giovedì 17 settembre 2015

PRELATI, PORPORATI E BABBO NATALE

Il cardinale Cushing di Boston USA (1944-70) diceva che si vestiva di rosso solo per i carcerati e per i bambini. I primi perché si sentivano importanti e i secondi perché si divertivano come quando arrivava babbo natale. L'espressione mi riporta ad un articolo apparso il 23 luglio 1997 in un Giornale di Emigrazione, autore Antonino Alessandra indirizzo imprecisato, che si firma al femminile, ma scrive al maschile. A colpi di clava si abbatte contro un mio precedente intervento su "Giubileo del 2000" chiedendosi se mi si addica il titolo di reverendo o don e spaparanzando ai quattro venti che la Chiesa preti come il sottoscritto non li dovrebbe assolutamente produrre. Mi sia consentito quindi di affrontare serenamente l'argomento. Il fondatore della chiesa, cioè Gesù è stato molto semplice ed essenziale in materia. "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire ... e voi non fatevi chiamare Maestri perché uno solo è il Vostro Maestro. Guai a voi che andate in giro per le piazze ornati di filatterie per farvi riverire dagli uomini: avete già ricevuto la vostra ricompensa.” Di qui si capisce molto bene che Gesù vestiva come tutti, la sua carta d'identità lo connotava come figlio del falegname. E per gli apostoli lo stesso discorso: né rosso zucchetto, né rocchetto, né mozzetta né bianca papalina. Non risulta dai Vangeli che Gesù avesse istituito un particolare atelier e sartoria di abbigliamento per i suoi più intimi. Lo stesso avvenne con vescovi e presbiteri nei primi tre secoli della chiesa: tunica romana in uso fra le classi medio-basse.
Dal quarto secolo in poi dopo Costantino titoli nobiliari e vesti di gran pompa in uso presso gli imperatori passarono pari pari alle gerarchie ecclesiastiche. (Per i preti ultimo rango della categoria, si poteva anche giustificare la lunga tunica per via della decenza, dal momento che i barbari calati dal nord indossavano corte vesti senza mutande). Ed ecco così che il Papa si fece chiamare "Sua Santità". Versione sacrale e festiva dell'appellativo "Servo dei servi di Dio" e con Paolo II (1470) si appropriò della tunica di color bianco con baciamano dell'anello e della pantofola, tipico gesto dell'imperatore nei confronti degli schiavi. Si fece chiamare pure Vicario di Cristo, titolo riservato a Costanzo II imperatore d’Oriente (340 d.C.) preteso poi dal Vescovo di Roma. Che si fece chiamare pure Sommo Pontefice, titolo in precedenza riservato solo agli imperatori romani pagani e abolito da Graziano imperatore d’Occidente (380 d.C.) e quindi anche in questo caso rivendicato dal Vescovo di Roma. E i cardinali romani si fecero chiamare "Sua Eminenza" rubando un titolo che nel Medioevo veniva riservato al Re di Francia, loro attribuito definitivamente con decreto di Urbano VIII (1630). E qui tunica pure, ma di color rosso, già prescritto dal su citato Paolo II. E i vescovi si fecero chiamare "Sua Eccellenza" titolo riservato al sovrano ancora dall'età dei Longobardi e Franchi (500 d. C). Nel Regno d'Italia venne esteso anche ai "grandi ufficiali", ma poi per amore di giusta democrazia e uguaglianza fu abolito (1945). Legittimato invece nella chiesa nuovamente con decreto di Pio XI (1930), anzi distribuito anche ai patriarchi, prelati a flocculis (dal fiocchetto), ai nunzi. Ma qui con tunica di color violaceo, sempre secondo i dettami di Paolo lI. E i prelati si fecero chiamare "Monsignori", dal francese "Mio signore", titolo riservato ai Re e adottato per gli ecclesiastici benemeriti dai Papi di Avignone (1315-76). E I preti di prima categoria si fecero chiamare "Reverendi", titolo rivendicato già nel Codice di Teodosio (438), riservato ai cittadini eccellenti. Ripreso anche da Dante che nel Paradiso (Capo XIX, 102) chiamò reverendi persino i romani tutti, usurpazione che gli ecclesiastici subito contestarono. Ed anche per loro un distintivo, tunica lunga, ma di color nero, obbligatoria dal Concilio di Trento (1560), dal 1964 sostituibile in caso di necessità con il clergyman, completo di giacca e pantaloni neri, colletto bianco. Come si vede tanti titoli e colori diversi secondo dignità. E i preti di seconda categoria si fecero chiamare "Don" dal latino "Dominus", signore, per notificare a tutti da che parte stavano: dei Borboni spagnoli e siciliani. E i preti di terza categoria si fecero chiamare "Padre", appellativo comunque già vicino alla realtà, potendo rivestire una funzione di guida spirituale.
E gli ecclesiastici di ultima categoria si fecero chiamare "Frati", proprio per questo ritenuti i più popolari. In effetti l'appellativo si riferisce a San Francesco (1200) che chiamò i suoi seguaci "fratelli " e li vestì con l'abito dei servi della gleba. L'abbigliamento ecclesiastico fino a qualche anno fa comportava privilegi eccellenti come quello del "canone" (scomunicato chi osava picchiare un religioso) e quello del "foro" (un religioso sia pur truffaldino non poteva essere citato e tanto meno trascinato in tribunale).
Il Concilio di Aix la Chapelle (816) dichiarò che "l'umiltà del cuore propria degli ecclesiastici va dimostrata anche con l'umiltà del vestito" E Papa Celestino I (430) ebbe a scrivere: "Il Clero si dovrebbe distinguere dal popolo per la cultura e non per il vestito, per fa condotta di vita e non per l'abito, per l'onestà e non per la divisa" Messaggio da rivalutare anche nel nostro tempo. Libertà dei figli di Dio dunque agli ecclesiastici che desiderano esibire titoli ed infule colorate per dar gloria all'Altissimo, alla sua santa chiesa, per l'edificazione del popolo che così si sente rapito a pensieri di cielo. Ma libertà anche per gli ecclesiastici che preferiscono vestire semplice, farsi chiamare con nome e cognome per sentirsi uomini fra gli uomini senza distinzione di classi e di privilegi.

Autore:
Albino Michelin
10.12.1997

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