giovedì 8 ottobre 2015

IL CASO DEL CARDINAL GIORDANO E IL DENARO DEL POPOLO DI DIO

Non entriamo in merito alle responsabilità personali di questo incidente all'italiana, anche perché sarebbe moralmente scorretto ritenere tout court colpevole un indagato al presente solo indiziato di associazione a delinquere a scopo di usura ed estorsione: l'arcivescovo di Napoli. Come moralmente inaccettabile tutta la sagra, la spettacolarizzazione, i tintinnii di manette inscenata attorno al prelato. Che tuttavia tintinnii di miliardi siano stati girati per sostenere dalla bancarotta fratelli, parenti, nipotini, questo pare accertato. Innocente risulterà l'indagato se il denaro era di sua proprietà, un po' meno se l'ammontare in questione proveniva da altre fonti o apparteneva alla diocesi, cioè al popolo di Dio. E questo sarà compito della giustizia. Stampa cattolica e parte della gerarchia italiana hanno fatto quadrato attorno alla sua innocenza. È indubbiamente secondo il Vangelo solidarizzare con chi si trova in difficoltà, però di qui a deresponsabilizzare, a decolpevolizzare, ad assolvere chicchessia rappresenta un salto affrettato. Finiamo sull'ambiguo e sul peloso. Si dovrebbe cioè andare più cauti perché se per disgrazia Giordano venisse dichiarato colpevole, la chiesa verrebbe ovviamente accusata di omertà sociale e di categoria, nonché di incoerenza e di intenzionale occultamento della verità. Lei che fonda la sua testimonianza sul sacramento della confessione, lo scaricherebbe sulle spalle dei poveri fedeli anziché praticarlo essa per prima. Ciò che invece ha lasciato perplessi e che raccoglie pochi consensi è la regia, condotta dallo stesso porporato che si mette a pretendere prerogative, privilegi, immunità. L'Italia invade uno stato estero ... La chiesa è sovrana ... ingerenza indebita in atti di culto ... un cardinale gode di onori dovuti ad un principe di sangue. Insomma canta chiaro e forte che la legge è uguale per tutti gli altri, non per il cittadino Michele Giordano? Se lo può giustamente chiedere l'italiano e il cattolico medio.
II settimanale diocesano di Savona del 25.10.98, non unico per la verità, rifiuta di rimanere nel coro e attraverso Il suo direttore A. Magnano, tenta un discorso di fondo che va al di là del caso singolo, coinvolge il sistema, la struttura e tutto il popolo di Dio, il quale rappresenta in ultima analisi la fonte privilegiata del denaro vaticano, del denaro della diocesi, del denaro delle parrocchie, ecc. La vicenda del Cardinale di Napoli, scrive il su citato articolista, ripropone l'alternativa sempre viva fra due modelli di chiesa: a) quello del privilegio clericale, società perfetta a se stante, zona franca, non tenuta dalle regole comuni del vivere civile b) Quello di una chiesa, compagna di strada dell'uomo, che non si arroga speciali diritti, ma annuncia il Vangelo da brava cittadina del mondo. Proprio secondo la testimonianza dei primi cristiani che si distinguevano per la correttezza del loro vivere civile e non rivendicavano statuti speciali. Un fatto cosi chiacchierato, tipo quello in questione, dovrebbe essere affrontato e vissuto come una prova di corresponsabilità nel bene e nel male. Cioè la responsabilità, dell'eventuale illecito maneggio di tanto denaro non cade solo sul prelato ma anche sulle strutture della chiesa locale e sul senso di chiesa dei diocesani. Cioè dov'è e dov'era "il popolo di Dio" di Napoli? Si accontenta soltanto di applaudire il sangue di S. Gennaro? Perché non ha mai esigito un controllo sui beni della "sua" chiesa campana, degli immobili, dei fondi, delle offerte, delle donazioni, dell'lrpef, dell'ammontare dello stipendio destinato al Cardinale, al Monsignori, ai parroci, agli insegnanti di religione, e via via? Popolo di Dio del Vesuvio dov'è la tua corresponsabilità di chiesa? O sole mio. Indubbiamente non va sottovalutata una difficoltà, che cioè noi ci si trova di fronte ad un codice canonico ecclesiastico che costituisce il Vescovo "Monarca" assoluto della propria diocesi. E non per delega, ma in forza della sua ordinazione episcopale che lo assimila a Cristo "Sacerdote, Profeta, Re". È su queste premesse teologiche che un vescovo viene ritenuto amministratore unico, unico rappresentante legale dei beni materiali, potestà incensurabile. Diritto canonico nr. 1237. Se deve essere consigliato da un gruppo di amministrazione, questo ha valore solo consultivo, quindi di retorico contorno. In definiva, dal punto di vista finanziario il Vescovo deve controllare tutti i suoi "sudditi" (circola ancora questo vocabolo?), ma non può essere controllato da nessuno.
E quindi disgraziatamente potrebbe anche capitare che un ingente patrimonio diocesano, parrocchiale, ecc. del popolo di Dio venga deposto in banca, giocato in borsa, o nascosto sotto il mattone, senza che nessuno possa proferire verbo. Di qui ovviamente molti credenti si pongono la domanda se questo tipo di teologia non vada oggi riletta e se le relative norme canoniche non possano venir modificate in vista di una maggiore corresponsabilità del popolo di Dio, cui esso pure si addice l'assioma "Il Popolo è sovrano, in quanto Gesù ha proposto il Regno di Dio in cui non è il mondo a servizio della Chiesa, ma la Chiesa a servizio del mondo. Il caso Giordano potrebbe quindi rievocare l'inadeguatezza della struttura finanziaria ecclesiastica attuale in rapporto ad una società fondata sul metodo democratico con diversi poteri a controllarsi reciprocamente. Certo non è il metodo democratico soltanto ad assicurare l'onestà dei pubblici amministratori, vedi la corruzione dilagante nelle democrazie moderne, vedi la nostra Tangentopoli. Sì, ma non per eccesso di controllo, semmai per difetto, cioè per ancora troppa poca democrazia. Però là ove esiste maggiore coscienza democratica, là minore è lo spazio in balia della corruzione. E noi siamo convinti che la chiesa italiana dopo due mila anni di radicamento nel nostro territorio possieda un vangelo capace di rendere onesto almeno l'1 % dei 60 milioni di cittadini, in grado di gestire responsabilmente i beni della loro chiesa. Se no deve rivedere i suoi metodi e i suoi obbiettivi prioritari di evangelizzazione. Nella chiesa attuale quindi, per quanto concerne l'amministrazione dei beni, ad iniziare dal quella napoletana è auspicabile una separazione netta fra lo stipendio del personale (l'operaio ha diritto alla sua mercede), dei chierici (Vescovi­ parroci-missionari) e quello della diocesi, parrocchia, locale. Cosicché se qualcuno di costoro si sente in obbligo di aiutare i familiari lo faccia con i suoi soldi, non con quelli del popolo di Dio. D'altronde chi di noi risiede nella Svizzera tedesca sa che questo è un meccanismo da tempo in vigore, non perfetto, ma meno rischioso e soprattutto più trasparente. Aggettivo qualificativo oggi fondamentale per non divenire schiavi del mammona. E' noto che nei nostri Cantoni le tasse di culto (= beni dei fedeli) non vengono raccolte e amministrate dal prete o dal Vescovo, ma da una commissione laica debitamente e giuridicamente eletta, e attraverso di questa finanziate opere e persone di culto, dalla costruzione del campanile al mensile del Vescovo, del parroco, del teologo, del sagrestano. E con resoconti dettagliati, annualmente resi pubblici. Al contrario mantenere e difendere una sola persona (Cardinale-Vescovo-parroco) quale amministratore unico dei beni di chiesa, senza organismi di controllo realmente autonomi dal potere del "Monarca", rende quest'ultimo fragile, perché dopo tutto anche lui è un uomo esposto a tentazioni e a possibili deviazioni.
Se non si va verso questo tipo di riforme allora teniamoci pure i nostri Jor, i nostri Marcinkus, i nostri Giordano, i nostri piccoli o grandi scandali. Ma chi vive e sente la chiesa dal di dentro non può che soffrirne.

Autore:
Albino Michelin
04.11.1998

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