domenica 11 ottobre 2015

SACRAMENTI E INVESTIMENTI

Giovedì 15 aprile 1999 la Rai 2 nella "Vita in diretta" condotta da Michele Cucuzza mandava in onda da Scafati, (Salerno) un servizio su "Come prepararsi alla Santa Comunione". Esso faceva direttamente seguito ad un precedente documentario sugli orrori della guerra in Serbia, con lunghe colonne di profughi, bambini, donne, anziani esausti dagli stenti e dalla fame. Tanto la TV e i mass media ci hanno abituati al livellamento di tutto, nel bene e nel male. Orbene da Scafati, cittadina di 30 mila abitanti sul fiume Sarno, in quel di Salerno, sono apparsi in TV diversi atelier di moda, invasi da maschietti e femminucce indaffarati sulla scelta del vestito, ovviamente bianco per queste ultime aspiranti principesse. Corredo su misura, con relativa sfilata di damigelle barbigirls e baroncini, prova generale per la mega esibizione della prima comunione. I prezzi al listino delle sarte di mestiere variano da uno a cinque milioni. La videocamera di Cocuzza si trasferì quindi allo studio fotografico, dove l'addetto parlò di un'altra cifra quasi equivalente, cioè dai due milioni in su per un servizio completo, aperitivo, corteo BMV, il primo "incontro" con Gesù, il pranzo, l'orchestrina rock. Sempre Rai 2 apri lo zoom sul ristorante di classe, dove il Maître d'Hotel dettagliava con sussiego il menù, il prezzo per ogni singolo commensale sulle 80 mila lire, compresa torta alta come la torre di Babele che separatamente viene quotata sulle 100 mila lire. Per finire, il prezzo del banchetto per 100-150 devoti circa, varia dagli 8 ai 12 milioni. Aggiungi poi le bomboniere regali ed i confetti: Gesù per il suo primo incontro con l'innocente pupillo(a) chiede il modico esborso di famiglia su 12-15 milioni, tondi tondi le entrate di un intero anno di lavoro del capofamiglia, sempre che un lavoro ce l'abbia e non si trovi a spasso, se no deve gettarsi fra le braccia degli usurai indebitarsi fino al collo e chi se ne fotte. Non c'è da prendersela per carità né con i paesani di Scafati né con quelli di Pontechiasso (si fa per dire) in provincia di Como e tanto meno con il buon Gesù. Si obietterà che in chiesa bambini e bambine indossano tutti una tunica bianca tipo uniforme. Vero, ma prima e dopo la messa la tunichetta da 10 mila viene tolta onde lasciare spazio ai modelli passerella. Quello squarcio televisivo mette a nudo una realtà molto squallida sia dal punto di vista sociale come da quello religioso. Qualche volta sarebbe opportuno leggersi il vangelo un po' più dal punto dì vista laico e non soltanto sacrale, se non vogliamo che il santo libro diventi proprio l'oppio dei popoli.
Il primo incontro con Gesù, obbietta la devozione popolare, merita tutto questo e anche molto di più. Lecito dubitare, anzi sostenere ad alta voce che ad ogni bambino già dall'età di due anni andrebbe spiegato che il primo incontro con Gesù non è quando si va a ricevere quel pane, ma quando ci si imbatte con un coetaneo di colore, di razza diversa, immigrato e, dietro suggerimento dei genitori, si divide con lui il proprio giocattolo. Questa è la prima vera comunione, la prima forma di unione e di rapporto con Gesù. In effetti egli disse: "ero povero, ammalato, abbandonato e mi avete accolto. Perché chi accoglie uno di questi ultimi riceve me".
E ci sovviene anche di Zaccheo, furbastro predecessore delle nostre tangentopoli, che desideroso di vedere il fenomeno Gesù si arrampicò sul sicomoro di Gerico. Fortuna volle che incrociò lo sguardo del profeta di Nazareth, ne restò colpito e scendendo gli si appressò dicendo: "Maestro oggi è nella mia casa entrata la salvezza, do la metà dei miei beni ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo". Anche questo è un ulteriore esempio di prima comunione. Non si dice che siano andati alla pizzeria centrale di Gerusalemme, ma che fu fatto un investimento a favore dei poveri. I cristiani dell'età apostolica, memori che Gesù aveva istituito l'Eucarestia come una mensa di amici e di fratelli, celebravano la messa nelle case, insieme distribuivano il pane e ne portavano con relativa colletta in denaro alle vedove e ai bisognosi. Non è mai esistita una comunione con Gesù che non sia stata anche una concreta condivisione di beni fra la gente che si trascinava la vita in stato di necessità.
A ben osservarci dentro, lo spirito delle nostre attuali prime comunioni, tipo Scafati, non è di porre al centro Gesù, ma in modo surrettizio il bambino stesso, anzi la di lui famiglia che strumentalizza il sacro per un'effimera affermazione del proprio status sociale. Non si dimentichi che Giuda vendette Gesù per 30 denari, l'equivalente di 12 milioni di lire odierni. Orbene molte nostre prime comunioni del terzo millennio continueranno ancora a svendere il Figlio di Dio all'incirca per la stessa somma. Oggi ci scandalizziamo tanto con raccapriccio, e a ragione, delle violenze penetrate sui minorenni, sfruttamenti, incesti, prostituzione, pedofilia e di chissà quante altre aberrazioni. Perché non ci aggiungiamo anche questa? È un altro tipo, ma vera devianza nella formazione della coscienza dei bambini e dei minori. Queste sono le vere stragi degli innocenti, i veri traumi, anche se indorati di pseudo religiosità, che portano diritto all'ateismo e all'indifferenza degli adulti. Gesù ha cacciato i mercanti dal tempio e questi sono i moderni discendenti, anche se vestiti di bianco e avvolti in nuvole d'incenso. Ovvio che fra di noi, nei tipi un po' conservatori, cioè quelli che hanno perso l'autobus delle riforme e il contatto con la comunità viva dei credenti, sarà un po' più difficile liberarsi da certe categorie mentali concernenti l'Eucarestia, ideologie divenute col tempo teologie (cioè volontà di Dio), quando invece sono sorte soltanto come prescrizioni igieniche. E mi riferisco fra le tante all'interdizione di toccare il pane della comunione con le mani, e l'obbligo di assumerlo sulla lingua attraverso la mediazione del prete. Una breve informazione storica ci dirà che fino al tempo di Carlo Magno (800 d.C.) il pane ognuno lo assumeva con le proprie mani, ma siccome la gente del tempo non se le lavava, non aveva molto dimestichezza con il sapone e con la doccia e stropicciava senza molto galateo, allora si emanò una prescrizione igienica di non mettere le mani sul pane. Ma oggi che la gente ha acquisito il senso della pulizia personale è quindi passato il pericolo, caduta la legge. Il pane della messa è ritornato ad essere più amico e familiare. Ma molti questi passaggi storici non riescono a farli, anche perché alcuni preti si guardano bene da queste informazioni, ne va del loro potere. E le prime comunioni potrebbero perdere i loro contenuti sfarzosi e faraonici.
Questo discorso ovviamente tiene di più in riferimento alla prima comunione e alla cresima, momenti tipicamente religiosi, mentre sono meno urgenti per quanto concerne il battesimo e il matrimonio in chiesa, in quanto momenti abbinati anche alla festa della nascita e dell'amore. A conclusione di quanto sopra mi permetto il riferimento ad una esperienza personale. La domenica 28 marzo ‘99, giorno di grande affluenza per la festa delle Palme, io stesso ho proceduto ad amministrare la cresima di 8 italiani adulti, in maggioranza coniugati, che l'avevano chiesta non in vista della solita carta uso matrimonio, ma perché ne sentivano un bisogno spirituale. In base al canone 884 del Diritto Ecclesiastico chiesi ed ottenni dal Vescovo di Coira-Zurigo la delega per tale sacramento. Non era certo mia intenzione rubare il mestiere al Responsabile della diocesi, che va collocato anzitutto come segno e promotore dell'unità fra le diverse comunità di un determinato territorio, e non necessariamente come distributore di cresime. Temevo anzi di fargli un torto anche perché i vescovi in Svizzera e fuori d'Italia sono persone molto più alla mano, dialogiche, e conversative. Ma io cresimando degli Italiani dovevo collegarmi alle loro esperienze avute o vissute in Patria. Dove purtroppo talvolta qualche vescovo cede alla tentazione di diventare lui il protagonista della Cresima, con l'accento sul personaggio, sul baciamano, con cerimoniale ieratico, a scapito magari del messaggio, che difficilmente diventa essenziale e coinvolgente. Non si dimentichi invece che il protagonista è il cresimando e il suo gruppo di appartenenza. Come componente essenziale della nostra esperienza avevo posto due condizioni: vestito di tutti i giorni e dignitoso, la partecipazione al pranzo comunitario. Ed è così che dopo la messa, senza tante fughe verso i ristoranti con fotografi e reporter, ci siamo incontrati nella sala della chiesa con circa 120 persone. La comunità ha offerto il pranzo ai cresimati e loro padrini madrine, mentre genitori, familiari, amici hanno contribuito con un modica spesa. Si è ricavato un netto di Fr. 1945 inviato ai profughi del Kosovo.
Amici italiani di Scafati o di Pontechiasso o di Vattene alla pesca chi ci proibisce di muoverci tutti o di più in questo senso a cominciare in primis dal clero e dai preti, unici responsabili del colpo di spugna a troppi mercati del sacro? Indubbiamente vi sarà qualche rumore di guerra da parte delle sarte, dei cuochi, dei cine reporter, dei pasticcieri. Ma avremo l'occasione di ricompensarli in altre circostanze. Ma non andrebbe dimenticata questa felice esperienza, alternativa alle solite prime comunioni e cresime fatte di investimenti, usure e fallimenti.

Autore:
Albino Michelin
02.06.1999

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