lunedì 11 settembre 2017

LETTERA APERTA AD UN PARROCO IN RIFERIMENTO ALLA CELEBRAZIONE DI UN MATRIMONIO

Gentile Signor Parroco,

Ritengo necessaria la presente chiarifica indirizzata a lei e ai partecipanti al matrimonio da me celebrato sabato 8 giugno in una chiesetta alpestre. Occasione opportuna per una presa di conoscenza e di coscienza da parte della comunità di cui io, Lei e tutte le altre persone facevamo e facevano parte. Ogni esperienza di questo genere dovrebbe costituire un seme di speranza. Trasparenza e coinvolgimento stanno alla base di ogni messaggio (o rito) che si voglia chiamare cristiano. Lunga e doverosa premessa per venire alla sostanza.

Al Matrimonio su citato sono stato invitato dalla madre dello sposo, in quanto a suo tempo avevo celebrato il suo matrimonio, amministrato il battesimo dei suoi primi due figli nella parrocchia di Uster, Canton Zurigo, per trent’anni quale missionario Scalabrini, parroco in un paese limitrofo. E nel 1999 invitato a celebrare le nozze d’argento nella stessa chiesetta alpestre. Lei quindi aveva qualche motivo per andare in fiducia nei confronti del sottoscritto. Per rispetto alla privacy, tralascio il Suo nome e quello degli interessati. L’idea di questa lettera è tutta mia e l’ho scritta all’insegna della chiarezza e oggettività.

LA CERIMONIA
È durata un’ora dalle 11.15 alle 12.15. Padrone a casa Sua, Lei ha voluto giustamente seguire tutta la celebrazione. Ma ebbi un dubbio e capii che qualcosa non girava. In effetti al termine della messa Lei con cipiglio inquisitorio mi apostrofò: “Ma lei è un prete cattolico o protestante? Io dubito che questo matrimonio sia valido. E poi la messa strapazzata con varianti inventate fuori norma”. Un coacervo di aggressioni ad alzo zero. Intelligenza mi sostenne per evitare una rissa, chiudere il becco, e rinviare risposta a tempo debito. Sono passati diversi giorni ed eccola con ordine.

MALEDUCAZIONE.
E’ maleducazione da parte Sua l’aver spedito sull’altare durante il Padre nostro la signora per avvisarmi di “tagliare”, in pratica di smetterla e piantarla lì. Alle ore 12 per giunta Lei fece suonare la campana per rincarare la dose, non ci si capiva nulla, ma la dovevo chiudere. Alla fine della messa Lei mi fece leggere i canoni dello stato italiano, sbattendomi il testo sulle mani, forse per non sbattermelo in faccia. E poi in sagrestia il dessert di cui sopra. Insomma un buttafuori.

PRETE CATTOLICO O PROTESTANTE?
Anche se sono un prete cattolico, premetto che trovo inaccettabile da parte Sua questo disprezzo nei confronti dei cristiani, pastori e pastoresse riformati, chiamati protestanti. Lei è rimasto dell’idea che Dio sia cattolico. Papa Francesco (PF) invece no. Lo dimostra il fatto che alla fine di ottobre 2016 visitando la signora Lund, arcivescovo primate svedese, in occasione dei 500 anni della riforma, affermò che i cattolici hanno qualcosa da imparare anche da Lutero. Lo comprova pure il fatto che nel 1999 la chiesa cattolica abbia sottoscritto la dichiarazione congiunta con i protestanti “giustificazione per la sola fede”, tesi promossa da Lutero. Quindi il dubbio-accusa nei miei confronti mi obbliga a prendere la difesa dei protestanti e a ribellarmi di fronte a chi palesa nostalgie per le guerre di religione. Ma non è necessario riferirsi al gesto di un papa per accorgersi della verità di un comportamento. Perché la verità non è solo quella che proviene dall’autorità sia pure papale o col suo timbro postale, ma quella che scaturisce dall’esame della realtà.

QUESTO MATRIMONIO E’ PERFETTAMENTE VALIDO
Lo dimostrata il fatto che Lei ha richiesto la firma dei contraenti e del sottoscritto dopo il rito. Se aveva dei dubbi avrebbe dovuto o potuto rifarlo Lei come parroco del luogo. La Sua rampogna mi porta ad una ulteriore riflessione: Lei m’insegna che fondamento del matrimonio, cioè che fa il matrimonio è l’amore dei due, non la stola del prete, né la fascia tricolore del sindaco. Lei m’insegna che per Gesù il matrimonio non è un precetto giuridico, ma un ideale da raggiungere. Da Gesù fino al Concilio di Trento 1560 circa non esisteva il matrimonio davanti al prete, ma la chiesa riteneva valido ogni matrimonio stipulato secondo le usanze dei singoli popoli. E che vale di più un amore senza matrimonio che non un matrimonio senza amore. E, sempre Lei m’insegna, che oltre ad accompagnare i giovani al matrimonio fatto nell’amore, noi preti dovremmo insegnare ai candidati (oggi purtroppo) anche a separarsi dal matrimonio senza odiarsi. E’ l’amore il fondamento di tutto, non il sacramento, entrato nel vocabolario e nella legislazione cattolica 15 secoli dopo il vangelo di Gesù.

“LE INVENZIONI” DI QUESTA MESSA
Altra sberla. Avrei inventato tutto. Nessun rispetto delle regole. Ora Lei m’insegna o dovrebbe aver studiato che le strutture portanti della messa, memoria della cena del Signore, sono 5: accoglienza dei presenti (che molti preti non si degnano di fare), celebrazione della parola, offerta del pane e del vino, consacrazione del pane e del vino, comunione o prendere il pane (purtroppo tralasciando il vino). In questo contesto, se l’occasione lo richiede, si può essere un po’ creativi e comunicativi per evitare che la gente resti sempre sul sacro incomprensibile, abra catabra. Il Suo latinorum parla di “Sacramenta propter homines”= “i sacramenti sono per gli uomini”, non di” homines propter sacramenta”. Cioè non sono gli uomini che devono subire i sacramenti e affibbiarseli senza nessuna spiegazione e comprensione. Ecco allora la lista delle mie “strampalate “varianti:

a) Prima della lettura del Vangelo ho spiegato che i tre segni di croce sulla fronte, sulle labbra, sul petto significano l’augurio a che Dio che ci accompagni e purifichi i nostri pensieri (fronte), le nostre parole (labbra), i nostri affetti (petto).

b) L’acqua versata nel calice: devozione introdotta da Carlo Magno che identificando Dio con il vino e l’uomo con l’acqua voleva significare che l’uomo cerca Dio e Dio cerca l’uomo. Indubbiamente una intuizione molto gratificante.

c) La consacrazione, l’ho fatta rivolgendomi verso la gente, dal momento che il Suo altare è inchiodato al muro. Le domando: Gesù quando ha fatto la cena ha girato la schiena ai presenti e ha parlato al muro? Inoltre alla frase: ”Gesù prese il pane lo diede ai suoi discepoli… prendete e mangiate” io ho aggiunto: ”lo diede ai suoi discepoli, lo diede a tutta la gente del mondo, lo diede a tutti noi qui riuniti quest’oggi…”. Che cosa avrebbe detto Gesù in quel momento agli sposi, ai testimoni, agli invitati nella nostra messa?

d) Dopo la mezza messa vi è la preghiera per il Papa. Ho preferito essere concreto. Giusto renderlo presente, i nemici del papa non sono quegli dell’Isis, ma come dice lui stesso “certi componenti della curia, del clero, dei cattolici fondamentalisti e visionari. Bergoglio rifugge dalla papolatria, e desidera che la gente preghi per lui per non meritarsi il rimprovero di Gesù: “Vai via da me, satana, tu non hai il mio spirito”. Protestante anticlericale il sottoscritto? Anche Gesù lo era se è finito in croce causa la combina dei sommi sacerdoti (il clero del tempo) e del potere politico congiunti.

e) A seguire c’è la preghiera per i defunti e mi sono permesso di fare memoria per i senza volto, i senza tomba, i profughi morti in mare, bambini e donne incinte. Per non limitarmi solo ai “propri cari morti con messe pagate”.

f) Alla Comunione ho spiegato che Dio è Amore e gli sposi in quel giorno dell’Amore avrebbero avuto il diritto di distribuirlo loro il pane. Oppure gli sposi sono abilitati solo a distribuir bomboniere? Gesù nell’ultima Cena non ha consacrato le mani ai presenti per distribuire il suo pane. Ho spiegato questa possibilità, ma non sono passato a farla eseguire, diversamente Lei mi sarebbe volato sull’altare a fare un quarantotto. E quindi la comunione l’ho distribuita io. Desolatamente a otto persone o poco più (su di una trentina): mi è sembrato essere in un ristorante in cui la gente anziché mangiare guarda gli altri che mangiano. Non voglio mettere a disagio costoro, ma inutile fuggire per la tangente dicendo che si può sostituire con la comunione “spirituale”. La gente si comporta come noi l’abbiamo educata. In ristorante non si va per fare un pranzo spirituale. E la messa è il banchetto del Signore celebrato con i suoi amici e per i suoi amici.

Queste le cinque invenzioni, che, anche se globalmente, Lei mi ha rinfacciato e a cui mi sento in dovere di rispondere. Certo non sono un tipo umile, ma Lei non ha il diritto di umiliare nessuno, stile preti padre padrone Continui pure con il culto dei suoi codicilli giuridici, quando Paolo dice che “la lettera uccide, lo spirito, vivifica.” (2° Cor.5-6), ma non dimentichi che anche per questo la gente in chiesa non ci viene più, perché nulla capisce e nulla riceve. Lei arrischia di limitarsi ai suoi 4 anziani (compreso il sagrista che continuava a masticare amaro) o alle solite devozioni o al turismo sacro. Gli anziani li teniamo blindati alle tradizioni perché li riteniamo ignoranti. Proibito capire, obbligati a ubbidire. Ma anche quelli ci scappano, in effetti anche loro ricominciano andare a scuola e all’università della terza età. Eventualmente se desidera un contributo a queste idee acquisti il mio libro “Interrogativi dell’esistenza umana” (pag.813, euro 18 a favore dei profughi) presso l’edicola Vassalli di Moriago (una delle più a Lei vicine, tel.0438-892.802).

AL PRANZO NEL RIFUGIO ALPINO COSTRUTTIVO SCAMBIO DI OPINIONI.
Verso sera, dopo il caffè, ho chiesto io stesso la possibilità di una pausa per uno scambio di pareri su questa messa di matrimonio, nella quale alcuni avevano chiaramente costatato un‘atmosfera di disagio, proveniente non dal sottoscritto ma da altrove. Non faccio 500 km (gratuitamente, rifiutando parcella di messa, pagandomi viaggio, vitto alloggio) per raccattare consensi. Mi piace seminare, e che il messaggio religioso passi alla gente. Questo è il vero salario. Iniziando con il grazie positivo della signora Dina, ucraina ortodossa, in perfetta lingua italiana indirizzatomi all’uscita della chiesa, per avere finalmente capito e “vissuto” una messa così, gli invitati si sono espressi favorevolmente. Gli stranieri che non avevano capito l’italiano apprezzarono lo stile e il modo di comunicare. Qualcuno aggiunse che è molto meglio una messa di un’ora in cui si parla e si dice concretamente, che non una messa di mezz’ora da cui non esce nulla e recitata pro forma. Altra considerazione: la radice dell’incomprensione e della resistenza, come si sa, risiede nell’idea di possedere la verità, di averne il monopolio. Da questo punto di vista tutto ciò che sta fuori non è semplicemente diverso, ma è il falso, il meno buono. Mi chiesero se io ero rimasto contento. Ovvio, molto, dal momento che per “loro” e per me questa esperienza è stata umanamente e spiritualmente un seme di speranza. E contento avrebbe dovuto essere rimasto anche il parroco del luogo. Con distinti saluti

Albino Michelin c.s., missionario in Svizzera.
Affoltern am Albis 28.07.2017

A BASSANO UN ALBERO DEL VIALE DEI MARTIRI DEDICATO A LUCA RUSSO?

Veneto in lutto. Commozione non solo della città del Grappa, ma di tutta una regione per la perdita di un figlio, falciato da un furgone killer dei terroristi Isis il 18 agosto mentre passeggiava con la fidanzata sul viale della Ramblas di Barcellona in Spagna. Tredici vittime, di cui due italiani, lui e Bruno Gullotta di Legnano, e il terzo residente all’estero. Luca Russo si trovava nella città catalana per un periodo di vacanza. Ovviamente sdegno per i gesto criminale e solidarietà per una giovane vita stroncata: 25 anni, fresco ingegnere, dedito pure al volontariato, solare, innamorato. Un vademecum di felicita ‘Quattro mila persone con fiaccole hanno sfilato la sera del 25 agosto, la salma è arrivata in città ricoperta dal tricolore, benedizione impartita dal vescovo, il giorno seguente cerimonia funebre celebrata dallo stesso prelato, con la partecipazione dei rappresentanti del governo e del Presidente della Repubblica. Sull’onda dell’emozione una proposta inoltrata al sindaco e ai media di dedicare un nuovo albero del Viale dei Martiri a questo concittadino è sotto esame. Ovvio che tutti ci sentiamo colpiti, perché poteva capitare a qualsiasi di noi. Solidali con il dolore della famiglia, un’opinione ci sia consentita. Vale a dire non trasformare un’escursione in un gesto eroico, in un martirio. Non vorrei deviare in una inutile digressione, ma collegarmi ad un confronto e ad un riferimento storico. Allorquando mi è capitato, quale missionario in Svizzera, di accompagnare in Italia la salma di qualche emigrato, schiacciato da una gru, da una frana, da un incidente sul lavoro ad un paesello della bergamasca o del bellunese, non ricordo nessuna bandiera, nessun vescovo, nessuna fiaccolata, nessuna autorità per quel povero essere umano partito dall’Italia con la morte nel cuore per un tozzo di pane, il viaggio della speranza senza ritorno e tutto per aiutare la sua famiglia. Non erano questi dei martiri? Degli eroi? Digressione per un dovuto postumo risarcimento. L’emozione non deve dimenticare i valori e i motivi che la sottendono. E veniamo al Viale dei Martiri di Bassano del Grappa. Il fatto si riferisce al 26 settembre 1944. Peccato che anche tanti laureandi attuali confondano la prima con la seconda guerra mondiale. In riferimento a questa proposta è da sapersi che il 20 settembre di quell’anno un’imponente forza di milizie nazifasciste hanno circondato il Montegrappa, e per un attacco ed un rastrellamento dai quattro punti cardinali, luogo dove sia erano ritirati per una scelta di vita, per sfuggire alla fucilazione e non per un’escursione, vacanziera, circa un migliaio di partigiani. Nei diversi scontri questi registrarono rilevanti perdite di vite umane. Oltre 170 giustiziati senza processo, altri arsi vivi, altri sepolti vivi e 31 condotti a Bassano per essere impiccati. Era il martedì 26 settembre 1944, ore 15. Io frequentavo la terza media presso l’istituto Scalabrini della città. Per un certo presentimento siamo saliti all’ultimo piano del Collegio e a mezzo km di distanza via aria nel così detto allora Viale delle fosse abbiamo visto arrivare dei camion, che lentamente procedendo, estraevano fuori e quindi lasciavano penzolare un partigiano, con un cappio al collo precedentemente attaccato ai rami degli alberi. A tale vista, tutti presi dal terrore, i superiori ci hanno fatto uscire dall’Istituto, e scappare fuori per le colline spaventati per tanto orrore. Al ritorno abbiamo visto dall’alto ad ogni albero un impiccato, oltraggiato e preso a calci dai militi fascisti, con al petto un cartello ”Bandito”. Il cappellano delle carceri, P. Odone Nicolini, passando la sera stessa da noi ci disse con voce affranta che gli era stato negato persino il consenso di dare ai condannati l’ultimo conforto, che a ciascuno era stato fatta un’iniezione per stordirlo come si fa con i topi, e che i poveri ragazzi, molti nemmeno, ventenni alla vista del nodo scorsoio chiamavano mamma. Solo qualche anno fa ebbi l’idea di incontrare certa Dolores Marin, residente a Cavaso del Tomba, allora partigiana diciottenne, cui avevano rasato i capelli per umiliazione e il cui moroso era stato fucilato, e avevo così potuto sentire da lei e annotare le sevizie, le torture, le deportazioni che i partigiani avevano dovuto subire. Sono ritornato anche il 5 giugno di quest’anno, ma ormai a 91 anni la Dolores non è più sostenuta dalla memoria. Fino a qui la rievocazione del Viale dei Martiri: per dare un’adeguata risposta alla proposta su menzionata. Tutto un altro mondo, sa di cattivo gusto e metterebbe a disagio lo stesso Luca. A ogni santo la sua nicchia. Da una breve e superficiale inchiesta fra italiani e veneti in Svizzera non si è trovato un favorevole, se non in forma soft. A qualcuno è scappato un secco: ”solito buonismo all’italiana, alla veneta, destinato fra breve a sgonfiarsi”. Se poi tutto questo, dalla bara in tricolore, alla benedizione del vescovo, alla fiaccolata, alla rappresentanza del Governo e della Repubblica ai funerali, all’affermazione del Governatore Veneto Zaia che vorrebbe mettere in ginocchio le moschee per obbligarle pubblicamente a condannare l’Isis, venisse usato come strategia per dargliela in testa agli islamici, ciò fa parte di un altro discorso che andrebbe risolto per le vie etiche, politiche dei controlli, delle integrazioni future delle civiltà, del rapporto fra religioni. Un lavoro a onda lunga. Se si crede opportuno, a Luca Russo si può sempre dedicare una strada, un adeguato famedio, una lapide murale al municipio…. Ma probabilmente Luca stesso, potesse parlarci, se esposto con foto in un nuovo albero di quel Viale dei Martiri si sentirebbe a disagio, un inquilino fuori posto. E forse vale la pena rispettarlo.

 Autore
Albino Michelin
02-09-2017