giovedì 10 settembre 2015

GAILLOT IL VESCOVO DEGLI OMOSESSUALI

Come noto anche all'ultimo uomo della strada in data 13 gennaio 1995 Papa Wojtyla ha sollevato J. Gaillot dall'incarico di Vescovo di Evreux (Francia). Nato nel 1935, Vescovo a 47 anni, appassionato interprete e testimone di una chiesa missionaria, il cui ruolo, è quello di stare in prima linea in risposta ai problemi dell'uomo di oggi e suo compagno di viaggio, Gaillot era salito alla ribalta per chiare prese di posizione. Nel 1982 rifiuta di firmare un documento dei vescovi francesi contro il nucleare perché troppo prudente. Nell'84 appoggia una petizione in favore della scuola laica nei confronti della scuola privata. Nell'88 si esprime ufficialmente per il diaconato e per il sacerdozio delle donne. Chiede libero celibato per i preti e la riammissione nella chiesa di preti costretti all'esonero solo perché sposatisi. Nel '92 si pone contro la legge dell'immigrazione perché troppo restrittiva e offensiva alla gente di colore. Nel 93 legittima i preservativi, quale prevenzione contro l'AIDS. Nell'ultimo periodo prende la difesa degli omosessuali, in quanto troppo facilmente esposti all'emarginazione e al ludibrio morale, invitando anche la chiesa a conoscere meglio il problema prima di condannarlo. Molto corteggiato dai media concede interviste alle TV e a riviste per soli uomini e omosessuali. Nel complesso quindi una posizione molto scomoda e per le sue idee sociali, per quelle morali, e per i suoi rapporti interni con la gerarchia. Un vero enfant terrible. Il Papa, chiamatolo personalmente a rapporto, gli rimprovera di cantare bene, ma fuori del coro. Un vescovo non deve mai fare il solista, ma rimanere in comunione e unità con l'episcopato francese e con la chiesa tutta. Detto ciò lo esonera con un freddo comunicato alla stampa. La chiesa francese, quella del popolo che pure è chiesa quanto quella del vertice, reagisce con stupore e silenzio. Gente appartenente ad ogni ceto sociale fino ad eminenti uomini del pensiero laico e cattolico chiedono a Roma la revoca del provvedimento, in quanto ciò che deve essere da tutti accettato va prima da tutti discusso. Ma non appartiene alla chiesa di Roma l'umiltà del ripensamento, preoccupata com'è del suo prestigio. Il caso di Coira insegna.
Che dire? Anzitutto non risulta che Gaillot fosse un omosessuale o che giustificasse l'omosessualità in quanto tale. Se così fosse allora cambierebbero i termini del problema. Gaillot aveva preso sul serio un mondo di emarginati morali che oggi esiste e va aumentando: la chiesa non vi dovrebbe essere estranea o super partes. Dovrebbe coinvolgersi.
Le osservazioni: "Gaillot si concedeva troppo ai mass-media e ampliava a dismisura questa problematica". Ma che dire allora di certa gerarchia, Papa in primis, con i paparazzi televisivi sempre appresso? Non riesce ad emettere un sospiro, ad alzare un'ostia durante la messa degli alpini che non vi siano tutte le Fininvest europee e le CN americane per la diffusione universale. E poi una gerarchia dovrebbe servirsi della televisione per inculcare dal primo al terzo mondo procreazione di figli, figli e figli ed un Vescovo Gaillot non potrebbe servirsi della Televisione per invitare all'attenzione verso questi troppi figli cui manca o non è stata data nessuna qualità di vita?
Seconda obbiezione: "Gaillot concedeva interviste agli editoriali laici e di facile mercato." Ma allora perché Papa Wojtyla pubblica il suo libro nelle Editorie di Berlusconi anziché nelle stamperie cattoliche? Ovviamente per arrivare al grande pubblico, per farne un Bestseller! Allora perché due pesi e due misure?
Terza obbiezione. "Gaillot era un solista, un protagonista, fuori dall'unità dell'episcopato". E che dire di S. Francesco d'Assisi? Se fosse rimasto allineato con la chiesa del suo tempo avrebbe dovuto arruolarsi nelle crociate papali, andare in Palestina, con archibugi e scimitarre, far fuori tutti i Saraceni. Invece ha preso le sue distanze, ha fatto le sue obbiezioni di coscienza ad una chiesa borghese e di cavalieri armati. Nemmeno prete ha voluto diventare, è rimasto frate, cioè fratello. Ma non si dica che S. Francesco non era Chiesa, non ha fatto la Chiesa. Del suo spirito è invaghita la stessa nostra società di oggi. Ma dei papi di quelle crociate nessuno fa memoria. Anzi di quella chiesa ci si vergogna e siamo costretti a chiedere pubblicamente perdono.
Che fare allora? Impegnarci tutti, come singoli e come comunità cristiane ad essere una chiesa migliore sulle stile di S. Francesco. Non temendo di sporcarci le mani. Lasciare l'unica pecorella sicura nell'ovile alla ricerca delle 99 perdute, coinvolgendoci nelle loro vicende e nei loro drammi.

Autore:
Albino Michelin
28.01.1995

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