minor impegno e minor denaro si potevano salvare due o tre bambini del terzo mondo o nelle baraccopoli di periferia. Ma non cadiamo nel solito moralismo. Wanda, un 'altra eroina della natura. Terrorizzata dai ragni, esige che il padre li uccida. E pensare che il ragno non disturba, è silenzioso e al giudizio di molti, bellissimo. Dunque esiste una natura buona quella del gattino, un'altra cattiva quella del ragno. Una natura manichea o forse classista: animali poveri da macello e altri ricchi da salotto. Una contraddizione se questo è amore per la natura! Dare al proprio gattino un vasetto di carne di coniglio è commovente, un segno d'amore per la natura animale felina non certo per quella del nostro tranquillo roditore. Per un delfino si fanno sacrifici enormi, per un caribù nemmeno un'offerta. Farsi condizionare dall'estetica porterebbe all'estinzione di alcune specie ritenute orrende rispetto al koala e alle bertucce, ma altrettanto necessarie per l'equilibrio della natura. Noi abbiamo esplosioni d'amore per gli animali docili, curiosi, carini. Pochi si preoccupano veramente dei serpenti e degli scarafaggi, o lottano per impedire la perversione delle gare di bellezza canine e feline: con animali profumati, pettinati, nutriti a base di diete rigidamente controllate e selezionati seguendo prestigiosi pédigree. È facile innamorarsi delle tartarughe di mare, ma nessuno ama i pidocchi e le zecche dei cani. Rapiti in estasi verso le religioni orientali, siamo ben lontani dall'atteggiamento buddista dei monaci che passano l'acqua con un filtro per non bere gli insetti per amore di tutti i viventi e non solo di quelli carini. Ragazzi che amano le farfalle e poi fanno strage di bruchi e di mosche perché fanno schifo. A pranzo in un recente matrimonio in quel di Bologna era seduta accanto a me Angela, di profonda fede animalista seguace di Brigitte Bardot e Lea Massari. Da vent'anni vegetariana, non tocca nessun tipo di carne. Invidia chi ha la fede cattolica, perché crede in un Dio assoluto ed in una morale altrettanto assoluta. Lei invece la fede nell'assoluto deve esprimerla attraverso il rispetto agli animali. Il che significa che un Dio o uno ce l'ha o deve crearselo. È sorprendente nella nostra società il contrasto fra fa difesa di una specie di viventi non umani e l'insensibilità per l'uomo magari di pelle nera o gialla. I negri o i filippini, i ninos de rua del Brasile non contano quanto un koala, come se l'uomo non fosse un animale e non dovesse interessare la società per la difesa della natura. Una maggiore attenzione e più profonda lettura della creazione non guasterebbe. Anche senza prendere alla lettera il primo libro della Bibbia, e quindi accettando il suo simbolismo, fa riflettere il fatto che Dio abbia creato nell'ordine i minerali, i vegetali, gli animali, l'uomo.  L'uomo ultimo nell'esecuzione, primo nell'intenzione. Tutto è dunque al servizio suo, non sfruttatore, ma gestore della natura. Gatti, cani, porcellini d'india, merli, pappagalli, sono gli amici dell'uomo e vanno in amicizia coltivati. Ma durante le ferie alloggiare il proprio cane a euro 25 al giorno nel pensionato animali e poi ignorare gli anziani del ricovero, oppure, come avvenuto recentemente, riscaldare ii proprio criceto sul sofà e lasciar morire di freddo la nonna ... Beh. Tutto questo potrebbe chiamarsi isteria della natura.

Autore:
Albino Michelin
02.09.1995

LO SPRETATO

E’ un’espressione che al malcapitato picchia male in testa. Vi è pure una serie di romanzi e di film che rincara la dose, per cui l’ex che ci capita dentro resta sistemato tutta la vita. Si basa su un riferimento un po’ settario ed unilaterale di un’espressione di Gesù "Chi pone mano all'aratro e poi si volge indietro, non è degno di me" (Luca 9,62). Espressione ormai proverbiale e nota anche all'uomo della strada. E tradizionalmente viene interpretata: "chiunque si battezza ed entra nella comunità cristiana ma poi lentamente si sbattezza, lasciandosi sopraffare dai propri interessi, dalla cultura del denaro e dell’egoismo non è degno di me”. Espressione certo di Gesù ma riferita a tutti i cristiani. Distorsione ed abuso aver attribuito questo giudizio solo alla casta sacerdotale, ai preti.
Ogni categoria indubbiamente si costruisce la sua cultura di difesa e di prestigio, e quella dei preti è caduta nello stesso tranello appropriando per se stessa questa frase di Gesù. Che alla fine dei conti ha un significato più ampio: in pratica chi non si decide per nulla, chi cambia e ricambia il proprio impegno o disimpegno professionale, chi muta come la luna, appartiene un po’ al mondo degli inutili per se e per gli altri. Le conseguenze le conosciamo tutti: chi ha lasciato il sacerdozio per un'altra professione ha fatto la fame, la miseria, è stato posto all'ostracismo e al margine della società. Questo in modo particolare qualche decennio fa, ma nei paesi di bianca matrice l’atteggiamento mentale non è neanche oggi di molto cambiato. Un senso di dispregio accompagna il soggetto “transfuga scappato con una donna “, che si è svestito, si è spogliato, ha gettato la tonaca alle ortiche. Insomma puzza di peste vita natural durante. Secondo il precedente Concordato fra l'Italia e la Chiesa, stipulato nel 1929 e riveduto solo nel 1984, allo spretato era vietata qualsiasi carica pubblica, impiego, insegnamento, funzione direttiva. La prassi era che chi lasciava il seminario o il sacerdozio doveva morire di fame: parola del Signore. Traditore. Ricordo di un compagno, si chiamava Piero, deceduto qualche anno fa in un incidente stradale. Dopo 10 anni di sacerdozio sentiva forte il desiderio di farsi una famiglia. Ha lasciato quindi, ma molti l'hanno fatto passare come un matto, un pazzoide. Quest'uomo con la forza di volontà, facendo qualsiasi tipo di lavoro, di giorno e di notte, è riuscito a prendersi due lauree, dare lezioni private. In barba al Concordato che lo vietava, fu assunto come insegnante in un Istituto tecnico statale, di cui è poi divenuto preside. Sposatosi, ovviamente, ha avuto una figlia che frequentò l'università, attualmente membro di una commissione al Parlamento Europeo di Bruxelles. Questo "spretato" tutte le mattine frequentava la messa, parlava di vangelo, frequentava ogni tipo di associazione religiosa. Passare dal sacerdozio al matrimonio per Piero non è stato un abbandono, un tradimento, ma l'occasione per ritrovare la sua vera strada. Solo ci si domanda come mai Piero non poteva più fare il prete, dal momento che la sua fede era più viva e vera di tanti preti. Alcuni cattolici sposati, invero alquanto rancorosi, rispondono che come nel matrimonio si giura fedeltà Dio e ad un partner, così nella sacerdozio si giura fedeltà a Dio di rimanere senza partner. Ma l’interpretazione è una forzatura. Nel senso che il matrimonio è sì un impegno, ma secondo natura e l’istinto di natura, mentre invece il sacerdozio è una messa fra parentesi della natura e del suo istinto amoroso procreativo. Quindi la conclusione non è del tutto evangelica.  Dio disse: alcuni scelgono il celibato come testimonianza della vita futura, dove non ci sarà né maschio, né femmina, né procreazione (Mt.9,12). Anche i monaci tibetani e tante religioni naturali hanno i loro celibi. Soltanto, ci si domanda se è conveniente rendere il celibato obbligatorio per chi desidera esercitare il sacerdozio. Dal comportamento di Gesù non appare così evidente dal momento che gli apostoli erano sposati e i primi vescovi avevano moglie. Quindi ci si pone la domanda se per un prete prendere moglie allorché si inoltra nell’età adulta con nuove problematiche e tensioni psicologiche sia una sconfessione oppure un trovare in modo più maturo la propria strada. D’Altronde anche la Bibbia dice:” è del saggio cambiare consiglio”. Al giovane seminarista  si ricordava  che la gente vuole il prete illibato, casto, incontaminato. La gente al prete perdona tutto, ma non che si perda con una donna. Capito? La gente perdona al prete tutto: palanche, mafioso, attaccabrighe, nevrotico, ma non gli perdona la donna. Lo spretato a causa di una donna e del matrimonio era sussurrato, dileggiato, emarginato da tutti i benpensanti cattolici. Forse una spiegazione la c’è. Esiste in noi una morale innata ed una morale indotta. Cioè se certa educazione religiosa continua a siringarci (indurre) una morale anti sessuale e antifemminista enfatizzandone le colpe, ovviamente la gente giudicherà e tratterà di conseguenza. Dirà: brrr un prete? Meglio ladro che con una donna! Stanno aumentando sempre di più corsi, giornate di studio, anni sabatici sul tema: "La figura del prete “. Da augurarsi che non si cada nelle tradizionali   autoesaltazioni e auto protagonismi di categoria. Che vengano trattati anche i veri temi di attualità, come: 1) possibilità di esercitare il Sacerdozio "ad tempus" ridimensionando il dogma un po’ retorico del "Tu es sacerdos in aeternum". 2) Possibilità di esercitare il sacerdozio anche in stato di matrimonio. 3) Coinvolgimento di ex preti a comunicare le proprie difficoltà di inserimento nella società. 4) Delegazione di laici che si esprimano senza riverenza e con trasparenza sul ruolo del prete oggi.
Non si dica che questo articolo andava scritto solo a porte chiuse e per i consacrati. La figura del prete è inscindibile dalle relazioni con il popolo di Dio, che S. Pietro definisce "plebe santa: sacerdozio regale". Il ruolo del prete oggi, anche se sembra una specie in via di estinzione (se non altro nel mondo occidentale), è diventato un patrimonio comune che comunitariamente andrebbe discusso e gestito.

Autore:
Albino Michelin
27.01.1995

GAILLOT IL VESCOVO DEGLI OMOSESSUALI

Come noto anche all'ultimo uomo della strada in data 13 gennaio 1995 Papa Wojtyla ha sollevato J. Gaillot dall'incarico di Vescovo di Evreux (Francia). Nato nel 1935, Vescovo a 47 anni, appassionato interprete e testimone di una chiesa missionaria, il cui ruolo, è quello di stare in prima linea in risposta ai problemi dell'uomo di oggi e suo compagno di viaggio, Gaillot era salito alla ribalta per chiare prese di posizione. Nel 1982 rifiuta di firmare un documento dei vescovi francesi contro il nucleare perché troppo prudente. Nell'84 appoggia una petizione in favore della scuola laica nei confronti della scuola privata. Nell'88 si esprime ufficialmente per il diaconato e per il sacerdozio delle donne. Chiede libero celibato per i preti e la riammissione nella chiesa di preti costretti all'esonero solo perché sposatisi. Nel '92 si pone contro la legge dell'immigrazione perché troppo restrittiva e offensiva alla gente di colore. Nel 93 legittima i preservativi, quale prevenzione contro l'AIDS. Nell'ultimo periodo prende la difesa degli omosessuali, in quanto troppo facilmente esposti all'emarginazione e al ludibrio morale, invitando anche la chiesa a conoscere meglio il problema prima di condannarlo. Molto corteggiato dai media concede interviste alle TV e a riviste per soli uomini e omosessuali. Nel complesso quindi una posizione molto scomoda e per le sue idee sociali, per quelle morali, e per i suoi rapporti interni con la gerarchia. Un vero enfant terrible. Il Papa, chiamatolo personalmente a rapporto, gli rimprovera di cantare bene, ma fuori del coro. Un vescovo non deve mai fare il solista, ma rimanere in comunione e unità con l'episcopato francese e con la chiesa tutta. Detto ciò lo esonera con un freddo comunicato alla stampa. La chiesa francese, quella del popolo che pure è chiesa quanto quella del vertice, reagisce con stupore e silenzio. Gente appartenente ad ogni ceto sociale fino ad eminenti uomini del pensiero laico e cattolico chiedono a Roma la revoca del provvedimento, in quanto ciò che deve essere da tutti accettato va prima da tutti discusso. Ma non appartiene alla chiesa di Roma l'umiltà del ripensamento, preoccupata com'è del suo prestigio. Il caso di Coira insegna.
Che dire? Anzitutto non risulta che Gaillot fosse un omosessuale o che giustificasse l'omosessualità in quanto tale. Se così fosse allora cambierebbero i termini del problema. Gaillot aveva preso sul serio un mondo di emarginati morali che oggi esiste e va aumentando: la chiesa non vi dovrebbe essere estranea o super partes. Dovrebbe coinvolgersi.
Le osservazioni: "Gaillot si concedeva troppo ai mass-media e ampliava a dismisura questa problematica". Ma che dire allora di certa gerarchia, Papa in primis, con i paparazzi televisivi sempre appresso? Non riesce ad emettere un sospiro, ad alzare un'ostia durante la messa degli alpini che non vi siano tutte le Fininvest europee e le CN americane per la diffusione universale. E poi una gerarchia dovrebbe servirsi della televisione per inculcare dal primo al terzo mondo procreazione di figli, figli e figli ed un Vescovo Gaillot non potrebbe servirsi della Televisione per invitare all'attenzione verso questi troppi figli cui manca o non è stata data nessuna qualità di vita?
Seconda obbiezione: "Gaillot concedeva interviste agli editoriali laici e di facile mercato." Ma allora perché Papa Wojtyla pubblica il suo libro nelle Editorie di Berlusconi anziché nelle stamperie cattoliche? Ovviamente per arrivare al grande pubblico, per farne un Bestseller! Allora perché due pesi e due misure?
Terza obbiezione. "Gaillot era un solista, un protagonista, fuori dall'unità dell'episcopato". E che dire di S. Francesco d'Assisi? Se fosse rimasto allineato con la chiesa del suo tempo avrebbe dovuto arruolarsi nelle crociate papali, andare in Palestina, con archibugi e scimitarre, far fuori tutti i Saraceni. Invece ha preso le sue distanze, ha fatto le sue obbiezioni di coscienza ad una chiesa borghese e di cavalieri armati. Nemmeno prete ha voluto diventare, è rimasto frate, cioè fratello. Ma non si dica che S. Francesco non era Chiesa, non ha fatto la Chiesa. Del suo spirito è invaghita la stessa nostra società di oggi. Ma dei papi di quelle crociate nessuno fa memoria. Anzi di quella chiesa ci si vergogna e siamo costretti a chiedere pubblicamente perdono.
Che fare allora? Impegnarci tutti, come singoli e come comunità cristiane ad essere una chiesa migliore sulle stile di S. Francesco. Non temendo di sporcarci le mani. Lasciare l'unica pecorella sicura nell'ovile alla ricerca delle 99 perdute, coinvolgendoci nelle loro vicende e nei loro drammi.

Autore:
Albino Michelin
28.01.1995

martedì 8 settembre 2015

TUTTI ABBIAMO UNA COSCIENZA SPORCA

L'espressione è uscita di bocca ad un nostro connazionale in una riflessione di gruppo sull'argomento "coscienza". La discussione sul tema aveva raccolto aspetti interessanti: se oggi esiste ancora una coscienza, con la sua voce romantica o accusatrice, d'onde nasce la coscienza, se va formata, educata, confrontata, controllata. Se la coscienza deve rispettare una legge politica vigente o può contestarla. Che vuole dire obbiezione di coscienza, coscienza alternativa, coscienza critica. Se per dannata ipotesi esistesse anche una coscienza falsa, errata, serva dei propri interessi, giustificazione del proprio libero arbitrio, volta ad ogni vento di fronda. Come si vede l'argomento è di attualità, forse da porsi al primo posto nella scaletta delle priorità del nostro tempo. Le conclusioni provenienti da diversi gruppi di riflessione sono all’incirca le seguenti: tutti abbiamo una coscienza, ognuno deve seguire la propria coscienza, ognuno deve rispettare la coscienza degli altri.
E fino a qui siamo in perfetta sintonia con lo spirito del nostro tempo fondamentalmente soggettivista e democratico. Quel tale cui scappò di bocca 'Tutti abbiamo una coscienza sporca" si mise chiaramente controcorrente, fece il bastian contrario, ma affermò la verità più semplice di questo mondo. Il punto dolente è che nessuno di noi ammetterà mai di avere una coscienza sporca. Parlare di coscienza per noi italiani sembra ovvio, ma non lo è. Anche perché dopo l'avvento del protestantesimo (cioè dal 1517, da 500 anni), più che formazione ad una coscienza personale è valsa fra di noi l'obbedienza all'autorità della chiesa. La chiesa diffidava sempre della gente che parlava in nome della propria coscienza, lei sola era la coscienza del mondo. Il popolino doveva accettare un'autorità forte, seguirla come legge: più sicura, meno fluttuante, l'unica deputata a spiegare, illustrare, dirimere, sanzionare. E a tutela di tutto questo la confessione privata con relative sanzioni per i peccati commessi.
Nei paesi anglosassoni invece dove si propagò il protestantesimo si curò maggiormente la formazione della propria coscienza, basandola meno sull'autorità di una chiesa esteriore e più sulla parola dì Dio scritta nella Bibbia. Senza troppe scappatoie verso la confessione al prete; in effetti dal prete si può raccontare e fuggire, dalla propria coscienza, occhio profondo di Dio, voce del Creatore, no. Di qui si può spiegare in parte il fenomeno della "coscienza" civica italiana sul piano pubblico. Da noi agire con coscienza significa agire con furbizia. Nella mentalità protestante invece agire con furbizia è agire contro coscienza. Un piccolo esempio? Un giocatore del pallone che simulando una carica dell'avversario si getta a terra per invocare il rigore. Il protestante inglese Hodgson, al tempo allenatore dell'Inter, riferendosi ad un episodio concreto disse: "qui in Italia manca la cultura sportiva. Per voi italiani, furbo è un complimento, in Inghilterra è un insulto. Quando un giocatore cerca la furbata e la cosa gli riesce, io al termine della partita gli do una strigliata". L'altro esempio di grande attualità: la generale evasione fiscale. Si sa che una maggiore onestà (coscienza) in materia servirebbe a risolvere quasi tutti i problemi, bilancio dello Stato, mantenimento dello stato sociale, occupazione, permanenza in Europa, ecc. Si sa che tutti gli altri strumenti antievasione, polizia, magistratura, controlli, anche se perfettibili sono insufficienti. Chi infatti controllerà i controllori? Unica diga: la voce della coscienza. Potrebbe essere, ma non lo è. Solo perché a noi la coscienza manca, pardon, ce l'abbiamo sporca, opaca. Mi sono intenzionalmente corretto "la coscienza ce l'abbiamo tutti". Sì, perché anche Hitler aveva una coscienza quando ha sterminato milioni di ebrei, anche i mafiosi hanno una coscienza allorché tolgono ai ricchi per darlo ai poveri e sciolgono un bambino di un’altra cosca nell’acido, pure Piero Maso aveva una coscienza allorché massacrò nel 1992 i suoi genitori per averne l'eredità. Anche i ragazzi del cavalcavia di Tortona avevano una coscienza allorché il 27.12.96 spaccarono la testa a Maria Letizia Berdini. E chi non ha la coscienza a questo mondo? E chi non agisce secondo la propria coscienza? Dipende dal principio cui essa si mette al servizio: la superiorità della razza per Hitler, il denaro per Maso, il brivido per la Banda del cavalcavia. E per il cristiano quale sarebbe il principio di coscienza? "Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza". L'amore di Dio nella dignità dell'uomo, di se stessi e degli altri. Su questo la nostra coscienza dovrebbe confrontarsi, e per questo obbiettivo sempre mantenersi inquieta. Ma a questo mondo purtroppo c'è qualcosa di peggio che avere una coscienza sporca, o farsi una cattiva coscienza. È avere una coscienza bella e fatta a propria misura, a proprio uso e consumo.

Autore:
Albino Michelin
25.01.1995