giovedì 17 settembre 2015

CLERICALISMO DI RIT0RNO

Anche se i cattolici italiani residenti in Svizzera per la stragrande maggioranza non sono molto interessati ai Documenti vaticani concernenti la conduzione e l'animazione della propria chiesa locale, ad alcuni però non sarà sfuggita l’Istruzione del 15.8.97 avente per oggetto "La collaborazione dei laici al ministero dei sacerdoti".
Anche se per noi tale argomento sarà di impellente attualità soltanto in un prossimo futuro, esso è da tempo prassi comune nelle parrocchie svizzere, nelle quali noi pure lentamente stiamo integrandoci...
In effetti accanto ai preti, in fase costantemente calante, esercitano, in fase piuttosto crescente laici, operatori pastorali, animatori, teologi di ambo i sessi, celibi o sposati. . Preparazione professionale adeguata al tempo, comunicazione immediata, esperienza spesso dei figli, della famiglia e della vita vissuta, rifiuto di costituire uno stato sociale e sacrale a parte: tutto ciò li rende strumenti indispensabili nella pastorale apprezzati a tutti i livelli. Pure aprendosi l'Istruzione papale con un'ottima teorizzazione sull'importanza dei laici e nel futuro della evangelizzazione va poi chiudendosi alzando un muro di separazione con undici chiare ed inequivocabili prescrizioni. Ne cito solo alcune, quelle che possono toccare da subito anche le missioni cattoliche italiane .
*Ai laici non è consentito la direzione ed il governo di una parrocchia.
*Ai laici non è consentito fungere da presidenti nei Consigli Pastorali.
*Ai laici non è consentito celebrare la liturgia della parola domenicale, se non dietro mandato speciale del Vescovo. Questa però non sostituisce l'obbligo del precetto festivo, cioè la messa del sacerdote.
*Ai laici non è consentito comunicarsi da soli, né distribuire la comunione se non in caso di necessità e su mandato del Vescovo.
*Ai laici non è consentito impartire l'unzione degli infermi.
I settimanali cattolici locali con allucinanti titoli "Laici e preti, ruoli distinti" si dimostrano subito preoccupati di far risaltare ciò che li divide anziché ciò che li unisce, quasi soddisfatti di potersi togliere dai piedi dei doppioni alternativi e dei concorrenti. Di ben altro tenore invece l'intervento sul "Forum", organo delle parrocchie svizzere, del 14.12.1997, che si dichiara perplesso e preoccupato per le conseguenze pastorali derivanti dall'applicazione del documento vaticano e riferisce come una trentina di operatori pastorali, laici e sacerdoti, si siano presentati lunedì 1. dicembre a Morges in occasione dell'assemblea dell'Episcopato svizzero, abbiano chiesto lumi sulla loro "illegalità" e pregato di rinviare a Roma l'opuscolo per una revisione. Ci sia lecita un'opinione in merito, riferendoci anche all'Enciclica di Papa Wojtyla "Ut sint unum" ("affinché siano una sola cosa") del 25.5.95, in cui egli stesso dichiara:" ... ascoltando la domanda di favorire una forma dell'esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova (Nr. 95).” La seguente opinione dunque può completare in tal senso la domanda a lui rivolta. Già ad una superficiale lettura di questa "Istruzione" di 35 pagine si prova un enorme disagio per l'accumulo di ammonimenti e critiche su una delle materie di più ampio interesse e generosa sperimentazione nelle nostre chiese locali. L'osservazione è di L. Prezzi, Direttore de "Il Regno", una delle riviste cattoliche fra le più serie in Italia. Solo a nr. 4 dei principi teologici si sottolinea:” i fedeli non ordinati preti non detengono un diritto ... evitare deviazioni pastorali ... abusi e prassi trasgressive .... abusi segnalati ... non allargare  abusivamente il termine "eccezione" ... impedire tempestivamente ... evitare che venga danneggiato ... intervenga responsabilmente l'autorità ... " Una tonalità di burocratico controllo da cui non si esce sino alla fine del documento. Anche se in genere “Istruzione" non è documento   eccessivamente impegnativo fra le modalità d'intervento vaticane, il fatto che esso porti la firma degli otto principali dicasteri romani, sottolinea uno scopo preciso: limitare l'escalation dei laici. Un enorme disagio!  Un esempio lo si prova nel dover rapportare la proibizione di distribuire in via ordinaria la comunione da parte di un laico con la motivazione conclusiva del documento: "Tali prescrizioni non nascono dalla preoccupazione di difendere dei diritti clericali, ma dalla necessità di obbedire alla volontà di Cristo, rispettando la forma costitutiva che egli ha indelebilmente immesso alla sua chiesa". Qui ci sia consentita un'osservazione storica. Fino all' 800 d.C., periodo carolingio, i cristiani frequentavano la messa, detta "lo spezzare del pane" ovviamente prendendo con le proprie mani la piccola porzione. Dopo Carlo Magno due motivi hanno interrotto questa prassi iniziata con Gesù. Uno di ordine igienico: la gente non si lavava le mani e stropicciava sul pane. Di qui la prescrizione di riservare la distribuzione al prete soltanto. Il secondo di ordine morale: a causa della pesante tabuizzazione sessuale e conseguente deprezzamento del matrimonio, i laici che avessero compiuto un rapporto amoroso (lecito solo allo scopo procreazione) non potevano accostarsi alla comunione. Considerati impuri non era loro consentito di toccare il pane o corpo di Cristo. Ma dalla Cena di Gesù per ben otto lunghi secoli la norma non era stata questa, in effetti Gesù non aveva posto nessun tabù, "prendete e mangiate e distribuitevi il calice a vicenda” (Luca 22,17). Non ha ingiunto: "prego, legatevi le mani in croce sul petto o dietro la schiena, aprite la bocca, e il ministro di Dio vi ciberà!" Disagio dunque veder motivare questo divieto con la volontà di Gesù. Solo un esempio, perché lungo (ancorché necessario) sarebbe analizzare tutte le altre proibizioni.
Sia detto pure, e per inciso, che da qui trae origine il baciamano e il culto delle mani consacrate del prete e la separazione dello stato clericale (superiore) da quello laicale (inferiore). Sacrale il primo, profano il secondo, che tanto peserà sulla chiesa "popolo di Dio" e sistemerà i laici ad una posizione subalterna. Disagio, perché francamente sembra di tornare alla Bolla del 1296 di Bonifacio VIII "Clericis laicos infestos" (è dall'antichità notorio che i laici sono funesti al clero).  Scompare nel documento tutta l'elaborazione della teologia pastorale sulle nuove figure di laici pastori. Si nota resistenza al riconoscimento dei loro specifici servizi, presente nei documenti successivi al Concilio Vaticano II (1965) e in circolazione da allora ad oggi. Come quando per esempio ("vedi Istruzioni" art., par 2) si insiste sulla opportunità di usare sacerdoti ultrasettantacinquenni quali responsabili di parrocchie al posto di giovani ed efficienti operatori pastorali laici: involontaria ed amara ironia.
Il Card. Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ammette: "gli operatori pastorali laici hanno qui l'impressione che la loro collaborazione viene sopportata fino a quando vi sarà penuria di preti''. L'insieme del documento sembra proprio reggersi sulla paura che venga meno l'importanza del prete provocando una diminuzione di candidati al sacerdozio. Infine non si dimentichi che malconce la loro parte ne escono le chiese locali, la figura del Vescovo e le conferenze episcopali delle varie nazioni cui dovrebbe in primis competere questo tipo di interventi con relative applicazioni, senza vedersi fioccare dall'alto della Curia romana tutto questo barocchismo normativo.  Qui l'espressione è di Arturo Paoli, 85 anni, con un passato di scrittore e attualmente missionario nelle favelas del Brasile, aggiungendo che la semplicità di Dio è un aspetto della sua serenità.
Moltiplicare le "grida" potrebbe essere segno di debolezza, e raggiungere lo stesso risultato delle "grida" spagnole descritte dal Manzoni: la perdita di credibilità. Un rischio comunque aleggia ed incombe su questa "Istruzione" nella quale si nota che i laici contano sempre meno: quella di una accettazione irritata da parte di pochi e di un rifiuto silenzioso da parte di molti.

Autore:
Albino Michelin
14.01.1998

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