martedì 28 aprile 2015

BENTORNATO MARCEL LEFEBVRE

Da non passare sotto silenzio il funerale clandestino celebrato martedì 13 agosto 2002 a Leno, graziosa località sulla strada Regina in riva al ·lago di Como, in casa del defunto Alfredo Mondelli scomparso a 51 anni dopo lunga malattia. Celebrante un sacerdote Lefebriano, il fu Ferdinando   Nanni, venticinquenne. Motivo: il parroco del luogo don Mauro Tranquillo non volle concedere la chiesa perché il deceduto apparteneva al movimento   tradizionalista   facente   capo   al vescovo francese. Questi avrebbe voluto la messa in latino con canto gregoriano, paramenti neri anziché violacei. Ma ciò, secondo il parroco, andava contro la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano Il ed attuata dal Papa Paolo VI. Proprio cose turche, con tutto rispetto verso gli amici d'lnstanbul. La figura e gli obiettivi del fondatore? Si tratta ovviamente di Marcel Lefebvre, personaggio discusso e discutibile, al centro di polemiche stampa TV alla fine degli anni 80. Deceduto il 25.3.1991 all'età di 86 anni a Martigny nel Vallese, era nato in Francia il 29.11.05. A 24 anni divenne prete, poi missionario in Africa per 40 anni. Un lungo periodo distribuito in diverse mansioni: 15 anni vescovo a Dakar nel Senegal, 11 anni delegato apostolico per tutta l'Africa francofona. Dopodiché entrò in Svizzera diventando cittadino elvetico di adozione. Nel 1969 fondò il primo seminario per sacerdoti a Friburgo e l'anno seguente lo battezzò con l'appellativo "Fraternità San Pio X” dal nome di quel Papa   che   nel    1906   con   l'Enciclica "Pascendi" restaurò l'integralismo cattolico condannando il modernismo e compilò un catechismo tutto pillole e precetti dogmatici, in circolazione fino a 30 anni orsono. Il Concilio Ecumenico si era chiuso ne 1965 e il Vescovo Marcel si schierò subito contro il Decreto sulla Libertà religiosa, contro la messa in lingua nazionale, contro quella celebrata dal prete a schiena rivolta verso il pubblico. La messa come sempre, da quando cioè riformata da Papa Pio V nel 1560 a conclusione del Concilio di Trento, doveva rimanere il sacrificio di Cristo sulla Croce (e non una cena, un banchetto), detta in latino, col canto gregoriano (sacrilegio l'invasione di chitarre nel luogo sacro), schiena girata verso il popolo. Obiettivo quindi di Lefebvre: conservare intatta la fede cattolica diffondendo la fraternità in tutti i continenti, salvare la cattolicità dal disorientamento generale.
Questo vescovo, senz'altro in buona fede e legittima convinzione, continuò imperterrito sulla sua strada. Nel 1976 consacrò i primi preti e venne sospeso dall'ufficio. Il 30.6.88 consacrò addirittura 4 vescovi e due giorni dopo gli arrivò la scomunica quale "capobanda' di uno scisma. Tosto e lineare l'inossidabile Marcel combatte   la sua battaglia sino alla morte, lasciando in eredità diversi seminari, religiosi, laici seguaci del suo verbo oggi diffuso e divulgato anche da una rivista periodica "Tradizione cattolica". l suoi messaggi e il suo vangelo hanno fatto il giro del mondo: non intende fondare una nuova chiesa, ma continuare quella di sempre in vigore per 19 secoli e affossata dal recente Concilio Ecumenico.
Accusa detto Concilio di aver abbandonato la nostra santa chiesa nelle mani di Lutero. Ha tradito il Vaticano l del 1870 e calpestato il "Sillabo di Pio IX" del 1864 che aveva condannato senza mezzi termini eresie sul tipo di quelle che difendevano la libertà religiosa, cioè delle religioni e dalle religioni. “Meglio obbedire a Dio che non agli uomini... Il Papa è vicario di Cristo, ma non è Gesù Cristo... La Chiesa non è il Corpo mistico del Papa …L’infallibilità del Papa non è infinita.  Non può prendersi delle libertà contro Cristo e contro la tradizione da lui voluta ..".
Osservazioni pesanti che potrebbero benissimo stare in bocca anche ai cattolici innovatori, di sponda opposta. Siccome questi alle gerarchie ecclesiastiche fanno più paura di quelli, ecco subito le autorità vaticane riprendere il discorso con i Lefebvriani, tentando di reintegrarli, sospinti anche dal fatto che Papa Wojtyla e per formazione e per carattere è maggiormente portato ad un cattolicesimo conservatore. Di qui si spiega come mai il Cardinale Castrillon domenica 24 maggio 2003 in Santa Maria Maggiore di Roma abbia celebrato una messa secondo il vecchio rito tridentino, in lingua latina, schiena rivolta al popolo con grande giubilo dei figli di Lefebvre. Inoltre, prima volta dopo il 1970 data della riforma liturgica, 250 preti francesi chiedono il ripristino ufficiale del vecchio rito. Il nuovo idillio era già emerso nel 2000, allorché papa Wojtyla   gettò loro ponti d'oro, commosso per un consistente pellegrinaggio giubileo romano... Certo nel loro movimento esiste all'interno anche una minoranza zoccolo duro chiamata "Sede vacantista", cioè non riconosce l'attuale. Considera vacante la sua sede, e la messa del 24 maggio una trappola per farsi assorbire dalla chiesa romana. Che ne pensa l'opinione pubblica informata? Alcuni o molti sono dell'opinione che la messa al bando di Lefebvre anni fa potrebbe essere valutata   anche   come mossa "politica" per tacitare l'ala riformista e dimostrarle che la chiesa "del" passato non appartiene "al' passato ma "al" futuro.
Però ci si può domandare che motivo c’era di sbatterli fuori della chiesa. La chiesa potrebbe e dovrebbe trovar posto anche per i lefebvriani. Qualcuno dirà che ora ci si gira tutto dall'altra parte. No, non è voltagabbana, ma una professione di tolleranza e di buona convivenza.
La chiesa cristiana dovrebbe essere una comunione di comunità. Non una uniformità che elimina le diversità. Anche l’apostolo Paolo si è trovato di fronte a comunità differenti per cultura, storia, sensibilità. Non le ha eliminate, ha trovato diverse soluzioni anche secondo l'etica della situazione pure permettendosi di apportare orientamenti e correttivi essenziali. Ma che disturba se un gruppo di cattolici
Vecchi o giovani vogliono la messa in latino, in friulano, in dialetto veneto?  Se Gesù ripetesse la sua ultima cena userebbe il linguaggio dei partecipanti o quello esoterico di culture archeologiche morte e sepolte? Penoso quindi l’incidente di quel funerale sfrattato dalla chiesa parrocchiale di Leno ai danni del povero Alfredo Mondellì, lungo la riva occidentale del lago dì Como. Una discriminazione che sa dì vendetta.                        

Autore:
Albino Michelin
12.09.2003

ARMI ITALIANE VERSO "STATI CANAGLIA"

Si dice che la storia è maestra di vita. In parte può essere vero, come logica di tutti i proverbi, in parte non lo è affatto. In effetti da anni in materia d'armi e d'armamenti la storia non sta proprio insegnandoci niente. La vicenda dell'Iraq inizio secolo ha mostrato l'agghiacciante paradosso di un paese, gli Stati Uniti, che dopo di averne armato un altro (l'Iraq appunto), decide dichiarargli guerra proprio perché a sua volta in possesso di strumenti di distruzione. Ma guardiamoci dentro a casa nostra. Il 3 giugno 2003 la Camera dei deputati ha dato l'addio alla legge 185 che risaliva ancora al 1990, apportando una sostanziale modifica all'industria bellica con 225 si, 115 no, 20 astenuti e 186 assenti. Una nuova legge che ci riporta indietro di 15 anni. D'ora in poi anche in Italia avremo la liberalizzazione del commercio d'armi da guerra. Verrà eliminato il certificato d'uso finale, cancellato l'obbligo del governo a presentare una relazione annuale sulle esportazioni autorizzate, allargata a dismisura la rosa dei possibili paesi acquirenti che da oggi comprende anche quelli dove vengono violati i diritti umani purché in modo non „grave “(?). Così il nostro paese s’inserisce nel nuovo clima internazionale che considera la guerra come normale strumento di controllo e di risoluzione dei conflitti. Una norma dunque che cancella ogni principio etico e consente ai nostri produttori d’armi di muoversi senza nessun tipo di controllo. Così senza saperlo potremo diventare complici di barbare repressioni, sanguinose rappresaglie, azioni di morte che violano i principi cui la nostra costituzione si ispira. L’accettazione della guerra preventiva a cui milioni di persone in ogni parte del mondo si sono opposte porta con sé non solo un esasperato concetto di difesa, ma anche l’idea che con la forza delle armi si possano imporre storia, cultura, forme di governo. E’ la legge del mercato gonfiare il proprio portafoglio. E secondo le leggi del mercato non vanno soddisfatte solo le richieste, ma va anche indotta ed educata la massa umana, che le armi ancora non le sa usare, ad acquistarle e diventarne dipendenti. D’ora in poi in Nigeria ci ammazzeranno con fucili e pistole beretta delle nostre valli bresciane e noi non lo sapremo. Come non sapremo quante ne finiranno in Cina o in Algeria. I paesi sotto embargo per gravi violazioni ai diritti umani anch'essi potranno ricevere le nostre armi, ricorrendo al trucco delle triangolazioni, facendo cioè passare il carico attraverso un paese destinatario legittimo della merce. Nel 2002 il nostro commercio d'armi è aumentato del 6% con l'introito di 920 milioni di euro. Negli anni seguenti sarà molto più alto, ma conoscerlo sarà impossibile.
                                                 Mercanti d’armi, vergogna Italia
Una volta noi si era famosi nel mondo per il mercato della seta e di pregiati prodotti artigianali.  Oggi esportiamo strumenti   di morte. Non versiamo lacrime di coccodrillo, non facciamo commedie di commiserazione sugli americani morti alle Torri gemelle, non agitiamo pugni di vendetta contro gli arabi kamikaze e contro il terrorismo: quella gente usa e userà sempre di più anche armi italiane. Questo è il messaggio di pace esportato da un popolo e da una nazione cattolica, piena di santi, di madonne e ossequiente al papato. Questi sono i risultati dell’abolizione della legge 185. Che essa sia stata in parte votata anche dalle sinistre, il cui scopo sarebbe quello di difendere i diritti dei deboli e non i diritti del profitto e del capitale, qui non ci interessa. Non siamo alla difesa di qualche partito, ma alla difesa della politica con il P maiuscolo, che significa difesa e costruzione della polis, cioè della città e della convivenza civile. E nel caso avrebbe ragione un P. Zanotelli quando sostiene che di fronte a questo tradimento dei politici italiani bisogna ripartire dalla società civile organizzata che dovrà diventare sempre di più soggetto politico. Indubbiamente questa legge è una bella botta al movimento pacifista, specialmente quello portato avanti dai vari missionari impegnati nel terzo mondo. Ma poiché esso nella sua parte migliore è animato da programmi a onda lunga piu’ che di immediato successo non si indigna di fronte a tanta indecenza e propone due obbiettivi, parziali certo, ma nella direzione di una giusta riflessione ed impegno.
1) Ripensare ad una riconversione dell'industria bellica. In effetti le migliaia di operai dipendenti in tale settore dovrebbero venir dirottati altrove. Cosa non facile, né di immediata attuazione.
2)  Appoggiare la proposta Lula, presidente del Brasile, al G8 di Evian organizzato all'inizio di giugno 2003: "una tassa sul commercio di armi per finanziare la lotta contro la fame nel mondo “.
3)  La chiesa italiana attraverso   le sue gerarchie esprima pubblicamente il disappunto di molti cattolici per questo sconcertante metodo di garantire le nostre finanze.
4) Non disdegnare un referendum in materia nonché la disubbidienza fiscale contro l'impiego delle nostre imposte alla costruzione di armi e di materiale bellico.
Molti riterranno utopia queste proposte: vengano almeno considerate come ipotesi di lavoro per non doverci trovare sempre vita natural in permanente stato di guerra.
                                                    Armi italiane nel mondo
Stato/commesse/milioni di euro: Spagna/46/26; Kuwait/10/83; Francia/19/66; Cekia/2/49; Sudamerica/?/41; India/30/37; USA/56/36; Germania/33/30; Arabia Saudita/8/29    

Autore:
Albino Michelin
20.06.2003

venerdì 24 aprile 2015

PREGHIERE PER IL METEO

Il tempo è rimasto da maritare per non lasciarsi comandare, così recita un proverbio popolare italiano. E se nell'estate degli anni scorsi si parlò d'inondazioni del secolo, quest'anno si scrive che per soffrire un clima del genere bisogna risalire indietro di 150 anni o all'incirca.  Per molti di noi il motivo comunque per cui si desidera la fine della siccità non è tanto il caldo in sé quanto l'ossessionante ripetitività dei discorsi sul caldo.
Ma al di là delle opinioni di turno: in genere in caso d’emergenza, surriscaldamento dell'ambiente e penuria d'acqua si alza sempre lo sguardo verso gli abitatori del cielo e ci si mette ad impetrare la pioggia.
E la chiesa, almeno quella italiana, si è subito mobilitata. Sembrava ritornare ad altri tempi: chi partecipava a fine luglio a qualche messa dal nord al sud, notava che ovunque si faceva da parte del clero pressante invito ai turisti di recitare il santo rosario per la pioggia. All'uscita da qualche chiesa a porre domande in merito si ricevevano risposte fra le più divergenti. Due rappresentative. Un signore rispose: "sto prete vada a consultare la meteo, per 15 giorni intanto siamo sicuri di vivere sotto una calura equatoriale. Certi preti ci trattano da ignoranti sottosviluppati e fanno della chiesa una scuola di superstizioni e credulonerie". Ed una ragazza appartenente al "Rinnovamento dello Spirito" a controbattere "senz'altro il Signore concede sempre miracoli a chi lo prega. Non ha letto Lei nella Santa Bibbia che Eliseo profeta pregò che non piovesse e non piovve, poi pregò perché piovesse e il cielo diede la pioggia e la terra i suoi frutti?”
Fra i due mettiamoci un’opinione mediana: melanconico placebo quello di affidarsi alla Provvidenza per quanto riguarda argomento clima. Si ammetta però che per non disturbare certi equilibri a molta gente vada concesso il loro placebo e le loro pie illusioni. Anzi fino a qualche decennio fa preghiere suppliche, processioni facevano parte integrante del bancomat cattolico per ottenere pioggia ed altri favori del tempo. A dimostrazione di ciò, molti ricorderanno le "rogazioni' che si effettuavano in maggio tre giorni prima della Festa dell’Ascensione. Si partiva al mattino, alle prime luci dell'alba e attraverso sentieri di campagna e di collina si cantavano in lunghissima fila indiana le litanie dei santi, all'inizio delle varie piantagioni si legava una croce di legno con il ritornello: “a fulgore et tempestate libera nos domine" (dalle saette e dalla tempesta liberaci o Signore). Si ritornava a casa verso mezzogiorno, talvolta anche sul far della sera. Pure l'occasione propizia per fondare nuove famiglie, per allacciare nuovi amori, per gettare l'occhio su adolescenze promettenti. In effetti le ragazze specie dei paesi veneti avevano coniato anche una letteratura amorosa in merito: "Santa Rosa fame sposa, Sant'Agnese entro un mese, San Bastian anca doman, tutti santi e sante Dei, magari vedovo ma pien de skei (soldi)". Queste rogazioni non erano nemmeno di origine cristiana. Entrarono nel V secolo d.C. dalla Francia, e a Roma nell'800 sostituirono le Robigalia o Ambarvales, identiche processioni di antichissima origine pagana
I Romani e predecessori avevano le loro tipiche divinità preposte al clima e alle stagioni: Diana protettrice delle acque e della caccia, Cerere della biade, Bacco del vino e dell'uva, e così via, un panteon di divinità come oggi da noi un calendario di santi cattolici. Sicché abbiamo introdotto S. Genoveffa in Francia, S. Calimero a Milano, S. Leuca a Brindisi, S. Nepomuceno in Austria, S. Eriberto a Colonia in Germania. Di lui si dice addirittura che tanto pregò fino a che la città con tutti i suoi abitanti quasi annegò. Troppa grazia S. Antonio. Oltre a ciò fino a qualche tempo fa nel rituale cattolico esisteva una preghiera "Dio grande e misericordioso benedici le nostre campagne dando alle zolle assetate il refrigerio della pioggia ". Ed anche nel messale, un librone voluminoso quanto l'enciclopedia Treccani, vi era per lungo e per largo tutta una messa "ad petendam pluviam” Dovizia di devozioni soppresse o meglio oscurate con la Riforma liturgica del Concilio Ecumenico poco dopo il 1965. Probabilmente con troppa fretta ·e poca psicologia in quanto il popolo non si può privare improvvisamente e di botto dell'effetto placebo, sopra accennato.
Senz'altro è rassicurante vivere anche più di illusioni ché di ragioni, però sta di fatto che alcuni da quel mondo fiabesco non vogliono uscire. Per evitare la destabilizzazione totale del loro psichismo vale la pena lasciarli nel loro mondo magico, inebriante, totalizzante, prerazionale. Anche questa concessione appartiene al consiglio evangelico dell'amore verso il prossimo. Infine si aggiunga pure la Bibbia: parla di pioggia almeno 200 volte.
L'invocazione ad ottenere i suoi benefici sono molto più numerosi di quella per ottenere il sole ed il sereno. Tutto questo mondo orante, sia quello dei cortei pagani, come quello delle rogazioni cristiane, delle citazioni bibliche, dei santi patroni sopra l'acqua e il tempo si riscontra un filo conduttore di fondo, inconscio ma comune: il rapporto fra cielo e terra. Esiste una certa indefinibile comunione fra la divinità, il cosmo, l'umanità. Su questo indizio tutti potremmo convenire
                                      Non identificare la fede con la scienza
Per quanto riguarda invece i contenuti di tale comunione si permetta qualche analisi. La prima si chiama errore: quello di identificare la fede con la scienza. Un limite molto pesante nel passato storico della chiesa che diceva: la fede spiega la scienza, la fede decide sulla scienza, in caso di conflitto la precedenza va alla fede, quando parla la fede la scienza deve tapparsi la bocca. Di qui la classica e a tutti nota condanna contro Galileo. La fede   della   chiesa   sosteneva: „Giosuè pregò il Signore di fermare il sole perché egli avesse luce a sufficienza per sconfiggere i nemici" Allora la fede sentenziò che doveva essere il sole a girare attorno alla terra la scienza invece con Galileo affermava il contrario: la terra gira attorno al sole. Per questo gli è capitato scomunica e botta in testa. Quest'esempio conflitto di competenza può essere trasferito anche sulla meteorologia, cioè sulla preghiera per la pioggia. La fede ci aveva insegnato con linguaggio popolare che quando piove è Dio sopra le nuvole a tenere il chiavistello delle cateratte e dei secchi e quando tuona è Dio che brontola contro i cattivi, quando saetta è Dio che folgora i malvagi, che ci castiga per i nostri peccati, quando rasserena è Dio che viene placato dai nostri sacrifici e ci ridiventa amico. La scienza astrofisica e meteorologica ci dice invece che Dio non è collocato sopra o dentro le nubi a fare sti servizi o dispetti, e che l'acqua e la pioggia scendono per fenomeni naturali di alta e bassa pressione, correnti del golfo, variazione cicloniche e anticicloniche. Realtà tutte che seguono le loro leggi, leggi di natura, leggi poste da Dio.  Siccome noi siamo spesso abituati a sfottere le leggi umane, pensiamo che anche Dio sfotta le sue dietro nostra interpretazione o impetrazione. Invano, perché Dio è fedele a se stesso! Queste sono preghiere all'italiana! Preghiera evangelica invece è quella di capire il progetto di Dio e ottenerne la forza di espletarlo. Qualcuno obbietterà che anche il Papa in una domenica afosa di agosto ha raccomandato a tutti di pregare per ottenere da Dio il refrigerio della pioggia.
Indubbiamente un messaggio affettuoso nel senso che sottolinea la nostra parentela con il creato, il clima, il tempo. Però se non vi si aggiunge anche il contributo della nostra responsabilità nell'evitare le concause della siccità, come il degrado dell'ambiente, dell'inquinamento, dello smog, dell'effetto serra, della desertificazione delle foreste, il consiglio papale potrebbe creare in alcuni un certo fastidio per la creduloneria sott'intesa, che sta al posto della mancata volontà di liberarci dalla nostra cieca avidità.
Addirittura deviante infine ciò che si è potuto udire da alcuni pulpiti: la siccità è un castigo di Dio per i nostri peccati. Si vadano a rileggere i messaggi di Gesù quando annunciò:"siate figli del Vostro Padre celeste che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti e fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi “. Quando si riuscirà a sostituire questi messaggi di morte e a portare invece nel mondo un po’ di speranza?

Autore:
Albino Michelin
29.08.2003

ABORTO INDIVIDUALE E OMICIDIO DI MASSA

Fra le tante malefatte e disgrazie di cui oggigiorno veniamo a conoscenza non lasciamoci sfuggire un caso molto pietoso, avvenuto in un Paese ai confini del mondo, cioè in Nicaragua, ai danni di una bambina di nove anni. Niente di ciò che tocca l'umano dovrebbe lasciarci estranei per quanto abissali possano essere le distanze geografiche. Dunque, informano le agenzie, una bambina di questa età venne recentemente violentata e messa incinta. Un grave dilemma per le istituzioni familiari, sociali, politiche e religiose ha coinvolto l’opinione pubblica: aborto sì, aborto no, e la bambina in mezzo estranea all’acceso dibattito. Vari aspetti entrano i gioco nella spinosa questione: il tamtam pubblicitario, l’ingerenza petulante di tutti, la condanna morale emessa dagli antiabortisti. Certo il fatto che ci sia in gioco una nuova vita non può lasciare indifferente nessuno. La preoccupazione per la Vita, specialmente indifesa, è sempre un segnale positivo. Salta evidente agli occhi in questo campo la posizione della chiesa cattolica nettamente intransigente: in nessun caso lecito l’aborto, eccezion fatta per quello terapeutico, cioè indirettamente causato per un intervento sulla madre, esempio l'estirpazione di un tumore all'utero. Vedi catechismo nr. 2270-75 . Pure dichiarandosi d'accordo con questo principio, non si può però sottacere una domanda che venne e verrà posta da molti: che cos'è questo opporsi con tanta determinazione alla possibile soppressione di un feto e mostrare poi tanta omissione, distinguo, tolleranza di fronte guerra che tante vite di bimbi indifesi manda al macello? Il comandamento di non uccidere non è valido per l'uno come per l'altro caso? E com'è che per l'aborto non si danno eccezioni, nemmeno in casi di bestiale violenza e stupro, e per le guerre molto facilmente si? Il Catechismo al su citato al nr. 2309 fa una serie di capriole per legittimare ancora le correzioni medioevali della guerra „giusta", come ai nr. 2266-67 ne fa altrettante per legittimare la pena di morte. Nemmeno i cattolici praticanti sono al corrente di ciò, per cui alla bisogna qualche girotondo in piazza per l’abolizione dei su citati commi non sarebbe superfluo. Non è più deliberato, crudele, sistematico l’assassinio delle vite in guerra che un aborto in situazioni personali il più delle volte drammatico? L’amore verso il prossimo anche nemico è un comandamento evangelico.  Non si vuole qui fare i pacifisti ingenui. Meraviglia solo che l'applicazione in situazioni di guerra di questo comandamento sia stata ed in molti casi lo è tutt'ora contraddistinta da lassismo e per l'aborto invece è rimasta dura e inderogabile. Come mai due pesi e due misure? Forse perché nel primo caso entrano in gioco interessi politici? Probabilmente per questo motivo si potrebbe capire come un Reagan ed un Bush hanno potuto patrocinare campagne antiaborto mentre si lanciavano in guerre orribili. E così il principio del diritto alla vita applicato con rigore al feto viene violato senza scrupoli quando si tratta o si trattava di reprimere con torture e fuoco la vita di dissidenti, eretici, streghe, omosessuali elargendo benedicenti indulgenze agli arruolati per ogni tipo di crociata. Pur nel rispetto dei principi morale, il Magistero della chiesa in quest’epoca dovrebbe dare spazio anche alla ·cosiddetta prospettiva scientifica, cioè alla ricerca sull’embrione. Una teoria che non andrebbe scartata tout court con supponenza permette di affermare che la costituzione di un nuovo essere umano non si ha se non verso l'ottava settimana, alla fine del secondo mese dopo la fecondazione nel passaggio dalla fase embrionale a quella fetale. Prima di tale termine esso embrione mancherebbe di sufficienza costituzionale e di sostantività. Non si dovrebbe, secondo tale ricerca, pronunciare una sentenza pro o contro la vita ignorando il fatto oggettivo del momento in cui questa vita è realmente costituita. La prospettiva cattolica in un documento conciliare (GS  51) può con pieno diritto affermare: "la vita umana deve essere salvaguardata con la massima attenzione possibile fin dal concepimento", ma come osserva il moralista Haering” non spetta al magistero della chiesa risolvere il problema del quando” preciso in cui ci troviamo di fronte ad un essere umano nel pieno senso della parola". Sappiamo che tale interpretazione è stata contestata dagli organi preposti, ma poiché la storia ci ha insegnato e l'attuale Pontefice Wojtyla ha dichiarato che fra scienza­ fede -morale non ci può essere contraddizione, la chiesa dovrebbe per lo meno seguire con attenzione lo sviluppo di questa teoria fino ad eventuali accertamenti in materia. Oggi, nel nostro tempo, ogni guerra deve essere considerata illegittima e immorale per le sue conseguenze, in quanto condotta non più con mazze e bastoni ma con armi di distruzione globale, tanto più quando è mossa da motivi poco chiari e piuttosto inconfessabili. Quale deve essere la nostra reazione: strenua difesa della vita quando si tratta di guerra come succede quando si tratta di aborto? Perché cosi luminosi nel secondo caso e cosi camaleontici nel primo? Non basta "intanto   tener   duro   sull'aborto, poi si vedrà anche sul resto. Evitiamo gli slogan, non dribbliamo l’ostacolo: qui coerenza cercasi. Magari ribaltiamo le precedenze: prima si condannino gli omicidi di massa, guerre giuste e ingiuste, e poi ci si metta una pezza sull'aborto individuale.       

Autore:
Albino Michelin
21.03.2003 

giovedì 23 aprile 2015

MILINGO E IL VATICANO

Scomparso, esiliato, o sequestrato a fine agosto 2001 fra una serie di pettegolezzi popolari causa il suo matrimonio con Maria Sung. Un prelato, un arcivescovo che si sposa non è notizia di tutti i giorni. Attraverso una serie di sue esternazioni e confessioni ci obbliga a dare un'altra lettura meno superficiale, meno sacrilega del fattaccio. E' sempre difficile e costoso aiutare la gente dei nostri giorni ad andare in profondità dei fenomeni che si presentano. Anche i media e la stampa restano sulle solite informazioni che risultano disinformazioni perché non portano a cogliere cause e significati. Senza un minimo di analisi critica come se derisione e condanna del monsignore dello Zambia fosse un fatto morale acquisito e come tale da propinare al passivo giudizio morale dei connazionali e dei correligionari. Infatti, costoro, cioè i nostri, al di là di una benevola ironia sul Vescovo che si è giocata la giapponese non vanno.
Da parte cattolica o della chiesa si sono rinvigoriti i soliti peana: "Milingo ritorna alla chiesa, vittoria della chiesa, il rientro all'ovile della pecora smarrita, la grande misericordia di Wojtyla nel riabbracciare il figliolo prodigo e avanti con questo tam-tam. Oddio, in parte c'è della verità, ma anche parecchio occultamento della stessa. Il matrimonio Milingo-Sung non era il motivo del contendere. Il pericolo che questo personaggio, tramite la setta di Moon cui apparteneva la novella sposa potesse fondare in Africa una propria chiesa in contrapposizione a quella romana. l fatti mi hanno dato parecchia ragione. Emanuele Milingo, nato nel 1931 nello Zambia, vescovo a 39 anni, verso il 1980 era stato richiamato a Roma in quanto la sua attività di predicatore del vangelo, di guaritore, di esorcista non era condivisa da alcune gerarchie vaticane. Carattere sanguigno, vitalista, impetuoso, generoso si trovò come un leone in gabbia. Infranse diversi confini che gli erano stati posti, fondò dovunque in Italia gruppi carismatici e di guaritori, creò un nuovo tipo di comunicazione fra vescovo e popolo basato sull'entusiasmo e sulla convivenza, nel '97 si presentò al Festival di S. Remo. Richiamato all'ordine e ad una maggiore compassatezza rispondeva con un sorriso a 32 denti che Gesù amava stare dentro le folle.  Indomabile, irrefrenabile, più che medaglioni al merito si è visto piovere addosso discriminazioni. L'uomo di Dio si è sentito ignorato, svalutato, frustrato. Dal 1983 aveva chiesto perciò un incontro con il Papa, quale diritto ad una legittima spiegazione. Incontro che gli venne concesso soltanto a cocci rotti, cioè nell’agosto 2001, tre mesi dopo il matrimonio con la Sung. Milingo dichiarò ripetutamente sottolineando le parole e raddoppiando le sillabe: "io cercavo misericordia, cercavo una chiesa madre". In quelle espressioni si evidenzia tutta la sua anima, la sua fede, la passione per la sua vocazione. Ma quello che veramente dovette colpire la pubblica opinione e rivelò il motivo delle nozze fu: ''ho voluto produrre uno shock, una contestazione, un gesto di grande risonanza affinché la chiesa riconoscesse la mia attività e la mia dignità". Indubbiamente questo caso comporta le debite distinzioni. La prima concerne Maria Sung che si sentiva sì amata, ma che si accorse anche di essere stata strumentalizzata ad altri scopi. Non per nulla essa ha trovato la solidarietà di tutte le donne del mondo che hanno deplorato nonché condannato la rottura di tale legame. Lei si innamorò perché l’aveva trovato vero uomo di Dio, il primo mese di nozze visse in astinenza secondo le norme della setta di Moon, ma negli altri due si comportarono da marito e moglie, e lui era assai dolce ed amorevole. Di qui è comprensibile la ribellione delle donne. L'altra distinzione è lo scopo del matrimonio-reazione dal Vescovo prefissato. Ormai nella chiesa cattolica non trovava sbocchi per la predicazione del Vangelo, per le guarigioni, per l'esorcismo. Tutto ciò nella setta di Moon gli veniva invece garantito. Allora dovette egli concludere che tanto valeva passare dall'altra parte. Tutt'al più uscire dalla chiesa romana, non certo dalla fede e dal Vangelo di Gesù. Ed è qui che il Vaticano si destò e prese atto del pericolo incombente. Non tanto perché Milingo si era sposato (molti preti in questi anni presero moglie e nessuno delle gerarchie si degnò loro di un minimo d'attenzione), ma per la paura di uno scisma nella chiesa africana. Nel colloquio il Papa lo invitò a ritornare nella chiesa e Milingo ebbe parole di alto apprezzamento verso il Pontefice. E' sottinteso però che questi riconobbe la serietà e la fede del Vescovo e dopo un periodo di pausa fuori dal baccano popolare gli propose di ritornare ad esercitare. L'interpretazione non dovrebbe fare una grinza: tant'è vero che a giorni Milingo ritornò a Zagarolo, nei pressi di Roma, nel suo territorio, fra i suoi gruppi, la sua gente. Gli metteranno attorno qualche paletto finché resisterà. Ma il turbo Milingo ritornerà a danzare e celebrare a tutto tamburello, alle sue messe di guaritore. Finalmente si sente accettato, valorizzato, legittimato. Alcuni prelati consigliarono di spegnere i riflettori su questo uomo di chiesa il cui scandalo al mondo era stato gravissimo. Intervento discutibile, miopia a senso unico. In effetti, non si sa nel caso chi si sia convertito di più. Se Milingo verso il Vaticano o viceversa. Leggendo in profondità gli avvenimenti forse la seconda ipotesi si avvicina maggiormente alla verità. L'eventuale ripensamento del Vaticano nei confronti di Milingo in quanto gesto di fedeltà alla verità ha certamente aumentato la fede dei credenti nella chiesa stessa.             

Autore:
Albino Michelin
18.10.2002 

FRA GLI ITALIANI RITORNA DI MODA IL CATTOLICO

Oggi in Italia nell'ambiente politico, amministrativo, imprenditoriale è diventato o ritornato di moda “il cattolico”. Specialmente chi intende raccogliere voti, consensi, appoggi non deve dimenticare un occhio di riguardo verso la chiesa ed il clero. Anche il varo di qualche legge di tanto in tanto a favore di questi è sempre un gioco che vale la candela, anche se i pesi sulla groppa dovessero portarseli poi i soliti ultimi della scala sociale. La stesso Lega, che pivella in materia non è, ha bene imparato a dare un colpo al cerchio ed un altro alla botte. Oggi ti molla uno schiaffo ai vescovi che predicano essere lo straniero un fratello a tutti gli effetti, domani ripaga lo sgarbo proponendo, anzi rispolve­ rando la legge fascista sull'obbligo di esporre il crocefisso nei luoghi pubblici. Ritornare all'ombra del campanile per tanti potrebbe garantire qualche manciata di voti in più. E' cosi che il cattolico fa moda e cassa.
Probabilmente a molti sarà sfuggito un recente provvedimento della Regione Lazio. Da quanto si sappia nessuno ha rilevato l'anormalità di un fatto apparentemente normale e scontato. Passi per i lettori e per i telespettatori pronti a bere tutto ciò che loro viene propinato, ma nemmeno il fior fiore dei nostri giornalisti che dovrebbero essere attenti e critici ha trovato un motivo di contestare o semplicemente di interrogarsi. Quando in Italia nel 2001 è subentrato alle sinistre un Governo di centrodestra, detto pure berlusconismo, non gli sono mancati gli incoraggiamenti e i complimenti da parte della gerarchia cattolica per i valori programmati nei confronti della famiglia, della scuola dello sviluppo, del lavoro, dei "soldi per tutti". Un saldo al debito, un gesto di gratitudine alla benedizione beneaugurante arriva dalla Regione Lazio: deroga alla legge che concede d’ora in poi anche ai preti la professione di guide turistiche. E non certo in base alla loro preparazione ad hoc, ma solo per il fatto di essere preti. Fino ad oggi questo ruolo richiedeva due lingue, conoscenza della storia, dell’arte, sostenere un concorso per un patentino da rinnovarsi ogni anno.
D'ora in poi preti, pastori, rabbini, imman potranno spiegare ai fedeli e agli infedeli tutto ciò che si deve sapere sulle chiese, monumenti, fori imperiali, Colosseo e Circo Massimo, musei, resti archeologici, beni del culto del loro territorio, storia e caratteristiche della Pietà di Michelangelo. D'ora in poi ogni curato di campagna, che magari di tutte 'ste cose potrebbe essere totalmente a digiuno, accompagnerà i turisti in torpedone a spiegare la città quale patentato cicerone.
Solo a Roma le guide diplomate arrivano fino a 200 persone. D'ora in poi costoro, padri di famiglia, gente in difficoltà, potrebbero vedersi contendere il posto e il boccone e, per merito di questa liberatoria del Governo Regionale, trovarsi disoccupati sulla strada, rimpiazzati da ecclesiastici. Il dubbio, per nulla evangelico, che di fronte ai politici (in Italia) i preti fanno storia a se, e tutto possono.
Fuori discussione che ogni operaio è degno della sua mercede, e quindi anche un religioso ed una religiosa. Non però di un doppio stipendio. Con questa crisi di clero, preti, frati e suore hanno già spazi enormi entro cui lavorare, praterie immense da coltivare. Certo i politici, è loro mestiere fare privilegi, rendere omaggi, profondersi in ossequi perché sono giochi che a loro tempo porteranno i frutti sperati. Ma c’è da augurarsi che i rivestiti di potere evitino di lanciare queste esche in direzione del clero e quest'ultimo, ci auguriamo, onestamente rifiuti rinviando al mittente il pacchetto della grazia ricevuta. A riguardo dei privilegi si era già sentita altra nota stonata allorché si ventilava dal Governo la legge di sottoporre gli immigrati alle impronte digitali, eccezion fatta per i ministri di culto. Per la cronaca alcuni rabbini e imman si sarebbero ribellati a questa discriminazione. Una bella lezione, un bell'esempio per qualche ecclesiastico che nella regione Lazio volesse assumersi il ruolo di operatore turistico.
Non si vorrebbe qui scomodare la storia antica. Che la Chiesa cattolica dopo Costantino (313) abbia accettato da questi l'eredità dell'impero romano, con relativa amministrazione, regime politico, fondi, onorificenze, titoli di privilegio potrebbe anche essere valutato come un atto di carità, un gesto di solidarietà allo scopo di non lasciare allo sbando i sessanta milioni di abitanti di quell'impero. Forse lo stesso giudizio si potrebbe dare all'epoca del feudalesimo quando signorotti e baroni tutto affidavano in gestione e donavano agli uomini di chiesa, campi, proprietà, castelli. Ruolo sostitutivo, forse al tempo necessario, onde evitare deperimento e depauperamento.
Ma oggi le cose sono cambiate, gli ambiti chiesa-stato sono autonomi, i diritti degli ultimi devono essere presi nella giusta considerazione. Collaborazione fra le due realtà, ma non strumentalizzazione, né intese sotto banco. Sì oggi in Italia è ritornato di moda non il credente, ma il '”cattolico". A molti porta fortuna. Ma non va dimenticato che ogni regalo diventa un debito per il destinatario. E soprattutto aumenta l'anticlericalismo nei confronti degli uomini di chiesa, perché avvantaggia alcuni e pochi, danneggia molti, la maggioranza, il popolo dei poveri. Esiste sempre e dovunque il pericolo che i privilegi diventino discriminazioni.

Autore:
Albino Michelin
10.10.2002

RADIO MARIA TUTTO VERO?

La radio è oggi diventata e diventera’ sempre di più compagna, strumento informativo, voce amica del tempo libero e di lavoro che non verrà sostituita né dal cinema né dalla Tv. Persino uomini di chiesa privati e pubblici se ne servono per la diffusione della cultura cattolica: però la sua quantità non è sempre pari alla sua qualità’. Sono note determinate emissioni: "Ascolta, si fa sera (RAI), “Mille voci della notte” (Svizzera Italiana) “Radio Maria". Quest’ultima chi la trova confortante, chi addirittura delirante. La posizione media viene sottolineata da coloro che sostengono non basti diffondere   devozioni, miracoli, apparizioni, bagni di folla papali. Tutto ciò potrebbe essere come una cosmesi su di un volto anemico. Un po' a digiuno (ma non troppo) per farsi un'opinione personale in merito, un libero gruppo d’indagine volle consultare materiale In circolazione e registrazioni di programmi mandati in onda per un determinato periodo.
                                                       Filo diretto con la Madonna
Sorta come emittente parrocchiale di Arcellasco (Brianza) nel 1982 da certo Don Galbiati nell'85 divenne Associazione e nell'87 iniziò ad essere diretta sino ad oggi da P. Livio Fanzaga religioso Scolopio, ed in seguito passò sotto il patrocinio o controllo del Vaticano. Sempre in funzione 24 ore su 24, una sessantina ed oltre di coordinatori, basata sul volontariato senza sponsor pubblicitari, 650 ripetitori, diffusa in Europa e in Usa, seguita in Italia da 2 milioni di ascoltatori pari al 3% degli abitanti e all'8% dei praticanti. L'uditorio, legato fondamentalmente alla Chiesa istituzionale, è composto di 60% circa donne, un terzo pensionati, 40% con la quinta elementare Il suo mantenimento si aggira su diverse migliaia di euro al giorno, cifra che qui non interessa, frutto di donazioni, e di beneficenza. L suoi programmi diffondono messe, recita del rosario, preghiere, spiritualità, perfezione, missionarietà Queste tematiche che possiamo includere nel primo blocco sono di grande utilità per i malati, gli anziani, il popolo della notte, e per chi considera la religione come forma di consolazione. In questo senso Radio Maria va conservata, anzi potenziata. Vi è poi un secondo blocco: Bibbia, teologia, catechesi (o catechismo), morale familiare, formazione, storia della chiesa, ecc. In questo ambito nascono opinioni contrastanti, delle riserve, nonché dei rifiuti. Nei confronti di questo secondo blocco viene legittima la domanda che ci si deve porre anche di fronte ad ogni trasmissione radio-televisiva, ad ogni articolo di giornale: tutto vero?
         Ritorno trionfale del Concilio di Trento(1560)
l temi del secondo blocco (che chiameremo culturali) sono scelti unicamente dal direttore, da lui controllati, censurati, rifiutati. l referenti pure: devono possedere il Dna della "sua" ortodossia, meglio se provenienti dalla gerarchia così da fare ottima cassa di risonanza. Questo è il primo limite di Radio Maria: manca un gruppo di redazione aperto alle varie domande di senso esistenti nel mondo di oggi. Spesso si obbietta che i conferenzieri sono tutti plurilaureati. Questo non basta, anzi vuol dire poco. Ci si può servire anche della cultura per difendere i propri preconcetti o le proprie parziali visioni del mondo. Eichmann possedeva 7 lauree, lo aiutarono meglio a sistemare 5 milioni di ebrei, paradosso. Importante la cultura, ma molto più importante è il "come" ce ne se serve. Le linee direttrici vengono date dal programmatore   L. Fanzaga. Rigorosamente ortodosse, già detto. Egli ripete come un mantra:” fedeltà’ al magistero della chiesa”. Troppo ossessivo per non dubitare lo faccia per amor di “bottega”.  Radio di tutta la chiesa, aperta ai conservatori e ai progressisti. Nell'ascoltare certo, non nel prendere la parola. Dogmatismo viscerale, non si sente mai citare la parola "coscienza“. Per Radio Maria anche Paolo diventa eretico, allorché nella lettera ai Romani (14,12) scrive: "ognuno di noi è tenuto ad obbedire soltanto alla sua coscienza”. Lungi dall’interpretare ciò come arbitrarietà. Rispetto al Magistero, ma la priorità qui l'apostolo delle Genti la dà alla coscienza. Radio Maria se ne guarda bene: propone certezze, sicurezze o pretese tali, vantandosi di ostentare uno stile militare, miliziano, falangista, legionario, di reclutamento per la guerra santa dell’anticristo contro la Donna vestita di sole di cui parla l’Apocalisse. Che al dire dei biblisti, quelli in ascolto all’oggettività dei testi non sarebbe la Madonna, ma la comunità dei credenti. Ma a Radio Maria tutto fa brodo, tanto la cattolicità italiana possiede un alto tasso di analfabetismo. Quello di Radio Maria è un cattolicesimo intransigente, tuona il direttore. Il tutto ovviamente rispondente a quel 3% di italiani e 8% di praticanti che abbisognano di poteri forti e di delegare loro la propria coscienza personale. L'altro 90%? Non entra in linea di conto. Preoccupato di non scandalizzare i primi non tiene conto dello scandalo inflitto ai secondi, mortificati nelle loro aspirazioni spirituali che avrebbero bisogno di ben altre motivazioni e argomentazioni. E così i credenti più creativi se ne vanno. Anche nelle chiamate telefoniche a Radio Maria chi espone una linea diversa non è un "complementare", ma sempre e solo un avversario, cui si toglie la parola di bocca e si chiude il microfono. Non si accontenta di affermare il vero, ma deve sempre dividere il mondo in buoni e cattivi, sottolineare gli errori altrui e infilzare i malvagi. La verità la possiede tutta lui, solo lui, sempre lui. Su questo argomento dell’intransigenza sia permessa un'obbiezione. Padre Livio Fanzaga afferma che alla lunga l'intransigenza paga. Domanda: E gli intransigenti che con Pio IX si opposero all'unità d'Italia nel 1870 che cosa hanno raccolto? Che l'Italia si è fatta senza di loro e contro di loro. La si è fatta per merito della corrente transigente, fra cui molti vescovi della Gerarchia. Stiamo lontani, per non rovinarci con esempi recenti.
    La Madonna di Radio Maria non perdona 70 volte 7
 Ciò che piace della figura di Mana nel Vangelo è là sua estrema sobrietà. Parta poco e quando lo fa è solo per togliere qualcuno dai pasticci. Ma ecco che dal 1500 in poi dopo 15 secoli di pace in famiglia (forse per colpa dei protestanti) la Madonna si mette a parlare, a sparlare, a minacciare, a mostrare fiamme e fuoco, a preannunciare catastrofi, finimondi, anticristi, draghi, vendette divine, morte eterna. Nel 1500 una Madonna abbastanza confortante che appariva sulle piante, ai bordi dei ruscelli, via via con un'escalation a Lourdes, Fatima, Mediugorje. Certo mica è lei che fa queste irruzioni, neanche suo figlio che ci promise di essere con noi sino alla fine dei tempi. Maria è così simpatica quando resta la prima nostra sorella, la prima salvata, modello dei credenti: ma c’è chi vuol farne un madonnone. Troppa enfasi guasta come la troppa afasia. Che S. Bernardo abbia detto “di Maria non sì parla mai abbastanza", che Paolo VI abbia aggiunto "non possiamo dirci cristiani se non siamo mariani", che Papa Wojtyla abbia insignito il suo stemma con "tutto tuo Maria" sono pensieri lodevoli, ma non dogmi di fede da imporre a tutta l'umanità pena castighi e rovine eterne. Si va a finire persino in tribunale per litigare sulle nostre Madonne. Caso eclatante quello di Radio Maria con Renato Baron, veggente di Schio (VI). Motivo: la Madonna di Mediugorje avrebbe rivelato in un suo messaggio all’inizio del 2000 che quella apparsa nello stesso periodo a Schio (VI) non è vera, non è autentica, è fattucchiera (aggiungiamo noi). Insomma una guerra tra sorelle. Forse per questo lndro Montanelli, ateo ma onesto, chiamò radio Maria, “Radio Madonnara” 
    Messaggi “mariani” inaccettabili
Il Direttore di Radio Maria Padre Livio Fanzaga confessa di essere stato toccato dalla grazia della Vergine a Mediugorje nel 1985. Da quel giorno la sua vita è cambiata. Confessione degna di rispetto ma, visione o suggestione, resta sempre un fatto privato e opinabile. E' a proposito di questa apparizione che va citato un caso. A più di qualcuno creò un sentimento di ripulsione. Venerdì 2 agosto 2002 verso le ore 22 il relatore dichiarò che nel periodo della guerra nella ex Jugoslavia il 25 del mese, giorno consueto dei suoi messaggi (e che ci facciamo anche il calendario alla Madonna? Non è per caso magia tenere a bacchetta Dio considerando la Madonna la sua postina? Questa è magia bella e buona) disse: "non ho potuto aiutare i bosniaci perché il loro cuore è lontano da me" Sa di strano che la Madonna si metta a fare politica, divida i croati dai bosniaci, preferendo i primi come se tutti gli uomini non fossero suoi figli, quando persino il comunista Tito qualche decennio prima era riuscito a tenerli uniti croati e bosniaci. Gesù raccomandò a noi e quindi anche a sua madre di perdonare 70 volte 7 e di non fare occhio per occhio dente per dente. Ma chi fa parlare la Madonna in questo modo? Fra di noi chi ha il coraggio di presentare Maria così rancorosa e vendicativa? Se una madre tiene in famiglia un figlio difficile non lo manda a quel paese, anzi profonde per lui cure e sacrifici più intensi ed amorevoli. Radio Maria qui sì che diffonde scandali e confonde i credenti.  Altro caso? Nel mese di agosto certa signora Lucia(?) da Torino telefona a Radio Maria con voce mozza. "Ho pregato tanto e la Madonna mi ha fatto il miracolo di non usare i preservativi con mio marito. Ma dopo un anno lui si è stancato e mi ha detto o di fare l'amore o che lui se ne va altrove. Che debbo fare?" Risposta di Radio Maria: "non si deve fare il male (prendere i preservativi) per ottenere un bene (l’unità del matrimonio). Quindi .. .". Ma questo è un rovinafamiglie. Un'obbiezione: e i crociati che sgozzavano i saraceni (facevano un male) per liberare il santo sepolcro (ottenere un bene) come mai sono giustificati e benedetti? Per non dire poi dello stile dei dibattiti mandati in onda a Radio Maria. In una trasmissione per i giovani si ebbe a sentire: "Dio è onnipotente, non Gianni Agnelli … E i dancing? l Dancing sono solo delle grandi porcilaie .. . Chi fa l’amore prima del matrimonio compie delle porcate .. . ". E via di questo passo. Il tutto accompagnato da sonore risate, ironie, cachinni. Arrogante qui il Fanzaga, maleducato, inaccettabile. Saranno anche un milione i giovani che seguono questo relatore, si vede che si sentono importanti solo se maltrattati. Esiste anche un masochismo religioso. Ci si domanda: "è evangelizzazione o spaccio di droga religiosa? Come mai che il Cristianesimo è così simpatico, seppur nelle sublimità degli ideali, e tanti cristiani del mondo e di Radio Maria sono così antipatici? Queste alcune osservazioni perché dispiace che un'emittente cattolica sia così intollerante e settaria. Nemmeno i testimoni di Geova, i grandi nemici di Radio Maria, gli Anticristo, gli invasati di Satana da debellare con l'armata mariana, sono così fondamentalisti e talebani. A confronto loro sono rose e fiori. A Padre Livio Fanzaga: una radio da potenziare, per quanto concerne la religione consolazione. Per il resto tanto da rivedere: per fare degli uomini di oggi dei credenti e non dei creduloni.

Autore:
Albino Michelin
26.09.2002

LA TRADIZIONE E LE TRADIZIONI DELLA CHIESA

Mi è giunta recentemente un’osservazione che qui di seguito trascrivo e che mi induce a fare   un’analisi di ciò che nella chiesa è tradizione costante quindi indiscutibile e ciò che invece appartiene a tradizioni, usi e costumi locali, mutevoli e provvisori.

“ Carissimo ...mi interessano i tuoi articoli che esprimono una gran dose di coraggio, chiarezza e sono di encomiabile realtà.  Queste sono le ragioni per cui mi sento in obbligo di porgerti i miei più sinceri rispetti. Mi rendo purtroppo conto che queste tue virtu’ spariscono se entri nel problema del celibato. ll tuo senso della realtà svanisce, lasciando largo spazio a rivoluzionari sogni di un'evoluzione che nulla hanno a che vedere con la Chiesa Cattolica. Il Sacerdozio è basato su due aspetti: scelto come Vocazione o come professione. Nel primo caso il problema in merito non esiste affatto perché il celibato sussiste da centinaia d'anni ed è uno dei punti fondamentali del cattolicesimo. Se il prete lo è per professione, la Chiesa è da riconoscere come suo datore di lavoro. Come tale, da buon stipendiato, o ne osserva il suo dettame o se ne va. Punto e basta. Se il prete si sfila la tonaca, si forma una famiglia e fa del bene al prossimo, nulla da eccepire, anzi, tale sua decisione con alternativa famigliare sarebbe ben accetta dalla maggioranza dei fedeli. Rimanere sacerdote e mettere su famiglia, non sarebbe affatto comodo come tu sostieni, ma bensì irreale dal punto di vista degli oneri. Sarebbe a dire, degradare il padre di famiglia che dovrebbe essere con insistenza a disposizione delle esigenze sentimentali, materiali e educative del suo nucleo. Si verrebbe ad insinuare che il sacerdozio si potrebbe professare sottogamba; non sarebbe vero che il prete è votato al sacrificio, per dover essere giorno e notte a disposizione di Dio e della sua terrena comunità. Riepilogando il sopra accennato, la combinazione prete + famiglia è realizzabile unicamente se la gran parte del sacrificio viene affibbiato alla sua anelata famiglia.  Non metto in discussione che tali oneri vengano bene o male amministrati da rappresentanti di altre religioni. Non escludo affatto la validità di tali fedi, ma non vedo che sussista un paragone con i dogmi della Chiesa Cattolica che il prete di sua volontà ha scelto. Sono d’accordissimo che il celibato sia una delle tante invenzioni della Chiesa; mi chiedo perché tutto quello che è stato creato nel periodo dopo Cristo ci è sempre stato martellato in corpo dai preti che ora recriminano solo il celibato. Non voglio approfittare di queste mie righe per entrare più a fondo nei vari Misteri insegnatici e come tali non spiegabili. lo ho cercato a lungo senza esito in quale circostanza, prima il Cristo e poi gli apostoli abbiano espresso la necessità della Confessione. Se anche in questo caso dovesse trattarsi di una cosiddetta invenzione, dimentichiamo tutto, anche il celibato.”

Fino a qui il firmatario E.S. Fra i diversi problemi sollevati vale la pena prenderne in considerazione soltanto uno. Cioè le "Invenzioni della Chiesa". D'accordo che il celibato dei preti è una di queste e che anche la confessione, considerati certi passaggi storici, potrebbe esserlo. Allora se fosse così, conclude il nostro mandiamo a monte baracca e burattini. Non si dovrebbe mettere tutto nello stesso calderone, d’obbligo è fare delle debite distinzioni. E sarebbero tre:
1) Esistono delle tradizioni nella chiesa essenzialmente legate a Gesù e al suo Vangelo. Quindi queste sì indistruttibili, irriformabili. Ad esempio l'amore vero il prossimo. In questo senso sono sorti lungo i secoli gruppi, movimenti, confraternite, istituzioni, ospedali, ostelli, ordini religiosi, missioni, destinate all'aiuto dell’'anello più debole della società. Questa non è un'invenzione della chiesa, ma un comando di Gesù dato ai suoi, fondamento costitutivo e di legittimazione della chiesa stessa da lui   fondata e perciò duratura nel tempo: Il DNA del cristianesimo.
2) Esistono poi altre tradizioni nella chiesa anche attuale, che si collocano al di là ·o ai di fuori del Vangelo. Nate quindi nel tempo e con il tempo potrebbero dalla chiesa essere cambiate, appunto   perché oggi fuori tempo. Elenco provvisorio: la tradizione del celibato obbligatorio del clero, della confessione privata nella forma attuale e auricolare, del papato stile monarchico, del divieto alla donna prete. ecc. Su tutto ciò Gesù e il Vangelo non si pronunciarono, per cui rimane alla chiesa anche di oggi uno spazio di interpretazione e di modifica. Ad esempio che la chiesa abbia „inventato“, cioè abbia ritenuto utile da certo periodo (1200) il celibato obbligatorio dei preti (per rimanere all’esempio del nostro interlocutore) può essere comprensibile. Che oggi per diversi motivi non lo si consideri più obbligatorio può stare altrettanto bene. Qui non c’è da guastarsi troppo l'anima, né perdere la fede.
3) Esistono poi altre tradizioni tutt'ora o fino a poco tempo fa diffuse e praticate nella chiesa che potrebbero essere considerate contro il Vangelo. E qui vedasi tutto il pacchetto dei mea-culpa papali di recente data. Ad esempio: la caccia agli Ebrei persistente per due mila anni dalle origini fino al 1962 Insieme ad altre, che sarebbe lungo citare. Questa fu ·una tradizione costante ritenuta sempre da tutti e dovunque. Ma è contro il Vangelo. Se ne accorse Papa Giovanni XXIII che in quell'anno tolse dal messale una preghiera indirizzata ai 'perfidi' giudei. La tradizione di questa 'perfidia' purtroppo fu una componente di base dell'antisemitismo storico sino allo sterminio da parte dei nazisti.

Spesso ci capita di' entrare in discussione animose soprattutto fra cattolici di stampo fondamentalista che sostengono e difendono a spada tratta la chiesa nelle sue tradizioni. Certo che la chiesa va ringraziata per suo influsso positivo nella civiltà occidentale. Per quanto concerne il primo punto dei tre analizzati, senz’altro. Per quanto riguarda invece quest’ultimo, il terzo, un po' di umiltà, di modestia e di rispetto della storia non guasta. In effetti dobbiamo dare atto che certo fondamentalismo cattolico, dopo aver per secoli praticato conversioni coatte, torture, distruzioni di culture, come quella messicana, si è oggi ‘civilizzato' cioè ritornato al suo vangelo grazie alla secolarizzazione, al definitivo tramonto del Potere temporale, all'affermarsi dello Stato laico, della famiglia laica, della morale laica. Come a dire, che non tutto il male viene per nuocere, e tutto alla fine può cooperare al bene. Il nostro E. S. non ne ha colpa se 50 anni fa gli è stata ammannita una dottrina così rigida e monoculturale. Si tratta anche di farsi una propria cultura o di esigere dai preposti di chiesa un insegnamento più oggettivo, rispettoso della realtà, meno autoreferenziale. Persino S.  Paolo diceva 2000 anni orsono: 'Rendete ragione della vostra fede'. Cioè l'obbedienza al dogma è importante, ma la discussione sullo stesso per una sua evoluzione interpretativa lo è altrettanto. Solo così si possono cambiare o tralasciare tradizioni superate che altro non sono che 'invenzioni' cioè opportunità della chiesa di un determinato periodo storico. Citarle tutte non basta un’enciclopedia: esempio, l’obbligo dell’astinenza delle carni al venerdì, essere digiuni dalla mezzanotte per fare la comunione, non toccare l’ostia con le mani pena il sacrilegio, battezzare un bambino nelle prime ore o nei primi giorni dalla nascita pena il limbo in caso di morte, la proibizione della neomamma di entrare in chiesa se non premetteva la rituale benedizione e purificazione, e infinite altre tradizioni. Tralasciare o recidere eventualmente i rami secchi per una vegetazione più fresca, per una nuova primavera della chiesa talvolta si impone. E qui anche bisognerebbe interpellare e fidarsi di più del buon senso o dello Spirito di Dio attivo in ogni credente, in ogni onesto intelletto. Controproducente imporre silenzio e chiusure mentali ermetiche perché le pecorelle non si scandalizzino e non escano dall’ovile. Tanto oggi con il mondo che corre se non escono dalla porta se ne vanno dalla finestra.

Autore:
Albino Michelin
19.09.2002       

DA PIETRO A RATZINGER: CHIESA MONARCHIA QUASI INOSSIDABILE

Agli innumerevoli, chissà quanti milioni di visitatori e turisti della Basica di S. Pietro in Roma non sarà di certo sfuggita un'enorme espressione in lingua latina e a caratteri cubitali che campeggia gigantesca tutt’intorno al cornicione deIla navata e dell'abside. Tradotta in italiano essa dice: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa”. Ricavata dal Vangelo di Matteo (16,18) è ormai una sentenza divenuta proverbiale, un cavallo di battaglia fra i difensori di santa romana chiesa, apologisti, fans papali e laici più o meno smaliziati nonché un peana di vittoria per i fondamentalisti e cattolici di stretta osservanza.  Senza dubbio pomo della discordia o pietra di scandalo che ha diviso nel corso della storia le tre grandi confessioni che si rifanno ·a Gesù Cristo, autore di quell’affermazione: cattolici, greci ortodossi, protestanti. E se la chiesa romana mantiene l’interpretazione restrittiva e autoreferenziale adottata sin’ ora nessuna unione delle tre confessioni sarà mai possibile, al di là dei baci è abbracci di cerimonia profusi fra i rappresentanti ufficiali. Per cui è convinzione che uno sguardo un po’ scientifico sull’origine della parola, sulle intenzioni interpretative del papato, potrebbe   a qualche lettore interessare.
                                                           Il Carattere di Simon Pietro
Dal nuovo Testamento si possono dedurre alcuni tratti fondamentali.  Egli ci appare come un tipo 'primario', cioè vitalista, entusiasta trascinatore, volenteroso, intuitivo, solidale. Per un verso anche ansioso, ciò che compie lo fa con passione, con l’anima, con la vita. Per un verso: perché c’è anche   il rovescio   della   medaglia. Irruente, precipitoso, impaziente, fragile allo stress e alla depressine, capace del meglio e anche del peggio. Morire per un’idea, ma anche nello stesso tempo tradire un amico, come ha fatto con Gesù, per poi ravvedersi, pentirsi, rifarsi. Causa il suo atteggiamento fiduciale si merita dal Maestro l’elogio "Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia chiesa”, ma subito dopo a causa della suo tornaconto nello stornare Gesù dalla passione imminente deve incassare un “Vai indietro da me, Satana”. Dalle stelle alle stalle insomma. Gesù intendeva fondare una chiesa su Pietro e sul Papa come la nostra attuale? La domanda martella ancora alcuni cattolici, diciamo alcuni, perché la maggioranza con i problemi della chiesa non si guasta più di tanto il sangue. Anzitutto va fatto osservare che l’espressione su citata si trova solo in Matteo, cioè un solo libro sui 27 del nuovo Testamento, redatto tardivamente, verso il 70 d.C. a significare che questo rappresentava più un problema locale della sua comunità in maggioranza giudaica che non le altre. Inoltre l’affermazione viene indirizzata a Pietro come persona e non come capostipite di una particolare dinastia papale o pontificia. Attraverso Pietro è rivolta a ciascuna di noi cioè” sulla tua fede io edificherò la mia comunità”. Gesù qui non pensa a investiture particolari, per lui alla comunità di fede succede un’altra comunità di fede sotto la guida dell’unico pastore che resta Gesù Signore.  Egli non intendeva fondare una chiesa stile monarchico, o per lo meno non come quella avutasi in certi periodi della storia. Quando gli apostoli un giorno fecero quella litigata miserabile per sapere chi di loro era il capo, Gesù intervenne non tanto per rimarcare il nome di Pietro ma per affermare che tutti erano uguali e fratelli. Servire e non essere serviti (Mc. 10,41-46). Proprio come il Figlio dell’uomo, il Maestro. Certo non si può pensare che Gesù volesse lasciare una comunità in balia del caos, dell’arbitrio e dell’Inventiva. In effetti, dopo la risurrezione apparve a Pietro dicendogli che se egli lo amava più degli altri poteva pascere il suo gregge (Giov.  21,15). L'intenzione del Risorto però era quella di avere un rappresentante capace di animare, motivare i suo agnelli. Segno di unità, ricco del carisma fede, non un monarca assoluto a decidere per tutti al di sopra della coscienza dei singoli.
                                           La Chiesa delle origini: sinodale e collegiale
E’ fuori della realtà storica pensare che dopo la morte di Gesù Pietro abbia convocato i vertici della chiesa nascente per divulgare il suo programma 'governativo'. La prima comunità fu quella di Gerusalemme con a capo Giacomo, quindi quella di Antiochia (Turchia), quella di Alessandria d'Egitto, quella di Roma. Ognuna era in parte autonoma, diversità nella ·comunione e comunione nella diversità. Come scrive Paolo nella 1a ai Corinti (12,18). Secondo questo spirito vigeva una conduzione più democratica che verticistica. E anche Pietro pur evidenziando il suo ruolo di riferimento e portaparola, non esce mai dalle righe, non vola sopra la testa dei fedeli. Lo si vede negli Atti degli Apostoli, Concilio di Gerusalemme (15,6- 7) dove prende sì la parola, però dopo un'ampia discussione e consultazione con apostoli e anziani. Non chiude la chiude la bocca a nessuno, ma tira la conclusione che rispecchia il buon senso della maggioranza. Conclusioni che vengono ratificate dall'apostolo Giacomo, che in qualità di responsabile di quella chiesa scioglie l'assemblea. E sempre nel libro degli Atti (8,14) si trova che gli apostoli hanno inviato Pietro in missione nel territorio della Samaria. Ora se uno è Papa della chiesa (nel concetto da noi inteso) non si lascia mandare, al contrario sceglie e manda lui. Si è dato anche il caso di una profonda divergenza di vedute fra Pietro e Paolo. Il primo più tradizionalista e legato agli usi ebraici (vedi le discussioni sulla circoncisione, sul cibo, ecc.) intendeva accorpare le prescrizioni e leggi antiche nella nuova religione, il secondo invece più aperturista ed universale richiedeva la sola fede in Gesù...e via col vento, cioè ognuno con i suoi usi e costumi. La conclusione fu che per non rovinare il menage ciascuno si prese il tenitorio più fertile, corrispondente alla sua visione pastorale. A significare come la prima chiesa fosse dialogica, possibilista, essenziale. E anche sui ministeri Paolo non era né prete né vescovo, eppure si prendeva la libertà di incaricare per l’eucaristia e le attività di animazione membri di fiducia della comunità stessa, celibi o sposati, non faceva differenza. Lo si desume anche dal fatto che raccomanda ai vescovi di tenersi una moglie soltanto. Diminuisce la fede, aumenta il potere. È Ia storia di tutti i movimenti allorché con il tempo perdono il loro spirito primitivo e diventano organizzazioni. Nel 150 d.C. (quindi dopo un secolo e mezzo) Aniceto Vescovo di Roma fa un primo accenno sull’episcopato monarchico. E un secolo più tardi Stefano, pure vescovo di Roma sostiene per la prima volta che il passo di Matteo “Tu sei Pietro e su questa pietra..." si riferisce a se stesso. Ma S. Cipriano di Cartagine gli risponde che ogni vescovo è autonomo, e ·che   il rapporto con Roma è solo di comunione non di dipendenza. Nel 313 con l'imperatore romano Costantino il Cristianesimo da perseguitata viene promossa a religione di stato. E qui la chiesa di Roma addotta dall'impero l'abbigliamento, i titoli, la ricchezza, i possedimenti, l'apparato amministrativo, la logica dell’istituzione laica. Erede dell'impero, che le fa da ottima cassa di risonanza essa acquista in prestigio e protagonismo. Nel 330 sempre il nostro Costantino, onorato nella religione pagana quale Pontefice Massimo, dichiara Bisanzio, odierna Istanbul in Turchia, nuova Capitale dell’impero romano. Cambia anche nome e diventa Costantinopoli.  Nel 350 il Vescovo di Roma Damaso si autodefinisce successore di Pietro ma nel 381 il Concilio di Costantinopoli, nuova forza egemone dell'oriente rivendica per sé la stessa importanza e lo stesso primato. E di qui cominciano proprio i dolori. Nel 390 il Vescovo di Milano Silicio si fa chiamare Papa (dal greco pappas=papà), titolo che il vescovo di Roma pretende per sé. E da quel momento abbiamo i "papi'. Nel 445 Leone Magno si tira addosso un altro onorifico 'Pontefice Massimo', già appartenente agli imperatori pagani. Di qui l’origine di sommo Pontefice. Nel 580 Pelagio I sostiene che l'inno cantato nel libro di Isaia (6.2) 'Santo, santo il signore degli eserciti va attribuito a lui, e cosi nasce 'Sua santità" e "Santo Padre”. Nel 754 Re Pipino di Francia dona a Stefano Il dei territori in quel di Viterbo e così ha origine lo Stato Pontificio, invigorendo l’autorità del vescovo   di   Roma. Nell'800 Leone III incorona imperatore del Sacro Romano Impero Cario Magno per contrapporlo a quello di Costantinopoli. Dunque si va verso il braccio di ferro nell’aspra tenzone politica, soprattutto dopo che nel 576 era caduto definitivamente l'impero romano. Rimanevano due forze in campo facenti funzioni anche politiche: in Occidente Papato di Roma, in Oriente il Patriarcato di Costantinopoli. Il pretesto di qualche formuletta religiosa portò all’’out-out: o Costantinopoli accettava il primato romano o scomunica. Per la volontà di non pazientare e di non di soprassedere scomuniche volarono da entrambe le parti. Siamo nel 1054 la grande scissione. L’oriente si chiama cristiano-ortodosso, l’occidente cristiano- cattolico. Lo scandalo della divisione dura a tutt’oggi e tutto per una questione di prestigio. Nel 1200 Innocenzo III si fa chiamare Vicario di Cristo e 25 anni più tardi il suo successore Innocenzo IV diventerà vicario di Dio. Nel 1415 il concilio di Basilea depone tre antipapi che per 37 anni si erano contesi il trono e nomina Martino V.
Questo scisma d’occidente avrebbe potuto far riflettere sul ruolo del papato servizio della chiesa, ma è stato solo un episodio felice e rivitalizzante, subito archiviato per il rientro del papato stile monarchico. Nel 1520 Leone X scomunica Lutero e cosi assistiamo ad una seconda grave divisione nella chiesa: cattolica ed evangelica (comune­ mente chiamata protestante). Anche questa rottura insanabile fino ai nostri giorni. Nel 1870 nel Concilio Vaticano l con Pio IX il Papa viene definito infallibile e la sua autorità sopra tutta la chiesa e sopra anche ogni concilio. E' l’apice della monarchia.   
                                Eredità difficile: tipo di gestione ormai superato?
Negli ultimi 40 anni ·discussioni e studi senza fine sono sorti in merito con un'attuale conclusione provvisoria. L'infallibilità e la continuità che Gesù ha promesso sono riferite alla chiesa come tale e non alla singola persona o ruolo del pontefice.  E' senza dubbio anche in base a ciò che Papa Wojtyla (25.5.95) promulgò un'enciclica "Ut sint unum' per chiedere lumi su un esercizio più partecipato e collegiale del suo ministero. Va da sé che nelle società del passato di tipo monarchico, piramidate, imperiale anche la chiesa doveva destreggiarsi con gli stessi strumenti, ma oggi con l'affermazione ormai globale delle democrazie, vale la pena rinnovarsi, cioè ritornare a Gesù, ad una gestione di chiesa più conciliare e sinodale. E anche i cattolici dovrebbero cessare con certe diffamazioni nei confronti dei cristiani ortodossi e protestanti, accusandoli di non credere al Papa. Essi ritengono necessaria questa figura, con un ruolo però diverso: cioè pastorale e non giuridico, primo tra uguali, segno di unità nella diversità
Non ci dovrebbero scalfire i giudizi pesanti più o meno rispondenti a verità che la chiesa ha avuto nella sua storia almeno 48 papi (18%) indegni. Perché l’affermazione di Gesù a Pietro, incisa sul frontone del tempio massimo del cattolicesimo in Vaticano va riferito a ciascun credente. La chiesa si costruisce non tanto sul papa, quanto prima di tutto sulla fede di ciascun credente.

Autore:
Albino Michelin
05.09.2002

GLI 82 ANNI DI PAPA WOJZYLA: DIMISSIONI?

Forse vale la pena arrivare intenzionalmente fuori tempo nel commentare gli 82 anni del Papa, compiuti il 18 maggio 2002. Chi ha divulgato diagnosi infauste, chi ha stilato prognosi allarmistiche, chi si è consolidato nelle sue delusioni. Prima di una riflessione in merito ci si permetta un’introduzione che pare estranea ma alla fine risulterà pertinente. Recentemente ebbi un colloquio con un collega missionario P. Gelmino Metrini, anni 69, affetto da malattia e in partenza per un ricovero in Italia, il quale alla mia prospettiva di incontrarci nel periodo delle ferie mi rispose con un'impareggiabile serenità: "caro amico, non aspettarti molto, ci vedremo nelle ferie eterne!". Qualche tempo dopo mi pervenne una comunicazione da un altro collega, Missionario in Germania, P. Pietro Rubin anni 68, pure colpito da grave malattia il quale con altrettanta serenità dichiarava di dover ritornare in Patria in attesa fra non molto di entrare nei "tabernacoli eterni “. Espressione alquanto poetica, ma che non richiede tante spiegazioni. Qualche tempo dopo mi è capitato sotto mano un articolo di rivista della congregazione Scalabrini in cui un missionario nel bernese, P. Giuseppe Fabbian, prossimo al rientro definitivo in Italia, scrive che il 30 marzo 2002 giorno del suo 82o compleanno, gli è morto un amico sacerdote della stessa età aggiungendo che è andato a preparargli un posto. Un ultimo caso riferentesi al precedente Vescovo di Lugano Eugenio Corecco, deceduto all’età di 64 anni.  L'avevo conosciuto a Friburgo nel 1965, quand'era insegnante di Diritto Canonico all'Università e assistente del movimento "Comunione e Liberazione". Le nostre idee erano proprio agli antipodi di quanto si possa immaginare, ma costruttivi dialoghi ci riunivano appassionatamente al Caffè Plaza di quella città, ora diventato un Dancing.  Qualche settimana prima della morte (soffriva di un tumore alle ossa) andai a visitarlo a Lugano e mi disse accomiatandomi: " le preghiere dei diocesani stanno rovinandomi. Vogliono il miracolo perché senza di me la chiesa ticinese non potrà più andare avanti. lo invece so che devo morire. E tu prega perché io possa accettare la morte e insegnare a me stesso e agli altri a morire nella fede del Signore". Quattro casi tutti riferiti ad ecclesiastici, ma innumerevoli   sarebbero   quelli   da attribuire a laici del popolo comune in cui si ammira l'accettazione della propria vecchiaia, della propria malattia, della provvisorietà della vita umana, il distacco dal sapere, dal poter e dall’avere. La forza morale e spirituale di riprogettarsi in tutt'altra dimensione. In parole senza fronzoli, questa gente ti insegna a morire. Questa è la Chiesa che convince, questa è la chiesa che amo, questa   è   la chiesa   credibile, salvezza delle genti. Lunga introduzione per dire che tutto il battage che si è fatto si sta facendo e sempre di più si farà attorno ad un Papa di 82 anni malato attribuendo a lui stesso e al suo futuro affermazioni di dubbia provenienza non danno una bella testimonianza alla chiesa del Signore, ma enfatizzano un Wojtylismo sconfinante con l'idolatria di una persona e di un ruolo, situazione di cui l'attuale Papa stesso è senza dubbio vittima e non protagonista. Comunque almeno i cattolici alcune idee le dovrebbero avere chiare in testa: a) Senza   troppo scomodare   il canone 332 del Diritto di Chiesa un Papa può dimettersi o rinunciare quando vuole senza chiedere parere o consenso a chicchessia. Celestino V dopo alcuni giorni di pontificato ha Iasciato l’incombenza e se ne è ritornato al suo convento negli Abruzzi a pregare e zappare l'orto (1294). A chi le ha date le dimissioni? Alla comunità ecclesiale tramite le strutture rappresentative del tempo. Non le ha date al Padre Eterno o allo Spirito Santo. Non vogliamo piantare sempre pretesti sacrali dove non necessita. b) Si afferma nel Catechismo che la continuità della Chiesa non viene garantita da uomini o dalla sapienza o dalla forza o dal potere mondano, ma dallo Spirito del Signore. In effetti il detto popolare: "morto un Papa se ne fa un altro", significa che di fronte a Dio tutti siamo utili, nessuno necessario. Ovvio che questa fiera mediatica attorno alla salute di Wojtyla non tiene molto conto del ruolo dello Spirito Santo. c) In appoggio ne viene anche un argomento storico. Dal 1378 al 1415 per 37 anni la Chiesa ha avuto tre papi contemporaneamente, quindi tre antipapi e solo nel 1415 il Concilio di Basilea li ha esonerati scegliendone un quarto, Martino V. Orbene tutti sono al corrente che attorno alla   malattia e al futuro dell'attuale Pontefice circola grande imbarazzo e disagio. Che vi siano all'interno del Sacro Palazzo due correnti non è un mistero per nessuno. Lo stesso giornalista Messori bene accreditato in materia ne fa menzione (Corriere della Sera 5.4 .02). Quella a favore   delle dimissioni fino a poco tempo fa veniva pilotata dai progressisti che non vedono di buon occhio una gestione eccessivamente monarchica della Chiesa. Attualmente però si è a allargata anche ai conservatori che con i troppi mea culpa papali, il troppo dialogo con le altre religioni si vedono spiazzati dalla roccaforte dei loro dogmi secolari, allergici a sollevare tutti questi coperchi atti solo a disorientare i fedeli. Decisamente contrari invece alle dimissioni sono tutti quei dicasteri e quei cattolici che si identificano con il personaggio, con la sua statura morale, con la passione della sua testimonianza. Se da una parte questo affetto esprime sinceramente il valore della persona, dall'altra però ne divinizza il ruolo, il che è valicare i limiti posti dalla natura umana e quindi da Dio stesso. Indubbiamente anche per Wojtyla è gratificante fare il Papa, come per ciascuno di noi esercitare la sua professione, come per un nonno allevare i nipotini: è umano. Quindi ben si spiega l’espressione di Wojtyla al chirurgo Fuschi: “Lei mi deve curare e io devo guarire perché non c'è posto nella chiesa per un Papa emerito". Come anche è umano la richiesta da parte sua di preghiere al mondo intero per compiere la sua missione finché Dio vorrà’. Sono le espressioni però troppo misticheggianti che gli si fanno fiorire attorno a rendere legittima qualche perplessità.  Eccone qualcuna stralciata dalla stampa: "La chiesa non e un’azienda, una multinazionale che ha bisogno di manager, ma di martiri... Dio sceglie ciò che è debole nel mondo per confondere i forti... Solleva il mondo attraverso la sofferenza .... Questo Papa vive per il martirio, finché Dio gli concede rimane appeso alla croce e non discende. Dite al Papa di riposarsi, soffre come Cristo sulla Croce, è l'anima di un eroe che traina un corpo di dolore ... Il suo è il magistero della sofferenza”. Per non parlare poi di tutti i pettegolezzi che si fanno attorno ai suoi acciacchi. Dal culto della pantofola si è passati a quello del ginocchio con una dovizia di dettagli, a quello della rotula, della cartilagine, dell’anca, della protesi, del femore, del menisco. Renato Barazzutti suo medico personale lo segue in continuazione dietro ad una tenda. Equipe scelte di medici lo controllano ad ogni passo. A 100 metri un ambulanza attrezzatissima disponibile per trasfusioni e rianimazione: pronto soccorso ad ogni celebrazione. Un segretario lo tiene al braccio perché non vacilli, un altro gli passa il foglio da leggere, un altro il bastone, un altro il bicchiere d'acqua, un altro il fazzoletto. E poi attrezzature di ogni genere: l'altare senza gradini, pedana mobile, tappeto scorrevole. Tutti questi i dettagli su cui la Tv ama intrattenersi non si sa se per morbosa curiosità o per umana solidarietà. L'impatto però con il pubblico non è molto edificante.  In effetti più di un barbone in una mansarda resta lì inchiodato con le sue frustrazioni. E pure l'impatto con molti componenti della gerarchia ecclesiastica non è sempre tra più felici.  Cardinali (vedi Martini di Milano), vescovi e preti che all’età di 75 anni, magari in ottima salute, devono presentare le loro dimissioni   possono lasciarsi sfuggire   l'affermazione che le leggi della Chiesa valgono per tutti, eccetto per chi le fa. Quale l’opinione media dei cattolici italiani in materia? Difficile individuarla perché bisogna vedere dove, come, quando, con chi si parla. Il cattolico italiano su questi argomenti in pubblico non si esprime: si mimetizza, si sdoppia, camaleontico fa cento sembianze. Comunque abbastanza rappresentativa sembra l’opinione, seppur a fior di labbra espressa, che l'attuale Pontefice non è più un leader autonomo, e che in molti aspetti resta nelle mani dei diversi gruppi di curia. L'unico spazio di libertà che gli resta è la programmazione dei viaggi nel mondo, ultima attività disposto ad abbandonare. Che dire? In quanto a salute gli auguriamo vita lunga e serena. In quanto all'esercizio del ruolo papale appropriata sembra l'affermazione di Enzo Biagi, padre del buon senso: "l'autodecisione delle dimissioni potrebbe costituire un grande gesto ed una suprema lezione di umiltà di fronte a tutto il mondo, a quello dei credenti e a quello degli indifferenti".

Autore:
Albino Michelin
13.06.2002 

martedì 21 aprile 2015

PAPA GIOVANNI TRA FICTION TELEVISIVE ED ESAMI DI MATURITÀ

Siamo troppo convinti nel mondo cattolico che la fede venga dall'auditel e quantificata dal numero degli ascoltatori e spettatori che in Tv seguono le fiction religiose; vedi i films su Padre Pio e recentemente su Papa Giovanni XXIII. Invero le trasmissioni attorno al primo stanno diventando una vera fiera con libagioni di miracoli e prodigi che nulla hanno da spartire con il divino. Nel trabocchetto ci cascano dentro in tanti, preti, frati, suore, gerarchie, anime pie, divi del cinema e dello spettacolo, insomma tutta l’italianità mediatica e adesso che il baraccone attorno al santo di Petralcina (il povero Padre Pio non n e ha colpa!) continua a dare i numeri su tutte le piazze della penisola inarrestabile sarà il propagarsi della pornografia dell'anima. Senza mezzi termini, espressione appropriata se con essa intendiamo “il sacro ridotto a mercificazione".  Anche  S. Paolo ha fatto un'esperienza del genere quando si è deciso di predicare nella piazza di Atene e gli uditori gli risposero di andarsene altrove, e che su questi argomenti lo avrebbero sentito in altra occasione. Cioè i messaggi seri hanno bisogno di luoghi comunicativi appropriati e di atteggiamenti spirituali che arrivino alle radici dell'anima, e non si fermino soltanto alla superficie. La fiction è colorato ·spettacolo senza aggancio alla realtà: mito che spesso non ha nulla a che vedere con la storia. Certo la fiction può aiutare la memoria del passato, ma la sua complessità richiede rigore e serietà. La Tv semplifica gli aspetti profondi accorcia gli spessori spirituali, trasforma le contrapposizioni in complotti e le divergenze teologiche in pettegolezzi. Anche quella su Papa Giovanni traduce in immagini processi complessi e dinamiche sofisticate.   Passata sugli schermi per due serate nel mese di maggio 2012 si proietta al mondo un mito giovanneo senza entrare nella spiegazione delle cause, nelle strumentalizzazioni politiche, nelle colpe collettive. Si diffonde la figura di un Papa in lotta solitaria con il vecchiume della curia vaticana, in rottura con l'allora carabiniere della fede Cardinale Tardini.  Le fiction sui Santi in Tv sono state finora tali da indurci ad un'autocensura e ad un cambiamento di canale verso altre trasmissioni. Perché diventano sottilmente i killer silenziosi dell'anima e della fede.  Un merito comunque, a guardare il rovescio della medaglia, queste serate su Giovanni 23 l'hanno avuto. Vengono a riconoscere come messaggi religiosi, persone di Dio, testimonianze della comunità cristiana siano capaci di lasciare la loro impronta nel nostro distratto cammino quotidiano. Prova ne è la proposta uscita dal Ministero della Pubblica Istruzione e offerta ai giovani per la maturità. Tema storico a scelta la cui traccia suona così: "Con Papa Giovanni 23 la chiesa si lascia alle spalle le fasi più aspre della contrapposizione alla modernità quali ad esempio i pronunciamenti del +Sillabo+ e le scomuniche contro il modernismo. Si avvia al tempo stesso al dialogo con i lontani, i separati, l'apertura al mondo. Illustra questa importante fase della storia della chiesa e il suo ruolo nel nostro contesto nazionale ed internazionale“. Ed è subito polemica.  La Conferenza dei Vescovi italiani chiede al Ministero di fare ammenda e il mea culpa perché vi ravvisa una malintenzione, quella della contrapposizione   fra   Giovanni   23 (1881-1968) "Papa buono, del dialogo, delle porte aperte" e i suo predecessore Pio IX (1792- 1878): Papa fatto passare come becero oscurantista, delle barricate contro la scienza, il progresso e le altre religioni. Così in effetti tale Papa si manifesterebbe nel Sillabo (1864), compendio di tutti gli errori del tempo e relative scomuniche. Dunque un'ala della cattolicità italiana non ammette contrapposizione fra i due pontefici, perché parte dall’idea che nella chiesa vi sia sempre stata e sempre vi dovrà essere continuità. Il tentativo di beatificare i due papi in questione il 3.9.del 2000 da parte di Wojtyla risponde a questa esigenza, di fare o imporre un collage fra i due. Operazione di ricucire che non tacita le perplessità. Indubbiamente lo studio storico delle due personalità ci dice che entrambi erano tipi conservatori. Con una piccola (o enorme diversità) che Pio IX andava avanti guardando al passato e lo voleva gelosamente custodire, Giovanni 23 invece andava avanti guardando al futuro, aprendo ad esso la chiesa. Entrambi erano figli del loro passato, il primo per ripeterlo, il secondo per superarlo. L’affermazione che Papa Roncalli fosse conservatore può stonare a qualche progressista. Ma è così. In effetti negli anni 1950-59 dell’allora Patriarca di Venezia erano note le dure opposizioni contro i socialcomunisti di Porto Marghera. Appena diventato Papa nel 59 difese l’obbligo della lingua latina nella messa, e nel 60 convocò il sinodo romano in cui si imponeva ai preti l'uso della talare e del cappello tutto tondo, il divieto di entrare nei bar e specialmente di accesso agli stadi. Così succedeva che anche i preti malati del pallone la domenica pomeriggio salivano su a Monte Mario e con un binocolo assistevano alle partite di calcio che si effettuavano sotto, nello stadio Olimpio ai Fori imperiali, con i giocatori dalla dimensione di birilli e di spiritelli che si agitavano, senza vederci un fantasma di pallone. Accontentarsi di quello, se no si arrischiava la sospensione dall'ufficio sacerdotale. Papa Giovanni era anche questo. Però aveva avuto la fortuna di studiare un secondo libro, quello della vita, e non solo quello del Seminario, a contatto con persone di diversa estrazione, cultura, religione. Dalla Francia ai Paesi dell'Est apprese che dovunque si deve cercare ciò che unisce e non ciò che divide. E perciò nel 1962 ha convocato il Concilio Vaticano Il, cioè universale, in riferimento al Concilio Vaticano l di Pio IX (1868). Fra i due Papi e i due Concili non si parli di continuità, ma piuttosto di una discontinuità o novità abissale. Si tratta di rivoluzione copernichiana. Tolomeo da secoli aveva sostenuto che il sole girava attorno alla terra, Copernico invece venne a dirci che è la terra a girare attorno al sole. Cosi è stato della Chiesa: prima essa si considerava autoreferenziale (centro di tutto o ecclesiocentrismo), società perfetta, dogmatica, fonte di magistero, infallibile, in posizione di sfida alla scienza e ai movimenti emergenti. Con Giovanni 23 abbiamo il rovesciamento della piramide, Cristocentrismo, chiesa popolo di Dio, pure discepola, discente, in atteggiamento di ascolto a tutti gli uomini di buona volontà. Se di continuità si vuole parlare, anzi si deve, non è della Chiesa, ma dello Spirito di Dio che la invita a imboccare tutt'altra strada: quella della testimonianza umile non quella dell'impero sulle nazioni e sulle coscienze. Diamoci il giusto spazio a Dio e al suo Spirito: quelli permangono fedeli a se stessi nel tempo. Ma la chiesa nelle strutture e nei metodi dovrebbe sempre adeguarsi ai tempi. Indubbiamente un’intuizione profonda di Papa Roncalli fu quella di apprendere anche dalla coscienza civile laica i semi del Verbo di Dio. Il sostenere che la Chiesa è sempre all’avanguardia, arriva prima nella soluzione di tutti i problemi è apologetica bolsa. La Chiesa spesso è arrivata per ultima in tanti aspetti, prendendo l’esempio dalla maturità della coscienza civile. Vedi guerre di religioni, conversioni coatte, roghi. Dunque anche la storia e la costituzione laica hanno contribuito a convertire la chiesa. Giovanni 23° l’ha ben recepito e 17 anni dopo che I’ONU (1948) aveva emesso la seguente dichiarazione "ogni uomo ha diritto alla libertà di coscienza e di religione" il Concilio Vaticano Il nella Costituzione "Dignità Umana" (1965) inserisce lo stesso principio. Queste alcune considerazioni tratte dalla fiction televisiva su Giovanni 23° che esigono una conclusione. Da quel tempo ad oggi si è ritornati lentamente all'ecclesiocentrismo: la chiesa al centro di tutto. Anche la crescita esponenziale di santi e beati promossa da Wojtyla tende a dimostrare la visibilità, la forza, il nuovo "potere della Chiesa. Questo Papa gira il mondo, parla con tutti i popoli, a tutti i popoli. Fatto positivo. Si è bloccato però il movimento contrario: quello giovanneo, che i popoli, le religioni, le confessioni, il mondo parlino alla chiesa. Portare la parola è bello, giusto e doveroso farsela dire e ascoltarla è altrettanto opportuno. Ed è per questo che anche in continuazione molti vescovi e cardinali di tutto il mondo fanno ulteriore pressione per la convocazione di un terzo Concilio Ecumenico universale. L'eccessivo centralismo curiale potrebbe mortificare tanti carismi e doni dello spirito, che possono esplicitarsi solo in un dialogo collegiale. Ci auguriamo che la figura di Giovanni 23 non vada a finire tutta nella fiction televisiva ma diventi presa di coscienza per uscire dallo stallo attuale e costruire un futuro secondo il suo spirito.

Autore:
Albino Michelin
27.06.2002 

DON ORESTE BENZI: UN PRETE CONTRO LA PROSTITUZIONE

E' fuori discussione che i cosiddetti preti della strada, fra cui don Benzi, tonache nere fra ortiche e minigonne, sono encomiabili per la loro scelta di vita. Non conoscono orari né di giorno è di notte, paghe sindacali, tempo libero, ferie, relax. Per la sua Comunità di Rimini "Papa Giovanni XXIII" destinata al ricupero delle prostitute Don Benzi si spende totalmente. Ma mentre si è d'accordo per quanto riguarda la sua scelta di vita, qualche obbiezione sembra opportuno sollevare circa la modalita’ di approccio con il problema globale della prostituzione, circa le sue espressioni poco tolleranti, le generalizzazioni sempliciste, l'ostracismo verso i clienti, l'aggressività nei confronti di chi nella stampa e nei media la pensa diversamente, prospettando la problematica anche da altri punti di vista. Anzitutto è arduo stabilire quale donna debba essere considerata prostituta dal momento che non è solo il passaggio di denaro a fare del sesso un atto di pagamento. Ovvio che questo discorso vale anche per il cliente. La posizione di Don Benzi, sanguigno prete romagnolo è a tutti nota sia sui numeri come sui metodi che poi sono quelli della chiesa tradizionale. Egli sostiene con enfasi che le prostitute sarebbero tutte delle schiave, tratte dal terzo mondo, sfruttate, torturate, gettate sulla strada attraverso raggiri, inganni e falsi miraggi. Sarebbero 60 mila mentre i maschi italiani che le usano si aggirerebbero sui 9 milioni, uno su 6 = 15%. Dal 1998 tutta la provincia di Rimini sarebbe stata liberata da questo schifo e sulla stessa strada si starebbero avviandosi a Savona e Adria. Tale opera di bonifica, continua Don Benzi, si basa sul lavoro di una rete di volontari che agganciano le ragazze del marciapiede come fossero clienti, le aiutano a sfuggire dalla sorveglianza degli sfruttatori. Il tutto in collaborazione con Polizia e comune. In tre mesi questa piaga è stata vinta in questo territorio e lo sarà in tutta Italia, oracolo di Don Benzi, se ovunque si appronterà la legge del rastrellamento.  E qui ci si puo’ permettere qualche osservazione e sul metodo e sul linguaggio. In seguito a tale azione le prostitute sono sparite da Rimini ma per portarsi a Cesenatico, cioè qualche chilometro più a sud. Si puo’ essere solidali con questo impegno di chiesa ma non con il metodo. Non si puo’ pretendere che lo Stato italiano imponga ai suoi cittadini il Vangelo e la virtù. Diversamente si diventa come i tanti aborriti talebani che vogliono imporre il corano con la spada, o peggio si ritorna ai secoli bui della storia medioevale, quando in mancanza di legislazioni laiche-civili si utilizzava e imponeva quella clericale. Si mandava speditamente al rogo ogni trasgressiva. Lo Stato deve tutelare la libertà e colpire lo sfruttamento. Rispettare la libertà di scelta alla prostituzione e punire il racket delle schiave ed ogni altra forma dì oppressione. Non sì può in nome dello Stato togliere la libertà a chi sceglie di fare questo mestiere, che poi è il più antico del mondo. Qualcuno vede la missione di don Benzi come esemplare ma un po’ troppo intollerante che rischia di diventare una contromìssìone. Un tempo esistevano le case chiuse, oggi si parla di Eros-centri o   cooperative   del   piacere.  La   statale Verona -Vicenza in prossimità di quest'ultimo capoluogo, è un bivacco inaccettabile alla provocazione di bambini e minorenni. Importante che lo Stato intervenga a liberare la strada. Non pretendere che questo ci liberi dalla prostituzione: che esso la regolamenti, senza dubbio ciò è urgente. Alla  Niederdorf di Zurigo non si vede tanto mercato come sulle strade della cattolicissima Italia. Modestamente si puo’ imparare anche dalla  Svizzera : prostituzione?  Professione privata, schedatura, obbligo di cassa malati, controllo sanitario….  E' un male minore, vale la pena battersi   almeno per questo. L'impazienza del “tutto o niente" contrasta anche con il nostro Vangelo. In effetti, Gesù dice che il Regno suo è come un campo in cui cresce il buon grano e l'erba cattiva. Non estirpare questa frettolosamente affinché non venga strappata anche la spiga di frumento. Don Benzi ha condotto a Roma in visita dal Santo Padre 600 (0.1%) prostitute redente, cioè strappate dal marciapiedi e dagli sfruttatori. E' un buon raccolto, ma non si puo’ pretendere la luna né di rovesciare il mondo: non ci è riuscito neanche Gesù Cristo. All’ affermazione che le prostitute sono tutte schiave e schiavizzate che agognano l'ora della loro liberazione purtroppo bisogna rispondere che ciò non risponde a verità. E' ingenuo: molte hanno scelto, scelgono e sceglieranno questa professione di spontanea volontà rifiutando qualsiasi altra alternativa, per quanto allettante. Altra osservazione: per riscattare le prostitute non basta lanciare invettive contro i clienti definendoli consumatori del sesso, stupro di massa, nove   milioni di stupratori nella sola Italia. Nel cliente non si puo’ ravvisare altro che un balordo in cerca di scaricarsi   fisicamente   per un po’ di testosterone inebriante. Adagio con il linguaggio: in questa riduzione alla fisicità sta un grosso abbaglio. E' un limite tipico di chi fu educato alla tabuizzazione del sesso. In verità non è mai stato sufficientemente approfondito perché gli uomini cercano l’amore a pagamento anche quando hanno una   fidanzata   o una sposa o un’amica da corteggiare. Ma nel bisogno di arrivare diritti ad una donna a qualsiasi prezzo, compresi i rischi di salute e polizia, si esprime un'inquietudine oscura da cui l’umanità non riesce a liberarsi. Nel libro di lsabel Pisone  "lo puttana” parlano le prostitute e rivelano che molti clienti sono affetti da perversione, ma che anche chi paga una donna per sfogare la propria passione è capace di compassione evangelica. Pure nel cliente più banale può nascondersi inopinatamente il buon samaritano. Racconta nel libro Giulia: 'ho trovato un ragazzo che mi ha dato una somma ingente senza prestazioni. Gli ho chiesto di aiutarmi per non fare più quel lavoro. Mi ha portato in questura e poi in Comunità “. E Irene nella sua testimonianza: "un mio cliente mi ha sposata, ora sono felice, aiuto sua madre che è sordomuta" Saranno casi singoli, ma che obbligano a sospendere ogni giudizio e discriminazione morale e affrontare questa complessa galassia con stereotipi diversi. Prostituzione: non si dimentichi che in all’origine in genere ci sta spesso una famiglia alla miseria o sbagliata ed un infanzia sofferta. Mentre è certo di grande importanza intervenire sulle conseguenze come risulta dal lavoro di Don Benzi e di altri, urgente si richiede l'intervento sulle cause e sul risanamento della famiglia.

Autore:
Albino Michelin
20.06.2002 

SHALOM, QUALE PACE FRA ISRAELE E PALESTINA

Dopo 38 giorni di assedio nella Basilica della Natività in Betlemme ad opera di militari palestinesi, finalmente il 9 maggio 2002 si è convenuto che i 13 terroristi supposti tali da Israele, vengano esiliati in Spagna, Italia, Austria, Grecia e Lussemburgo. Fino a qualche mese fa si può dire che l'opinione pubblica europea e la civiltà occidentale era ·schierata quasi totalmente e sempre a favore di Israele e contro i palestinesi, razza araba e imprevedibile. Attualmente l'ago della bilancia sta spostandosi e molti in effetti cominciano a porsi dei dubbi e a prospettare soluzioni diverse da quelle della forza e delle armi. Il buon senso della gente comune sostenuto anche da considerazioni d'ispirazione cristiana e viceversa comincia a prospettare soluzioni chiare e precise. La via della pace in Palestina è una sola: quella che passa attraverso la fine dell'occupazione israeliana nei territori e la creazione di uno stato palestinese all'insegna del motto: "due popoli, due stati". Il meccanismo azione-reazione, attentato-repressione non fa che aumentare la spirale dell'odio. Partiamo dalla situazione attuale, nella prospettiva di una futuro basato sulla convivenza.  Lo Stato d'Israele esiste, ha il diritto di esistere e di vivere nella sicurezza. Lo Stato palestinese non esiste ancora e ha il diritto di esistere e di vivere pure lui nella sicurezza. Lo Stato d'Israele occupa territori che appartengono ad altri. l palestinesi hanno il diritto di vedersi finire l'occupazione militare israeliana dei loro territori imposta nel 1967 e di crearvi un loro Stato Indipendente. Fintantoché l'occupazione dura hanno il diritto e il dovere di reclamare la loro terra e la loro libertà e di portare avanti la resistenza per arrivare a questo scopo. Vediamo che la radice del conflitto non è fondamentalmente una questione di terrorismo palestinese che minaccia la sicurezza e l'esistenza dello Stato d'Israele. Alla base si trova l'occupazione militare israeliana che provoca la resistenza palestinese e questa a sua volta è percepita come una minaccia per la sicurezza d'Israele. Continuare a parlare di terrorismo palestinese senza vedere il diritto dei palestinesi alla libertà e alla fine dell'occupazione equivale a rifiutare ogni soluzione. Per mettere fine all'effetto, cioè alla violenza globale bisogna eliminare la causa, che è l’occupazione militare. Se no il ciclo di violenza continuerà e da entrambi le parti, innocenti e combattenti continueranno ad essere uccisi. Affermare   che la violenza   da parte palestinese è di tipo terroristico e quella da parte israeliana un diritto alla legittima difesa rende inutile qualsiasi dichiarazione e impossibile la cessazione della violenza. Che cosa vogliono i palestinesi? Vogliono la loro libertà, la loro terra, il loro Stato indipendente. Che    cosa    vogliono    gli    israeliani? Vogliono la loro sicurezza, all'interno di frontiere rispettate, al riparo da ogni attacco e da ogni minaccia: le due esigenze sono interdipendenti. Ma invece di mettere fine all'occupazione il Governo israeliano la mantiene e utilizza i mezzi, rappresaglie   e   guerra dichiarata, che portano proprio all’opposto della sicurezza, anzi all'aumento delle reazioni e della violenza da parte palestinese, e quindi ad una sempre maggiore insicurezza per gli israeliani. Cosi la spirale della paura e di rancore non avrà mai fine. Perché gli israeliani non si decidono a compiere questo passo verso la pace? In effetti fare la pace   dipende   soprattutto   da   loro. Perché Israele rifiuta fino ad ora di restituire ai palestinesi i territori occupati nel 1967, che sono solo 5.000 kq, vale a dire il 22% di tutta la Palestina storica, della quale Israele copre il 78%   dal 1948? Israele coltiva ancora il sogno di appropriarsi di tutti i territori palestinesi, ma senza i palestinesi?  Dopo quasi 100 anni di conflitto è tempo di riconoscere che questo sogno è impossibile. Oggi ci sono 3 milioni di palestinesi nei territori occupati. Bisogna che Israele accetti di trattare con questa realtà, non eliminandola o porla sotto il sistema di apartheid. O forse   Israele non ha fiducia dei palestinesi o che in uno stato indipendente possano diventare dei vicini pacifici?  E' un sospetto non fondato! Le manifestazioni dell’ostilità palestinese nel tempo attuale non sono dovute ad una viscerale odio contro il popolo israeliano ma l'espressione della resistenza di un popolo a ciò che esso considera come un tentativo di sottrazione e di espulsione dalla sua terra. Una volta eliminata questa minaccia l'ostilità cesserà. Guardando al futuro le previsioni sono chiare. Israele vivrà sempre circondato da paesi arabi, compresa la Palestina. Fino ad oggi egli non è riuscito ad allacciare relazioni normali con loro.  La pseudo mentalità dell’Antico Testamento di considerarsi l'unico popolo eletto che per sentirsi tale ha bisogno di eliminare tutti gli altri e le loro false divinità è forse ancora troppo radicata nella sua psicologia collettiva. Qui fra Jhawé degli ebrei e Allah dei musulmani non c'è diversità rilevante. La politica seguita da Israele e dalla comunità internazionale, con il pretesto di proteggere il nuovo Stato d'Israele mante­ nendo l'ingiustizia commessa contro i palestinesi, ha suscitato e conservato atteggiamenti   di odio   in tutti   i paesi arabi.  Se si vuole proteggere qualcuno non lo si circonda di nemici, ma di amici. Bisogna dunque cambiare politica al fine di trasformare i paesi vicini in paesi amici. Questa   trasformazione    non   è impossibile, basta rendere giustizia ai palestinesi, mettere fine all'occupazione e creare un loro Stato. Solo cosi Israele circondato da vicini amici vivrà   nella sicurezza voluta. La proposta dell'Arabia Saudita di concludere una pace generale con Israele, adottata dal summit arabo europeo del marzo 2002, è un segno ed un invito per Israele: i paesi arabi sono pronti a fare la pace con lui, Stato e popolo. Queste considerazioni vanno un po' contro corrente, cioè non sono molto in sintonia con le nostre preferenze fin'ora coltivate. In effetti noi italiani, europei, genti dell'occidente ci siamo in genere schierati per Israele in quanto è uno Stato filoamericano. E noi abbiamo avuto e tutt'ora nutriamo, anche se con una serie di interrogativi in aumento, molta sudditanza psicologica nei confronti degli Usa. Il grido lanciato dai nostri leader dopo l'attentato dell'11 settembre 2001 "Siamo tutti americani", non si è ancora spento, ma solo attenuato. Sta però lentamente affiorando nei nostri discorsi il dubbio che nella questione del Medio oriente americani ed israeliani non hanno dalla loro parte tutte le ragioni e i palestinesi tutti i torti. Dubitare delle proprie sicurezze è l'inizio della saggezza e quindi il primo passo verso la pace in un territorio sempre in guerra da che mondo è mondo, Da Adamo ai giorni nostri.

Autore:
Albino Michelin
08.06.2002