giovedì 22 ottobre 2015

SECONDA GUERRA MONDIALE: LA MIA ESPERIENZA

Qui non mi interessa fare un resoconto storico sui motivi e sulle conseguenze dell’ultimo conflitto mondiale(1940-45), quanto piuttosto quello che io stesso ho vissuto e che in parte ha segnato la mia vita. Sono nato nel 1932 a Sovizzo in provincia di Vicenza e il 12 ottobre del 1942 all’età di 10 anni sono entrato nell’Istituto missionario Scalabrini di Bassano del Grappa, città che dista 40 km dal mio paese di origine. Un totale di 600 alloggiati fra ragazzi delle medie, ginnasio, professori, preti, pensionati. In quell’anno della guerra noi si sentiva solo parlare, ma ci sembrava una realtà molto lontana. Le cose sono precipite l’8 settembre del 1943 quando l’Italia stipulò l’armistizio e il rapporto con i belligeranti si capovolse: con gli amici tedeschi diventammo nemici e con gli anglo americani diventammo alleati. Ci accorgemmo subito dai rapporti quotidiani sulla strada: molti nostri militari fascisti della nuova Repubblica sociale di Mussolini, detti Repubblichini, passarono dalla parte dei tedeschi, i renitenti invece si separarono in formazioni filo americane e si chiamarono partigiani. Ed anche l’Italia del popolo si divise in due fronti, nemici in casa e in famiglia. Il primo vero episodio ci capitò il 7 novembre  42. Davanti ai cancelli dell’Istituto arrivarono dei capi, con i tedeschi e diversi camion. Era di domenica e ci si trovava in chiesa. Il Superiore interruppe il rito, ci disse di portarci tutti davanti al cancello. Il colonnello reclamò lo sfratto immediato perché l’istituto doveva servire come sede del comando di guerra delle Prealpi venete. Il missionario superiore intimò: “qui non entrerete mai, diversamente questa sarà la vostra tomba”. Invano, dopo due giorni di trattative i repubblichini sfondarono i cancello e invasero il Collegio. Tutte le aule scolastiche e i vari locali furono occupati da militari e impiegati dalla Decima Mas, con grande impianto di telefoni e di telegrafi. Noi fummo costretti a portarci banchi e cattedre della scuola nei corridoi, o all’aperto. Iniziava la stagione invernale e ci riparavamo dal freddo con mantelli e coperte, ma sulle mani comparvero i geloni che ci facevano soffrire e ci rendevano difficile scrivere temi e dettati. Nei sotterranei del Collegio il Comando militare nascose armi, divise, scarponi, ogni abbigliamento adatto alla guerra. Si cominciava a sentire notizia di bombardamenti americani nelle grandi città e si temeva che anche il nostro collegio diventasse un obbiettivo da colpire. Se non che un intervento del vaticano riuscì a farlo passare come struttura umanitaria, tipo ospedale, scuola pubblica, ingiunse di colorare il tetto della bandiera papale allo scopo di evitare attacchi mirati. Dopo 4 mesi il Comando ricevette l’ingiunzione di trasferirsi in un altra sede, Villa Dolfin, e così potemmo avere un breve periodo di tranquillità. Fino a che arrivammo al martedì 26 settembre del 1944. Alle 15 suonarono le sirene di tutta la città, era l’ossessionante allarme, un lamento lugubre e doloroso, come d’altronde tutti gli allarmi che stavano sempre diventano più frequenti di giorno e di notte. Arrivò anche via radio comunicazione di uscire dalla città e trasferirsi nelle colline vicine. Alle 17 cessato allarme e ritornammo in collegio. Dalla terrazza si ebbe a vedere uno spettacolo agghiacciante e drammatico: ad ognuna delle 38 piante della strada chiamata “Viale delle Fosse” era impiccato un giovane partigiano. Altri penzolavano impiccati in strade limitrofe. Si trattava di uomini chiamati “partigiani” che per sfuggire alla deportazione in Germania e ai campi di concentramento e di sterminio si erano rifugiati da qualche mese sulle macchie del Monte Grappa, ma che in un rastrellamento a tappetto organizzato dalle SS tedesche (Schutz-staffel=squadre di protezione) unitamente ai repubblichini di casa nostra erano stati catturati. La città di Bassano alla fine venne decorata con medagli d’oro, ma nessuno più le ha restituito i suoi figli migliori. Io avevo12 anni, era il primo di tanti traumi che sarebbero seguiti. Dal gennaio 1945 ogni giorno dovevamo rifugiarci nei sotterranei perché i caccia sbucavano dai monti e scendevano in picchiata sulle nostre teste per fare saltare i due ponti sul fiume Brenta, quello nuovo distante 400 metri e quello vecchio, detto ponte degli alpini, gioiello storico del Palladio,300 metri. Di notte invece passavano gli aerei detti Pippo, (Pyper, di ricognizione che bombardavano dove vedevano luci accese) e noi allora ci si riparava sulle colline vicine. Finché si arrivò a lunedì 23 aprile 1945. Alle ore 13 eravamo nei cortili a giocare e sentimmo avvicinarsi il rumore sordo, cupo di morte delle fortezze volanti, suddivise in squadriglie, ricoprendo il cielo di Bassano. L’allarme non era stato dato perché andato distrutto l’impianto, noi si pensava che proseguissero a bombardare Udine o Treviso. Improvvisamente un boato, tanti boati in successione, oscurato il cielo, ci siamo riparati nelle aule più vicine, i vetri saltavano in frantumi, sconquassi di porte per lo spostamento d’aria. Sembrava un’eternità: anche le gente del quartiere e del vicinato si era tutta riversata in collegio, chi piangeva, chi gridava, chi cercava persone care e familiari, chi si raccomandava l’anima a Dio. Dopo un’ora di apocalisse, ritornò dovunque un silenzio di tomba. I due ponti erano stati distrutti, ma anche tanta parte della città. Diverse bombe erano rimaste inesplose nel nostro orto e nei campi adiacenti. In quello stesso giorno via radio si venne a sapere che il fronte angolo americano stava muovendo da Bologna, che quello tedesco era in ritirata verso la Germania, via Bassano, Valsugana, Trento. Il nostro Superiore ebbe la “nobile pensata” di inviare un telegramma urgente alle famiglie:” subito riprendere i figli perché in gravissimo pericolo”. Di Sovizzo eravamo quattro ragazzi: Davide, Gabriele, Florindo e il sottoscritto. Le strade erano un’imboscata continua fra partigiani e tedeschi, morti, giustiziati, arsi vivi, impiccati quasi ad ogni angolo, sparatorie in continuazione, vendette sommarie, rese di conti. Mercoledì 25 aprile i nostri papà partirono all’alba, alle 4 del mattino, con bicicletta, ma attraversando campi e sterpeti, e si fecero 45 km. Alle 13 arrivarono a Bassano affamati e stremati, poterono rifocillarsi e partimmo in otto all’avventura per il ritorno in famiglia. Sempre attraverso sentieri di campagna, e distanziati per non dare sull’occhio di essere una pattuglia nemica (di chi?). Cosi ci demmo appuntamento ad una cava di ghiaia dopo 20 km. a zig zag in un paese chiamato Sandrigo. Io e mio padre arrivammo ultimi e trovammo i nostri della compagnia senza bicicletta. I tedeschi l’avevano loro rubata. Fortuna volle che non li avevano giustiziati come traditori. Forse un po’ di pietà per quattro adulti che accompagnavano ragazzi inermi l’avevano avuta. La sera verso le 20 arrivammo ad un paese chiamato Villaverla e il parroco informatosi da dove si veniva ci diede la cena e ci distribuì chi in cantina, chi in granaio. Io ebbi un divano con mio padre all’ingresso. Nottetempo scoppiavano bombe a mano davanti all’abitazione, un gruppo di partigiani entrò gridando “Decimazione, qui ci sono dei traditori”. Convintisi della nostra situazione ci lasciarono e se ne andarono. Al mattino del 26 aprile riprendemmo la via del ritorno, attraverso boschi, sempre lontano dalle strade, dai centri abitati e dai paesi bruciati dalla rappresaglie. A mezzogiorno arrivammo ad una contrada, chiamata Torreselle, ed una famiglia ebbe compassione, ci preparò la tavola e ci diede ogni ben di dio come solo i contadini sanno fare. Ho appreso di persona che sono sempre i poveri ad aiutare i poveri. E riprendemmo il cammino. Attraverso siepi e boschi ci avvicinavamo a casa e ovunque si incontravano gruppi non più di tedeschi, ma di partigiani. Ogni volta posto di blocco, era una perquisizione, ci prendevano per spie fasciste e anche lì si poteva finire male. Verso le 20 arrivammo nella nostra corte. Il paese si era quasi tutto riversato in quell’aia, in ansia ed in angoscia per timore che dopo due giorni di attesa non tornasse più nessuno e tutti fossimo stati uccisi. La gente si commosse, era esausta per l’attesa, non aveva neanche la forza di esultare. Ma fu festa grande per lo scampato pericolo. Alla notte fra giovedì 26 e venerdì 27 aprile sulla statale Verona-Vicenza, 3 km. da casa mia sentimmo i carri armati americani e tutto il fronte anglo- americano passare, gli ultimi colpi di cannone all’entrata in città, la guerra era finita. Impressioni? E’ molto diverso leggere libri di storia e sentire racconti di guerra dal passarci dentro. Sopravvissuto per caso o per fortuna mi fa molta pena oggi vedere masse di gente che viene in Italia e in Europa fuggendo dai paesi dove una guerra finisce ed un’altra incomincia, e sentire la nostra gente che incita a sparare a vista sulle carrette del mare. Chi non ha sofferto non saprà mai capire né compatire.

Autore:
Albino Michelin
09.05.1998

DIRITTI UMANI PER TUTTI ANCHE PER GLI EX PRETI (UNA TESTIMONIANZA)

In riferimento all'articolo "Diritti umani per tutti, anche per gli ex preti" apparso Su Rinascita Nr.113 mi è pervenuta questa testimonianza di Mauro Delnevo, sacerdote che ha lasciato le sue funzioni, ora sposato e padre di famiglia, di professione artigiano.

“Sono d’accordo con l’articolista che il termine "ex" può servire per rendere meglio il discorso anche se la precisazione va fatta non come rivendicazione di un titolo onorifico perso, o meglio di appartenenza ad una casta protetta e privilegiata, ma nello specifico del prete che si sposa solo come lotta contro un tipo di cultura ufficiale e quindi popolare che tende ad emarginare, rifiutare e privare di diritti chi, fra i preti, decide di sposarsi.
Ci sono dei preti, dei vescovi, dei religiosi, mercanti- managers, dongiovanni, carrieristi, costruttori edili, uomini a caccia di testamenti più o meno redditizi che non sono chiamati "ex", ma che non sono sacerdoti però nel senso più vero della parola, cioè "servitori" di Dio e del suo popolo. Aggiungo subito che pure essendo prete sposato da 13 anni con una moglie Pina ed una bella bambina di dieci anni che si chiama Miriam e che sono la mia gioia, sono assertore convinto del celibato come scelta e credo che quando questa scelta continua ad essere libera e mai imposta è possibile non solo ma è bello vivere celibi. lo ho vissuto bene il mio celibato, ho rinnovato questa scelta ogni giorno e sono felice oggi. Come ieri. Comunque mi sento un uomo fra gli uomini e nonostante una legge assurda che mi ha sospeso diciamo, "a divinis", continuo ad essere un servitore del Padre, annunciando ancora il Suo meraviglioso messaggio come "proposta" sempre! Vivo il mio essere uomo di fede nella periferia livornese, nella parrocchia dove sono stato parroco per 17 anni, nella stessa casa popolare (in affitto) dove vivevo da parroco, (ma non ho mai voluto costruire la casa canonica, anche se "ho peccato" facendo costruire una bella Chiesa a pianta esagonale!). Il Comune di Livorno, giunta a maggioranza assoluta allora Pci, mi ha messo a disposizione un terreno di mq.1500 e qui a partire dal 1987 io e la mia attuale comunità abbiamo costruito una piccola casa di accoglienza dove realizziamo il nostro cammino di fede come Comunità di Base Cristiana (ogni sabato celebriamo insieme un' Eucarestia dove tutti hanno diritto di parola) e dove accogliamo attraverso una cooperativa laica di cui fanno parte alcuni membri della comunità alcoolisti, tossicodipendenti, gente con disagi vari e loro familiari  realizzando gruppi di autoaiuto. Cade e non solo per me "il luogo comune" che un prete non può amare la sua famiglia e la sua comunità di fede, non può dedicarsi al suo lavoro (la Comunità non mi mantiene) alla sua donna e ai suoi figli e nel frattempo dedicarsi a opere di solidarietà, ricerca di fede e preghiera.
La forza dell'amore, prego Dio ogni giorno che me l'alimenti, chiude la bocca di quanti si riempiono di questi discorsi, perché come minimo hanno dimenticato che l'amore umano per la propria donna e i propri figli e l'amore che viene da Dio hanno una forza dirompente ed inesauribile! Intanto i Vescovi e questa Chiesa ufficiale sono impegnati a tamponare i disastri che molti preti pedofili, non solo in America, combinano. Li proteggono amorevolmente e rimborsano finanziariamente le famiglie colpite, pagano i processi, hanno i migliori avvocati.
Ma forse è una toppa nuova su un vestito vecchio ... Tengono nascosti i preti omosessuali, li seguono con pazienza e li riconfermano nei loro Incarichi e nella loro missione. Accolgono i preti anglicani e le loro famiglie all'interno della Madre Chiesa Cattolica. Questa constatazione dobbiamo continuare a farla, attenti a non cadere nel peccato del fratello del figliol prodigo! A quando i preti celibi per scelta potranno svolgere la loro missione accanto a quelli che, per scelta, decidono di vivere l'amore per una donna? La Chiesa di base, nella quale cammino oggi, ha già abbondantemente capito questa profezia, qualche Vescovo queste cose le afferma già pubblicamente. I tempi non sono lontani. Dobbiamo continuare a pregare e a lottare per "amore", perché anche i preti sposati siano reintegrati nei loro diritti umani e nella loro dignità di persone.”

(Mauro Delnevo-Via Auronzo 8-57124 Livorno)
A cura di
Albino Michelin
25.03.1998

venerdì 16 ottobre 2015

UN'OCCASIONE MANCATA: LE DIMISSIONI DEL PAPA

Morto un papa se ne fa un altro, sembrava fino a ieri uno slogan scontato. Invece da quando (e precisamente da venerdì 7 gennaio 2000) il Vescovo Lehmann primate di Germania si è permesso di sollevare indirettamente il problema si è data la stura ad un finimondo. Altro che sasso nella piccionaia. Non solo nei media di estrazione cattolica, ma anche nei quotidiani politici di ogni tendenza, cuor solo ed anima sola nell'ossequio verso la gerarchia per un pugno di voti, si è assistito ad una levata di scudi, è tornato redivivo lo spirito delle crociate. Anzitutto, per partire dalla fonte, Lehmann non ha proferito nulla di irriverente. Nel suo pragmatismo nordico, totalmente carente nella popolazioni latine dove tutti parlano e nessuno dice, in un'intervista in TV ha espresso semplicemente il suo pensiero in merito: "Credo che questo papa, nell'ipotesi si trovasse impari al suo compito per motivi di salute, avrebbe il coraggio di dimettersi''. Non c'è qui da ravvisare nessuna combine, né corni, né bicorni, né malaugurio, né programmi di blitz ai danni del trono pontificale. È una constatazione normale nei confronti di persone umane (ed il papa è pure un uomo) investite di un ruolo pubblico. Il Papato appartiene pure ad un incarico rappresentativo, tanto più alto tanto meno esente da giudizi, apprezzamenti e considerazioni. È Gesù stesso ad invitarci ad un giudizio in merito: "dai frutti conoscerete la pianta". Ma in Italia non è così. Si sa che noi italiani preferiamo strisciare e stordire l'autorità con aggettivi, qualificativi, appellativi pluriornati, salamelecchi, cerimoniose piroette, servilismi e (perché no, diciamocelo) ruffianate. Salvo poi a fregarcene alla prima occasione. Il fatto stesso che anche l'attuale Papa venga osannato nel folclore intercontinentale e poi registri così profondo dissenso sommerso in fatto di fede e costume ne è una dimostrazione.  Ma tant'è: qui il "rozzo" e barbaro Lehmann, giudicato triviale dai nostri guardiani del tempio, ha superato ogni limite. Sacrosanto quindi il lenocinio popolare contro questo teutonico usurpatore, nostalgico erede degli Ottoni invasori, che si è permesso di deturpare la nostra romano centrica chiesa universale. Il Vescovo di Como Maggiolini definì l'intervista: "aggressione di cattivo gusto". E dalle più alte sfere vaticane all'ultimo uomo della strada tutti in coro a suonare le corde della più lacrimosa compassione.
Riassumo alcuni stralci: " ... Il papa sta bene, anzi benissimo ... Santo Padre grazie per la Sua vecchiaia, Lei Santità è giovanissimo più di tanti noi giovani. Padre, ... Paternità non si rinuncia, il Papa risponde solo a Gesù Cristo ... Il suo è un ruolo unico, nessuno può decidere per lui, spetta a Gesù ... Non c'è posto per un papa emerito ... Povero papa, ridotto a unità produttiva fra padroni e sindacati ... Ruolo incomprensibile per chi non ha la fede ... Il Signore non chiede prestazioni superiori alle nostre forze, lui stesso ci dà le forze per compiere ciò che domanda ... La potenza del Signore si manifesta nella debolezza dell'uomo .” E avanti con tutta una serie di espressioni, che collocate al loro posto avrebbero un significato coerente, ma stralciate così hanno solo il sapore di fiorellini devozionali. Un'intervista del genere non deve restare sul piano delle occasioni mancate ma offrirci l’input di una riflessione sul piano culturale. L'intervento di Lehmann, o provocazione vera e ridimensionata, ha fatto il giro del mondo e pone al papato degli interrogativi, di cui alcuni di pubblico dominio, altri totalmente inediti.
Il primo concerne il fatto delle dimissioni papali lungo la storia. Il caso di Celestino V (13.12.1294) ritornato nel suo eremo abruzzese è il più eclatante. Però anche di recente Giovanni XXIII ha lasciato scritto che in caso di malattia incurabile preferiva dimettersi: ma ne venne a conoscenza solo due giorni prima della morte (1956). Anche Paolo VI nel 1966 nel Castello di Furnone dichiarò pubblicamente che teneva lui stesso in considerazione tale eventualità. Perfino Papa Wojtyla, che si è sempre dichiarato in buona salute (almeno all’apparenza) nel Codice di Diritto Ecclesiastico da lui pubblicato nel 1983 ha inserito due canoni: il 332-335 in cui viene a sfatare il tabù delle sue stesse dimissioni che possono benissimo capitare in caso di impedimento ad esercitare il suo ufficio, se liberamente espresse e debitamente manifestate. In secondo luogo, se vogliamo basare il ruolo papale sul Vangelo di Gesù come sarebbe di dovere, allora le cose si chiariscono ancora meglio. Tale ruolo si fonda non tanto sulla persona, ma sulla fede della stessa, e può essere esercitato come servizio provvisorio e temporaneo. In effetti Gesù disse a Pietro: ''Tu sei Pietro e sulla fede di questa pietra io edificherò mia Chiesa". Ma non molto più tardi il Signore scendendo dal Monte Tabor gli fece la seguente rampogna: "Vai indietro da me Satana perché non sai di che spirito sei". Che lungo la storia vi siano stati papi "fedeli" che han salvato la barca della chiesa nessun dubbio. Come d'altronde non bisogna dimenticare che ve ne sono stati altri di "infedeli" che le hanno fatto correre rischi indescrivibili.  Per cui va dato ragione a certi storici che affermano avere il Signore salvato il suo popolo non sempre per merito del papato, ma nonostante il papato. I numeri ci dicono che su 263 Papi 46, cioè un 18%, hanno tenuto un comportamento inguardabile ed altri furono tolti d'autorità per le loro idee tutt'altro che ineccepibili. Quindi abbiamo avuto nel tempo papi che si sono dimessi o per mancanza di volontà o per mancanza di fede ed altri che hanno  esercitato la loro funzione solo ad tempus, a dimostrazione che tutto questo polverone sollevato attorno all'intervista di Lehmann a difesa del ruolo indimissionabile del papa storicamente non regge. Stampa o TV cattolica o nazionale che a bella posta tace su queste informazioni non fa un buon servizio alla verità e si rende correa di "occasione mancata". Un ulteriore argomento va poi portato a conoscenza del pubblico. Da oltre 30 anni esiste una prassi per cui Vescovi (Canone 401,1) e Parroci  (538,3) al 75° anno d'età devono dare le dimissioni da ruoli direttivi nella chiesa.” Ovviamente il motivo risiede nella scontata fisica impossibilità ad espletare i loro compiti professionali. Ora lo stesso discorso dovrebbe o potrebbe valere anche per il Papa. La motivazione contraria, riportata da alcuni, cioè che il Papa ha sposato la chiesa e quindi solo la morte ne può estinguere il connubio è per nulla convincente, perché anche un vescovo da parte sua ha sposato la diocesi e anche un prete s'è coniugato con la parrocchia e tali dovrebbero rimanere finché morte non separi. Però a 75 anni devono fare le valigie, ritirarsi in un ricovero, entrare nel mucchio dei pensionati o fare i cappellani in un convento di suore.
Se tutto ciò suona logico e non irriverente per i comuni ecclesiastici, altrettanto lo potrebbe essere anche per il promulgatore e il garante di tale legislazione. E aggiungasi anzi che di fronte al mondo dei non credenti sarebbe un gesto di grande valore laico. Come dire: "anch'io Papa sono uomo fra gli uomini, uomo come voi". C'è poi l'ultima affermazione, cioè "che il Papa risponde solo a Gesù". Per carità evitiamo di scappare per la tangente, evitiamo anche solo la parvenza di idolatrie e fanatismi. Perchè ciascuno di noi, e non solo il Papa, deve in ultima analisi rispondere a Dio, a Gesù Cristo, alla sua coscienza. E qui è lo stesso Papa Wojtyla a venirci incontro, in un documento del 31.5.1995 (Ut sint unum) in cui desidera lumi dal popolo di Dio per gestire in forma più democratica il suo primato. Ed è basandoci su questa premessa che noi riteniamo che egli, come tutti gli uomini rivestiti di pubblico potere, non ha da rispondere prima di tutto o soltanto a Gesù Cristo, quanto piuttosto anche alla comunità dei credenti. Un caso eclatante, e per niente eccezionale a proposito, ma che nessun oratore sacro o TV cattolica ha mai rammentato, lo si ebbe a constatare nel Concilio di Costanza (1415) allorché l'assemblea ecclesiale, o sinodale che dir si voglia, decise di deporre tre papi (Gregorio XII, Benedetto XIII e Giovanni XXIII), il cui nome venne ripreso da Roncalli nel 1958, ed elessero Papa Martino V, il quale accettando l'incarico, legittimò la superiorità del Concilio o del Popolo dei Credenti sul Papa stesso. Abbiamo qui cioè una serie di dimissioni in cui il Pontefice non si appella a Gesù Cristo, ma sottostà alla Chiesa di Gesù Cristo. Dispiace che nemmeno i frequentatori abituali della messa domenicale siano mai stati edotti in materia. E con tale sottocultura programmata quanto avanti vogliamo andare nella corresponsabilità di chiesa? In tutta questa vicenda non va dimenticato un doveroso ringraziamento. Un grazie grande e sincero alla chiesa cattolica tedesca nel caso interpretata dal suo primate Lehmann. Certi diplomatici sono pronti a ricordarci che attualmente non corrono ottimi rapporti fra quella chiesa e il vaticano. Infatti risale solo al 20.11.99 il triplice diktat del papa ai vescovi tedeschi: ritiro dai consultori abortisti statali, no alla democratizzazione della chiesa, infallibile no alla donna prete. Chiaro segnale inoltre di tutto ciò è il fatto che dal 1984 Roma non ha mai scelto nessun cardinale tedesco.  Ma l'episcopato di quella nazione va oltre a quest'ultima bagatella. La forza di questa chiesa ha radici molto lontane e molto profonde, la fortuna di avere avuto un Lutero, un protestantesimo con cui confrontarsi e dialogare, la divulgazione della Bibbia fra il popolo, università di teologia per laici, dibattiti televisivi sulla fede condotti da uomini e donne sposati. Realtà tutte che in Italia si sognano di notte.
La vera cultura che i nostri esperti in materia possiedono la devono tutta o quasi alle ricerche protestanti o cattoliche dei tedeschi. La nostra cultura in patria è troppo clericale, ripetitiva, divulgativa: poco o nulla creativa. L'uscita di Lehmann si inquadra in questo contesto di corresponsabilità nella chiesa. E si ricollega con il precedente intervento del Cardinal Martini di Milano (7.10.99) in cui si auspica la convocazione di un grande concilio mondiale, per confrontarsi insieme sui grandi problemi, implicito il fatto che l'attuale pontefice è superato da un mole di attività planetaria, oltre le sue possibilità. Purtroppo c'è un limite a tutto, anche al Papa. Questi sono i grandi temi che sottostanno alla "boutade' di Lehmann del 7.1.00: per nessuno restino delle occasioni mancate!

Autore:
Albino Michelin
10.02.2000


NOTE DI LETTURA DI P.A. PEROTTI C.S., DOTT. IN TEOLOGIA, DIRETTORE DEL SERVIZIO SOCIO-PASTORALE IN LUSSEMBURGO.

1) La reazione espressa da A. Michelin in questo articolo raggiunge in sostanza le reazioni di diverse persone che ho letto nella stampa in Lussemburgo.
2) Reazioni che provengono da ambienti cattolici, che condividevano il parere del primate di Germania Card. Lehman, così come era stato espresso di fatto nella sua intervista.
3) Condivido la posizione di A.Michelin nella sua sostanza. Ritengo che un minimo di informazione storica debba essere assicurata se non si vuole fra mezzo secolo chiedere perdono per avere lasciato vivere i credenti in una ignoranza ottusa, senza diritto di parola. Quella di A.Michelin, sebbene controcorrente, fa parte di quelle prese di posizione coraggiose che diventano oggi sempre più rare nell’ambito della chiesa. (Triuggio (MI) 23.2.00)

ITALIA CATTOLICA E PARITA’ SCOLASTICA: PATTI CHIARI, AMICIZIA LUNGA

Qualche tempo fa è stato chiesto al Dalai Lama, una specie di Papa del Buddismo, che cosa gli stia più a cuore al momento per il bene del mondo. Le premure di quell'uomo sono per i diritti umani, la solidarietà fra gli uomini, la conquista della serenità interiore. Non freme per una scuola buddista finanziata dallo Stato. La fede dunque non come potere di visibilità e forza mondana, ma come lievito nella pasta, proprio secondo l'espressione del Vangelo di Gesù. Certo siamo in un altro pianeta, non in quello italiano lontano anni luce. A scanso di equivoci va premesso che le nostre scuole pubbliche non statali (riduttivamente chiamate private, in genere tenute da religiosi) compiono nel nostro paese un buon servizio, in considerazione anche della preferenza data da molti genitori, per il senso della responsabilità professionale, della disciplina, dell'impegno. Il dibattito, come noto, non concerne il diritto alla loro esistenza (libera chiesa in libero stato), ma il diritto al finanziamento totale e paritario, com’ è nel caso delle scuole pubbliche statali. E qui, come al solito, l'Italia si spacca in cento pezzi e scende in piazza. Il movimento "paritetico" cattolico, espresso dal Cardinal Ruini quale promotore ed interprete, non perde occasione per alzare il volume e battere cassa allo Stato. Il 31 ottobre del '99 ha organizzato una manifestazione in Piazza S. Pietro a Roma con 200.000 partecipanti (pari a circa lo 0,03% degli italiani) invitando persino il Papa dalla sua finestra a picchiare pure lui lo stesso "sodo" per parità giuridica ed economica delle scuole private. Tutti i convenuti in febbrile eccitazione al grido di "Libertà, Libertà!" sporsero i loro petti contro lo Stato italiano dittatore e strozzino delle scuole cattoliche. Molti preferiscono nella circostanza e per coerenza schierarsi dall'altra parte della contesa perché questo movimento non darebbe una bella testimonianza alla comunità cristiana e quindi ci sia consentito un rispettoso ma franco dissenso sui motivi e sul metodo adottato per ottenere dallo Stato Italiano la parità scolastica. Libertà, Libertà ... d'accordo. Ma la nostra Costituzione al nr. 33 parla chiaro, riconosce il diritto ai privati (laici, cattolici, islamici, marxisti e chi più ne ha più ne metta) ad aprire le scuole che desiderano, ma "senza oneri" per lo Stato. Senza oneri significa esattamente senza oneri, punto e basta. Ora il Movimento Ruini, rappresentante di una parte delle gerarchia ecclesiastica, non può dimenticare la lettera di Paolo ai Romani (13, 1): "ciascuno sia sottomesso all'autorità costituita, perché non c'è autorità se non da Dio". Né la Prima Lettera di Pietro (2,13): "siate sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore". Orbene il numero 33 della costituzione finché esiste è parola di Dio e va rispettato, non raggirato. Diversamente sarebbe mancanza di lealtà, da noi la prima causa a rendere debole società e Stato italiano.
Siamo già tanto carenti di legalità e senso civico, che se poi ci si mettono pure degli esponenti della chiesa siamo a cavallo. Ci si adoperi quindi in primo luogo a cambiare questo passo della Costituzione rispettando l'iter democratico e soltanto dopo si instauri un dibattimento sulla parità finanziaria. Il movimento in questione sostiene di battersi per il diritto alla libertà. Questo è positivo, addirittura encomiabile a patto di tirarne le conseguenze. Cioè libertà per tutte, per le scuole cattoliche, laiche, di extracomunitari, di altre religioni. Una domanda birbona: ma si vuole una libertà di tutte le scuole e di tutti oppure i soldi da tutti? E qui il punto resta ambiguo. Se così fosse, si tratterebbe solo di un interesse per la propria bottega. E poi non dimentichiamo una possibile levata di scudi! Sarebbe corretto sovvenzionare in toto le scuole cattoliche con i soldi del pubblico, provenienti pure da gente che cattolica non è? Non sarebbe questo un ritorno alla Chiesa di Stato e allo Stato confessionale, posizioni da tempo superate con la libertà religiosa rivendicata dal Concilio Vaticano Il?  Accontentiamoci cioè di essere una scuola nello stato, e rifiutiamo di essere una scuola dello Stato.
Un aspetto su cui il Movimento Ruini insiste è quello della sussidiarietà. Si deve cioè lasciare alle comunità minori, nel nostro caso alla famiglia, la formazione culturale dei figli e per l'istituzione scolastica corrispondente. Lo Stato sarebbe lì solo per prenderne atto, per incoraggiare e pagare le fatture. È questo un modo tutto sui generis di concepire lo Stato, banco dell'Enalotto, ridotto a figura di supplenza. Un'entità a proprio servizio senza la reciprocità dei diritti-doveri. Lo Stato invece ha tutt'altre funzioni: garante della libertà dei cittadini, che promuove e coordina, sì, ma attraverso un ordinamento ed una fede laica. Il che non significa posizione anticattolica o anticlericale, ma ambiente di convivenza per tutte le culture e religioni. In una società pluralistica differenziata lo Stato deve salvaguardare una base comune ed in questa salvare le diversità. Sarebbe un ripiegamento ed un impoverimento dello Stato e della società civile il pullulare di una miriade di scuole settoriali, senza scambi comunicativi e circolazione di idee e confronti dialettici. Ognuno con la sua sagrestia, la sua moschea, la sua pagoda, la sua sinagoga e al di sopra uno stato fantasma! Questa pretesa è una debolezza per la chiesa, paura di diventare seme evangelico, di perdere la sua visibilità. Essa non deve dimenticare che Gesù paragona il suo Regno ad un chicco di grano destinato a diventare il grande albero, ad un pugno di lievito destinato a fermentare tutta la pasta, pugnetto di sale capace di dare sapore a tutta la tavolata.
Orbene se i nostri ragazzi devono restare protetti sotto una campana di vetro a forma di ghetto e non sanno inserirsi nelle varie scuole pubbliche per diventare seme, lievito, sale, significa che il catechismo e i riti sacramentali appresi nella parrocchia sono pratiche vuote e moralistiche e che la parrocchia stessa è diventata un arsenale vuoto, senza polvere da sparo, senza miccia, senz'anima. Ma allora la riforma o l'evangelizzazione va fatta alla fonte, in casa propria, non la si deve pretendere dalla scuola. Il Movimento Ruini si preoccupa più della politica che non dei lievito, il terrore di restare nulli, insignificanti. Però è ovvio che la politica avrà un orientamento cristiano, non se restiamo italiani, ma se ridiventiamo ciascuno cristiani. Il nodo più difficile da sciogliere su tutta la faccenda concerne le garanzie che lo Stato ha il diritto-dovere di chiedere circa l'utilizzo dei contributi finanziari. Ed è proprio questo diritto che i gestori delle scuole private e i loro patroni mal sopportano. Vogliono i soldi, ma non i vincoli. Soprattutto quelli concernenti l'assunzione ed il licenziamento del personale insegnante. Il criterio discriminante fra scuola statale e privata (nel caso cattolica) consiste nel fatto che nella prima si guarda più alla competenza e meno alla fede e pratica religiosa, nella seconda invece no.
Nella scuola statale un insegnante può essere ateo, nella cattolica deve essere un credente. Il che significherebbe che la statale con i soldi pubblici è tollerante, quella cattolica con i soldi di tutti diventa intollerante. Chi non è con me è contro di me. Indirizzi che sono comprensibili in un seminario di preti oppure nelle scuole cattoliche auto sovvenzionantesi, un po' meno nelle istituzioni governative. Non sono cannonate a salve: che ne sarebbe di un docente di storia se in un liceo tenuto da religiosi avanzasse l'ipotesi che il dogma della SS.Trinità è una mitologia proveniente dall'antico Egitto? Silurato seduta stante, e il giorno dopo messo alla carità.Il caso del Prof. L. Lombardi, titolare della cattedra di Diritto all'Università S. Cuore di Milano, esonerato il 28.10.98 per affermazioni di questo tipo o giù di lì, ne è testimonianza eloquente.
In una inchiesta condotta nel vicentino, territorio italiano come un altro, risultò che qualche scuola cattolica assumeva docenti pensionati in nero alla faccia di tutti i trentenni abili arruolati a spasso, o che altri vi entravano perché raccomandati dal parroco o perché esibivano il santino devozionale nel portafoglio. Pure si ebbe a costatare che insegnanti conviventi o divorziati sono stati eliminati ed altri per mantenere il posto dovevano usare lo stratagemma di cambiare (sui documenti) l'indirizzo civico. Cosicché al peccato di famiglia erano costretti ad aggiungere anche quello molto più grave dell'ipocrisia. Sempre in quel territorio una Scuola cattolica superiore viene ironicamente definita "Diplomificio" per la facilità con cui vengono conferiti titoli di studio a giovani pluribocciati nella scuola statale solo perché fanno i chierichetti o i sagrestani. Ma lasciamo la casistica che comunque conferma il sin qui detto. Non vogliamo fare gli iconoclasti, affermiamo il diritto della famiglia a scegliere l'insegnamento e l'istituzione scolastica di suo gradimento. Se per tradizione assodata la scuola privata cattolica ha ancor oggi qualcosa di valido e di originale da proporre alla società civile, è doveroso che lo Stato venga incontro con dei sussidi e modalità dì sostegno da studiarsi. Come in Svizzera dove per esempio il Canton San Gallo ha devoluto nel 99 oltre un milione dì franchi alle scuole cattoliche per i loro 540 studenti. Come ulteriori sussidi vengono garantiti attraverso le tasse del culto e giornate di raccolta fondi. Cosi in Italia lo si può fare attraverso l'8 per mille ed iniziative parrocchiali e diocesana ad hoc. Ma pretendere tutto dallo Stato può essere una forma di demagogia e di strumentalizzazione indebita ai danni dello stesso. Chi non è d'accordo scelga la scuola statale pubblica e si adoperi per moralizzarla e riformarla dal di dentro. Chi non ama viaggiare con i mezzi di trasporto pubblico è libero di viaggiare con quelli privati: non per questo però pretenda che lo Stato gli regali la Mercedes o l'auto taxi. Patti chiari e amicizia lunga.

Autore:
Albino Michelin
20.01.2000

PERCHÉ NON Ml SONO FATTO SVIZZERO

Farmi svizzero non è una tentazione contro cui abbia lottato una vita, anzi da sempre la considero un traguardo gratificante. In effetti sentirsi cittadini di due mondi o addirittura del mondo intero potrebbe darti la sensazione di uscire da quello angusto e provinciale in cui sei nato. So che molti connazionali per motivi professionali e familiari oggi cercano il doppio passaporto per piantar su una bottega o per rimanere a piacimento in questo ambiente dove stanno crescendo figli e nipoti. Ma io ho e difendo le mie ragioni per non farlo.
Anzitutto non è il motivo della burocrazia che mi trattiene dal diventare cittadino svizzero. Certo bisogna andarsi a cercare in Comune carte e formulari, riempirli, sottoscriverli, inviarli al Cantone, quindi attendere l'esame del Consiglio Comunale, rispedirli al Cantone ed infine alla Confederazione di Berna per il nulla osta. Un tirocinio di 18-20 mesi, ma non sarebbe poi la fine del mondo. Non è nemmeno il motivo finanziario che mi trattiene. Siamo tutti al corrente dei diversi dibattiti fra le associazioni italiane e nella stampa di emigrazione, dove si reclama la cittadinanza svizzera gratuitamente. Al sottoscritto, stato civile celibe, stipendio medio, per una eventuale naturalizzazione verrebbe richiesta la cifra di Fr. 5.000 circa: una mensilità. Insomma non si finirebbe in miseria.  
Non è nemmeno il motivo della buona condotta. E noto che per divenire cittadino elvetico bisogna chiedere all'Ufficio Federale di Polizia un estratto del proprio casellario giudiziario. Ma anche qui, almeno suppongo, non vedrei grossi intoppi, in quanto banche non ne ho mai assaltate, galera mai vista se non per entrarci a visitare i carcerati. Non è nemmeno il motivo linguistico. In effetti per quanto nei miei diversi decenni di Svizzera abbia vissuto sempre con e per i connazionali, le tre lingue ufficiali di questa seconda patria non mi sarebbero del tutto straniere: l'italiano perché io imparai sui banchi della scuola primaria e superiore, il francese perché ho dovuto trasferirmi un certo tempo anche in quel Cantone, e il tedesco perché da tempo mi trovo in questo territorio. E il mio tedesco non dovrebbe nemmeno essere così malvagio se dopo Messa con predica qualche anziana signora del luogo ti viene a dire: '"Kompliment, Herr Michelin, Sermon supper", addirittura con la doppia p, quando ne basterebbe una soltanto. E poi all'esame linguistico per la naturalizzazione, importante che tu, evitando troppi gesti di mano, sappia cavartela con "gruezi ... e ... wiederluege!". Non è nemmeno il motivo dell'integrazione storica in questo popolo. Dopo 3 anni passati a Rorschach (S.Gallo), 3 a Ginevra, 10 a Basilea, 10 a Uster, oltre il doppio ad Affoltern della Svizzera ormai dovrei conoscere il sottosuolo (vulcanico, dolomitico, calcareo, arenario, fluviale ecc.), la preistoria e la storia (Celti, Romani, Goti, Visigoti, Ostrogoti, Longobardi, Carolingi, Asburgici, Guglielmo Tell, e il resto roba dei nostri giorni). All'unica domanda un po' complicata per ottenere il passaporto elvetico e concernente il periodo di origine della Confederazione importante saper rispondere che essa è sorta dopo la morte di Adamo e tu diventi abile e arruolato. Non è nemmeno il problema politico e il diritto di voto. Anzi al contrario questo sarebbe una ragione importante per la doppia cittadinanza. Voce che conta nell'amministrazione, nonché nella chiesa. Ricordo che quando a Uster (ZH) già nel 75 indicevo pubbliche iniziative per il diritto di voto nelle amministrazioni di Chiesa il presidente della Circoscrizione mi rampognò: "se vuoi campare tutti questi diritti fatti svizzero e iscriviti al partito socialista", magari senza sapere che io questo partito l'avevo già scavalcato a sinistra. Il motivo invece per cui non mi sono fatto e non mi farò svizzero (chiedo scusa) è un altro. Quello umano della solidarietà o se vogliamo del Vangelo. Cioè, io "debbo" o sono invitato a rispettare e collaborare con gli Svizzeri non perché sono dei "miei", o possiedo lo stesso pezzo di carta, ma perché sono "diversi" e hanno la mia stessa dignità. E loro "devono" rispettare me non perché sono dei "loro", o possiedo lo stampiglio della Confederazione, ma perché sono "diverso" e ho pari dignità.
E qui ci viene in soccorso Paolo ai Galati, letto e riletto nelle Feste dei popoli d'inizio novembre nelle nostre chiese: "Non c'è più né giudeo, né greco, né schiavo, né libero, né uomo né donna, perché siete tutti uno in Cristo". Non voglio fare il devozionale e usare e abusare del Vangelo per evadere dai doveri e dai diritti della vita civica. Cito questo brano perché convinto possa costituire ai credenti fondamento, costanza, speranza per nuovi rapporti fra le diverse etnie ed i popoli tutti, siano essi ospitanti o ospiti, svizzeri o italiani.

Autore:
Albino Michelin
27.11.1999

L'IMPORTANZA DELLE MESSE (SE PAGATE?)

Una domenica di fine luglio in Italia in un paese che registra un alto numero di emigrati, di cui gran parte residenti nello zurighese, sopra un tavolo alle porte della chiesa era accatastata una pila di pubblicità. Un foglio A4 portava il titolo "Meraviglioso valore della S. Messa" con il sottotitolo: "La S. Messa è la rinnovazione del Sacrificio della Croce". Il tutto corredato da una dovizia di spiegazioni altisonanti che vale la pena riportare qui appresso. Tale foglio munito a sinistra da una foto, riquadro di P. Pio non era a disposizione soltanto di quella grossa parrocchia, ma pure in tante altre della regione, quindi fenomeno di costume e di religiosità diffusa.
La domenica 17 ottobre, una qualunque fra le tante, mi venne la nobile pensata di fotocopiarlo, distribuirlo agli italiani nella messa della mia parrocchia per farne una lettura insieme e relative considerazioni al posto della predica. Trascrivo i passi più salienti in 10 punti, saltando gli altri in parte rispettivi:
1) La S. Messa è il sacrificio che trattiene la giustizia divina, che regge tutta la chiesa, che salva il mondo
2) Ogni messa ottiene il tuo perdono presso la Giustizia di Dio.
3) Ad ogni messa, secondo il tuo fervore, puoi diminuire la pena temporale in purgatorio dovuta ai tuoi peccati. Viene diminuito su di te l'impero di Satana.
4) Si merita di più ascoltando devotamente una S. Messa che col distribuire tutte le proprie sostanze ai poveri.
5) Una sola messa dà più onore a Dio che tutte le virtù eminenti praticate dai giusti sulla terra e più che tutta le lodi fervorose espresse dai santi e dagli angeli in cielo.
6) Assicurati, disse Gesù a S. Geltrude, che a chi ascolta devotamente la S. Messa io manderò negli ultimi istanti della vita tanti dei miei santi per confortarlo e proteggerlo quante saranno state le messe da lui bene ascoltate.
7) Con ogni messa diminuisci il tuo purgatorio.
8) 0gni messa ti procura più alto grado di gloria in cielo.
9) Sei preservato da molti pericoli e disgrazie, in cui ti saresti abbattuto.
10) E vieni pure benedetto nei tuoi affari e interessi personali.
Il foglietto termina portando la frase: "Con approvazione ecclesiastica!" L'assemblea quella domenica era composta da frequentatori abituali verso la cinquantina. Per ogni buon conto tenevo pronto altro argomento di predica qualora i partecipanti mi avessero fatto cenno di cambiare canale. Allo scopo dopo la lettura del testo, in via eccezionale, passai a chiedere l'opinione, gradimento o reazioni all'assemblea stessa. Per prima alzò la mano un'anziana signora, sui 75 anni: "non ho parole, di fronte a questo documento mi sento umiliata”. Documento subdolamente terroristico, proseguì un secondo interlocutore, "la chiesa dall'impero romano ha preso l'abbigliamento, i titoli onorifici, l'obbligo al culto con ogni tipo di intimidazione, imposizione, premiazione". Un terzo: "perché continuare sempre a suonare la corda del dolorismo di Gesù per farci soffrire anche noi ... Gesù ha sofferto quella volta, ma adesso è nella gloria del Signore. Mica muore in croce un'altra volta ... mica ha bisogno della nostra compassione". Un quarto: "qui si svaluta una vita vissuta per il prossimo, che varrebbe meno di mezz'ora di messa ... " "Sempre con questo suffragio e messe per le anime del purgatorio … da bambino mi avevano detto che mia nonna non poteva trovarsi in paradiso, era in purgatorio perché avevano fatto il funerale con un prete soltanto anziché con tre.” Sempre questione di soldi, anche le messe per i morti sono diventate una bottega. Questo foglio dimostra che non è cambiato nulla e non cambierà neanche nel 2000" soggiunse un quinto fuori della chiesa”. Basta così e ne avanza per le nostre considerazioni.
Permettiamocene qualcuna in prima persona. Anzitutto non è riduttivo definire tout court la messa sacrificio della Croce? Certo 2000 anni fa Gesù istituì una cena sacrificale dicendo: "fate questo in memoria di me". Il che non significa "fate questo in sacrificio di me". Cioè Gesù non raccomandò ai suoi seguaci di appenderlo ancora alla croce ogni domenica, tutti i giorni in mille chiese, in centomila altari del mondo allo scopo di placare Suo Padre. Anche perché si deforma l'immagine di Dio quasi fosse un Dracula addomesticabile solo alla vista del sangue di suo figlio o delle disgrazie dei suoi figli. Non si dimentichi che Paolo scrive agli Ebrei (7, 12):” Cristo non ha bisogno di offrire sacrifici, lo ha fatto una volta per sempre". I protestanti chiamano la messa "Cena del Signore", gli ortodossi "Eucarestia"(riunione di ringraziamento), non si potrebbe anche noi cattolici ricuperare simili ed altri accenti? Insistendo troppo sul "Sacrificio" non si arrischia di costruire cristiani involuti, autolesionisti, fatalisti condannati a questa valle di lacrime, tesi ad accumulare meriti per l'aldilà con il rischio di non amare seriamente questa vita e di non impegnarsi nell'aldiquà? In secondo luogo, l'insistenza sulla messa come fonte di successo e fortuna nella vita presente e di premio nella vita futura non potrebbe generare pericolosi egoismi, sia pure spirituali ma sempre egoismi? Perché non accentuare di più il senso del banchetto del convitto, dell'accoglienza, della convivenza della solidarietà. Raro trovare dell'oggi sulla terra un popolo come l'italiano così cattolico e insieme cosi illegale. Non dipende un po' anche dal fatto che la nostra cultura in chiesa ha insistito (per stare all'esempio) sulla messa per "salvare l'anima tua" in un mondo infido e procelloso, contribuendo così a sottovalutare i rapporti con la società civile e politica e indurci in ogni genere di tentazione e furbastrate.
In terzo luogo questo tipo di pubblicità e di cultura non potrebbe affrontare un certo sottobosco di ipocrisia e doppia vita? Una persona va giudicata per la globalità del suo comportamento, laico compreso, o a cassettoni, per esempio per la sua pratica religiosa? Episodio classico è l'Intervento di Maggiolini, Vescovo di Como, che nel maggio '99 ebbe a scrivere sul "Corriere della Sera: "non è possibile che un uomo come Andreotti, ex capo del Governo, messa tutte le mattine, possa essersi macchiato di tali azioni”. Ci auguriamo certo che il nostro venga pienamente assolto da tutto. Però non perché andava a messa, ma perché onesto. Purtroppo pochi notano questa ambiguità nel nostro Bel Paese. In quarto luogo, la diffusione della messa quale suffragio per le anime del Purgatorio non arrischia di trasferire nell'aldilà una mentalità commerciale e ridurre Dio ad un contabile finanziere al bancone dell'Oltretomba? Indubbiamente esistono in Italia bellissime opere d'arte, chiese, altari, pitture, sculture dedicate al suffragio. Ed è pure positivo che durante la messa venga riservato spazio anche per la memoria dei defunti, in quanto garantisce solidarietà al nostro mondo bidimensionale, fra noi e i trapassati. Però in questa materia non c'è più limite. Messe per il "mio" morto, come se Dio non fosse il Padre "nostro", messe indulgenziate (pagate) per diminuire le sofferenze dell'anima purgante come se Dio la giustificasse in base alle nostre opere e non in base alla sua grazia misericordiosa. Messe con sfilza interminabile di deceduti, vero elenco telefonico da cui si recepisce solo qualche storpia sillaba di gente ai più sconosciuta.  Una domanda un po' maligna: se le messe per le anime purganti dovessero venir celebrate gratuitamente e al committente fosse fatto divieto di pagare Il celebrante, e ingiungere di devolvere l'eventuale corrispondente a persone o a situazioni di bisogno senza passare attraverso il prete, avremmo (dal Santuario di S. Antonio da Padova sino alla Madonna di Patti Messina) una fioritura di tanta propaganda ed un battage di tanta pubblicità?
Infine questo incessante invito sulla "quantità" di messe da celebrare non le devitalizza e non le priva di significato? Come quando si inaugura un lampione, il busto di un patriota o il buon viaggio ad uno stormo di aerei intelligenti destinati a sistemare il Kosovo: messe dovunque, tappabuchi per tutte le circostanze, piatti per tutti i menù? Forse a qualcuno questo discorso potrà suonare stonato, in quanto turberebbe l'establishment cattolico italiano, preferendo rinviare tutto al giudizio universale quando Dio darà à ciascuno quel che si merita. A parte il fatto che non è più possibile custodire i fedeli sotto una campana di vetro e ad aria·condizionata, avremo sempre meno cattolici italiani sottosviluppati (per fortuna). Sempre di più in effetti si rifiutano di essere trattati come pecorelle del nostro buon popolo, semplice e ossequiente a santa Madre Chiesa, di venire informati sotto condizione e con censura, imboniti con tutti i mezzi sia pure con frottole devozionali. Vedi Il foglietto pubblicitario di cui all’inizio, più divulgato di quello che non si pensi.

Autore:
Albino Michelin
28.10.1999 

BEATI I COSTRUTTORI DI GIUSTIZIA

In Italia tutti si lamentano che Giustizia e Magistratura siano poco credibili in quanto manipolati da pressioni politiche e da interessi di parte. Può darsi che il giudizio corrisponda a verità se consideriamo il fatto che spesso dai tribunali e dalle Corti di Cassazione giudici, pubblici ministeri, inquisitori risultano più ladri degli inquisiti stessi. E sembra non si tratti solo di casi sporadici, ma di una vera metastasi. Lungo sarebbe qui esaminare le cause, fra cui certo non va dimenticata e sottaciuta anche certa educazione religiosa troppo individualista, basata sulla salvezza dell'anima propria con messa, sacramenti e indulgenze appropriate a scapito un po' del coinvolgimento sociale, legalità, solidarietà. Per cui l'urgenza di salvare la propria pelle di là e anche di qua ha contribuito a sottovalutare la pelle altrui. Di qui lo stile tutto mediterraneo che di fronte alle autorità importante è farla franca, non farsi beccare. È in questo contesto che va inserito il caso Andreotti, non tanto per dare un giudizio sul suo operato, quanto sulle reazioni della gente al Giudizio del Tribunale, su quelle del mondo ex DC e di qualche settore cattolico. La cronaca la conosciamo tutti. Il 30 aprile 1999 il Pubblico Ministero di Perugia chiede 18 anni di condanna per Giulio Andreotti, ex capo del Governo, imputato di associazione mafiosa e l'ergastolo per l'uccisione (20.3.97) del giornalista Mino Pecorelli, in quanto in possesso di documenti segreti sull'uccisione di Aldo Moro. Chiaro che qui si tratta di una richiesta di condanna e non di un verdetto definitivo del Tribunale. Inoltre tale richiesta pare si basi su indizi, non su prove concrete. E cento indizi non costituiscono una prova che sia una. In effetti principio base della Carta Costituzionale è la presunzione di innocenza per tutti i cittadini. Da augurarsi perciò venga affermata la sua estraneità ad ogni accusa: venga assolto perché innocente e non per pressioni esterne all'indirizzo dei magistrati. Non sembra però che le nostre reazioni di fronte al caso aiutino molto alla bonifica della nostra già tanto malata Giustizia italiana. Cito uno fra i tanti, l'articolo di fondo apparso nel Corriere di Como del 6.5.99 con interventi di Maggiolini, Vescovo di quella città. Ovvio che in quanto vescovo e nell'esercizio delle funzioni del suo Magistero va rispettato. Ma in quanto uomo, giornalista, che interviene pubblicamente sulla stampa con le sue esternazioni, può aspettarsi anche esternazioni diverse. Siamo sull'opinabile. Andreotti ingiustamente perseguitato dalla Magistratura e dagli avversari politici di un tempo. Ritiene il suo intervento una doverosa riabilitazione di un uomo che per l'Italia ha fatto e dato tutto. Scrive infatti: "Il Papa ricevendolo personalmente in Piazza S. Pietro in occasione della beatificazione di Padre Pio (2 maggio, tre giorni dopo la richiesta di condanna del Tribunale, N.d.R.) non ha fatto altro che interpretare il senso comune di gran parte della gente ... Tocca al Papa, continua Maggiolini criticando i giudici, interpretare il sentire popolare contro le richieste del Pubblico Ministero che ha perso il principio di realtà in preda ad un delirio di onnipotenza".
L’impressione che molti da questo intervento possono trarre, è che qui si pretenda di ritornare alle regole della monarchia assoluta, quella secondo cui il politico (in primis quello cattolico) è sciolto da ogni legge. È un fronte trasversale, il partito dell'impunità, per cui si vorrebbe trasformare a priori in vittime personaggi eccellenti che noi pretendiamo debbano sottrarsi alla Giustizia. A ciò magari si mettono in moto televisioni, pubbliche manifestazioni e amenità varie onde ridurre la Magistratura alla sudditanza psicologica. È in questa linea che l'autore dell'intervento su citato aggiunge: "sono convinto che se potesse votare Andreotti per il Quirinale la gente lo eleggerebbe, non fosse altro perché lo considera un perseguitato! Ma il sommo della difesa all'imputato e della lezione al pubblico Ministero sta in quest'altra espressione: "Non si possono mettere insieme la messa quotidiana del mattino e per tutta la vita con gli omicidi". Ma ci si può domandare: come la mettiamo allora con la parabola di Gesù "Il fariseo e il pubblicano?" (Luca. 18.9-14). Qui si avrebbe una chiara e saggia risposta. Troppi bacia banchi e baroni di sagrestia lungo la storia hanno seminato stragi di innocenti. Certo c’è da augurarsi che questo non sia il caso del nostro. In secondo luogo: né da parte laica né da quella cattolica si dovrebbe sfruttare una benedizione del Papa a scopi pubblicitari o per secondi fini. Andreotti è un credente (peccatore poco o tanto come tutti), di conseguenza può benissimo chiedere la benedizione del Rappresentante della sua confessione religiosa, come lenimento alle sue sofferenze interiori. Direi che ha avuto anche fortuna e forse in ragione anche alla sua figura politica e al suo blasone. Fortuna che purtroppo non tutti i sofferenti hanno avuto. Pensiamo alle madri di Piazza del Primo Maggio durante la dittatura argentina, cui non è riuscito di incontrare il Papa per ricevere sostegno e conforto. Pensiamo alle madri dei ragazzi uccisi dai contras nel Nicaragua 1983 cui non fu data l'occasione di baciare la mano del Papa e con lui pregare per i loro figli. L'On. Andreotti ha avuto questa fortuna, beato lui, ma non lasciamoci suggestionare, né vogliamo considerarla un'assoluzione polemica. Né interpretarla come intuizione divina di questo Sommo Pontefice che, novello gigante politico sulla scena mondiale alla stregua di Gregorio VII, l'Ildebrando fa piazza pulita di tutti i nostri nanerottoli della Magistratura e della Politica italiana scavalcandoli e sostituendosi alle istituzioni dello Stato. Che questo sia l'anelito di qualche nostalgico DC, parlamentare, militante, membro del clero o meno, si può capire. Ma che questa sia l'intenzione di Papa Wojtyla o dell'alta gerarchia della chiesa ci rifiutiamo di pensarlo. Perché allora al delirio di onnipotenza dei magistrati, di cui parla il Vescovo Maggiolini, se ne sostituirebbe un altro molto peggiore: quello della prepotenza proveniente da altra sponda. E se questo fosse il clima, i giudici del Tribunale Andreotti dovrebbero avere una scorza da elefante per pronunciare un verdetto oggettivo diverso da quello assolutorio. Con la conseguenza che lo Stato perderebbe la sua laicità. Magistratura e Giustizia soffrirebbero di asfissia, il loro risanamento sognerebbe pesanti battute d'arresto, convivenza e pace continuerebbero a poggiare su di un futuro precario a rischio. "Beati i costruttori di pace" proclama Gesù nel discorso della montagna. Senza però dimenticare che la pace è frutto di Giustizia.

Autore:
Albino Michelin
30.06.1999 

domenica 11 ottobre 2015

SACRAMENTI E INVESTIMENTI

Giovedì 15 aprile 1999 la Rai 2 nella "Vita in diretta" condotta da Michele Cucuzza mandava in onda da Scafati, (Salerno) un servizio su "Come prepararsi alla Santa Comunione". Esso faceva direttamente seguito ad un precedente documentario sugli orrori della guerra in Serbia, con lunghe colonne di profughi, bambini, donne, anziani esausti dagli stenti e dalla fame. Tanto la TV e i mass media ci hanno abituati al livellamento di tutto, nel bene e nel male. Orbene da Scafati, cittadina di 30 mila abitanti sul fiume Sarno, in quel di Salerno, sono apparsi in TV diversi atelier di moda, invasi da maschietti e femminucce indaffarati sulla scelta del vestito, ovviamente bianco per queste ultime aspiranti principesse. Corredo su misura, con relativa sfilata di damigelle barbigirls e baroncini, prova generale per la mega esibizione della prima comunione. I prezzi al listino delle sarte di mestiere variano da uno a cinque milioni. La videocamera di Cocuzza si trasferì quindi allo studio fotografico, dove l'addetto parlò di un'altra cifra quasi equivalente, cioè dai due milioni in su per un servizio completo, aperitivo, corteo BMV, il primo "incontro" con Gesù, il pranzo, l'orchestrina rock. Sempre Rai 2 apri lo zoom sul ristorante di classe, dove il Maître d'Hotel dettagliava con sussiego il menù, il prezzo per ogni singolo commensale sulle 80 mila lire, compresa torta alta come la torre di Babele che separatamente viene quotata sulle 100 mila lire. Per finire, il prezzo del banchetto per 100-150 devoti circa, varia dagli 8 ai 12 milioni. Aggiungi poi le bomboniere regali ed i confetti: Gesù per il suo primo incontro con l'innocente pupillo(a) chiede il modico esborso di famiglia su 12-15 milioni, tondi tondi le entrate di un intero anno di lavoro del capofamiglia, sempre che un lavoro ce l'abbia e non si trovi a spasso, se no deve gettarsi fra le braccia degli usurai indebitarsi fino al collo e chi se ne fotte. Non c'è da prendersela per carità né con i paesani di Scafati né con quelli di Pontechiasso (si fa per dire) in provincia di Como e tanto meno con il buon Gesù. Si obietterà che in chiesa bambini e bambine indossano tutti una tunica bianca tipo uniforme. Vero, ma prima e dopo la messa la tunichetta da 10 mila viene tolta onde lasciare spazio ai modelli passerella. Quello squarcio televisivo mette a nudo una realtà molto squallida sia dal punto di vista sociale come da quello religioso. Qualche volta sarebbe opportuno leggersi il vangelo un po' più dal punto dì vista laico e non soltanto sacrale, se non vogliamo che il santo libro diventi proprio l'oppio dei popoli.
Il primo incontro con Gesù, obbietta la devozione popolare, merita tutto questo e anche molto di più. Lecito dubitare, anzi sostenere ad alta voce che ad ogni bambino già dall'età di due anni andrebbe spiegato che il primo incontro con Gesù non è quando si va a ricevere quel pane, ma quando ci si imbatte con un coetaneo di colore, di razza diversa, immigrato e, dietro suggerimento dei genitori, si divide con lui il proprio giocattolo. Questa è la prima vera comunione, la prima forma di unione e di rapporto con Gesù. In effetti egli disse: "ero povero, ammalato, abbandonato e mi avete accolto. Perché chi accoglie uno di questi ultimi riceve me".
E ci sovviene anche di Zaccheo, furbastro predecessore delle nostre tangentopoli, che desideroso di vedere il fenomeno Gesù si arrampicò sul sicomoro di Gerico. Fortuna volle che incrociò lo sguardo del profeta di Nazareth, ne restò colpito e scendendo gli si appressò dicendo: "Maestro oggi è nella mia casa entrata la salvezza, do la metà dei miei beni ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo". Anche questo è un ulteriore esempio di prima comunione. Non si dice che siano andati alla pizzeria centrale di Gerusalemme, ma che fu fatto un investimento a favore dei poveri. I cristiani dell'età apostolica, memori che Gesù aveva istituito l'Eucarestia come una mensa di amici e di fratelli, celebravano la messa nelle case, insieme distribuivano il pane e ne portavano con relativa colletta in denaro alle vedove e ai bisognosi. Non è mai esistita una comunione con Gesù che non sia stata anche una concreta condivisione di beni fra la gente che si trascinava la vita in stato di necessità.
A ben osservarci dentro, lo spirito delle nostre attuali prime comunioni, tipo Scafati, non è di porre al centro Gesù, ma in modo surrettizio il bambino stesso, anzi la di lui famiglia che strumentalizza il sacro per un'effimera affermazione del proprio status sociale. Non si dimentichi che Giuda vendette Gesù per 30 denari, l'equivalente di 12 milioni di lire odierni. Orbene molte nostre prime comunioni del terzo millennio continueranno ancora a svendere il Figlio di Dio all'incirca per la stessa somma. Oggi ci scandalizziamo tanto con raccapriccio, e a ragione, delle violenze penetrate sui minorenni, sfruttamenti, incesti, prostituzione, pedofilia e di chissà quante altre aberrazioni. Perché non ci aggiungiamo anche questa? È un altro tipo, ma vera devianza nella formazione della coscienza dei bambini e dei minori. Queste sono le vere stragi degli innocenti, i veri traumi, anche se indorati di pseudo religiosità, che portano diritto all'ateismo e all'indifferenza degli adulti. Gesù ha cacciato i mercanti dal tempio e questi sono i moderni discendenti, anche se vestiti di bianco e avvolti in nuvole d'incenso. Ovvio che fra di noi, nei tipi un po' conservatori, cioè quelli che hanno perso l'autobus delle riforme e il contatto con la comunità viva dei credenti, sarà un po' più difficile liberarsi da certe categorie mentali concernenti l'Eucarestia, ideologie divenute col tempo teologie (cioè volontà di Dio), quando invece sono sorte soltanto come prescrizioni igieniche. E mi riferisco fra le tante all'interdizione di toccare il pane della comunione con le mani, e l'obbligo di assumerlo sulla lingua attraverso la mediazione del prete. Una breve informazione storica ci dirà che fino al tempo di Carlo Magno (800 d.C.) il pane ognuno lo assumeva con le proprie mani, ma siccome la gente del tempo non se le lavava, non aveva molto dimestichezza con il sapone e con la doccia e stropicciava senza molto galateo, allora si emanò una prescrizione igienica di non mettere le mani sul pane. Ma oggi che la gente ha acquisito il senso della pulizia personale è quindi passato il pericolo, caduta la legge. Il pane della messa è ritornato ad essere più amico e familiare. Ma molti questi passaggi storici non riescono a farli, anche perché alcuni preti si guardano bene da queste informazioni, ne va del loro potere. E le prime comunioni potrebbero perdere i loro contenuti sfarzosi e faraonici.
Questo discorso ovviamente tiene di più in riferimento alla prima comunione e alla cresima, momenti tipicamente religiosi, mentre sono meno urgenti per quanto concerne il battesimo e il matrimonio in chiesa, in quanto momenti abbinati anche alla festa della nascita e dell'amore. A conclusione di quanto sopra mi permetto il riferimento ad una esperienza personale. La domenica 28 marzo ‘99, giorno di grande affluenza per la festa delle Palme, io stesso ho proceduto ad amministrare la cresima di 8 italiani adulti, in maggioranza coniugati, che l'avevano chiesta non in vista della solita carta uso matrimonio, ma perché ne sentivano un bisogno spirituale. In base al canone 884 del Diritto Ecclesiastico chiesi ed ottenni dal Vescovo di Coira-Zurigo la delega per tale sacramento. Non era certo mia intenzione rubare il mestiere al Responsabile della diocesi, che va collocato anzitutto come segno e promotore dell'unità fra le diverse comunità di un determinato territorio, e non necessariamente come distributore di cresime. Temevo anzi di fargli un torto anche perché i vescovi in Svizzera e fuori d'Italia sono persone molto più alla mano, dialogiche, e conversative. Ma io cresimando degli Italiani dovevo collegarmi alle loro esperienze avute o vissute in Patria. Dove purtroppo talvolta qualche vescovo cede alla tentazione di diventare lui il protagonista della Cresima, con l'accento sul personaggio, sul baciamano, con cerimoniale ieratico, a scapito magari del messaggio, che difficilmente diventa essenziale e coinvolgente. Non si dimentichi invece che il protagonista è il cresimando e il suo gruppo di appartenenza. Come componente essenziale della nostra esperienza avevo posto due condizioni: vestito di tutti i giorni e dignitoso, la partecipazione al pranzo comunitario. Ed è così che dopo la messa, senza tante fughe verso i ristoranti con fotografi e reporter, ci siamo incontrati nella sala della chiesa con circa 120 persone. La comunità ha offerto il pranzo ai cresimati e loro padrini madrine, mentre genitori, familiari, amici hanno contribuito con un modica spesa. Si è ricavato un netto di Fr. 1945 inviato ai profughi del Kosovo.
Amici italiani di Scafati o di Pontechiasso o di Vattene alla pesca chi ci proibisce di muoverci tutti o di più in questo senso a cominciare in primis dal clero e dai preti, unici responsabili del colpo di spugna a troppi mercati del sacro? Indubbiamente vi sarà qualche rumore di guerra da parte delle sarte, dei cuochi, dei cine reporter, dei pasticcieri. Ma avremo l'occasione di ricompensarli in altre circostanze. Ma non andrebbe dimenticata questa felice esperienza, alternativa alle solite prime comunioni e cresime fatte di investimenti, usure e fallimenti.

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Albino Michelin
02.06.1999

IO MISSIONARIO CAVALIERE? NO, GRAZIE

All’ inizio del 1999 ricevetti dall'Italia un malloppo postale con la seguente informazione datata 18.12.1998: "Alla cortese attenzione di D. Albino Michelin. Su proposta del nostro Delegato svizzero Cav. Dott. A. Costacurta ci onoriamo di prospettarle l'ammissione all'Ordine internazionale dei Cavalieri della Santa Spada di S. Galgano. Le prospettiamo inoltre anche in alternativa al precedente il conferimento dell'Ordine Imperiale di Carlo Magno di cui furono Gran maestri Federico Barbarossa di Svevia, tutti gli imperatorie Re della Casa di Svevia, Manfredi di Sicilia etc., F.to Conte A. Ceri, Gran Priore Italiano Ordine Carlo Magno". Insomma due Cavalierati, l'imbarazzo della scelta. Fra tante nuvole d'incenso chi non si sentirebbe rapito in cielo e volare dalle stalle alle stelle? Mi chiesi innanzi tutto da dove poteva essere partita questa segnalazione nei confronti del sottoscritto e la ricollegai al decennio passato a Basilea (1961-71), durante il quale avevo costituito soprattutto in direzione giovani un club culturale italo-svizzero, per il quale e con il quale organizzavo pure cicli di conferenze e di dibattiti a scadenza mensile dal titolo "Interrogativi dell'esistenza umana", che io stesso tenevo all'Università di Basilea.
Questo movimento veniva seguito da ragazzi che poi si fecero anche strada in tutti gli ambiti del sapere e seguito pure da molti connazionali emigrati, operai, lavoratori, casalinghe per i quali quel periodo costituì un'occasione di promozione umana. E tanti, quando mi incontrano, lo rammentano ancor oggi e ne serbano un bel ricordo. E questo pure per me come per ciascuno è gratificante. Orbene, il Cav. A. Costacurta apparteneva a questo gruppo, operaio amante della cultura e della riflessione, divenuto più tardi dottore, nonché scrittore in diversi generi letterari e cofondatore dell'Asis (Associazione scrittori italiani in Svizzera), cui pure il sottoscritto è membro, ma nella quale poco tempo ha per collaborare. Da questo circolo, suppongo, abbia preso avvio la segnalazione nei confronti del sottoscritto. No, grazie.
La mia rinuncia non parte da un senso di spregio (chi disprezza compera!) verso coloro, specialmente emigrati che hanno raggiunto tale riconoscimento, perché veramente se lo sono meritato sacrificando il loro tempo libero con spirito di altruismo e per una propria personale elevazione umana magari nonostante una malferma salute come nel caso di A. Costacurta. No, grazie. Ciò che un missionario fa, deve farlo per passione della professione, per il piacere del dovere. Questo come considerazione generale. Se poi caliamo giù a considerare un individuo come il sottoscritto, in tale onorificenza si troverebbe addirittura catturato in una camicia di forza, perché lontano dal suo look, dal suo carattere. In contraddizione con il verbo che va divulgando. Lo vedreste voi un tipo che circola vita natural durante in jeans, t-shirt, scarpe da ginnastica, una calzetta bianca e l'altra rossa simbolo dei colori del Vicenza Calcio? Improvvisamente apparire sfolgorante per la grande cerimonia in cappa magna, cappello napoleonico a doppia tesa, una rivolta ad oriente e l'altra ad occidente, con marsina, feluche e pennacchi armato imperiali fasciato di sontuosa greca di lucente durlindana alla Orlando, celebre cavaliere di Roncisvalle?
La gente si direbbe che questo tipo sta dando i numeri o sta arrivando dal Carnevale di Rio. No, grazie. Tale onorificenza sarebbe in contraddizione con il linguaggio del sottoscritto. In effetti, chi lo conosce lo considera ancora una delle poche voci libere di preti italiani in Svizzera, forse un po’ polemista, cioè uno che tenta di leggere la realtà in controtendenza. E secondo me, in un mondo di omologati, di allineati, di cervelli all'ammasso (anche nella chiesa) può rappresentare un fatto positivo, se non addirittura carismatico. Ma come si fa a conferire una onorificenza ad un tipo del genere? No, grazie. Da anni il sottoscritto contesta tutti i titoli ecclesiastici in circolazione! Da Sua Santità a Sua Eminenza, a Sua Eccellenza, a Monsignore, Reverendo, Don ecc., perché specialmente oggi fuori da ogni semplicità e povertà evangelica. Di fronte all'Istituzione, quella clericale compresa, diventerebbe un arrivista, uno svenduto, un incoerente. Dimostrerebbe che il potere logora solo chi non ce l'ha, ed ora che madre natura gliene conferisce un pezzetto con il titolo di Cavaliere, eccolo subito a dimenticare le proprie origini, a tradire le sue radici. Forse un gesto di debolezza del sottoscritto, che potrebbe temere eventuali ritorsioni o portarsi appresso il nomignolo di voltagabbana. No, grazie. Va detto senza ironia verso chi si merita e si fregia di tale onorificenza. Ma al sottoscritto bastano le parole di Gesù: "anche quando avrete fatto tutto ciò che dovevate, sappiate di essere serviti inutili".

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Albino Michelin
24.03.1999

LA MORALE DEI GIOVANI

Mercoledì sera 17 aprile 1991 verso le ore 23, Antonio Maso di anni 52 e la moglie Maria Rosa Tessari di anni 48, ritornavano dalla Parrocchia del proprio paese, Montecchia di Crosara (Verona), dopo un incontro sulla bibbia. Appartenevano ad una famiglia di buona tradizione religiosa ed avevano 3 figli, ritenuti in paese bravi ragazzi, Nadia 27 anni sposata, Laura 26, Pietro 19. Entrati in cucina i due genitori sono stati massacrati a colpi di spranga sulla testa. Morti in qualche istante in un lago di sangue. Ad organizzare la brutale eliminazione è stato il figlio Pietro, con altri 3 complici del paese: Paolo Cavazza 19 anni, Giorgio Carbognin 19 anni e D.B. minorenne 17 anni.
Non sono riusciti a far fuori Nadia e Laura, le sorelle, perché in quell'istante erano altrove. Obbiettivo: impossessarsi dei pochi soldi dei genitori, spartirsi l'eredità, togliersi qualche capriccio giovanile, girare con la BMW da cento milioni, frequentare i bar esibendo vestiti firmati. Dopo l'eccidio i 4 giovani sono andati tranquillamente in discoteca onde simulare di fronte all'opinione pubblica una rapina di malviventi. Quattro mostri per 3.000 abitanti, una percentuale che non torna. Ma attenzione, è qui il punto in cui vale la pena arrivare, andiamoci piano a definirli mostri. Questo è un giudizio che proviene dalla morale dei genitori, degli adulti, della tradizione. Ma non sempre coincide con il giudizio dei giovani di oggi. Fa male dirlo, ma vediamo perché i quattro baby killer, attualmente nel carcere di Verona in attesa del processo, ricevono posta. Molte lettere specie di ragazzi e ragazze che vogliono conoscerli. Non certo per linciarli, ma per ammirarli. Più di una ragazza scrive che vorrebbe sposare Pietro, il figlio organizzatore di tutto lo sfracello. Lettere dunque di solidarietà, lettere d'amore. Questi imputati non sono per i loro coetanei degli assassini, ma degli eroi, dei modelli da imitare. Il doppio omicidio del 17 aprile a Montecchia spettacolarizzato anche dalla TV costituisce un test molto significativo per la società tutta, e non solo per quel paesino. Dunque la gioventù di oggi ha i suoi eroi. Gli eroi, si badi, non devono essere necessariamente buoni, onesti, altruisti. Non sono quelli che stanno al di sopra del bene e del male, sono coloro che fanno delle cose straordinarie. Ora certamente questi ragazzi hanno fatto una cosa straordinaria e dimostrato il maggior coraggio possibile, poiché non è pensabile nulla che vada al di là della eliminazione dei propri genitori. Un successo esaltante. I genitori erano solo dei salvadanai da rompere. Questa la prima impressione che esce dal nostro test.
La seconda: molti giovani non hanno più il "nostro" codice etico, ammettono lecito tutto e il contrario di tutto. Una lettera dice: "non ci importa di come vi giudica la legge, per noi siete degli eroi" tabula rasa di tutti i valori morali, per cui Pietro, il figlio assassino o l'eroe alla Freddy Kruger afferma: avrò fatto una cazzata. Ma anche chi fa delle cazzate ha bisogno di essere capito. Qui siamo proprio al plagio delle mitologie negative, al mostro di Nightmare dal volto bruciato e le unghie a lamina d'acciaio. La terza impressione. I giovani di oggi hanno il loro tribunale segreto e interiore che non coincide con quello della comunità sociale. Si mostrano indignati o indifferenti di fronte alle punizioni della giustizia umana. Il fondamento della loro morale è la solidarietà dei coetanei. Legittima per loro è qualsiasi azione quando tale viene considerata dal gruppo di pari età cui appartengono e dagli amici. Venire considerato un incapace dai propri coetanei è per un giovane peggiore di una pena di morte, significa togliergli la speranza di realizzare il proprio progetto di vita. Infine non si dimentichi l'altra parte del test di massa, quello degli adulti. Noi adulti infatti ci sentiamo rassicurati quando possiamo dire che questi ragazzi sono stati dei mostri. E così ne usciamo puliti e deresponsabilizzati. Noi non c'entriamo con le nefandezze di questi nostri figli. Ma purtroppo questa morale dei giovani è frutto di una società impostata e programmata da noi adulti. Gino Bartali, il campione ciclista degli anni 40-50, gridava dopo certe tappe perdute: ''Tutto sbagliato, tutto da rifare". Dire che tutto si potrebbe rifare riproponendo il vangelo di Gesù viene considerato superato. Si vede che non siamo ancora arrivati al fondo dell'abisso. Abbiamo bisogno di tante altre lezioni ancora, il massacro dei due genitori di Montecchia non è bastato.

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Albino Michelin
23.11.1991

SIAMO TUTTI COLPEVOLI

Non vale la pena entrare su problemi risaputi, quanto piuttosto dimostrare che di questa guerra del Golfo siano colpevoli tutti. È prassi cominciare sempre denunciando gli organismi lontani e internazionali, che non implicano la nostra responsabilità. È il solo modo per sentirci senza peccato e scagliare la prima pietra. Allora cominciamo dall'Onu? E sia. Ci si domanda: se invece ad essere l'lraq ad invadere il Kuwait fosse stata la Tanzania ad invadere lo Zambia, credete voi che l'Onu avrebbe mosso un dito per difendere il diritto delle genti oppresse? Probabilmente no, perché nello Zambia non vi sono interessi economici, la gente non vale niente, sono nani e zulù. Non è vero che siano tutti uguali, tutti uomini. C'è qualcuno più uguale degli altri, più "uomo" degli altri.
Dal 1948 all'88 ben 10 sono state le risoluzioni dell'Onu e tutte disattese. La carica suona quando fa comodo. Questa volta l'Onu l'ha suonata, ma come portavoce e altoparlante dell'America, dei suoi interessi, dei suoi pozzi di petrolio. L'America? È il Paese più pacifista della terra quando non si tocca il suo portamonete o non si intacca il suo orgoglio di "Caput mundi", impero del mondo. Oggi negli Usa tutto è a stelle e strisce secondo la bandiera americana. Gioielli, orecchini, camice da notte, mutande, cravatte, pullover, tutto a "stelle e strisce". La carta igienica invece porta la faccia di Saddam Hussein e tutto il mondo gode nel vedere gli americani pulirsi il sedere con la foto del beduino irakeno. Lo si fa per solidarietà con i soldati nel Golfo, si dice, ma in fondo si dimostra la solita violenza all'americana, il suo stato mentale. L 'Italia? Patria del diritto, la giustizia delle genti. Orbene è made in ltaly un terzo dei Bunker per aerei e truppe scelte di Bagdad. Luigi Cimolai di Pordenone con altri amici di ditte tedesche e jugoslave ne ha costruiti parecchi per Mig e Mirage con piste di lancio e tutti a prova dì bomba.
Non si dica che pensasse di costruire un asilo infantile, opere di beneficienza per handicappati, oppure uno scivolo per bambini.  La chiesa? Non vogliamo coinvolgere tutti e tutto, ma un documento di cronaca è di dovere. Padre Zanotelli, direttore della rivista di cronaca "Negrizia" di Verona, il 1.4.1987 ha accusato i venditori d'armi al Medio Oriente, lran incluso, come mercanti di morte. Inoltre che la nostra cooperazione per il terzo mondo è solo strumento d'interesse per le nostre industrie. Spadolini e Andreotti hanno creato un caso con il Vaticano. E il P. Zanotelli ha dovuto lasciare l'Italia ed emigrare nel Congo. Si dirà che il Papa non sapeva di tutto questo, Però certe cose in un "Azienda" avvengono quando si sa che i responsabili sono consenzienti. Oggi ci sta bene che il Papa predichi contro la guerra nel Golfo perché è un'avventura senza ritorno, ma ci starebbe meglio che non venissero più allontanati da noi i profeti di pace, quelli che con largo anticipo mettono il dito sulla piaga, sulle cause, e sui focolai di guerra. I giovani? Fanno tenerezza quando manifestano sulle piazze con una colomba dipinta sulle gote. Peccato che pacifisti e manifestanti sono solo durante l'anno scolastico, Infatti l'lraq ha invaso il Kuwait giovedì 2 agosto, durante le vacanze. È stato quello il primo giorno dell'ingiustizia e della guerra.
Dov'erano i giovani? In vacanza, in tutti i sensi. E prima del Kuwait, quando Saddam Hussein fece uccidere con delle nuvole terribili migliaia di curdi, dov'erano i giovani? Non un corteo, non uno striscione.
O sono forse Usa dipendenti? Con la preoccupazione innata nei giovani europei di indossare pantaloni jeans, gridare musica è jè, parlare linguaggio OK, emulare patriottismi alla Rambo, che non siano anche per caso per un pacifismo all'americana? Questa guerra ci pone dunque dei grossi interrogativi, e costituirà per i prossimi decenni una riflessione globale non tanto sullo sterile pacifismo ma su che cosa e come si possa e si debba costruire fa pace fra i popoli.

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Albino Michelin
26.01.1991

ANTICOMUNISMO E POSTCOMUNISMO DEI CATTOLICI

Le repentine trasformazioni dell'Est e il crollo dei regimi sorti dalla rivoluzione d'ottobre 1917, il fallimento del comunismo come messianismo terrestre sta generando nell'opinione pubblica due posizioni diverse e opposte: Trionfalismo da una parte, esame di coscienza dall'altra. Il Trionfalismo (l'avevo sempre detto io ... l'avevamo sempre detto noi ...) è l'atteggiamento di un anticomunismo, viscerale e reazionario, usato come alibi per rifiutare ogni sorta di riforme sociali, come colpa e infamia, con cui bollare e togliere ogni credibilità a chi lo propone. Il Trionfalismo è l'atteggiamento snob tipico di chi mette alla berlina l'avversario negandogli persino la buona fede e negando qualsiasi valore all'utopia marxista, che pura puntava ad un mondo più giusto. Indubbiamente non vanno dimenticati gli orrori e gli orrendi misfatti del comunismo e specialmente dello stalinismo, oppressore della libertà di coscienza e della dignità umana. Ma il mondo cattolico non deve molto godere del fallimento altrui, se ricorda quanto la chiesa cattolica ha compiuto lungo i secoli: inquisizione, rogo per i Savonarola, legittimazione della schiavitù e chi più ne ha più ne metta. Si dirà: "altri tempi, altre idee ... Un errore di metodo ... " Giusto! E allora la stessa considerazione va riproposta nei confronti del passato comunismo dell'Est. L'atteggiamento più giusto che il mondo cattolico dovrebbe assumere in questa circostanza è l'esame di coscienza. Il crollo del socialismo reale non deve costituire una resa ai modelli economici, culturali e religiosi dell'Occidente. Diremo un paradosso, ma il marxismo è "contro natura", in un certo senso come lo è il Cristianesimo. Perché sia quello come questo impongono l'altruismo. La diversità si è situata a livello di metodi: il primo intendeva raggiungere l'obiettivo con la dittatura, il secondo vuole arrivarci per una convinzione di coscienza individuale. Il capitalismo invece è "secondo natura", nella linea cioè dell'istinto, dell'egoismo personale, lascia libero gioco ad ogni tipo di affermazione individuale, coerenza e sopraffazione. Era troppo difficile essere comunisti, è più comodo essere capitalisti. Il fallimento del sistema comunista non significa legittimazione del nostro e tanto meno la pretesa dì questo a diventare modello di convivenza e progresso.
La bancarotta dell'economia comunista non significa la consacrazione del nostro sistema di mercato. In effetti il nostro Nord capitalista va indebitando miliardi di persone del Sud-Africa e nell'America Latina. Prima aveva giustificato la schiavitù, le colonie, le dittature, oggi, ne va creando delle nuove. E questa è oppressione "neo stalinista" del mondo capitalista. Nel comunismo dell'Est la religione veniva repressa, ma esisteva e continuava nel popolo. Profonda è la spiritualità di quella gente, la pratica religiosa, le vocazioni al sacerdozio e alla vita monastica. Nel mondo capitalista occidentale invece la religione è inutile, così come la spiritualità laicale, monastica, la scelta del sacerdozio. Nel mondo comunista vigeva una ferrea disciplina sul costume e sulla famiglia. Nel nostro capitalismo, divorzio, aborto, droga, criminalità, razzismo, vanno distruggendo ogni tessuto sociale. Nel mondo dell'Est la libertà era agognata e perciò si scappava attraverso il muro di Berlino. Da noi della libertà non si sa che farsene e quindi il capitalista è un mondo di scontenti, depressi, suicidi.
E in Italia? Il Partito Comunista ha avuto il coraggio di cambiar nome, la Democrazia Cristiana invece continua con faccia di tolla a tenersi il suo, che di "cristiano" proprio non ha nulla. Ma, si sa, è strumentale agli interessi privati, al clientelismo, alla mafia, alla camorra, alle tangenti. Forse anche la nostra Italia postcomunista ormai si merita una sinistra unita in alternanza con la giubilata e decorata DC: l'occasione per una gara di emulazione, si spera, non tanto nel rubare di più, ma nel servire meglio la causa di tutti.

Autore:
Albino Michelin
17.03.1990

RIVOLUZIONE NON VIOLENTA

Chi ha letto il libro di Giosuè senz'altro sarà rimasto scioccato del fatto che questo eroe biblico dopo aver conquistato Gerico ed acquisito la vittoria abbia dato ordine che tutti gli abitanti venissero uccisi e sterminati.
Che bisogno c'era di sangue se la battaglia era finita. Certo si tratta di una cronaca, non di una giustificazione del fatto. Fortuna che Giosuè non è Vangelo: meglio tagliar corto! Il fenomeno più sconvolgente e impensabile della nostra storia contemporanea riguarda la rivoluzione in atto nell'Europa orientale. I Regimi comunisti mantenuti al potere per tanti anni con il terrore vengono spezzati via da movimenti collettivi popolari, senza violenza, senza vendetta. I vecchi dittatori, macchiati di crimini non vengono uccisi ma solo processati, destituiti, messi da parte, pensionati con i loro diritti civili. Unica eccezione, ancora tutta da decifrare, quella della Romania che conferma la regola. Il cambiamento è cominciato con la rivoluzione in Portogallo detta dei garofani, perché la gente infilava garofani nelle canne dei fucili dei militari. Anche in Spagna il passaggio dal regime di Franco alla democrazia è stato pacifico, incruento. Una novità limitata per ora e purtroppo al solo nostro continente. Al di fuori, a Salvador, Panama, Cambogia, Arzebagian, Palestina continuano a funzionare gli schemi tradizionali dello scontro armato, della rappresaglia, della vendetta. Per secoli e secoli nel Medioevo cristiano - cattolico, nella Ginevra di Calvino, nella rivoluzione francese, nello stalinismo, gli eretici, i ribelli, i fautori del dissenso venivano torturati e uccisi. Per distruggere il pensiero si uccideva la persona che lo portava. La storia è stata un immenso mattatoio. La vita umana non valeva nulla. Adesso, grazie a Dio e alla buona volontà degli uomini, pare che le cose stiano cambiando e che gli uomini debbano essere lasciati in vita qualsiasi idea abbiano. Eventualmente controllati, limitati nell'esercizio della libertà, non uccisi. L'uomo vivo può sempre cambiare idea. Il tentativo sbagliato, l'errore politico, persino l'orrore può essere fonte di nuova conoscenza e nuova coscienza. L'essenza della rivoluzione pacifica attuale consiste nella rinuncia a punire la vecchia e classe dirigente, anzi consentendo la possibilità di presentarsi a nuove elezioni. Le rivoluzioni del passato invece non hanno mai applicato queste regole. Hanno cominciato subito a perseguitare i vinti innescando la catena di vendette senza fine. La vendetta guarda solo al passato, è ossessionata dal passato e quindi infierisce sui suoi protagonisti e adepti. Il vero progresso dell'uomo, la vera rivoluzione comincia con un rifiuto del passato, con una dimenticanza, con un perdono. In questo quadro generale vi è qualcuno, tentato di sprecare tempo per attribuire il merito chi a Wojtila, chi a Gorbaciov, per i diritti d'autore. Forma sottile e farisaica, una trappola per inquinare il processo di unità e ritornare a nuove vecchie divisioni, nuove guerre di prestigio e di religione. Certamente qui in questa rivoluzione non violenta vi è presente il seme del messaggio evangelico. Il Cristianesimo non si identifica con tutte le religioni per l'amore del prossimo, ma si diversifica da tutte per il perdono al nemico. Il cristiano non è colui che ha tanti amici, ma colui che non ha nessun nemico, non se lo crea, non se lo coltiva.
Sembra che questo principio evangelico, anche se in forma anonima e senza brevetto di fabbrica, sia entrato nello spirito e nelle esigenze delle nostre società dell'Est a dimostrazione che la rivoluzione non violenta è l'unica strada per una pacifica convivenza.

Autore:
Albino Michelin
27.01.1990

SERVIZI E DISSERVIZI

Nella nostra società e nella cultura contemporanea l’espressione "Servizio" non ha molta risonanza. È piuttosto insignificante, una specie di luogo comune, privo di valenza, inadeguato ad interessare il nostro immaginario collettivo. Insomma parola vuota ed inflazionata. Tutt’al più richiama per contrapposto il "disservizio". E qui subito viene da pensare al disservizio pubblico, ai continui scioperi di treni, traghetti autobus. Al disservizio delle comunicazioni, al disservizio sanitario, come ai materassi inzuppati e marci di urina dell'ospedale di Agrigento, ai topi e scarafaggi all'Ospedale Bambin Gesù di Roma, ai medici della mutua con file di pazienti lunghe come l'anno della fame. Al disservizio burocratico, per cui per ottenere un pezzo di carta si deve fare i pellegrini per giorni di ufficio in ufficio. Eppure nel Vangelo "Servizio" è la parola che ha maggior risonanza sulla bocca di Gesù. Anzi Gesù sì definisce lui stesso Servizio. Pensiamo alle sue scelte operate all'inizio della vita pubblica, al rifiuto di accettare l'impulso della folla che lo vuole re, alla lavanda dei piedi nel cenacolo, ai banchetti e pasti presi con i peccatori come espressione di servizio agli ultimi anche della graduatoria morale, alla sua morte servizio sulla croce. Una delle sue più belle affermazioni infine: "non sono venuto per essere servito, ma per servire". Gesù insomma ha costituto un ribaltamento delle posizioni e delle prospettive allora vigenti. Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Cioè colui che propone di dominare, di approfittare e di servirsi degli altri, va considerato ultimo nel suo regno, nella logica della comunità cristiana. Per restare un momento su questo asse portante "Cristiano-servizio", si deve dare atto che lungo la storia la comunità cristiana ha creato vari servizi, per combattere le cosiddette povertà tradizionali. Servizi come risposta ai bisogni oggettivi di necessità primaria, un pane, un letto, un alfabeto.
E qui si potrebbero citare per i trovatelli e per gli esposti i vari istituti di beneficenza, case per sordomuti, le scuole di S. Vincenzo per la cultura dei nullatenenti, enti come "Il Boccone del povero" dove si distribuiva una minestra calda, gli ospizi chiamati istituti della Provvidenza, Suore poverelle a raccogliere le madri nubili. Per non dire degli ospedali ideati nei tempi passati dallo spirito di "servizio" verso i malati. Non tutto nella gestione di queste istituzioni è stato esente da critica. Però una lettera d'amore è sempre vera, sempre bella, anche se contiene errori di grammatica. Così globalmente considerato il servizio offerto dalla "chiesa" lungo i secoli è stato un impulso d'amore partito dal vangelo e scritto nella storia. Oggi però il cristiano non si trova più, almeno nella nostra società europea, confrontata con le povertà tradizionali. Lavoro, scuola, assistenza, sanità, tutto è gestito dallo Stato. Invece sono emerse, stanno emergendo le nuove povertà. Ed è qui che rimane uno spazio immenso da riempire con nuove solidarietà, con nuovi servizi improntati allo spirito del Vangelo. Pensiamo alle persone sole, a quelli che non riescono a trovare un senso nella vita, ai tossicomani, ai tossicodipendenti, a quelli che non valgono e quindi non possono, agli annoiati, agli incapaci di relazione, ai malati cronici e terminali. Di fronte a queste situazioni la comunità cristiana oggi deve approntare nuovi servizi, inventare nuove forme di incontro di assistenza. Deve diventare impegno, promozione globale. Gesù è stato esplicito: «da questo conosceranno che siete miei discepoli se "vi interesserete" gli uni dei bisogni degli altri».

Autore:
Albino Michelin
09.09.1999